martedì 12 febbraio 2008

Il ruolo dell’avvocato (visto dal magistrato)



Pubblichiamo uno scambio di lettere fra Andrea Falcetta e Bruno Tinti (entrambi componenti della Redazione del blog), nato dalla lettura da parte di Andrea di un brano del libro “Toghe rotte”, scritto da Bruno.

Ne viene fuori un confronto sul ruolo dell’avvocato, scritto dai punti di vista diversi dell’avvocato (Andrea) e del magistrato (Bruno), che ci sembra una bella tappa del percorso di dialogo costruttivo fra tutte le “toghe” (la prima parola dell’indirizzo internet del nostro blog) che era nei nostri auspici quando abbiamo dato vita a questo blog e che pian piano sta diventando realtà.

A questo link c’è la lettera di Andrea a Bruno.

Qui c’è la risposta di Bruno ad Andrea.

Nella sua lettera, Andrea fa riferimento all’avv. Oreste Flamminii Minuto. E Bruno richiama la citazione nella sua risposta.

Ci teniamo a esprimere all’avv. Flamminii Minuto la nostra stima e profonda gratitudine per il nobile gesto delle Sue dimissioni dall’Unione delle Camere Penali per solidarietà con il Segretario dell’Associazione Nazionale Magistrati aggredito dall’ex Presidente Cossiga (la lettera con le dimissioni dell’avv. Minuto può essere letta a questo link, da dove si può andare alla interessantissima discussione che ne è scaturita nel forum dell’Unione delle Camere Penali).

Non può esserci processo senza avvocati e magistrati. Per le stesse ragioni, il nobile gesto dell’avv. Flamminii Minuto ci sembra la prova migliore di come la giustizia non possa essere promossa e difesa se non insieme dagli avvocati e dai magistrati.


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di Bruno Tinti
(Procuratore della Repubblica Aggiunto di Torino)



Caro avvocato,

mi dispiace che una persona garbata e integra come lei si sia sentito “amareggiato e deluso” da quanto scritto in Toghe Rotte.

Debbo dirle che la sua reazione non è stata dissimile da quella di molti miei colleghi che mi hanno, in genere con garbo infinitamente inferiore, contestato di averli offesi, di aver ingiustamente generalizzato, di aver dato di loro un’immagine che fa torto al loro impegno professionale ed istituzionale.

Ripeto a lei quello che ho detto a loro: non si può, in un libro che tratta di un sistema, non generalizzare: si descrivono le caratteristiche salienti del sistema e, proprio perché questo è inefficiente e sostanzialmente ingiusto, ne deriva che si fa riferimento necessario soprattutto ai comportamenti speculari delle persone che, a qualsiasi categoria appartengono, in tal modo lo gestiscono.

Ma io mi sono preoccupato di persone come lei, magistrati e avvocati che si sforzano ogni giorno di fare il meglio che possono e di farlo con competenza, correttezza e lealtà; e ho inserito, all’inizio dell’ultimo capitolo, una nota dedicata a loro.

E’ vero, nella nota si parla solo di magistrati e politici; e si trascura di citare gli avvocati.

Mi dolgo di questa omissione (dovuta alla specificità del tema che si trattava in quel capitolo), che ha avuto l’effetto di offendere persone come lei; ma le assicuro che il mio intento era di riconoscere l’esistenza di qualche “giusto”, non importa a quale categoria appartenesse; e di dire a tutti costoro che c’era un motivo per cui nel libro non parlavo di loro e che speravo che, alla fine, i “giusti” finissero con il prevalere.

Così sono contento che il suo intervento mia dia la possibilità di scusarmi con tutti gli avvocati come lei; ne ho conosciuti parecchi (non moltissimi); di alcuni sono stato e sono molto amico; da tutti loro ho imparato tanto.

Concordo ancora con lei e con il suo collega avv. Flamminii quanto alla equa ripartizione degli incapaci in tutti gli ambienti e in tutte le categorie.

Gli avvocati sono tanti e certamente il numero di incapaci tra loro è elevato; i magistrati sono pochi e il corrispondente numero di incapaci è, in assoluto, certamente minore. Ma sono certo che, in proporzione, gli incapaci siano egualmente rappresentati in entrambe le categorie.

Non voglio però limitarmi alle scuse. Voglio anche chiarire il mio pensiero e dirle con franchezza che in molte delle cose che ha scritto io credo vi siano degli errori. Dovuti ad una interpretazione non corretta o, mi consenta, a convinzioni errate.

Lei riassume ed interpreta il mio pensiero in punti; mi permetta di quotarli, come si dice, e aggiungervi le mie “controdeduzioni”.

1) “se un avvocato svolge il controesame dei testimoni finisce per inguaiare di più l’imputato, per cui è meglio che se ne stia zitto”.

Non ho mai pensato né scritto che questa è la regola generale; in verità, nel capitolo “L’udienza penale d’estate” si mettono a confronto proprio due tipi di avvocato: il trombone, che fa domande inutili e provocatorie, forse dannose per il suo cliente, e un giovane e preparato avvocato che, con interventi pertinenti ed intelligenti, spinge il pubblico ministero, fino ad allora annoiato spettatore di una recita inconcludente, ad intervenire.

Credo sia chiaro che l’episodio cui lei fa riferimento dipinge una delle possibili realtà processuali che, in verità, abbastanza spesso io (e anche lei, ne sono certo) constatiamo.

Ma è a mio parere del tutto evidente che non è “l’avvocato” che è meglio se ne stia zitto; è meglio che “alcuni avvocati” se ne stiano zitti; come, del resto, alcuni, molti, magistrati.

2) “l’incapacità professionale degli avvocati contribuisce quindi a far ben figurare i pubblici ministeri ed i giudicanti”.

Anche questo io credo sia smentito per tabulas da ciò che è scritto nello stesso capitolo che le è dispiaciuto.

Cito: “In vecchiaia scriverò un elogio degli avvocati. Nel bene o nel male fanno grandi i pubblici ministeri e i giudicanti. Più il difensore è bravo e più ti costringe ad alzare il livello della tua professionalità. I colleghi pubblici ministeri odiano gli avvocati che fanno eccezioni e che la spuntano facendoti annullare un’indagine, una misura cautelare, una intercettazione telefonica. Benedetti colleghi: la regola è che impariamo più dai nostri errori che dai nostri successi”.

Perché lei ha voluto riportare solo la parte finale di questo ragionamento? Lei ha ricordato solo la frase: “li vorrei anche leali, è vero. Ma non sempre possono esserlo”, e su questo tornerò.

Sono certo che lei condividerà la mia convinzione: l’avvocato poco preparato, superficiale, non diligente, non fa affatto “figurare bene” il giudice o il pubblico ministero.

E’ quello che propone soluzioni alternative, problemi complessi, interpretazioni giuridiche articolate e ben sostenute da dottrina e giurisprudenza che “ti fa ben figurare”.

Perché solo in questo caso un giudice o un pubblico ministero (se è bravo) dovrà misurarsi con l’avvocato e, se sarà d’accordo con lui dovrà esserlo in maniera consapevole ed argomentata e, se non lo sarà, dovrà faticosamente motivare il suo dissenso.

L’altro tipo di avvocato, il “mozz’orecchi”, non conta niente; come tanti pubblici ministeri (purtroppo) è un convitato di pietra alla mensa della giustizia.

3) “non è logico attendersi lealtà dagli avvocati, visto che hanno sempre un committente alle cui istruzioni devono attenersi rigorosamente per non incorrere nelle sue ire”.

Qui credo sia necessario completare questa sua frase con un’altra, successiva, là dove lei dice: “la funzione del Difensore non è infatti quella di perseguire un’assoluzione ad ogni costo, essendo assai più difficile, delicato ed essenziale il suo dovere, quello cioè di vigilare e battersi affinché l’imputato sia processato secondo le regole, e sia quindi giudicato all’interno di un processo giusto”.

E qui veramente non concordo con lei nel profondo.

Io credo che il patrocinato avrebbe tutto il diritto di investire della sua ira l’avvocato che non utilizzasse ogni mezzo processuale lecito per pervenire ad una sentenza a lui favorevole.

Io credo che al committente non debba interessare proprio nulla che il suo avvocato si preoccupi di fargli avere “un giusto processo”, intendendo per tale quello che pervenga ad una sentenza il più possibile conforme alla verità storica dei fatti, qualunque essa sia; e, qualora venisse riconosciuto colpevole, ad una giusta (nei limiti dell’umanamente possibile) sanzione.

Il cliente di un avvocato ha, a mio parere, il preciso diritto di attendersi un impegno costante del suo difensore perché (nel rispetto della legge) egli sia assolto: per non aver commesso il fatto, perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato, perché il fatto non sussiste, perché il reato è prescritto, per qualsiasi ragione purché il risultato sia l’assoluzione.

E, se questo non è possibile, il cliente ha il preciso diritto di attendersi un impegno costante perché la sentenza di condanna che nonostante tutto sarà pronunciata nei suoi confronti sia la più mite possibile; e ha anche il preciso diritto di attendersi l’utilizzazione di ogni possibile strumento processuale e poi di ogni norma perdonistica prevista dal nostro disastrato sistema sostanziale, processuale e penitenziario perché la condanna che nonostante tutto gli è stata inflitta sia vanificata, ridotta, commutata.

Il cliente ha il preciso diritto di sapere che il suo avvocato lo difenderà con il massimo impegno, che egli sia innocente o colpevole, perché così è previsto dalla nostra Costituzione; anzi ha il preciso diritto di attendersi che il suo avvocato non lo voglia nemmeno sapere, se egli è innocente oppure no.

Il cliente ha il diritto di essere comunque difeso; e, per lui, essere difeso significa attendersi che il suo avvocato si batta perché, alla fine, sia assolto.

Insomma, egregio avvocato, tra i tanti meriti che le riconosco, voglio aggiungerle questo: lei mi dà l’occasione per parlare, brevemente, di quello che, secondo me, è l’errore fondamentale che poi, alla fine, sta alla base delle sue convinzioni.

Ricorda quando lei ha scritto: “la funzione del Difensore non è infatti quella di perseguire un’assoluzione ad ogni costo …”?

Ebbene, voglio dirle con chiarezza che io penso che l’avvocato non può essere uno speculare pubblico ministero prestato al committente.

A nessun avvocato può essere consentito di chiedere la condanna del suo cliente perché, dopo avergli assicurato un giusto processo, si è convinto che egli è colpevole.

Dal pubblico ministero invece ci si aspetta che egli chieda l’assoluzione dell’imputato innocente; anzi questo è un suo preciso dovere; e posso assicurarle, dopo 40 anni di professione, che nessun pubblico ministero (ma si ricordi l’incipit, quanto alla generalizzazione forzata) chiede mai la condanna di chi sa essere innocente.

Ecco perché io credo che questa pretesa di separazione delle carriere tra pubblico ministero e giudici, questa pretesa uguaglianza di ruoli tra pubblico ministero e avvocato, sia un’assurdità.

E sa una cosa? Debbo dirle che il suo scritto mi consola: fino ad ora avevo pensato che la feroce difesa di questa, per me strampalata, teoria da parte dell’avvocatura tutta fosse frutto di una precisa strategia politico-professionale; che insomma gli avvocati sapessero bene che si trattava di una vera assurdità ma che la propugnassero perché avrebbe loro assicurato maggiori possibilità processuali e maggior successo professionale.

Che una persona come lei, corretta, idealista ed integra, sostenga tesi che, al fondo, presuppongono la figura di un avvocato speculare al pubblico ministero, non mi fa cambiare idea sull’assurdità della teoria ma mi convince che molte volte essa sia sostenuta in buona fede.

Ultima annotazione. Guardi avvocato che l’esempio da lei citato dell’avv. Ambrosoli, riguarda un caso non pertinente con ciò di cui discutiamo: come lei stesso ha ricordato l’avvocato Ambrosoli fu ucciso perché svolgeva, con integrità e indipendenza, l’ufficio di liquidatore del Banco Ambrosiano: attività che non aveva nulla a che fare con quella del patrocinatore in giudizio a difesa di un imputato.

Per concludere sono certo che persone come lei onorano la professione di avvocato; ma voglio dirle che, per onorarla, non è necessario contestare che prima di tutto, sopra ogni cosa, un avvocato ha un solo dovere (sempre nel rispetto della legge): far assolvere il proprio cliente.

Con stima.

Bruno Tinti


10 commenti:

Anonimo ha detto...

Mi permetto di intervenire in questo interessante scambio di opinioni perché il punto 3) è quello, a mio avviso, fondamentale per comprendere come può ragionare un giudice addetto al penale e come possono ragionare, diversamente tra loro, gli avvocati.

In realtà il giudice, anche involontariamente, si aspetta che l'avvocato faccia di tutto in favore del suo cliente, nei soli limiti del rispetto della legalità.

In altre parole, basta che non "bari" sotto il profilo dei Codici e al giudice resta indifferente che l'avvocato "bari" con la propria coscienza !

Mi spiego: come sapete bene, NESSUNO PUO' OBBLIGARE UN AVVOCATO AD ACCETTARE UN INCARICO, tranne nei casi delle difese d'ufficio.

Quanto sopra premesso, chi accetta una difesa penale "di fiducia" lo può fare essenzialmente per tre motivi, che possono anche intrecciarsi fra loro, ma non sempre:

1) Crede nell'innocenza del suo assistito, ovvero ritiene che sia giusta nei suoi confronti una pena inferiore a quella richiesta dal PM;

2) Vuol farsi pubblicità;

3) E' ben pagato.

Ma come giudicate, non dico in base alla legge, ma in base alla vostra personale coscienza, chi accetta un incarico SOLTANTO perché è ben pagato, e in tal modo contribuisce magari a mandar libero un soggetto che SA essere un pericoloso criminale, ben capace di reiterare i gravi fatti commessi ?

Vorrei dirvi come lo giudicherebbe il sottoscritto: in base alla legge non potrei dirgli nulla. Ma dal punto di vista morale non potrei far altro che DISPREZZARLO PROFONDAMENTE.

Ed è solo per PIGRIZIA MENTALE, dovuta anche allo stolto rito "americaneggiante" introdotto negli ultimi anni, che il giudice ammette tale modo di procedere degli avvocati.

Perché, vedete, in fondo in fondo al giudice risulta più FACILE "incasellare" mentalmente accusa e difesa, per poi miscelarne le carte e comporre, a tavolino, una soluzione che ritiene appropriata e giusta.

Solo facilità. Nient'altro.

Talvolta questa pigrizia mentale è innata. Altre volte, invece, discende da una profonda disillusione verso gli ideali di giustizia coltivati in gioventù, per cui egli tende, avanti negli anni, a vedere il processo come un teatrino, come un "gioco" con delle regole precise, e nulla più.

Ma non è vero, caro Dottor Tinti, che l'avvocato DEVE "per forza" cercare di far assolvere il proprio cliente. Non lo dice certamente la Costituzione.

Legga, caro Dottore, cosa pensava Calamandrei dell'esercizio dell'Avvocatura. Legga quando ripeteva che non solo nel penale, ma addirittura nel civile un avvocato DEVE essere il primo giudice del proprio cliente, per decidere se difenderlo o meno, in base alla fondatezza delle sue ragioni !

Il fatto, poi, che oggi ci siano "troppi avvocati" (ben più di quelli esistenti nel 1922, anno di pubblicazione dell'omonimo scritto di Calamandrei) non val certo a giustificare il loro comportamento, ma solo a capire perché sia tanto diffuso. O prendi i pochi clienti che ti passa il mercato, o cambi lavoro. Ed è veramente da ammirare chi ancora rende onore alla toga che indossa, non dimenticando la vera funzione dell'Avvocato, che non è quella di "vendersi" al primo cliente, ma quella di farne valere le giuste ragioni !

Caro Dottor Tinti, lei ha ragione quanto sostiene che a nessun avvocato può esser richiesto o imposto di domandare la condanna del proprio cliente. Aggiungerei: ci mancherebbe altro !

Ed è anche vero che la difesa deve restare LIBERA, nel modo più assoluto, a garanzia dei cittadini.

Come è vero che la possibilità, oggi la norma, che un avvocato contribuisca a sottrarre alla pena chi sa essere un criminale è il prezzo, talvolta elevato, da pagare a questa libertà.

Ma vorrei ricordarle che nessuno OBBLIGA un avvocato ad accettare l'incarico e quindi a difendere e a tirar fuori di galera un mascalzone, se non due dei motivi sopra esposti: il desiderio di "fama" ... e il desiderio di denaro !

Per questo, se è vero che debbo tollerare, in nome della libertà, la presenza di avvocati di tale specie, nessuno mi convincerà mai che loro siano (da punto di vista morale, sia chiaro) brave persone, da frequentare e con le quali, magari, andare a cena ... mi risulterebbe pesante la digestione. Ancora di più se a quel banchetto partecipassero non pochi magistrati !

Anonimo ha detto...

anch'io mi permetto di intervenire in questo scambio di vedute per dire alcune cose. Molte delle cose che qui si scrivono, almeno per ciò che mi riguarda, vengono scritte e si pensano spogliandosi del ruolo di avvocato e di magistrato, ma richiamandosi ad un ruolo che unisce entrambi quello cioè di operatore del diritto che ritiene, forse a torto, di possedere strumenti per fare considerazioni sul sistema giustztia e su specifici argomenti con considerazioni di carattere sostanziale e processuale. Oltre questo ruolo indistinto di operatore del diritto ( in ciò comprendendo anche la dottrina che dovrebbe - questo andrebbe ricordato a molti giudicanti - contribuire a modificare visionie limiti di istituti giuridici nella loro applicazione al caso concreto) ognuno di noi è avvocato e magistrato e su questo io concordo pienamente con entrambi su molte cose. Concordo con l'avv. Falcetta quando afferma che fare l'avvocato significa anche spesso rinunciare a questioni formali cercando di spingere il Giudice su un terreno di concreta valutazione del problema giuridico escludendo l'utilizzo di scappatoie formali che, forse, consentirebbe un risultato processuale sicuro, ma impedirebbero di provare a volte a spingersi un pò oltre il consolidato pensiero della giurisprudenza maggioritaria ( in fondo l'opera dei tribunali di merito non dovrebbe, almeno per definzione, essere una pedissequa applicazione dei principi di diritto affermati dalla Suprema Corte ma il tentativo - non sempre ovviamente - di provare a creare diritto) al fine di aprire breccie di tutela a favore del proprio cliente. Concordo, allo stesso modo, sulla necessità che l'avvocato faccia tutto quello che la legge gli consente per la difesa del suo cliente a prescindere da quasivoglia convinzione sulla reale posizione del suo cliente: questo perchè l'avvocato non è investito di alcuno ufficio se non di quella del mandato difensivo. Constato, tuttavia, che le considerazioni del dott. Tinti sulla necessità di un buon avvocato per fare emergere la professionalità del magistrato non sono patrimonio diffuso della magistratura poichè generalmente il lavoro diventa routine e pochi conservano la voglia di continuare continuamente a interrogarsi su argomentazioni giuridiche più o meno valide, spesso è molto più "efficiente" appiattirsi sulla giurisprudenza consolidata. Più in particolare nel settore civile e amministrativo, dove la sistematicità di valutazioni giuridiche in raffronto al fatto concreto mettono il giudice nella necessità a volte di ricercare strade da dovere poi motivare adeguatamente, si assiste quasi generalmente alla ricerca della soluzione più conveniente ( intendendo con questa definzione quella più maggiormente percorsa e meno irta di ostacoli logici e giuridici). In realtà credo, e questo vale per magistrati e avvocati ( nella loro diversa funzione) che molto spesso il limite non è solo o necessariamente la capacità ma molto spesso è l'indolenza o meglio la necessità di arrivare a buoni livelli quantitativi utili per l'avvocato a fini economici e per il magistrato a fini statitistici e di tempo libero.

Carmelo Pizzino ha detto...

Mi permetto di fare una modesta riflessione su un punto della lettera del procuratore Tinti che non mi convince affatto. Al punto 3( se non erro) si fa una riflessione su quello che il cliente deve aspettarsi dal proprio difensore.. e qui perdonatemi,ma, a mio modesto avviso, si utilizza un termine improprio, ossia "diritto", perche' con esso si mischiano due concetti diversi. Se lo riferiamo al giusto processo, nulla quaestio giacche' l'assistito puo' ben pretendere dal suo difesore che eserciti il ministero come e' lecito attendersi da un professionista, che viglili affinche' siano rispettate ed assicurate tutte le regole etc,ma non avra' certamente diritto ad una difesa che porti alla assoluzione soprattutto ove non vi siano gli estremi. Semmai il cliente potra' avere un aspirazione in tal senso ma che non puo' concretizzarsi in un diritto( se cosi' fosse allora, per fare un parallelo con i giudici, l'attore avrebbe nel processo, diritto ad una pronuncia a se favorevole ed invece, come e'noto, egli ha solo diritto ad una pronuncia sul merito che solo nelle sue piu' intime aspirazioni si presenta come favorevole... non confondiamo diritti ed aspirazioni!!)Ne consegue,che Il cliente avra'certamente diritto di protestare col proprio avvocato laddove quest ultimo non abbia saputo difenderlo( diritto) ma non potra'lagnarsi per essere stato condannato visto che l'assoluzione non e' un diritto garantito ma solo un'aspirazione coltivata.
Gia' che ci sono, una replica per Paolo Emilio. Non so perche', ma sembra che degli avvocati si abbia una visione distorta, quasi fossero piu' "furfanti" dei soggetti che difendono!se un difensore riesce a "mandar libero"(uso la stessa espressione riportata nel commento)un soggetto che sa essere pericoloso, essenzialmente e' da disprezzare sotto il profilo morale( se ho capito bene)Questa e' un'idea sbagliata.Cerco di fare un esempio( sicuramente non corretto ma accettatelo ugualmente)per esprimere il mio pensiero. Supponiamo che un malvivente venga arrestato senza il rispetto delle regole dettate in tema di arresto( immmagino ve ne saranno e pure molte).. Questo malvivente subisce un sopruso. Se il suo difensore facendo leva sull'irregolarita' dell'arresto la fa rilasciare.. per questo e' da disprezzare??Secondo me no, perche' ha fatto il suo dovere. Sarei molto cauto nell'esprimere simili giudizi.. la morale e' una cosa, la professione legale un altra..Se un avvocato accetta di difendere un malvivente pur avendo il sospetto o la certezza che sia colpevole, non lo fa per soldi ma forse perche' e' ancora convinto che tutti hanno diritto ad una difesa, anche chi ha commesso un delitto

Anonimo ha detto...

Caro Pirata,

Le rispondo subito.

Vede, se il malvivente subisce un "sopruso", la soluzione c'è, e non implica affatto la sua liberazione con un cavillo: basta sanzionare chi ha commesso il sopruso, senza per questo far venir meno le prove acquisite, ancorché irregolarmente.

Altrimenti si tornerebbe al caso in cui decine di mafiosi furono liberati ... perché un timbro non era inchiostrato con inchiostro nero copiativo, ma con un altro tipo di inchiostro !

Se poi lei ritiene che la morale sia una cosa e la professione legale un'altra, perché non applicare questa "regola" a tutte le professioni, a cominciare dai medici, per finire con i magistrati ? Ma lei, poi, si sentirebbe veramente a suo agio se si rivolgesse a persone che pensano solo a riempire il proprio portafoglio ?

Purtroppo oggi, in pieno relativismo morale, nessuno osa più dire cosa è giusto e cosa è sbagliato.

Ma se un avvocato accetta di difendere un mascalzone, sapendo che il suo cliente è veramente tale, e pretendendo per lui l'assoluzione pur sapendolo colpevole, non lo fa certo per "affermare diritti", mi creda.

Lo fa esclusivamente per i soldi che questo mascalzone gli fornisce.

E il fatto che sia indispensabile tollerare questi comportamenti, per salvaguardare la libertà della professione forense e quindi quella di ognuno di noi, non significa affatto che si debba condividerli, né tantomeno elogiarli, anzi !

Anonimo ha detto...

Sono avvocato da 20 anni. Non sono mai stato una cima né a scuola né nella professione. Mi sono comportato sempre secondo il principio dell’interesse: l’avvocato deve fare l’interesse del proprio Assistito nei limiti di ciò che la Legge consente; il Magistrato deve fare l’interesse della Legge nei limiti di ciò che le Parti chiedono. Il limite dell’uno è l’interesse dell’altro. Dov’è che sbaglio?
Avv. Cosimo Saracino

Gennaro Giugliano ha detto...

in effetti non mi sento di dare particolari colpe alla categoria degli avvocati visto che non fanno altro che adeguarsi ad una legge che consente loro di operare in quel modo,piuttosto le responsabilità dovrebbero essere equamente distribuite a chi ha consentito loro loro di svolgere il proprio lavoro nei termini che sono visibili a tutti fino ai ns giorni,dove sembra che pure per un furto di un accendino siano facilitati gli stessi a portare un processo lungo negli anni,buon lavoro a tutti

Anonimo ha detto...

"Livatino - ha aggiunto il Gip Forleo - ci ha insegnato che essere magistrati non implica isolamento, ma che impone una lotta per i diritti civili di chiunque, soprattutto dei più deboli ed emarginati, di coloro che rimangono senza effettiva difesa".
Ecco, Cari esperti di legge, per questa categoria (deboli ed emarginati) di incappati nelle maglie della nostra giustizia chi deve farsi carico? Visto che gli avvocati difendono per interesse e i giudici a qualcuno lo dovranno pur condannare.
bartolo iamonte

Anonimo ha detto...

All'Avvocato Saracino, come anche agli altri, vorrei chiarire un possibile equivoco: non ho mai detto che un avvocato non deve fare gli interessi del suo cliente.

Ho però detto, e non vorrei ripetermi, che c'è modo e modo di fare questi interessi, e che c'è anche, sempre, la facoltà di non farli, quando cozzano violentemente contro i princìpi morali del difensore.

E', in sostanza, "soltanto" una questione di morale e di scelte assolutamente personali.

Carmelo Pizzino ha detto...

Caro Paolo, mi permetto di replicare alla sua risposta.Quello che lei chiama cavillo, altro non e' che una regola.. se le regole ci sono, vanno rispettate senza distinzioni. Se poi vogliamo affermare che il sistema nel suo complesso non e' perfetto e va rivisitato e' altro discorso: quanto all'aspetto strettamente economico, non mi scandalizza sapere che un avvocato accetta la difesa di un qualsiasi soggetto innanzitutto per soldi( si lavora per portare il pane a casa o sbaglio??)ma non e' questo che mi importa quanto la superficiale(non me ne voglia)tendenza a sminuire il lavoro di un avvocato e farne una questione solo monetaria. Si, morale e professione non vanno mai a braccetto.. mi dica, un medico che presta soccorso ad un malvivente che ha commesso azioni aberranti e che adesso sta male, commette un'azione immorale perche' e' giusto lasciarlo morire dopo cio' che ha fatto oppure fa il suo dovere?cosa dovremmo preferire per sentirci con la coscienza pulita?Non credo che il problema vada affrontato in questi termini. Si scelgono le professioni non i clienti.. e se capita un soggetto che ha commesso un delitto( per quanto possa apparire ripugnante agli occhi della nostra coscienza)anche lui ha diritto ad una adeguata difesa.Il ministero di difensore non e' mestiere facile e qui ci sono tanti avvocati pronti a confermarlo con argomentazioni piu' convincenti delle mie.. Ma di una cosa sono certo.. un avvocato potra' pure difendere per soldi ma la sua onesta' e la sua professionalita' non sono in vendita

Anonimo ha detto...

Un medico che presta la sua assistenza ad un delinquente e non lo lascia morire fa solo il suo dovere di medico.

Parimenti, un avvocato che presta la sua assistenza a un delinquente e lo difende correttamente, fa solo il suo dovere di avvocato.

Perché è vero, anche un delinquente ha diritto ad un'ADEGUATA DIFESA. Adeguata, appunto.

Ma, a differenza del medico, l'avvocato PUO' SCEGLIERE I PROPRI CLIENTI.

NESSUNO OBBLIGA un avvocato ad accettare una difesa penale di fiducia.

E se un avvocato SCEGLIE LIBERAMENTE di difendere un mafioso, uno stupratore, un assassino, un pedofilo, SAPENDO CHE COSTUI E' COLPEVOLE, e fa di tutto per METTERLO FUORI DI GALERA, può farlo, ma poi non cerchi la mia stima o la mia amicizia !

Esistono ancora, difatti, Avvocati che decidono anche con la propria coscienza e non solo guardando al portafoglio del cliente !

Le dirò di più: questo fatto è noto ai criminali, i quali, più spesso di quanto non si creda, MENTONO IN PRIMO LUOGO AL LORO AVVOCATO, ben sapendo che costui li difenderà meglio, credendoli innocenti !