mercoledì 26 novembre 2008

I nemici esterni della magistratura e quelli interni

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Dando seguito all’articolo del prof. Vittorio Grevi – “Tutti i pregi (e un difetto) del C.S.M.” – in occasione del cinquantenario dell’istituzione, abbiamo riportato a questo link un articolo di Felice Lima per Micromega sulla necessità di NON modificare l’assetto giuridico del C.S.M..

Sulla necessità di difendere l'indipendenza del C.S.M. e, d'altra parte, sui gravi “torti” del C.S.M. medesimo, abbiamo riportato anche, a questo link un’intervista a Felice Lima, tratta dal libro di Antonio Massari “Il caso De Magistris”.

Sugli stessi temi riportiamo qui un capitolo del libro “Toghe rotte”, a cura di Bruno Tinti.




Da "Toghe rotte", a cura di Bruno Tinti, Chiarelettere editore.


Il capitolo più difficile (1)

Questo è il capitolo più difficile.
Perché adesso sappiamo che non funziona niente, che pochissimi processi si fanno davvero, che comunque quelli che si fanno non sono quasi mai quelli che si dovrebbero fare, che nessuno sa davvero cosa si dovrebbe fare per migliorare la situazione e che quelli che dicono di saperlo mentono o sono degli illusi.

Solo che, a questo punto, la domanda diventa: ma come mai? Come mai le cose sono andate così? Di chi è la colpa? Con chi me la devo prendere? Insomma cosa deve cambiare perché l’Italia abbia una giustizia che funzioni?

In due parole, e cominciando dalla fine: deve cambiare tutto. Deve cambiare la cultura etica del nostro Paese. Debbono cambiare quelli che fanno politica e debbono cambiare i giudici italiani.

Naturalmente questa cosa va spiegata bene; perché se no sarebbero, ancora una volta, parole vuote, chiacchiere buttate in faccia ai cittadini che si stanno sempre più abituando (e questa è la vera tragedia) ad avere una giustizia finta, un giudice che c’è, di cui si parla tanto, che sta sempre sui giornali e in televisione ma che, alla resa dei conti, non fa niente. Un po’ come gli spazzini di certe città del Sud: ce ne sono tanti, se ne parla tanto, tutti se la prendono con loro, loro se la prendono con i politici; e intanto la spazzatura resta nelle strade.


A che ci servono i giudici?

Pigliamola da lontano. In qualsiasi Paese, se due persone non vanno d’accordo possono risolvere il loro problema solo in due modi: applicano una legge che dà ragione ad uno e torto a un altro; oppure fanno a botte e vince il più forte.
Non c’è un’alternativa. O c’è una legge e la si rispetta; o la legge che si applica è quella del più forte.

Ora, questa cosa la sappiamo tutti; solo che la capiamo di solito in un modo un po’ restrittivo: il più “forte” è quello più forte muscolarmente o più forte perché è armato. Tendiamo a credere insomma – perché in questo senso c’è una forte e maliziosa pressione dei padroni dell’informazione – che la “forza” sia solo quella delle armi. Così, quando qualcuno dice che la forza ha prevalso, noi pensiamo alla forza della mafia, alla violenza del terrorismo, allo strapotere dell’esercito e roba simile.

Ma la “forza” non è solo quella.

In una società complessa, come sono tutte quelle nelle quali viviamo, la “forza” ha tante facce.

C’è la forza del denaro, naturalmente. Chi ha più soldi si può procurare gli strumenti più adatti, le autorizzazioni necessarie, le opportune garanzie, gli avvocati più preparati.

E c’è anche la forza del ceto sociale cui si appartiene. Un modesto artigiano non ha mai lo stesso “potere” del funzionario dello Stato o dell’avvocato di affari.

E c’è la forza del gruppo religioso di appartenenza, del partito politico in cui si milita personalmente o cui appartiene l’amico o il parente, della loggia massonica, del branco di ragazzi del quale si fa parte, della tifoseria con la quale si va alla partita, dell’associazione culturale o para-culturale etc..

Questa “forza” viene impiegata ogni giorno, in ogni occasione, da un numero sterminato di cittadini. Per convincersene basta pensare ad uno dei problemi che oggi ci angoscia di più: la ricerca di un posto di lavoro.

La maggior parte dei cittadini cerca lavoro per sé o per i propri figli seguendo certi percorsi formali/legali/costituzionali: fa domande, si iscrive all’ufficio di collocamento, fa pubblici concorsi, studia, si prepara, fa esami e spera.

Ma molti, tantissimi, lo cercano in un altro modo: appunto con l’aiuto della “forza”. Il che vuol dire tramite l’aiuto di “poteri forti”, il partito, la loggia, la mafia, il gruppo etc.

Facciamo un esempio che tutti conosciamo bene: un impiego presso la Pubblica Amministrazione, che vuol dire un Comune, un Ospedale, un’Università, un Ministero etc. L’art. 97 della Costituzione prevede che “agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge”. Dunque a questi impieghi ci si dovrebbe arrivare con un percorso legittimo, in cui tutti hanno le stesse possibilità e che permette di scegliere secondo il merito e la professionalità di ognuno. Ma tutti sappiamo che spessissimo non è così; che in moltissimi casi si fa ricorso alla “forza”: così finisce che a un sacco di Pubbliche Amministrazioni si accede mediante un concorso truccato (che, dunque, non è propriamente un concorso); o magari mediante finti contratti di consulenza, decisi arbitrariamente dai responsabili dei più diversi uffici pubblici a favore di questo o quel “cliente”, reso “forte” dall’appartenenza a questo o quel gruppo, loggia, partito etc.. O magari con qualche altro trucco, più o meno evidente ma efficace e impunito appunto per via della “forza” di chi lo ha adottato o di chi ne ha beneficiato. E, naturalmente, chi ha meno “forza” o chi non ne ha affatto e ha scelto o dovuto scegliere il percorso legittimo, la domanda, i titoli, il concorso, gli esami, i colloqui etc., non riesce ad ottenere l’impiego che è andato agli altri, ai “forti” o agli amici dei “forti”.

Allora. I giudici servono a questo: a fare rispettare le regole.

Per la verità questo compito, in un Paese complessivamente sano, nel quale il rispetto del regole sia tendenzialmente diffuso, non è particolarmente gravoso. In Paesi di questo genere il ruolo della magistratura non è molto rilevante; e l’esigenza di averne una con particolari qualità non si pone proprio.

Per capirci meglio, pensiamo alla Svezia: qualche anno fa venne uccisa da un folle una signora che era anche Ministro dell’Interno e che era andata a fare la spesa in un supermercato (perché in certi Paesi molto democratici essere Ministro è una funzione di servizio e non significa avere l’auto blu per andare al supermercato); all’uscita, mentre saliva sulla sua bicicletta che aveva appoggiato all’apposita rastrelliera, questo folle le sparò un colpo di pistola. Il compito dei giudici fu semplice, pur nella drammaticità del caso: ricostruire l’avvenimento, esaminare l’uomo, accertarne la follia, condannarlo alle pene di legge.

Adesso pensiamo al nostro Paese. Sempre qualche anno fa un giudice accertò che un certo “onorevole” mandava i poliziotti della sua scorta a comprargli la cocaina.
Beh, successero subito due cose: si aprì un dibattito per stabilire se l’intercettazione telefonica delle conversazioni del poliziotto che prendeva appuntamento con lo spacciatore per comprare la cocaina destinata all’ “onorevole” potevano essere utilizzate come prova o no. Per capire questa cosa che sembra un po’ stupida, bisogna sapere che, in Italia, le intercettazioni degli onorevoli possono essere disposte solo previa autorizzazione del Parlamento: quindi bisogna preannunciare al Parlamento che si intende intercettare il telefono di questo o di quell’altro deputato o senatore e essere autorizzati a farlo; poi si può cominciare ad intercettare. Naturalmente questo significa che, di fatto, nessun onorevole viene intercettato perché a nessun giudice piace perdere tempo inutilmente. E bisogna anche sapere che se un onorevole viene intercettato per caso, ad esempio perché un trafficante di droga, sottoposto a intercettazione, parla con lui (che non si sapeva nemmeno che era coinvolto nell’affare) e organizza la consegna di una partita di cocaina, questa conversazione non può essere utilizzata come prova senza la consueta autorizzazione del Parlamento.

Dunque, come si diceva, si aprì un dibattito: perché, si sostenne, la conversazione tra il poliziotto e lo spacciatore non poteva essere utilizzata visto che il poliziotto parlava dietro incarico dell’ “onorevole”, e dunque era come se con lo spacciatore ci avesse parlato quest’ultimo. Questa cosa finì in Cassazione dove non si misero subito a ridere; anzi richiesero l’intervento della Corte Costituzionale perché gli sembrò che ci fosse un “buco legislativo” e che gli onorevoli non fossero sufficientemente tutelati. La Corte Costituzionale, per fortuna, spiegò quello che qualunque persona di buon senso aveva capito subito e cioè che le intercettazioni in questione erano un’ottima e utilizzabile prova e così il processo andò avanti.

La seconda cosa che successe fu questa: la notizia arrivò ai giornali; e arrivò anche il testo delle telefonate in questione. E naturalmente i giornali le pubblicarono. E questa fu la fortuna dell’ “onorevole”: perché tutti smisero di parlare del fatto che non era proprio bello che un rappresentante del popolo, membro del Parlamento sovrano, componente attivo di una moderna e rispettabilissima democrazia etc. etc. facesse uso di cocaina e che se ne approvvigionasse utilizzando la scorta che presumibilmente gli era stata concessa per scopi un po’ più istituzionali; e invece si misero a discutere di quanto era stato cattivo, scorretto e delinquente il giudice che aveva dato alla stampa il testo delle intercettazioni telefoniche. Detto per inciso, che fosse stato lui a darlo alla stampa non risultava da nessuna parte.

Insomma il problema non fu più il fatto che questo “onorevole” fosse un drogato che usava la scorta per comprarsi la droga; ma che la cosa fosse stata resa nota ai giornali.

Da questi esempi si capisce allora che nel nostro Paese il giudice ha compiti parecchio più difficili di quelli che toccano al giudice svedese. Perché, se il rispetto delle regole è pochissimo diffuso, il ruolo della magistratura finisce con l’essere per necessità di cose molto rilevante.

E tanto più rilevante diventa perché, naturalmente, chi non rispetta le regole è, in genere, chi ritiene di poterselo permettere; dunque il “forte”, quello che conta sull’impunità e sul successo delle sue prevaricazioni. Ed è quindi fatale che vi sia una contrapposizione feroce tra il giudice e la “forza”.

L’amministrazione della giustizia quindi serve ai deboli. A coloro che non hanno la forza sufficiente a procurarsi da sé ciò a cui hanno diritto; oppure a non vedersi strappato via quello a cui hanno diritto. Per questa gente il ricorso al giudice è l’unico strumento che ha per ottenere ciò che gli spetta.

Naturalmente, anche per loro c’è un’alternativa: rivolgersi a un qualche “potere forte”.

Per questo, per esempio, in Sicilia (ma anche in altri posti; sicuramente nelle famose tre regioni a sovranità dello Stato limitata, ma certo un po’ dappertutto) la mafia e i partiti politici, oltre alle altre cose a cui si dedicano, si occupano anche di “fare favori”, di risolvere i problemi pratici di questo o di quello.

E’ ovvio che, se in un ospedale pubblico ti dicono che quella operazione salvavita non te la possono fare prima di sei mesi, perché purtroppo il primario dell’ospedale è troppo impegnato nella clinica privata dove lavora più o meno legittimamente, o ti rivolgi a un Tribunale o all’assessore o al capomafia. Oppure ti lasci morire in quei sei mesi di attesa.

Quindi la “forza” è in concorrenza con la “giustizia”.

Ma non serve solo a questo la giustizia. Serve anche a far sì che si sia in democrazia. E anche questa cosa non è proprio capita bene da tutti.

Se chiediamo a un campione più o meno nutrito di persone che cosa pensa che sia la democrazia, ci sentiamo inevitabilmente rispondere che la democrazia è la possibilità di scegliere chi ci governa. Naturalmente è una risposta sbagliata, ma non bisogna prendersela troppo perché deriva da una calibrata disinformazione: lo stesso sistema mediatico (TV e giornali ma soprattutto TV) che tende a far credere che l’unica “forza” che opera contro le regole sia quella della mafia e quella del terrorismo si impegna a far credere alla gente che la democrazia sia solo un metodo di scelta dei governanti.

In sostanza saremmo in democrazia se e quando scegliessimo chi governa.

Già detta così, dovremmo concludere che il nostro non è un Paese democratico visto che non siamo mai stati e oggi siamo ancora meno liberi di scegliere chi governa: le liste elettorali vengono fatte non da noi, ma dai partiti (i “poteri forti”); e, con la legge elettorale attuale, gli elettori non possono neppure dare la preferenza a questo o quel candidato, perché i candidati se li decidono le segreterie dei partiti.

Ma il motivo reale per cui, in fondo, non viviamo in un Paese propriamente democratico è un altro.

La democrazia non è solo un metodo di scelta del governante; fondamentalmente, è un metodo di esercizio del potere.

Questa cosa non ce la dicono mai; tutti (tutti i politici) continuano a riempirsi la bocca con il fatto che loro sono i rappresentanti del popolo che deve essere felice perché ha avuto la fortuna di poterli eleggere “liberamente” (mah). Ma il punto è che democrazia non significa solo questo: significa che nel Paese in cui i cittadini sono così fortunati da potersi eleggere i loro rappresentanti, poi tutti sono trattati ugualmente e le leggi si applicano a tutti, anche a coloro che le fanno.

Insomma, nessuno ci dice mai che è più democratico un Paese nel quale un re figlio del re suo padre e padre del futuro re suo figlio governa applicando rigorosamente ed equamente la legge (quindi secondo le regole di separazione dei poteri inventate dopo la rivoluzione francese); e meno democratico un altro Paese nel quale governa una persona scelta con il voto, che però se ne frega della legge, fa i favori ai suoi amici e agli amici dei suoi amici e perseguita i suoi avversari o comunque chi non sta dalla sua parte con la “forza” dei “poteri forti”.

Se ci pensiamo un po’, in Italia, oggi, non c’è tanta democrazia.

Il potere legislativo e quello esecutivo sono nelle mani delle stesse persone (chi governa ha anche il controllo del Parlamento). E questa gente sempre più spesso fa le leggi che servono a lei, non quelle che servono ai cittadini: sono le famose leggi ad personam, pensate per essere applicate in favore o contro determinati gruppi di persone e a volte addirittura a favore o contro singole specifiche persone con nome e cognome.

Ecco perché il giudice, nel nostro paese, si trova nei guai. Perché è (ancora e non del tutto, ma lo vedremo fra un pò) libero dal controllo dei “poteri forti”; e quindi è rimasto l’unico strumento per quelli che non hanno “forza” per far valere i propri diritti


Il conflitto politica-magistratura

Ricostruita così la situazione, il giudice italiano finisce con l’essere un ostacolo per la vita del Paese; almeno per quel tipo di vita che vogliono la politica e il Paese di cui essa è espressione. Insomma, la difesa dell’uguaglianza e della giustizia a favore di tutti e contro tutti quelli che vi attentano non è più socialmente condivisa.

Per farsene convinti ricorriamo ad un altro esempio preso dalla strada (come dicevano i nostri professori di diritto all’Università): il ministro della giustizia Castelli fece sostituire i cartelli che si trovano nelle corti di giustizia penale.

Prima c’era scritto “la legge è uguale per tutti”. Per ordine del ministro Castelli è stato scritto “la giustizia è amministrata nel nome del popolo”.

Sembrerebbe roba da poco, parole in libertà. E comunque anche parole tratte dalla Costituzione, perché l’art. 101 dice proprio così: “la giustizia è amministrata nel nome del popolo”. Ma il trucco c’è anche se non si vede. Perché proprio il ministro Castelli spiegò che questo “popolo” non era il “il popolo italiano” come lo intendeva la Costituzione. Il “popolo” del ministro Castelli era quello che aveva votato per lui (per loro) alle ultime (ora penultime) elezioni. Sicché, secondo lui, il giudice doveva amministrare la giustizia in nome ….della maggioranza degli elettori.

Non è una novità; tanto tempo fa Ponzio Pilato si era convinto che Gesù fosse innocente. Siccome non era proprio un giudice vero, di quelli che applicano la legge, ma era un giudice-politico, cioè uno che amministrava la legge in nome di quelli che contavano, che avevano “forza”, pensò bene di chiedere direttamente ai suoi padroni che cosa doveva fare; dunque che cosa il “popolo” voleva che si facesse. E il resto è noto.

Ecco il problema del nostro Paese; ed ecco le difficoltà che deve affrontare il giudice italiano; ed ecco anche i motivi per i quali, spesso, le affronta male.

Perché si tratta di scegliere tra applicare la legge a tutti e in maniera uguale per tutti; oppure essere sgherro e aguzzino nelle mani della maggioranza di turno. E non è una scelta facile; soprattutto non è una scelta facile in concreto, nel lavoro di tutti i giorni. Tanto più quando gli indagati/imputati/condannati (ma “forti”) si possono permettere di andare ogni sera nelle trasmissioni televisive di maggiore audience a vituperare, denigrare, diffamare i giudici che si sono permessi di trattarli come cittadini uguali a tutti gli altri.


La giustizia schiacciata dalla politica

Certo che, se deve applicare la legge a tutti e in maniera uguale per tutti, il giudice italiano ha poche scelte, anzi non ne ha nessuna: deve essere efficiente e imparziale.

Se è efficiente, può assicurare la effettiva tutela dei diritti lesi.

Se è imparziale può tutelare i diritti dei deboli anche quando sono in contrasto con gli interessi dei “forti”.

Il problema è che il giudice italiano non è efficiente e in molte occasioni non riesce a essere neppure imparziale.

Non è (tutta) colpa sua.

Se si esamina l’attività del Parlamento e quella della maggior parte dei ministri della giustizia succedutisi negli ultimi vent’anni, si scopre una cosa incredibile: non solo non si è fatto sostanzialmente nulla per aumentare l’efficienza dell’amministrazione della giustizia, ma addirittura si è lavorato per diminuirla fortemente.

Molti ministri della giustizia si sono impegnati più a lottare “contro” i giudici e la giustizia che non a favore di essi. Tutte le occasioni di impegno massiccio – a volte a tappe forzate e con sedute notturne – del Parlamento in materia di giustizia hanno in realtà riguardato provvedimenti palesemente “ostili” alla giustizia.
Per non restare nell’ambito del soggettivo (se queste cose le scrive un giudice, cosa vi aspettate che dica?) guardiamo alle ultime leggi in materia di giustizia approvate da questo Parlamento-Governo-Legislatore che è poi sempre costituito dalle stesse persone.

Il c.d. “lodo Maccanico”: assicurava una temporanea impunità al Presidente del Consiglio (nella specie guarda caso imputato in diversi processi); dunque una legge fatta per una sola persona che aveva un trattamento differenziato rispetto agli altri cittadini. La Corte Costituzionale l’ha dichiarata incostituzionale. Adesso questa legge non c’è più. Però, per un anno o giù di lì, il Presidente del Consiglio di allora non è stato processato.

La legge Pecorella: impediva al pubblico ministero di proporre appello contro le sentenze di assoluzione. La Corte Costituzionale l’ha dichiarata incostituzionale.

La legge Cirielli: ha ridotto i termini di prescrizione anche dei processi in corso, così da farne prescrivere alcuni molto importanti che interessavano proprio a quelli che facevano la legge. La Corte Costituzionale l’ha dichiarata parzialmente incostituzionale; e si deve ancora pronunciare su altri aspetti di questa legge.

La legge sul condono: ha assicurato l’impunità a un sacco di gente che non la merita per nulla; in particolare ha fatto in modo che l’ancora “onorevole” Previti, invece di stare a casa sua agli arresti domiciliari è stato subito messo in piena libertà, libero – fra l’altro – di sedersi in quel Parlamento dove sembra che non dovrebbe stare perché definitivamente condannato per un reato che ne prevede l’espulsione.

La legge sulle intercettazioni telefoniche, su cui il Parlamento sta lavorando alacremente per impedirle, dopo che, per mezzo loro, si è scoperta la palude in cui erano coinvolti politici, uomini di affari e alte cariche dello Stato.

Il nuovo ordinamento giudiziario: consente di fatto il controllo della magistratura da parte del potere politico

In questa situazione, fare il giudice efficiente e imparziale è abbastanza duro.
Anche perché paradossalmente (mah), il potere politico interviene sulla giustizia ogni volta che essa risulta in qualche modo efficiente. Appena viene arrestato un corrotto, subito si fa una legge ad hoc che eviti che la prossima volta una cosa del genere possa capitare. E non è un problema di colore politico. La maggior parte delle leggi fatte contro la giustizia sono state fatte di comune accordo da maggioranza e opposizione.

Anche questo è facilmente dimostrabile.

Con il recente condono è successo che il Presidente della Camera dei Deputati, Fausto Bertinotti, ha ritenuto deplorevole che il Ministro Antonio Di Pietro mettesse in evidenza sul suo sito l’elenco dei nomi dei deputati che avevano votato a favore. Quando si dice la coda di paglia …

Qualche anno fa, con i voti di tutti i partiti politici, è stata fatta una piccola riforma delle pene accessorie che sono quelle che si aggiungono alla pena principale, la prigione. Tra queste c’era l’interdizione dai pubblici uffici e l’interdizione dall’esercizio di una professione. Prima, la sospensione condizionale della pena sospendeva solo la pena principale, la galera; in pratica, un sindaco condannato a due anni di carcere per corruzione, con la sospensione condizionale della pena non andava in carcere, ma gli si applicava la pena accessoria della interdizione dai pubblici uffici, così almeno la smetteva di fare il sindaco e avanti un altro. Adesso, la sospensione condizionale della pena sospende anche la pena accessoria; così il sindaco condannato per corruzione non va in carcere e continua tranquillamente a fare il sindaco.

E questa cosa l’hanno votata tutti, senza distinzione di schieramento.
Poi c’è la propaganda, quel Minculpop che, in altri tempi, ha visto all’opera gente come Goebbels o Pavolini e che oggi si chiama “cronaca giudiziaria”.

Viene arrestata o incriminata una persona “potente” o comunque “in vista”: subito dichiarazioni, articoli di stampa, mille servizi televisivi che stigmatizzano la condotta dei magistrati. Ovviamente nessuno ha letto gli atti; o al massimo ha letto quello che gli ha dato l’avvocato del “potente” indagato o arrestato. Però sono tutti d’accordo: c’è un “abuso” della magistratura che è “strapotente” e “politicizzata”, “al servizio della maggioranza” etc.

Viene scarcerato un extracomunitario o un pregiudicato che poi viene riacchiappato per qualche altro reato, piccolo o grosso. Anche qui nessuno sa niente del primo e del secondo processo: però tutti discettano di inconcepibile lassismo dei giudici, di inefficienza della giustizia, etc..

Se un giudice fa cose che “piacciono” al potere, viene lodato e, se fa cose che non “piacciono” al potere, viene insultato e magari anche minacciato. E così è fatale che la maggior parte dei giudici si fa sempre più “prudente” che poi vuol dire meno imparziale. Non sono tutti così, molti, moltissimi tengono duro. Però … quanti? E fino a quando?

E poi, naturalmente, il giudice italiano è poco “efficiente”.

Leggi su come il giudice deve giudicare se ne fanno tante, tutte; e tutte quasi sempre sbagliate.

Ma leggi sui mezzi che il giudice deve avere per giudicare; quelle non se ne fanno, oppure se ne fanno per levargliene.

Così niente leggi su soldi, computers, attrezzature varie. Ma tante su quante volte si deve avvisare un avvocato, quanti giorni debbono passare prima di fare questo o quest’altro, quante volte (da una all’infinito) ci si può opporre ad una sentenza, un ordine di cattura, un sequestro. Tantissime su come si può fare per non finire in galera, per uscirne prima del tempo, per continuare a fare quello che si faceva prima pure se si è arrestati, condannati, condannati un’altra volta.

Tutto questo dà origine a un sistema micidiale per il controllo di legalità, che poi vuol dire il rispetto delle regole da parte di tutti e nei confronti di tutti.

Ancora una volta, non restiamo nel vago.

Guardiamo alla popolazione carceraria. In Italia circa l’80 % dei detenuti sono extracomunitari e tossicodipendenti. Secondo voi, tra tutti reati che si commettono nel nostro Paese, l’80 % è commesso da extracomunitari e drogati?

Magari siete in dubbio sulla risposta. Allora provate in quest’altro modo: secondo voi falsi in bilancio, appalti truccati, corruzioni di pubblici funzionari, violazione delle leggi antiinfortunistiche, turbative del mercato azionario etc.etc. etc. li commettono gli extracomunitari e i drogati? Mi sa di no, vero?

Allora, questo vuol dire che il sistema giudiziario è “tarato” per perseguire tendenzialmente i “deboli”. Siccome è da escludere che il carcere non lo meritino anche persone “forti”, il fatto che nessuno o quasi di loro ci finisca dentro, dimostra che il sistema é inefficiente nei confronti dei reati commessi da costoro.


La giustizia che si schiaccia da sola

E’ inevitabile a questo punto che il giudice italiano si trovi nei guai.

Se l’efficienza e l’imparzialità del giudice non sono considerati dei “valori” dal potere, è ovvio che sui capi degli uffici giudiziari si scarica una pressione – come minimo culturale, ma più spesso materiale, fatta di richieste, lusinghe, minacce – perché gli uffici operino nella direzione gradita al potere.

E, quanto all’efficienza, è di nuovo ovvio che è molto difficile essere efficienti in un contesto nel quale chi ha la responsabilità di procurare i mezzi necessari – il potere politico e, in particolare, il ministero della giustizia – non adempie i suoi obblighi.

E così per prima cosa il giudice è aggredito dalla sfiducia.

I magistrati sono persone come tutte le altre. Circa ottomila impiegati dello Stato. Dai e dai, il degrado complessivo del sistema e la pressione culturale che proviene dall’esterno finisce con il far pensare a molti di loro che tanto vale rassegnarsi al fatto che “non vale più la pena”.

Il carico di lavoro è allucinante, fatto di 10.000 adempimenti formali e privi di senso e di 10 provvedimenti finali che il cittadino aspetta con sempre maggiore irritazione. A lui non si riesce a spiegare che non c’è modo di fare “più in fretta”, che il sistema è congegnato così a bella posta, che comunque si fa tutto il possibile. Il cittadino è incazzato. E così molti giudici, schiacciati da carichi di lavoro sempre più alti e frustrati dalla sostanziale inutilità delle loro fatiche, si rassegnano a “tirare avanti”.

Qualcuno, visto come vanno le cose, segue la strada del successo personale: qualche via di fuga dorata da un mondo di fatica inutile e di delegittimazione e aggressione collettiva. E cerca una collocazione in posti nei quali il rapporto fatica/soddisfazione sia decisamente più vantaggioso.

Di questi posti ce ne sono alcune centinaia presso i ministeri e altre amministrazioni prestigiose.

E poi c’è il Consiglio Superiore della Magistratura, l’Associazione Nazionale Magistrati, i Consigli Giudiziari e le Correnti; di correnti ce ne è 5, al momento, 4 più o meno storiche (Magistratura Indipendente, Unità per la Costituzione, Movimento e Magistratura Democratica), una più recente (Art. 3) e un paio di recentissime, ancora non costituite ufficialmente.

I Consigli Giudiziari e il Consiglio Superiore della Magistratura amministrano la vita dei magistrati. Come ogni impiegato statale, anche i giudici hanno una loro carriera, vengono promossi periodicamente, destinati a questo o a quest’altro ufficio e, soprattutto, designati capi di questo o quest’altro ufficio. In queste occasioni, quando si tratta di stabilire chi diventa Procuratore della Repubblica di Roncofritto o Presidente del Tribunale di Poggio Belsito, il Consiglio Giudiziario (che è un organo su base locale, grosso modo regionale) formula un parere sulla idoneità del giudice a ricoprire quel posto; e il CSM alla fine decide chi sarà ad occuparlo, se Tizio, Caio o Sempronio.

Si capisce quindi che i Consigli Giudiziari e il Consiglio Superiore della Magistratura sono molto importanti per la vita di ogni giudice; ma, soprattutto, sono molto importanti per la “qualità” della giustizia perché è ovvio che non cacciare un giudice pigro o corrotto oppure mandare un giudice incapace e desideroso solo di tranquillità a dirigere un ufficio giudiziario, ha delle ricadute decisive sull’amministrazione della giustizia: il primo farà sentenze ingiuste e il secondo sarà sensibile alle pressioni dei “forti” e comunque non si adopererà per far funzionare il suo ufficio.

Tutti questi organismi, Consigli Giudiziari, CSM, ANM etc sono elettivi: i loro componenti sono giudici eletti dai giudici: è sembrato un buon sistema per assicurare l’indipendenza e l’autonomia della magistratura. I “poteri forti”, si è pensato, non potranno incidere sulla carriera e sulle nomine dei magistrati, loro saranno tranquilli e sicuri e scriveranno sentenze giuste, rapide e perfette.
Di buone intenzioni è lastricato l’inferno.


Le “correnti”

Perché i giudici e i loro organi costituzionali non sono immuni al degrado del Paese in cui vivono. E alla fine, all’interno della magistratura è accaduto qualcosa di molto simile a ciò che è accaduto all’esterno, nei palazzi della politica.

Nei palazzi della politica è diminuita fino a sparire la cultura della partecipazione e della democrazia e i partiti si sono ridotti a centri di gestione del potere e del consenso: scelgono i governanti e sono diventati padroni della politica.

La stessa cosa sta accadendo all’interno della magistratura: il “Governo” della Magistratura è il CSM, i “partiti” sono le cosiddette “Correnti”. Le elezioni sono gestite dalle “Correnti”. Sono le “Correnti” che decidono chi deve andare a far parte dei Consigli Giudiziari e del CSM; sono le “Correnti” che compongono la lista dei giudici che dovranno essere eletti in questi organismi; sono le “Correnti” che fanno propaganda per questo e per quest’altro e che, in pratica, garantiscono che nessuno, ma proprio nessuno (se non un altro aderente ad un’altra corrente) possa fargli concorrenza.

Anche gli organi direttivi delle “Correnti” vengono votati dagli aderenti alla corrente; sempre come accade nei partiti, dove la cosiddetta base elegge il suo segretario, presidente, componente del direttivo etc. E anche nelle “Correnti” come nei partiti, queste elezioni sono spesso un simulacro di elezioni, una conferma formale di quanto deciso da quelli che contano all’interno della corrente.

Per la verità, nelle “Correnti” militano spesso uomini probi e capaci; esattamente come accade nei partiti, anche costoro sono convinti che il loro impegno sia nobile e legittimo perché con esso portano voti alla loro corrente, che così avrà seggi al C.S.M., che così opererà per il bene della magistratura. Accanto a loro ci sono naturalmente anche altri magistrati, più cinici, che pensano poco alle sorti della magistratura ma molto alle loro ambizioni e alla loro carriera.

Tutti comunque hanno una caratteristica: fin dall’inizio, dal loro ingresso in magistratura, “studiano” per diventare, “da grandi”, componenti del CSM, membri del CdC (sarebbe il Consiglio Direttivo Centrale dell’ANM), segretari di questa o quell’altra corrente, componenti del Consiglio Giudiziario. In realtà è attraverso questa sorta di “cursus honorum”, cominciando dal basso, che si può aspirare a raggiungere il vertice.

Insomma si tratta dello stesso triste, squallido, corporativo sistema che ha ucciso la politica del nostro Paese.

Naturalmente tanti anni fa, quando CSM e Correnti sono nati, si trattava di associazioni caratterizzate da profili culturali ed etici. E, del resto, anche i partiti, all’inizio, erano così.

Solo che anche le “Correnti” hanno finito con il diventare utili solo a se stesse.

Proprio come i partiti, forse con un grado di consapevolezza minore e con un’efficacia certamente minore, esse sono diventate autoreferenziali. Questo vuol dire che, i responsabili delle “Correnti”, con l’alibi che servendo la corrente si serve l’autonomia e l’indipendenza della magistratura, si sono ridotti a servire la corrente e basta. Così gli obiettivi delle “Correnti” hanno finito con il prevalere sugli interessi della magistratura; e nessuno o quasi protesta perché, sullo sfondo, aleggia sempre questa immagine, oramai falsa, della “Corrente” come guardiano dei valori costituzionali che tutelano la magistratura, l’autonomia e l’indipendenza.

Questo fatto è drammatico e sta rodendo come un cancro tutta la magistratura.

Cerchiamo di capire come.

Tutti coloro che arrivano al CSM, tutti coloro che arrivano al vertice delle “Correnti”, tutti coloro che possono accedere a questi vertici perché amici o amici di amici, sono destinatari delle speranze e delle richieste dei giudici sparsi nelle varie parti d’Italia: c’è chi vuole lasciare una sede disagiata per una più vicina alla sua famiglia; c’è chi vuole ottenere la direzione di un ufficio, c’è chi vuole partecipare a questo o quel comitato scientifico. Insomma c’è la consueta richiesta dei “deboli” ai “forti”: talvolta diretta a prevalere su qualcuno, talaltra ad evitare che qualcuno prevalga.

Non c’è da meravigliarsi quindi che chi vede soddisfatte le sue aspettative ricambi quanto ricevuto (o anche solo quanto spera di ricevere) con il “consenso”; e che chi fa parte o aspira a far parte del vertice delle correnti e ancora di più del CSM si dia da fare per promettere e ottenere “favori” ai suoi elettori e potenziali elettori.

Si crea così uno schema di comportamento compulsivo, che è sostanzialmente un percorso obbligato: quando il CSM deve nominare il responsabile di un ufficio, quelli della corrente bianca votano per uno iscritto alla loro corrente, quelli della corrente gialla votano per uno iscritto alla loro e così tutti gli altri. E quando una corrente non riesce a raccogliere i voti sufficienti a far passare uno dei suoi, baratta i propri voti con altre correnti, promettendo consensi incrociati.

Praticamente tutti i posti di potere all’interno della magistratura ormai sono lottizzati dalle correnti secondo uno schema più o meno complesso ma che si capisce subito dall’esempio che segue: In questi giorni stiamo battagliando per organizzare le elezioni dei Consigli Giudiziari e poi i nostri rapporti in vista del prossimo C.S.M.. Io sono contento, perché, se passa la linea che sto proponendo, a fare il Presidente del Tribunale di Roncofritto ci mandiamo Michele, che è dei Gialli, così loro ci votano Luigi, che è dei nostri, a Procuratore di Poggiobelsito. Luigi così è accontentato e alle prossime elezioni del C.S.M. noi possiamo candidare Carmelo, dato che Luigi è sistemato. Fatto Carmelo, alle prossime elezioni ancora, mi posso candidare io e, se con la desistenza dei Viola e la lista unica con i Blu, scatta il seggio in più, finalmente, nel 2014, andrò al C.S.M.

Tutto questo, come si è detto, comincia da subito. Anche questa volta lo si può capire con esempi presi dalla strada.

Elezioni del Consiglio Giudiziario, l’organo rappresentativo dei giudici di una certa Regione (si chiama Distretto). Il Consiglio Giudiziario, come si è detto, è importante perché dà i cosiddetti pareri sui giudici che chiedono di essere nominati capi di un ufficio: questo è bravo, questo no, questo è laborioso, questo meno, questo è un grande organizzatore, questo è disordinato etc.

La legge prevede che i componenti del Consiglio Giudiziario vengano scelti con il sistema maggioritario: chi ha più voti vince. Succede quindi che le varie correnti si organizzano e presentano candidati di buon livello, che godono la stima dei colleghi e che promettono di ricevere molti voti. Naturalmente ogni corrente ha i suoi “cavalli di razza” e quindi, siccome tanti giudici non sono iscritti a nessuna corrente e votano per colui che gli pare più in gamba, succede (succedeva) che sia pure tra i candidati proposti dalle correnti (nessuno che si candidi autonomamente ha la minima possibilità di essere eletto) uscivano tre della corrente bianca, due della rossa e nessuna della gialla. E quelli della corrente gialla, per tutte le ragioni spiegate più sopra, non erano contenti per niente.

Allora tutte le correnti insieme hanno pensato un marchingegno diabolico; non previsto dalla legge ma questi fini giuristi hanno pensato bene di giustificasi dicendo che comunque non era vietato. Così la Giunta locale (l’organo composto dai vertici di tutte le correnti) si è riunita e ha deciso che i candidati andavano “scelti” con elezioni primarie; e andavano scelti in una lista “chiusa” (formata da correnti che si erano associate tra loro) comprendente colleghi “selezionati” dalle singole correnti (con quali logiche nessuno lo sapeva).

E ha deciso soprattutto che se uno voleva dividere i suoi voti (si debbono eleggere 7 giudici perché così è composto il Consiglio Giudiziario) tra un collega inserito in una lista di una corrente e un altro collega inserito in altra lista e un altro ancora inserito in un’altra lista, beh questo non si poteva fare e il voto sarebbe stato considerato nullo.

Insomma non si poteva votare il collega l’elettore ritenuto più meritevole; ma soprattutto, votando un collega inserito in una certa lista, si finiva in pratica con il votare questa lista anche se tra i colleghi che erano indicati alcuni riscuotevano la fiducia dell’elettore e altri no.

Siccome la cosa era degna di un’elezione bulgara (sperando di non fare troppo torto alla Bulgaria dei tempi andati) qualcuno ha chiesto come e perché si era congegnata questa bella trovata. E ne è saltata fuori una risposta che dava i brividi peggio della soluzione trovata.

Dunque, hanno detto alcuni rappresentanti di un paio di correnti, qui sta succedendo questo: la corrente bianca non è adeguatamente rappresentata nel Consiglio Giudiziario, non riesce a far eleggere tanti suoi rappresentanti come dovrebbe essendo una corrente forte sul piano nazionale. Così abbiamo fatto un accordo e abbiamo inserito nelle liste pre confezionate che poi voi dovrete votare tanti rappresentanti dei bianchi quanti gliene toccano, tanti rappresentanti degli azzurri quanti gliene toccano etc.

I più scemi tra noi hanno chiesto che ragioni c’erano di rappresentare “adeguatamente” questa o quella corrente, visto che si trattava di gestire la carriera dei colleghi e che, si presumeva, questo sarebbe stato fatto dal Consiglio Giudiziario senza parzialità e scorrettezze. Praticamente senza imbarazzo (non parliamo di vergogna) è stato risposto che siccome così non era avvenuto in alcune occasioni, era adesso necessario che anche i colleghi appartenenti alla corrente bianca fossero adeguatamente tutelati.

Non so se qualcuno non proprio esperto di queste cose capisce subito che cosa significa una risposta del genere; e quindi è bene tradurla: è stato detto, in altre parole, che l’apparato delle correnti è necessario per garantire il corretto esercizio dei compiti del Consiglio Giudiziario (per la verità, si deve presumere a questo punto, di tutti gli organi che compongono l’autogoverno della magistratura); sempre in altre parole, è stato detto che gli appartenenti a una corrente “forte” hanno una corsia privilegiata e che quindi è imperativo, per ogni corrente, diventare il più “forte” possibile per tutelare i propri aderenti. Alla fine è stato detto insomma con chiarezza quello che tutti i giudici non iscritti ad alcuna corrente dicono quotidianamente: che le carriere più importanti e di maggior successo sono sempre quelle degli iscritti alle correnti, e che più una corrente è “forte”, più garantisce i propri aderenti sotto il profilo carrieristico e nel caso di eventuali “incidenti di percorso”.

Ma forse, proprio alla fine, è stato detto qualcosa d’altro, di ancora più grave: è vero, il Consiglio Giudiziario ha operato con logiche clientelari e politiche; non sempre, ma in qualche caso si. E quindi, a quelli che hanno adottato questi sistemi noi dobbiamo contrapporre altri che adoperino, ma con maggiore efficacia, gli stessi sistemi, per garantire quelli che stanno dalla nostra parte, prevaricando, se del caso, quelli che stanno dalla parte avversa.

Siccome questa cosa sembra tanto grave che è impossibile crederla, proviamo con la prova inversa, quella verifica che si faceva a scuola, in matematica: fingiamo che nulla di ciò che è stato così chiaramente detto in occasione di queste elezioni del Consiglio Giudiziario sia mai stato detto. E fingiamo che nulla di quello che dicono tantissimi giudici, soprattutto i giovani, quando si parla di correnti, sia vero. E poi poniamoci una domanda: i giudici possono permettersi questi sospetti? Possono permettersi che si pensi, e si dica, che i loro organi rappresentativi obbediscano a logiche clientelari e addirittura politiche? Certo che no. A tal punto non possono permetterselo che, se per avventura fosse vero, dovrebbero negarlo, dire che nessun magistrato si abbasserebbe a dare valutazioni, pareri, voti per un calcolo correntizio e che si tratta di menzogne di coloro che vogliono minare l’essenza stessa della giurisdizione. E, continuando a negarlo, dovrebbero prendere quelli su cui grava tale sospetto, chiedere loro di farsi da parte e decretare la fine delle correnti perché mai più si possano dire cose del genere; perché mai più si possa dire che non possiamo esercitare il giudizio sugli altri quando non siamo capaci di assicurare imparzialità al giudizio su noi stessi.

Dovrebbero, dovrebbero …

Come mai ancora non è successo?


Una storia esemplare

Lo possiamo capire con un altro esempio:
Immaginiamo che, presso il già noto Tribunale di Poggio Belsito, ci sia un giudice che si occupa di materia civile (lo chiameremo Temistocle Crollalanza) e che a costui vengano affidate le cause relative all’assegnazione di case popolari. Non è solo, fa parte di un Collegio (si chiama così, sono tre giudici che decidono a maggioranza a chi dare ragione e a chi dare torto) di cui fanno parte Aristide Fracanzani ed Ernesto Fatigoni.

Per puro caso Temistocle Crollalanza è amico della nota cooperativa Casa Popolare Amica, dedita al procacciamento di case popolari per i suoi associati; e Aristide Fracanzani è amico dell’altra nota cooperativa Case Popolari per Tutti.

Ernesto Fatigoni non è amico di nessuno ma sa (o ritiene di sapere) che i soci di un’altra cooperativa, Casa Popolare Bella e Pulita, siano brave e oneste persone e che la cooperativa in questione è, appunto, una cooperativa seria.

Supponiamo che Temistocle Crollalanza, quando decide a chi assegnare la casa popolare, si regoli nel modo che segue:

1. prima di tutto intrattiene contatti telefonici con uno di quelli che ha chiesto l’assegnazione dell’alloggio (si tratta naturalmente di un signore che fa parte della Cooperativa Casa Popolare Amica) e ascolta le sue richieste e ragioni. La cosa è assolutamente vietata perché il giudice deve parlare con le parti solo nel corso del giudizio e davanti a tutte loro e ai loro avvocati; ma Temistocle Crollalanza se ne frega.

2. addirittura accetta di partecipare a riunioni con il signore in questione e i suoi consoci e qui racconta il contenuto degli atti del giudizio e gli orientamenti dei colleghi del collegio. Non solo ma elabora strategie per far decidere la causa in maniera conforme ai desideri di questa gente, dando consigli al loro avvocato perché produca quel documento e nasconda quell’altro, sottolinei questo argomento e taccia quell’altro;

3. quando si arriva in camera di consiglio (sarebbe dove i tre esaminano gli atti del processo e decidono a chi assegnare la casa popolare) Temistocle Crollallanza parteggia apertamente per il socio di Casa Popolare Amica e osteggia altrettanto spudoratamente gli altri, associati ad altre cooperative;

4. quando proprio non ce la fa perché il suo amico Aristide Fracanzani non c’è e non riesce a fare maggioranza contro Ernesto Fatigoni accampa qualche scusa e chiede il rinvio della causa, in modo che sia possibile deciderla con il collegio che preferisce;

5. al momento di votare la decisione da prendere, quando bisogna spiegare perché e in base a quali principi di diritto i suoi amici debbono ottenere questa benedetta casa popolare, ne trova sempre di diversi a seconda delle circostanze. A volte, quindi, vota perché prevalga il criterio di anzianità nell’assegnazione della casa (da quanto tempo il suo amico è iscritto nelle liste di chi ha fatto domanda per avere una casa popolare), altre volte perché prevalga quello di anzianità in età dell’assegnatario (visto che il suo amico è il più vecchio di tutti), altre volte quello relativo al numero di figli dell’assegnatario (il suo amico ne ha ben 5), altre volte ancora quello relativo al tipo di lavoro svolto dall’assegnatario (il suo amico ne fa uno che gli da diritto a un punteggio aggiuntivo). Insomma un panorama di incrollabili principi di legge che, a seconda delle circostanze, crollano facilmente e vengono sostituti da un altro, altrettanto incrollabile fino alla prossima occasione.

Nello stesso modo si comporta Aristide Fracanzani.

Grazie al modo di comportarsi di Temistocle Crollalanza e di Aristide Fracanzani, il terzo componente del collegio Ernesto Fatigoni viene messo regolarmente in minoranza; e così a Poggio Belsito succede sistematicamente che le cause relative a case popolari vengono vinte sempre e solo dai soci della cooperativa Casa Popolare Amica o da quelli della cooperativa Case Popolari Per Tutti.

Ora, quando il Consiglio Giudiziario deve dare pareri sul conto di questo o quell’altro giudice in vista della sua nomina a Procuratore della Repubblica di Roncofritto o di Presidente del Tribunale di Montegioioso di Sotto; e quando il CSM deve decidere chi nominare in queste due città, succede proprio quello che si è raccontato sopra. I candidati contattano i loro santi protettori che tali sono perché appartenenti alla sua stessa corrente oppure appartenenti ad una corrente di cui fa parte un suo amico molto influente; i santi protettori avvicinano i componenti del Consiglio Giudiziario o del CSM (quando non ne fanno parte direttamente); le lodi di questo o di quel candidato si sprecano, i suoi meriti vengono esibiti, i suoi demeriti nascosti; ogni santo protettore e quindi ogni corrente sostiene il suo candidato e motiva il suo sostegno con quanto è più funzionale allo scopo: certe volte si tratta di una persona che ha ricoperto già il ruolo di Procuratore della Repubblica o di Presidente del Tribunale in un’altra città e quindi è persona espertissima; altre volte non ha mai ricoperto queste cariche ma è proprio quello che ci vuole per via dell’opportunità che tutti svolgano tutte le funzioni, dimostrando così di essere magistrati “completi”; altre volte si tratta del candidato più anziano e altre volte ancora di uno meno anziano ma molto più bravo; insomma tutto va bene pur di far prevalere il proprio amico o l’amico dei propri amici.

La domanda che sorge spontanea è: ma perché quello che fanno Temistocle Crollalanza e Aristide Fracanzani nell’esercizio delle loro funzioni di giudice costituisce un illecito disciplinare e magari anche un illecito penale (cosa di cui nessuno dubita ed anzi, se li pescano, il CSM li fa a fettine); e invece queste stesse cose, quando vengono fatte dai giudici che fanno parte dei Consigli Giudiziari e del CSM, vanno benissimo????!!!! Forse che l’assegnazione di un posto di Presidente del Tribunale di Montegioioso di Sotto non è una decisione da prendere con le stesse garanzie di imparzialità, autonomia e indipendenza che debbono essere adottate quando si decidono i processi e si scrivono le sentenze? Gli organi responsabili delle nomine dei capi degli uffici non sono forse organi di rilevanza costituzionale non meno importante del Tribunale civile di Poggiobelsito?

Com’è possibile, allora, che venga ritenuto legittimo che chi aspira a una carica nella magistratura possa caldeggiare - personalmente e tramite gruppi associati di amici - l’esito delle relative pratiche e i responsabili delle stesse possano apertamente condizionarne l’esito nel senso auspicato dagli interessati e dai loro amici?

Non è possibile, è ovvio. Però succede.

Così, anche in questo caso, proviamo a verificare l’esattezza delle conclusioni (per la verità la giustificazione delle sconfortate domande di cui sopra) con la cosiddetta prova inversa.

Mettiamoci nei panni di Ernesto Fatigoni (vi ricordate, il giudice onesto, quello che ritiene che la cooperativa Casa Popolare Bella e Pulita sia una cooperativa seria e i suoi soci gente onesta e per bene). E immaginiamo che questo povero giudice, una sera a cena, parlando con altri giudici suoi amici, racconti quello che gli capita ogni giorno nel collegio di cui fanno parte gli altri due, Temistocle Crollalanza e Aristide Fracanzani.

E immaginiamo che, chiedendo consiglio, proponga tre alternative:

1. accettare la situazione e rassegnarsi al fatto di essere messo sempre in minoranza; continuare a partecipare a quelle camere di consiglio farsa, continuare a subire il disagio di vedere i soci di Casa Popolare Amica e Case Popolari Per Tutti vantarsi in pubblico di avere in pugno il Tribunale (di cui lui fa parte) e accettare il fatto che non si può pretendere di cambiare il mondo da solo;

2. lamentarsi con Temistocle Crollalanza e Aristide Fracanzani e minacciarli di denunce. Che però non farà se loro accettano un accordo: ogni sei cause, una la si decide come dice lui. Così potrà consolarsi al pensiero che almeno una causa ogni sei si deciderà onestamente (magari finalmente a favore di Casa Popolare Bella e Pulita i cui soci - vi assicuro - sono tanto brave persone e, quindi, il fatto di aiutarli non va ritenuto un abuso, ma anzi un’opera di vera giustizia. Tanto più che, senza di lui, questi una casa popolare non l’avrebbero mai);

3. indignarsi, correre a denunciare Temistocle Crollalanza e Aristide Fracanzani in tutte le sedi possibili e impossibili e rifiutarsi di partecipare ad altri processi in cui i due facciano i giudici.

Che si dovrebbe fare?

La soluzione n. 1 è proprio da vigliacchi; ed è anche a causa di questi atteggiamenti che la giustizia va come va.

La soluzione n. 2 è quella comunemente praticata: mi indigno, rimprovero e minaccio.

Però, se mi ritaglio uno spazio (a fin di bene si capisce), tollero e cerco di sopravvivere: non posso cambiare il mondo ma posso ottenere qualche limitato successo.

Resta la soluzione n. 3. Al momento non ha ottenuto grande successo. Però non si sa mai.

Per chi ha letto qualche fumetto in vita sua e in particolare quelli mitici di Hugo Pratt, qualche consolazione può venire da lì.

Dunque, c’è Corto Maltese che si è andato a cercare una grana come al solito; ed è finito in compagnia di un rivoluzionario dancalo, che è un omino piccolo ed esile, vestito con un gonnellino e armato con un vecchio fucile Enfield; ha anche una capigliatura afro e una faccia fiera.

Insomma i due finiscono asserragliati su una terrazzina che è in cima ad un minareto, sapete quei balconcini rotondi dove un tempo i muezzin si recavano per recitare ad alta voce le loro preghiere, e ora ci sono gli altoparlanti; sotto una folla di soldati dervisci superarmati con mitragliatrici e fucili moderni che è fermamente intenzionata ad ammazzarli.

Corto ha un sigarillo in bocca e mormora rivolgendosi a nessuno in particolare: “Mmmhhh, la cosa si mette male. Certo che morire per niente…”. E allora il compagno gli risponde: “No Corto, non per niente; la rivoluzione può cominciare anche su un minareto”.



__________


(1) In questo capitolo si parla di cattivi politici e pessimi magistrati; e si parla solo di loro. Ed è ovvio che sia così perché si parla di cose che non funzionano; e se ne parla nella speranza che, in qualche modo, si trovi uno spunto per farle funzionare. Dunque il lettore non deve pensare che tutti i politici e tutti i magistrati siano come quelli di cui si parla nel libro. Naturalmente non è così: ci sono brave e oneste persone (e anche capaci) sia tra i politici sia tra i magistrati. Il problema è che, a giudicare dai risultati, queste persone non servono a niente; o comunque servono a poco. Sarà perché, come si studia all’università quando si prepara l’esame di economia politica, la moneta cattiva scaccia la buona? In altri termini, sarà perché, all’inizio del film, i cattivi prevalgono sempre? Se fosse così possiamo essere fiduciosi: in fondo, alla fine, sempre arrivano i nostri ….




9 commenti:

Anonimo ha detto...

Può anche darsi che i "cattivi" magistrati siano stati reclutati nel modo che segue, tipico di OGNI concorso pubblico italiano, nessuno escluso:


Da www.corriere.it: concorso per magistrati col trucco. La confessione: «Ho copiato il tema»

MILANO - «Forse non dovrei raccontarlo... ma vi dico la verità, invece di denunciare la palese violazione di ogni regola concorsuale che si verificava proprio accanto a me... ho chiesto al mio vicino di poter consultare anch’io il suo codice annotato... e quel poco che ho trovato mi ha tirato fuori dai guai e mi ha consentito di svolgere un buon elaborato di amministrativo».Questa confessione è apparsa su internet nel forum www.sarannomagistrati.it e sul forum degli aspiranti uditori. È il racconto di uno dei 5.600 aspiranti magistrati che ha preso parte alla prova scritta, la scorsa settimana alla Fiera Rho di Milano, al concorso per 500 posti da uditore. Avevamo denunciato il caos che si era registrato durante la prova anche con un video. Alcuni ragazzi avevano sopra i banchi anche i vietatissimi codici «commentati» con tanto di timbro del ministero della Giustizia che ne autorizza l'utilizzo.

LA CONFESSIONE - Adesso spunta anche un reo-confesso (che la magistratura dovrà verificare verificare). «Durante la prova un po’ per la delusione e la rabbia accumulate nelle ore precedenti, un po’ per il sospetto che anche da altre parti della Fiera fossero saltate tutte le regole del gioco e che anche altri potessero fruire indisturbati di materiale vietato, un po’ per la sensazione che comunque le prove scritte del concorso sarebbero poi state annullate, ho chiesto al mio vicino di poter consultare anch’io il suo codice annotato, regolarmente timbrato, e il mio vicino, con la massima nonchalance... me lo ha passato per due volte. E la stessa cortesia ha fatto alla ragazza che mi stava davanti».

SUL WEB - Sui forum dedicati alla magistratura si è levato lo sdegno dei concorrenti: «Un ragazzo racconta come ha elaborato la traccia di amministrativo: grazie ad un codice di Caringella che gli hanno prestato!!! Capito come si diventa magistrati?».

MD CHIEDE FASCICOLO A CSM - Ma la protesta sconfina dal web. Per prima hanno protestato i consiglieri togati del Movimento per la giustizia. Ora anche quelli di Magistratura Democratica chiedono l'apertura di una pratica del Csm sulle innumerevoli irregolarità. E questo perché siano assunte «iniziative in difesa del prestigio e della credibilità della magistratura». «Apprendiamo da notizie di stampa che il primo giorno di prove scritte del concorso in magistratura sarebbe stato caratterizzato da innumerevoli irregolarità relativamente al materiale che i candidati avevano comunque potuto avere a loro disposizione e accompagnato da numerose proteste», scrivono Livio Pepino, Fiorella Pilato, Ezia Maccora ed Elisabetta Cesqui al Comitato di presidenza di Palazzo dei Marescialli. Di qui la richiesta di apertura di un fascicolo da parte della Nona Commissione di Palazzo dei Marescialli: obiettivo dell'indagine è «avere cognizione oggettiva dello svolgimento delle prove concorsuali e assumere le opportune iniziative in difesa del prestigio e credibilità della magistratura la cui prima garanzia è riposta nell'assoluta affidabilità della procedura di selezione».

Anonimo ha detto...

"Facciamo un esempio che tutti conosciamo bene: un impiego presso la Pubblica Amministrazione, che vuol dire un Comune, un Ospedale, un’Università, un Ministero etc. L’art. 97 della Costituzione prevede che “agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge”. Dunque a questi impieghi ci si dovrebbe arrivare con un percorso legittimo, in cui tutti hanno le stesse possibilità e che permette di scegliere secondo il merito e la professionalità di ognuno. Ma tutti sappiamo che spessissimo non è così; che in moltissimi casi si fa ricorso alla “forza”: così finisce che a un sacco di Pubbliche Amministrazioni si accede mediante un concorso truccato (che, dunque, non è propriamente un concorso); o magari mediante finti contratti di consulenza, decisi arbitrariamente dai responsabili dei più diversi uffici pubblici a favore di questo o quel “cliente”, reso “forte” dall’appartenenza a questo o quel gruppo, loggia, partito etc.. O magari con qualche altro trucco, più o meno evidente ma efficace e impunito appunto per via della “forza” di chi lo ha adottato o di chi ne ha beneficiato. E, naturalmente, chi ha meno “forza” o chi non ne ha affatto e ha scelto o dovuto scegliere il percorso legittimo, la domanda, i titoli, il concorso, gli esami, i colloqui etc., non riesce ad ottenere l’impiego che è andato agli altri, ai “forti” o agli amici dei “forti”.

Allora. I giudici servono a questo: a fare rispettare le regole".

Così afferma Felice Lima. Come non essere d'accordo ?

Sarebbe però il caso di ricordare ancora una volta che ANCHE I GIUDICI sono "pubblici impiegati reclutati per concorso" !

A riguardo, cito un'interrogazione di Rita Bernardini, del PD:

"Giustizia: denunciate irregolarità al concorso per aspiranti magistrati.
Interrogazione di Rita Bernardini

Roma, 24 novembre 2008

• Dichiarazione di Rita Bernardini, deputata radicale-PD, membro della Commissione Giustizia

Questa mattina ho depositato una interrogazione a risposta scritta, rivolta al Ministro della Giustizia, a proposito delle gravissime irregolarità denunciate da molti aspiranti magistrati in occasione del concorso da uditore giudiziario che si sta svolgendo in questi giorni a Milano.

Mi auguro, ovviamente, per il rispetto che ho per le istituzioni, che tali notizie siano destituite di fondamento. Rimango tuttavia sconcertata dall'atteggiamento della commissione esaminatrice la quale, a fronte delle predette irregolarità e nonostante la richiesta di sospensione dell'esame proveniente da moltissimi candidati, ha deciso comunque di dar corso alla prova scritta.

Quanto accaduto, peraltro, NON E' UN FATTO ISOLATO e rappresenta LA CONFERMA DI QUANTO DENUNCIATO DA GIAN ANTONIO STELLA sul Corriere della Sera in ordine agli abusi perpetrati da un membro di commissione al concorso per uditori giudiziari svoltosi nel 2002.

Auspicando che il Ministro della Giustizia voglia fare la dovuta chiarezza sull'intera vicenda, mi chiedo perché mai l'ANM, che in questi giorni si è segnalata per aver rivolto un bizzarro appello all'ONU contro i pericoli di deriva autoritaria rappresentati, a suo dire, dalle riforme messe in cantiere dall'attuale esecutivo in materia di giustizia, non abbia speso una parola su quanto accaduto. Sono sempre più convinta che sia giunto il momento di RIPENSARE TOTALMENTE IL SISTEMA DI ACCESSO ALLA MAGISTRATURA privilegiando una selezione, SUL MODELLO ANGLOSASSONE, tra quanti, sul campo, abbiano svolto per anni la professione, DISINCENTIVANDO COSI' PRATICHE CLIENTELARI E NEPOTISTICHE".

Anonimo ha detto...

Per Anonimo dell'1.16.

Gentile Anonimo,

mi potrebbe fare una cortesia?

Me lo può spiegare - perchè io da solo non riesco proprio a capirlo - perchè, se si facesse quello che propone sconclusionatamente Rita Bernardini, seguendo l'abitudine italica per la quale i politici sanno solo blaterare, e si abolisse il concorso e i magistrati venissero "selezionati, sul modello anglosassone, tra quanti, sul campo, abbiano svolto per anni la professione" questo "disincentiverebbe pratiche clientelari e nepotistiche"?

Secondo i miei pochi neuroni, la "selezione" della quale ciancia la Bernardini potrebbe consistere solo in due cose: o un "concorso" o una "scelta".

Il "concorso" è quello che abbiamo già e si tratterebbe di farlo funzionare, come ha funzionato fino ad alcuni anni fa, prima che si decidesse scientificamente di affossare la magistratura.

La "scelta", sarebbe quella proposta dalla Bernardini e da Lei.

Ora, veramente - e mi scusi per la mia pochezza - io non riesco a capire come in Italia si possa auspicare che i magistrati vengano "scelti" da qualcuno e contemporaneamente sostenere che questa "scelta" non sarebbe "clientelare e nepotistica" in un paese nel quale TUTTE le "scelte" sono clientelari e nepotistiche: dai primari ospedalieri ai profesosri universitari, dai ministri (presi dai calendari porno) ai membri della Vigilanza Rai, dai portaborse agli operatori sociosanitari.

Abbiamo dei seri problemi.

Essi meriterebbero serie proposte di soluzione e ancor di più serio impegno.

Le chiacchiere del politicante di turno non migliorano la situazione, ma la peggiorano.

Mi permetta di aggiungere un'ultima cosa.

Il Suo intervento rievoca - non posso sapere (essendo Lei anonimo) se consapevolmente o no - una rivendicazione costantemente fatta da chi non vince il concorso di magistratura, ma svolgendo una qualche attività nell'ambito dell'amministrazione giudiziaria (per esempio, fra i tanti, quella di giudice onorario), vorrebbe un inserimento "privilegiato", senza concorso, con "selezione" fra "quelli che lo fanno da tanto tempo".

Ho già scritto altrove su questo blog che davvero è impensabile che nella tragedia della giustizia si passi anche attraverso una "stabilizzazione" di precari.

E' davvero l'ultima follia.

Felice Lima

Anonimo ha detto...

Ancora per Anonimo dell'1.16.

Gentile Anonimo,

dimenticavo di aggiungere quanto segue.

Il paragone con il sistema anglosassone è letteralmente improponibile per molte ragioni e lo possono fare solo politicanti da strapazzo.

Fra le mille cose da dire sul punto, bastino le seguenti due.

1. L'Inghilterra è un Paese con moltissimi difetti, ma, a proposito di dignità della politica, un Ministro si è dimesso perchè si è scoperto che non aveva pagato i contributi alla colf. In Italia i politici non si dimettono neppure dopo essere stati trovati a farsi di cocaina con due prostitute in un albergo o dopo che sono stati condannati in primo grado a nove anni e mezzo per mafia.

2) In Inghilterra i giudici vengono scelti fra gli avvocati più prestigiosi. Per intenderci, fra avvocati da un milione e più di euro l'anno di redditi. E sempre i giudici vengono pagati cifre da fare paura (come anche gli avvocati, peraltro).

In Italia nessun avvocato un minimo affermato andrebbe mai a fare il giudice, perchè non gli converrebbe.

Dunque, se in Italia prendessimo i magistrati fra gli avvocati, li prenderemmo fra gli avvocati falliti.

Scusi la brutalità, ma questo è il fatto.

Conosco molti avvocati affermati e nessuno di loro mai, neppure per scherzo, lascerebbe uno studio avviato, che rende molti soldi e consente di scegliersi i clienti e di fare il lavoro nel modo ritenuto più adeguato, per andare a fare l'impiegato seppellito da montagne di carte inutili.

Per favore, stiamo già messi malissimo.

I discorsi da bar di politici incompetenti, che parlano solo per restare a prendere uno stipendio in Parlamento invece di cercarsi un lavoro, non aiutano per niente.

Felice Lima

Anonimo ha detto...

Caro Dottor Lima,

Voglia credermi se Le dico che non rientro, assolutamente, nella tipologia di soggetti che ha ora elencato.

E voglia parimenti credermi se dico che la proposta della Bernardini è, invero, inattuabile in Italia, proprio per i motivi che ha detto Lei, e che già conoscevo.

Il vero motivo per il quale ho comunque pubblicato l'intervento è che finalmente qualcuno ha avuto il coraggio di denunciare quello che tutti sapevano e che però nessuno - soltanto per paura - osava dire: che il concorso in Magistratura è sì difficile ma che però lo stesso NON FA ECCEZIONE rispetto alla "regola" dei concorsi pubblici italiani !

Pertanto, ammetto di non essere in grado di suggerire una soluzione definitiva, ma sicuramente qualche correttivo fondato sul merito, anche pregresso, e non su quello che discende dal superamento, "una tantum" e in gioventù, di un esame teorico - e non sempre limpido - andrebbe in ogni caso apportato, oltre alle recenti modifiche e novelle.

Cordiali saluti.

Anonimo ha detto...

Per Anonimo delle 13.21.

Gentile Anonimo,

se Lei chiederà informazioni a chiunque - vincente o perdente - abbia partecipato a un concorso per la magistratura fino a qualche anno fa (non a caso dal 1998 il Direttore del competente ufficio del Ministero NON è più un magistrato), questi potrà dirLe che non è vero che il concorso per la magistratura sia un concorso "italiano" come tutti gli altri.

Fino a pochi anni fa il nostro concorso era uno dei pochi concorsi veramente seri di questo Paese. E tuttora rimane fra i più seri.

Se può valere la mia personale testimonianza, per esempio, sia io che mia moglie abbiamo vinto quel concorso senza essere raccomandati e non sono molti in Italia i concorsi nei quali si viene selezionati, come è accaduto a noi, solo sulla base delle prove che hai fatto.

Non a caso sono anni che la politica tenta in ogni modo di "mettere le mani sul concorso" e i fatti di questi giorni dimostrano che finalmente (sic!) ci sta riuscendo, con il solito metodo di questi anni di Veltronismo e Berlusconismo dilaganti: sospensione dei concorsi, così che poi se ne deve fare uno da 500 posti che attira migliaia di persone; tagli dei fondi per la gestione materiale del concorso; personale non qualificato e non motivato incaricato dei controlli.

Dopo di che, ovviamente, ognuno è libero di pensare ciò che vuole.

Infine, La ringrazio per avere condiviso l'inattuabilità della proposta Bernardini, perchè questo dovrebbe far sì che Lei sia d'accordo con me anche su un altro fatto, che ho già esposto: questo Paese ha un disperato bisogno di soluzioni possibili e non di "sparate propagandistiche".

Le "sparate propagandistiche", per di più, non sono innocue, ma dannossissime, perchè "il sistema" finora è sempre riusctio a NON fare MAI le riforme che servivano, comprendosi dietro quelle che non servivano o, peggio, erano proprio dannose.

Ora staremo per qualche mese appresso alle "sparate" alla Bernardini e poi verrà riproposto il sistema del "corso/concorso" tanto caro ai politici e diventeranno magistrati coloro che saranno disponibili a leccare il politico di turno al Ministero.

Un caro saluto.

Felice Lima

Anonimo ha detto...

Caro Dottor Lima,

Nel condividere ancora una volta la sostanza di quanto ha espresso, vorrei però parlarLe di un Collega, che rimarrà per sempre anonimo, il quale mi ha confidato la scorsa domenica la sua profonda delusione, dopo vent'anni in magistratura, arrivata al punto da desiderare la pensione non appena sarà possibile.

In breve, parlavamo proprio dell'episodio dei pretesi brogli al concorso ed eravamo entrambi dell'opinione che lo stesso non fosse più quello di un tempo, e che fosse ormai soltanto uno dei tanti ... concorsi pubblici dello Stato. Egli suggeriva proprio quello che ho scritto altrove, vale a dire la necessità di un reclutamento da effettuare non esclusivamente in base al superamento di una prova scritta e orale, eminentemente teorica.

Difatti, tanta è la differenza, e Lei lo sa bene, tra la vera, concreta, attività del giudice e il tipo, astratto e mnemonico, di prove concorsuali, che tanto varrebbe far dipendere l'esito da una prova di matematica !

Con la differenza che una prova di matematica premia davvero l'intelligenza, laddove una prova così com'è adesso quella del concorso premia soltanto ... la "secchioneria".

Si era d'accordo anche sul fatto che la pregressa esperienza professionale non potesse non esser valutata (e in questo senso si è mossa la recente riforma), come pure i titoli e, in generale, l'esperienza acquisita.

Soprattutto, si era d'accordo sul fatto che le periodiche valutazioni degli ispettori non potessero limitarsi ad un preannunciato controllo formale, dando luogo al noto "allarme":
"attenzione, arrivano gli ispettori" !

Forse non Le ho detto che per molti anni ho interrogato i candidati di diritto amministrativo all'Università. I voti che davo si discostavano dalla "media". In effetti, tendevo a premiare, più che la conoscenza mnemonica del testo normativo, la capacità del candidato di ben argomentare, in termini giuridicamente corretti.

Si ottenevano in tal modo dei risultati sorprendenti: vi erano candidati che, pur non ricordando a memoria alcuni articoli della legge "X", tuttavia sapevano affrontare una fattispecie concreta e dare una risposta ben argomentata, meritando il massimo dei voti e magari prendendo il primo "trenta" proprio al mio esame, laddove vi erano candidati che, seppure con una "sfilza" di "trenta" sul libretto, di fronte ad un esempio concreto dimostravano di non esser assolutamente in grado di affrontarlo e, anzi, protestavano pronunciando la frase rituale: "ma non c'è sul libro ...", cui replicavo: questo non è un "test di memoria", ma un esame universitario, e Lei deve essere in grado non tanto di ripetere "a pappagallo" quello che ha letto, quanto di saperlo usare!

Questo soltanto per dire che il modo con il quale ora si reclutano i magistrati non convince, anche se tutto fosse andato perfettamente secondo le regole.

Tornando a noi, Lei sa che mi trova d'accordo in molte delle Sue opinioni, ma questa è una divergenza che La prego di tollerare: a mio avviso è, in questo specifico caso, troppo ottimista.

E c'è anche una certa qual stranezza nel ritenere che vada tutto a ramengo, in quest'Italia, ma che il concorso in Magistratura sia l'UNICO concorso fatto come si deve !

Ad ogni modo, sappia che credo alla Sua buona fede e che rispetto le Sue opinioni, se non altro, ma non solo, per il modo garbato, ancorché incisivo, con il quale le espone.

Cordiali saluti.

Il Suo affezionato "anonimo" (ma non troppo ...).

Anonimo ha detto...

L’andamento del concorso, evidenzia un problema che non è di carattere tecnico, ma di carattere politico-morale.
La Bernardini cade e fa cadere in un errore grossolano perché vuole dire in sostanza: i concorsi in Italia sono tutti truccati e fanno avanzare solo i raccomandati. Ergo, il sistema di reclutamento tramite concorso non va bene perché incentiva il clientelismo. Ma questo è falso.
Non è la modalità di reclutamento (dei magistrati e non solo) tramite concorso che incentiva pratiche clientelari e nepotistiche. Sono le pratiche clientelari e nepotistiche ad entrare nelle dinamiche concorsuali e ad interferire con il corretto andamento del concorso, col risultato che questo si svolge senza rispettare le regole.
Quindi la soluzione non è tecnica (cercare di migliorare il sistema di reclutamento), la soluzione è, come ha detto il prof. Schlesinger in una delle ultime puntate di Annozero, puntare sul cambiamento della società.
Ogni volta i politici fanno la stessa cosa. C’è un problema? Loro propongono una soluzione che assolutamente non incide sulle cause, è pura propaganda o, peggio, è un modo per raggiungere i propri fini strumentalizzando problemi realmente esistenti.

Anonimo ha detto...

Saggia riflessione, quella di Annalisa.

Ma bisogna lavorare con il materiale che abbiamo, e se la natura non ce ne fornisce di migliori, bisogna arrangiarsi, senza aver la pretesa di cambiare subito, di colpo, un malcostume endemico che si trascina dall'unità d'Italia sino ad oggi.

Pertanto, se è vero che la causa primissima di questi episodi è l'immoralità e la mancanza di senso di rispetto delle leggi (in quest'ultimo senso siamo molto simili ai paesi extraeuropei), è parimenti vero che non si può attendere una subitanea e miracolistica "moralizzazione" del popolo italiano, ma bisogna pur intervenire concretamente subito, quantomeno per cercare di limitare i danni.