giovedì 22 maggio 2008

Caso Delfino: di chi è la colpa?


di Andrea Falcetta
(Avvocato del Foro di Roma)


Domenica 11 maggio pomeriggio su RAI 1 si parla di Giustizia lenta e delle conseguenze a volte assai gravi che ne possono derivare, e ci sono tra gli altri i genitori della povera ragazza uccisa a Sanremo da un fidanzato violento.

Il caso è noto alle cronache: Luca Delfino era stato indagato per l’omicidio della sua precedente fidanzata, e si addebita al pubblico ministero che aveva seguito la relativa inchiesta di non averne richiesto la custodia cautelare, il che avrebbe sicuramente evitato che potesse compiere un secondo omicidio.

La telecamera si sofferma più volte e lungamente sul viso bello e pulito della giovane vittima, e tutto il discorso rimane purtroppo viziato dall’inevitabile commozione per la sorte della povera ragazza.

Vista così, la vicenda sembra di una chiarezza disarmante, e lo stesso Procuratore Aggiunto di Torino dott. Laudi si trova in serio imbarazzo nel fornire delle spiegazioni che possano in qualche modo accontentare l’impaziente e legittima sete di sapere che anima tanto i parenti della vittima quanto la pubblica opinione.

A questo punto devo fare una premessa: due anni fa, pochi giorni prima di ferragosto ero davanti ad un giudice della Sezione Civile del Tribunale di Civitavecchia (una donna e gentilissima che tratta rito del lavoro e che si trovava lì applicata per la feriale) che, con grande senso del dovere ed incurante del caldo e della stanchezza, esaminava la mia richiesta di emanazione di un ordine di protezione nei confronti di un marito violento (che peraltro deteneva armi in casa), da me proposto a tutela di una moglie maltrattata (percosse quotidiane e violenze psicologiche) e delle sue piccole bimbe.

Alla vigilia di ferragosto quel giudice emise l’ordine che fu prontamente notificato dai Carabinieri (estremamente professionali ed efficaci nell'occasione, tanto che inviai una richiesta di encomio al Comando Generale), e la donna e le sue figlie giunsero finalmente alla fine di un incubo.

Eguale richiesta avevo presentato per la stessa cliente, e nello stesso periodo, anche ad un pubblico ministero di Roma, che tuttavia si degnò di convocare la mia assistita soltanto un anno dopo quel ferragosto, e mentre la assumeva a sommarie informazioni la rimproverava (irritualmente) di non avere portato con sé il proprio avvocato.

Se fosse dipeso da quel pubblico ministero la mia cliente e le sue bimbe avrebbero sofferto un altro anno di violenze, così presi carta e penna e le misi nero su bianco che poteva anche dimenticare quel fascicolo, visto che la sua collega di Civitavecchia aveva fatto il proprio dovere con tanto scrupolo e tanta efficienza.

Mi pare ovvio fosse sottinteso che eguale complimento non mi sentivo di rivolgere alla sua persona.

Un avvocato che scrive e sottoscrive doglianze di tanta chiarezza ad un magistrato, certamente non potrà mai essere sospettato di svolgere difese d’ufficio a favore di altri magistrati, né tantomeno di nutrire alcun metus verso chicchessia.

Fatta questa necessaria premessa posso ora dire quel che penso del caso Delfino:

a) credo che sia la pubblica opinione che le vittime e/o i parenti delle vittime di un reato, meriterebbero un’informazione più consapevole ed approfondita, soprattutto in questa delicata materia, ed in tal senso sarebbe necessario che esistessero dei cronisti di giudiziaria non dico esperti ma almeno consapevoli delle regole processuali : al contrario invece, e come noto, spesso costoro dimostrano di non conoscere neanche la differenza tra giudice e pubblico ministero, tra udienza preliminare e dibattimento, tra misure cautelari e misure di prevenzione;

b) ogni volta che la cronaca ci porta alla ribalta casi come quello di Luca Delfino, il tutto finisce sempre ridursi alla strumentale contrapposizione tra coloro che vorrebbero un utilizzo indiscriminato, quasi “illegale” della custodia cautelare (svincolato cioè dai presupposti di legge, primi tra tutti i gravi indizi di colpevolezza), e chi invece continua ad esigere che prima di ricorrere a tale extrema ratio si sia vagliata la sussistenza di tutti i presupposti che la legge processuale impone in tal senso;

c) inoltre, ultimo ma non per ultimo, trasmissioni come quella che ho citato, all’indomani dell’esito elettorale, inducono facilmente al sospetto che ad uno sbaglio se ne stia velocemente sostituendo un altro: fino a ieri i magistrati erano tutti indistintamente degli eroi, da oggi invece sono tutti indistintamente degli incapaci svogliati e chi più ne ha più ne metta.

Il pubblico ministero che ha seguito il caso Delfino mi risulta essere tecnicamente molto preparato, ed in più nelle poche dichiarazioni pubbliche rese dopo il secondo omicidio di Delfino ha dimostrato anche di essere un gran signore, io avrei fatto fuoco e fiamme, al suo posto, contro chi tentasse di addebitarmi la responsabilità non solo morale ma anche giuridica di non avere impedito un crimine così grave.

E quel dibattito televisivo (rectius: processo sommario, peraltro in contumacia) come ogni trasmissione del suo genere si è limitato ad alimentare le emozioni di una piazza divisa tra il “tutti fuori” o il “tutti dentro”, senza capire che le questioni sono più complesse e meriterebbero maggiore approfondimento per poter sperare in una soluzione.

Sarebbe bastato portare la discussione sul contenuto della L. 154 del 2001, istitutiva dei cosiddetti “ordini di protezione”, per assegnare ben altro spessore alla discussione.

Si tratta di una legge che esiste nell’Ordinamento da ben 7 anni, e tuttavia devo riconoscere che ne percepisco un’insufficiente conoscenza anche da parte degli avvocati, sebbene agli stessi difensori delle parti offese, e non solo al pubblico ministero, sia consentito sollecitare l’emanazione di siffatti provvedimenti.

Il contenuto dell’ordine di protezione è lo stesso che vediamo nei film americani, viene ordinato al soggetto che sia indagato per violenze o maltrattamenti di non avvicinarsi alla sua vittima e di non avvicinarsi ai luoghi (ad esempio domicilio e posto di lavoro) abitualmente frequentati da costei, e l’eventuale inosservanza di tale comando configura il reato di dolosa inosservanza dell’ordine del giudice (art. 388 c.p.).

Inoltre la violazione dell’ordine di protezione comporta a mio parere la conseguente applicabilità del comma 3 dell’art. 280 c.p.p. con immediata sospensione delle garanzie previste dal comma 2 del medesimo articolo e la conseguente possibilità di procedere legittimamente all’arresto del trasgressore.

Si poteva in quella sede spiegare alla pubblica opinione che questa legge si riferisce ai soli coniugi e/o conviventi, per poi sollecitarne un miglioramento nel senso di estenderne l’applicabilità ad ogni situazione di violenza fisica o psicologica che sia costante e continuata nel tempo, ed ecco che miracolosamente avremmo dato occasione ai nostri politici di fare qualcosa di realmente utile.

Ecco quindi come avrei concluso la trasmissione se fossi stato io il conduttore.

Avrei detto: «non conosco le carte e dunque non so dire di chi sia la colpa nel caso Delfino, perché non so dire chi avrebbe potuto o dovuto fare cosa per evitare che accadesse, ma una cosa è certa: ora che vi abbiamo spiegato come sia possibile evitare che accada ancora, la colpa del prossimo omicidio sarà certamente di chi vive nel Palazzo senza ascoltare le grida di aiuto ed i consigli (perdonate la presunzione) alle volte preziosi e validi che provengono da noi comuni cittadini, ed avrà pertanto omesso di prendere in considerazione questa nostra richiesta in diretta televisiva avanti a 20 milioni di telespettatori. Grazie a tutti gli ospiti intervenuti. E adesso la pubblicità».


2 commenti:

Anonimo ha detto...

Gentile Avvocato Falcetta,
avrà notato anche Lei l'impegno straordinario, in negativo, dei media per il caso Calabria: inversamente proporzionale all'attenzione avuta da Berlusconi, che in campagna elettorale aveva promesso ai calabresi un ministro nel caso avesse vinto le elezioni, ed invece nel suo recente Governo neanche un semplice sottosegretario di questa Regione!
Mi perdoni se approfitto del suo post per la lettera di oggi!
"Un dì, s'io non andrò sempre fuggendo
di Corte di Assise in Corte di Assise d'appello
e di carcere in carcere, me vedrai seduto
su la tua pietra, o Calabria mia, gemendo
il fior dè tuoi gentil anni caduta.
Alcuni tuoi figli, i paralatici-disadattati-cialtroni,
dopo averti accoltellata al cuore hanno
fatto fortuna col malaffare (dati Eurispes:
44 miliardi di euro l'anno è il fatturato della 'ndrangheta, pari al PIL di
Slovenia e Lettonia messi assieme e quasi il 3% di quello italiano).
Altri figli, i politici, d'Estate si disperano ai bordi
di lussuose Ville, sotto un sole cocente;
d'Inverno, vivono le minacce di Torrenti e Fiumare,
eccitati dalle torrenziali piogge.
I rimanenti figli, poveri ma onesti, sopravvissuti alla
giovine e tenera età,  conducono beata vita
da orfani Tuoi, che ti ostinavi a
imporgli per padre, un Dio Maggiore!
Gentile De Luca,
dopo questo sonetto foscoliano dedicato all'assassinio della Madre Calabria, la mia curiosità è scoprire perché accanirsi tanto sul suo cadavere e, contestualmente capire chi potrà mai trarre vantaggi da un così macabro scempio!!!
Con la solita stima, bartolo iamonte.

Anonimo ha detto...

Caro Avvocato,

Vorrei sottolineare un passo del Suo pregevole intervento: "fino a ieri i magistrati erano tutti indistintamente degli eroi, da oggi invece sono tutti indistintamente degli incapaci svogliati e chi più ne ha più ne metta".

Questo è il "popolo", caro Avvocato !

Intelligenti pauca.

Cordiali saluti.