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sabato 18 luglio 2009

E giustizia per tutti

del Prof. Giuseppe Panissidi
UNICAL

da ilmessaggero.it

Gran bel pezzo di cinema, di fresca attualità, con uno strepitoso Al Pacino magistralmente diretto da Norman Jewison. Una tenace, sofferta ricerca della Giustizia Uguale. Per tutti. Con risultati simbolici, oltre che filmici, sicuramente non trascurabili.

E tuttavia risibili, se confrontati con gli esiti (a dir poco) sorprendenti conseguiti nei giorni scorsi dal vertice della nostra giurisdizione ordinaria, la Corte Suprema di Cassazione. Le cui sezioni unite civili, con sentenza n.15976, hanno pronunciato nel merito dei ricorsi a suo tempo proposti dai magistrati di Salerno e Catanzaro, avverso i provvedimenti cautelari irrogati dal CSM nell’ambito della cosiddetta “guerra delle procure”. Una connotazione mediatica non-neutra, alla stregua della rappresentazione che il Consiglio Superiore della Magistratura ha ufficialmente inscenato per quegli eventi, oggettivamente dirompenti, anzi drammatici.

Invero, istituzioni ed opinione pubblica conoscevano, con congruo anticipo, le conclusioni di questa vicenda, grazie alle puntuali esternazioni del presidente dell’ANM in corso di procedura. Insomma, tutto era stato previsto, con mirabile esattezza. O, come si suol dire: scritto. Lode a sì potenti virtù divinatorie. Nel paese di Balsamo-Cagliostro, che balsamo!



Vorremmo provare a riassumere concisamente i termini essenziali della (poco) intricata vicenda.
La Procura della Repubblica di Salerno conduce, nei confronti di alcuni magistrati di Catanzaro, un procedimento scaturito da una serie di informative di reato da questi ultime inoltrate nei confronti dell’ex pm di Catanzaro De Magistris. Accertata la sua estraneità ad ogni e qualsiasi responsabilità, quell’ufficio s’imbatte in gravi ipotesi di reato in capo ai predetti magistrati calabresi. Come, ad esempio, una presunzione di illeciti a favore dell’ex ministro Mastella:la mancanza di alcuni atti nella trasmissione al GIP della domanda di archiviazione della sua posizione. Un fatto d’inaudita gravità, se provato. Ai fini delle doverose (?) investigazioni, bisogna – è di tutta evidenza anche per i non addetti - disporre di quegli atti. Che, infatti, vengono ripetutamente richiesti a Catanzaro, non senza informare il CSM, che tace. Ma questi documenti - indispensabili per “le determinazioni inerenti all’esercizio dell’azione penale” (art.326 cpp), obbligatoria in forza della Costituzione, art.112 – non arrivano. Ora, è patente che, in ipotesi di omissione, abuso o falsità per occultamento, in testa all’AG di Catanzaro, all’ufficio del pm di Salerno competeva e compete il potere-dovere di indagare e conoscere. Per agire.

Che, poi, siffatte devianze siano occorse nella gestione di un procedimento giudiziario, è circostanza indubbiamente peculiare, ma che non vale a diminuire, la loro gravità. Semmai ad ispessirne la portata. In uno Stato di diritto, ben inteso. E nulla autorizza ad attribuire ai magistrati di Salerno la barbara e demenziale intenzione di sottrarre i procedimenti al competente giudice naturale di Catanzaro, salva l’acquisizione di “copie” conformi degli atti de quibus, da sempre sollecitate.

Né da parte loro era mai stato sollevato il rituale conflitto di competenza. Nulla. Ragionevolmente esclusa la cieca ignoranza, non di un singolo, ma di un intero ufficio! Di processi alle intenzioni, d’altra parte, non si sente il bisogno ed è meglio lasciarli agli Stati-canaglia.

Una semplice osservazione può forse aiutare ad inquadrare correttamente la questione. Se nel corso di un’attività giurisdizionale uno o più magistrati distruggessero documenti od elementi di prova, la competente AG, intervenendo alla ricerca delle relative tracce documentali, di sicuro...interferirebbe. Con il delitto. Anche al fine d’impedire l’”aggravamento ulteriore delle sue conseguenze”, senza, peraltro, con ciò usurpare la competenza naturale in ordine a quella regiudicanda. Come da ampia casistica, oltre che da codice di rito.

Eccoci così giunti al punto più rilevante della determinazione conclusiva della S.C. Che sembra risiedere in una nobile preoccupazione per le sorti della Giurisdizione, messe a repentaglio da “risse” devastanti come quella in argomento. Ora, se esisteva un’alternativa all’operato dell’AG salernitana, quale poteva essere? L’astensione da ogni…interferenza. C’è del vero, in questa posizione, che suona quasi come un invito e un auspicio:in determinati casi, alla “rissa”, è preferibile la…pace.
Prima o poi sapremo anche…per chi.

E ancora, in tema di pace – in un paese fin troppo litigioso - viene in mente quella grande “summa” storico-culturale che è “Guerra e pace” di Tolstoj. Sotto un profilo singolare, però:la sua lunghezza è opportunamente inferiore al decreto di perquisizione e sequestro improvvidamente predisposto dei magistrati campani. 1.400 pagine, un macigno. Esagerati, è il meno che si possa dire. Alla S.C. ne sono bastate 63 per segnare il destino di questi magistrati, a salvaguardia delle “logiche della giurisdizione”. Quale obbrobrio, quel blaterare su fatti estranei alle “finalità” proprie dell’atto. Scrivendo tante pagine inutili, seppure con intento ipermotivante, anziché la consueta, succosa letterina della mamma, si sono dispersi – perdendosi - in sviluppi analitici “inconferenti” – si dice così? Hanno, cioè, mostrato di aver capito ben poco, quasi nulla. Del gioco. E delle sue regole. Di quelle non scritte, segnatamente.

Oppure del sonno del CSM, in (prolungata) fase REM notoriamente caratterizzata da attività onirica con allucinazioni e autorappresentazioni, la cui privazione provoca l'insorgenza rapida di sintomi ansiosi, e se protratta a lungo, di sintomi psicotici, come spunti di depersonalizzazione e di valenze paranoidi.

Il dirigente Apicella, in primis, ha inopinatamente rivelato un’”indole” tutta da rifare, con scarsa propensione alla “comprensione”, perciò finanche indegna della misura – provvisoria - del trasferimento. Rimozione, e non se ne parli più. Conformemente, i media non ne fanno più menzione. In fondo, che cosa c’è da aggiungere a quanto già era noto ed ora viene confermato, in scienza e coscienza, dal giudice supremo della Corte Regolatrice?

Da qui l’addebito di maggiore incisività:l’anzidetta prolissità “tecnico-redazionale” dei salernitani. Davvero imperdonabile agli occhi del censore (mal)cassante. Assai più del delitto medesimo, anche di quello associativo, istituzionale, spregiudicato e scatenato che sia. O dell’ipocrisia, ferocemente stigmatizzata – unica, vera colpa - dal Vangelo di nostro Signore Gesù Cristo. Da stroncare.

Non può che risultarne, di rigore, una sentenza della Cassazione traboccante di legittima suspicione:sospetti – perfino che il decreto incriminato sia opera autografa del De Magistris. Altro lavoro per Perugia, si suppone! – intenzioni, congetture, sfumature, ombre, etc.etc. Si conviene a un provvedimento “giurisdizionale” che si rispetti.

Nelle more, il CSM ha già (per una volta) tempestivamente provveduto ad affidare la direzione della Procura di Salerno ad altro, valoroso magistrato. Senza dannose perdite di tempo. E senza nemmeno attendere l’esito del ricorso in Cassazione del titolare dott. Apicella, sospeso in via cautelare. Non già destituito. Se la linguistica e la semantica, ancor prima che il diritto, conservano un senso.

D’altronde, che bisogno c’era di indugiare, dopo che il presidente dell’ANM aveva già anticipatamente decretato la “conclusione” della vicenda or sono sei mesi? Misteri della chiaro-veggenza.

Per una maggiore precisione. In caso di reintegro del procuratore Apicella, posto che l’ufficio del pm costituito presso il giudice penale di Salerno non avrebbe mai potuto essere retto da una diarchia, il neo nominato avrebbe dovuto far le valigie. Inconcepibile per chiunque, figurarsi per i dotti ermellini del Palazzaccio. Per fortuna, una mera ipotesi. Controfattuale. Carnevalesca. Sul piano della possibilità logico-giuridica, non si sarebbe mai potuta realizzare. E non si è realizzata. Alla S.C. il merito indiscutibile di avere scongiurato altre…”risse”, consacrando lo statu quo ante. L’universo della giurisdizione è finalmente pacificato, in un afflato struggente. Splendido esempio – e monito, soprattutto - per la vita pubblica del Belpaese. Illuminante risposta all’eterno dilemma del:che fare?
Ora lo sappiamo, con il crisma di un apice dello Stato. Mica di un pedice!

Soltanto un dubbio, se consentito. La materia esaminata ed “evasa” dalle sezioni unite civili è la medesima in precedenza delibata dal Tribunale penale di Salerno, che, però, è giunto a conclusioni diametralmente opposte. Prevalgono pulsioni extraprocessuali e la (conclamata) primazia della giurisdizione penale ne esce visibilmente incrinata, non diciamo sbriciolata. Tuttavia, l’altezza della posta in gioco, e il vitale interesse statuale di por fine alle “risse”, e di metterle al bando, debbono rasserenarci, e convincerci che il “bene” tutelato dev’essere apparso decisamente superiore a quelli sacrificati.

Dunque, diamoci…pace. Per l’appunto. Memori del monito - strategico, più che tattico - del grande discepolo di von Clausewitz, von Moltke:”Marciare divisi, colpire uniti”, mediante appropriate manovre di aggiramento sinergico e concentrico. Senza scontri frontali, la rete ferroviaria prussiana – a raggiera - lo consentiva. E’ l’incipit vittorioso del primo Reich. Cui seguirono il secondo e…il terzo. Non v’è dubbio che le sezioni civili della Cassazione siano state…unite.

Mentre scriviamo, continuano a giungere strane voci da Caltanissetta. Stragi di Stato, patti fra mafia e Stato, nomi di qualche vecchio, democraticissimo ministro dell’Interno…Che non si tratti delle “menti raffinatissime” lucidamente evocate da Falcone? A nostro sommesso avviso, bisognerebbe entrare subito in azione, incombono altre “risse”, altri “disastri”, ancora più virulenti di quella qui in discussione. Questa volta, sarà meglio muoversi per tempo, evitando di ripetere gli errori del caso De Magistris. Per la gioia, la tranquillità e la perpetuazione della Repubblica Costituzionale Materiale. E del popolo sovrano. Che rimane in attesa. Educatamente. Fiduciosamente.

Un giorno, si spera non troppo lontano, quando anche noi potremo chiamare davanti a un Parlamento vero - come gli USA davanti al Congresso - qualche alto magistrato, una brezza di senso accarezzerà il paese. Termini come:Resistenza, Costituzione, Diritto, Stato, Comunità, Democrazia, Libertà, Valore, Progresso, cominceranno a recuperare margini di significato. Ma chi più ne ha, più ne o-metta. A scanso di equivoci. E ingorghi. E “risse”.

Sarebbe un magnifico dizionario, da compulsare con i giovani. Spiegando loro: ”Vedete, cari, questo è un linguaggio vero, non una “lingua di legno”, la “langue du bois” dei totalitarismi, il linguaggio come potere, produzione, sistema di relazioni. Menzogne ossessivamente reiterate e imposte come verità”.
Vivremo, allora, entro una relazione di reciproca coniugazione e corrispondenza biunivoca fra parole e cose, concetti e realtà. Infine affrancati dalla tetra previsione orwelliana:la pratica perversa e proterva della cancellazione dal lessico di significanti autentici come strategia politico-statuale di svuotamento, trasfigurazione e sostituzione del reale. Che ha funzionato. Funziona ancora.

Come nel celebre dialogo di Borges fra il democratico vincitore:"Vi abbiamo sconfitti" e il nazista vinto:"No, abbiamo vinto noi. Perché vi abbiamo resi come noi". Secondo autorevoli storici, questi sono ancora problemi del presente, saranno ancora problemi del futuro.


giovedì 16 luglio 2009

Le "correnti" alla ricerca di antidoti.





di Nicola Saracino
(Magistrato)



I progetti di riforma del sistema elettorale del CSM mediante il pre-sorteggio dei candidati.

Si legge di idee di riforma del sistema elettorale della componente togata del CSM attraverso l’introduzione del sorteggio di un numero di magistrati piuttosto ampio per costituire la rosa degli eleggibili entro la quale confinare la scelta degli elettori. Questo per prevenire le degenerazioni del cd. correntismo. Nell'intento di "prevenire" il legislatore, le correnti s'interrogano su quale congegno elettorale risulti capace di ampliare la partecipazione democratica alla individuazione dei candidati, per evitare che essi appaiano calati dall'alto e quindi sostanzialmente imposti.



La fantasia non manca e si sente parlare di primarie, doppio turno, proporzionale, panachage e persino di porcellum! Una terminologia adeguata a politici navigati, non certo a soggetti nel cui DNA dovrebbe prevalere la dose di neutralità istituzionale, visto il compito di indipendente ed imparziale "controllo di legalità" loro demandato.

Cosa è oggi il CSM.

Il CSM è un organo di alta amministrazione previsto dalla Costituzione con funzioni riguardanti le assunzioni, le assegnazioni ed i trasferimenti, le promozioni e i provvedimenti disciplinari nei riguardi dei magistrati (art. 105 Cost.). A questi compiti fondamentali, previsti direttamente dalla Costituzione per salvaguardare la soggezione del giudice soltanto alla legge e quindi l’autonomia della magistratura come ordine, la legge ordinaria ne ha aggiunti degli altri, per lo più concernenti l’organizzazione, attraverso direttive, degli uffici giudiziari.

Questo organo di indubbia rilevanza costituzionale, nel tempo, si è auto assunto una funzione di “indirizzo politico” e di interlocuzione con gli altri poteri dello Stato, espressa dalle “pratiche a tutela”, dai pareri (espressi anche senza la relativa richiesta del ministro della giustizia) sui disegni di legge in materia di giustizia, dalle deliberazioni di contenuto non predeterminabile adottate nelle più disparate occasioni di coinvolgimento della funzione giudiziaria.

Esso, insieme al Consiglio Supremo di Difesa, è l’unico altro organo collegiale (composto per due terzi da magistrati e per un terzo da componenti di nomina politica) che annovera il Capo dello Stato tra i suoi membri di diritto nella - ovvia – qualità di Presidente.

Ogni discorso che riguardi il metodo di selezione dei membri togati del CSM non può trascurare la diversità dei compiti che, di fatto o di diritto, tale organo assolve, perché un sistema elettivo può rivelarsi appropriato per taluni di essi ed invece apparire inopportuno per gli altri.


L’ attuale metodo di elezione dei membri togati del CSM e l’organizzazione del voto ad opera delle correnti.

Elettorato attivo e passivo coincidono, nel senso che i magistrati votano (rispettando proporzioni predeterminate tra le diverse categorie dei giudici di merito, di legittimità e dei pubblici ministeri) i colleghi che ricopriranno la carica. Gli eletti non sono immediatamente rieleggibili.

Nei fatti l’elettorato passivo è governato dal dominio delle “correnti”. Quello attivo si adegua, nel senso che necessariamente sceglie tra i (pochi) candidati proposti.

Le correnti sono delle associazioni private - esterne ed autonome rispetto all’Associazione Nazionale Magistrati, anch’essa di diritto privato, che raccoglie oltre il 90% dei magistrati italiani - con propri statuti ed organi gestionali. Vi sono iscritti una minoranza di magistrati; queste, tuttavia, riescono ad assumere la gestione dell’ANM ed anche a determinare l’elezione dei loro aderenti al CSM predisponendo le liste dei candidati, di fatto le uniche in grado di riscuotere un sufficiente numero di consensi a causa dell’organizzazione del voto secondo i congegni più acconci in funzione del sistema elettorale.
Non dissimilmente da un gruppo di azionisti “di riferimento” che assume il controllo di una grande società, pur disponendo di una quota ampiamente minoritaria del relativo capitale, così le correnti prendono la guida della ANM e del CSM.

L’accusa che oggi maggiormente mette in discussione il sistema del correntismo è quella secondo cui, oltre ad assumere il controllo dell’ANM e del CSM le correnti, proprio come i grandi “minoritari” azionisti di una s.p.a., sono capaci di fagocitare tutti o gran parte degli “utili” a discapito di un esteso “parco buoi” (la maggioranza dei magistrati non iscritti ad alcuna corrente). E’ evidente che gli “utili” sono gli incarichi direttivi, gli incarichi extra giudiziari presso svariati organismi politici (ministeri, camere parlamentari ed altro), in definitiva la possibilità di percorrere carriere privilegiate ed assumere posizioni di "potere". In tal modo il correntismo si autoalimenta rafforzandosi viepiù e dà luogo ad un sistema privo di ogni controllo esterno, visto che l’attività del CSM è coperta da una singolarissima e generale immunità che ne rende i componenti non perseguibili per gli illeciti commessi nell’esercizio delle loro funzioni, il che suona come un riconoscimento normativo della impossibilità di svolgerle senza incappare in guai giudiziari: la “zona franca” configurata dall’art. 32 bis della l. n. 195 del 1958 non trova spiegazione logica diversa da questa.


A queste accuse si replica allegando le ragioni ideali alla base dell’appartenenza a questa o a quella corrente. Ragioni ideali tutte degnissime.
Ma le degenerazioni, supposte o reali che esse siano, devono essere tenute in conto ed evitate, per quanto possibile, da un adeguato sistema di norme. Contro le quali si schierano con maggiore veemenza, com’è comprensibile, proprio coloro che del correntismo hanno praticato tutti i percorsi, anche i più disdicevoli, avvantaggiandosi personalmente del passaggio, spesso anche ripetuto, dall’ANM al CSM al ministero della giustizia, magari giovandosi di una “meritata” promozione ad un incarico direttivo senza soluzione di continuità rispetto al mandato di consigliere superiore.

Alcune considerazioni sul rapporto tra la natura elettiva del CSM ed il suo ruolo nel quadro costituzionale.

La natura elettiva del CSM ha senz’altro contribuito all’affermazione di un ruolo (anche) “politico”. Alcuni ritengono che l'elezione del CSM da parte dei magistrati sia stato voluto dal Costituente solo in funzione dell'autonomia dell'ordine giudiziario, non per conferire alla magistratura una "rappresentatività" da spendere diversamente; sicché la sottolineatura di questa "politicità" del CSM costituirebbe solo un effetto indiretto e non voluto dalla Costituzione che diversamente non ne avrebbe assegnato la presidenza al Capo dello Stato.
Come già ricordato, essa si esprime principalmente attraverso le “pratiche a tutela”, i pareri sui disegni di legge, gli interventi morali a sostegno dell’indipendenza della magistratura da altri poteri.

Le pratiche a tutela.

Consistono in prese di posizione ufficiali con le quali il CSM afferma o nega che, in relazione ad una determinata vicenda coinvolgente uno o più magistrati, vi sia stata una lesione della autonomia e della indipendenza della giurisdizione.
Come accennato, i risvolti pratici di queste deliberazioni si colgono sul piano morale, nel senso che esse fanno avvertire al magistrato la vicinanza dell’organo di autogoverno e suonano come un “monito” verso i soggetti (politici, di solito) che hanno dato esempio di scarso rispetto verso la giurisdizione.
Si tratta di una funzione non prevista dalla legge ma istituzionalizzata dallo stesso CSM attraverso suoi regolamenti interni.
Il senso politico di tale prassi è d’immediata percezione e crea frizioni con altri compiti istituzionali che il CSM pure è chiamato a svolgere, essendo anche il “giudice” degli illeciti disciplinari. E’ a tutti evidente che se in una determinata vicenda il CSM ha adottato una delibera “a tutela” è ben difficile che, giudicando la stessa vicenda quale giudice disciplinare, assuma in seguito una posizione diversa. E’ quindi verosimile che con questi atteggiamenti il CSM interferisca sull’esercizio dell’azione disciplinare influenzando i due titolari impersonati dal Procuratore generale della Cassazione (che del CSM è componente di diritto) ed il Ministro della Giustizia.
Questo tipo di interventi, in definitiva, parrebbero più appropriati se attuati dall’associazione privata (l’ANM) che riunisce la quasi totalità dei magistrati italiani, piuttosto che da un organo istituzionale presieduto dal Capo dello Stato.


I pareri non richiesti.

Anche questa attività si è spesso rivelata fonte di conflitti con la politica che in
essa vede uno sconfinamento del CSM nelle prerogative del Parlamento. Il Capo dello Stato, che presiede il CSM, non ha fatto mancare, anche in tempi recenti, il suo richiamo ad un self restraint dell’organo di autogoverno della magistratura.



I compiti propriamente amministrativi.

Riguardano le assunzioni, i trasferimenti e le promozioni dei magistrati.
Quanto alle prime, esse sono disciplinate mediante un concorso pubblico sotto il governo di una commissione esaminatrice estratta a sorte da una rosa di magistrati (in prevalenza), professori universitari ed avvocati. La reale selezione dei candidati avviene mediante le prove scritte, caratterizzate dall’anonimato, visto che il numero degli ammessi alle prove orali è solitamente molto vicino a quello complessivo dei posti a concorso. Sorte ed anonimato, quindi, sono alla base del metodo di accesso alla magistratura, così privilegiando la diversificazione sociale e culturale dei vincitori attraverso una scrematura che guarda esclusvamente alla preparazione tecnico-giuridica dei candidati.
I trasferimenti sono regolamentati secondo criteri pressoché automatici prestabiliti dalle circolari (l’anzianità di servizio, prevale sugli altri).
Le “promozioni” e le “assegnazioni”.
Il concetto di promozione deve essere inteso in senso piuttosto elastico, se riferito ad un magistrato. Questo perché i magistrati si distinguono tra loro solo per la diversità delle funzioni svolte (art. 107 Cost.). La legge in vigore ha delineato la promozione alla stregua di una periodica valutazione di professionalità alla quale il magistrato è sottoposto ogni quattro anni e si basa sull’esame della quantità e qualità del servizio prestato.
Le “assegnazioni”, invece, richiamano la gestione degli incarichi apicali degli uffici giudiziari, vale a dire la nomina dei presidenti dei tribunali e delle corti, dei relativi presidenti di sezione, dei procuratori e dei procuratori aggiunti presso quegli stessi uffici.
E’ il campo nel quale maggiore è la discrezionalità lasciata dalla legge al CSM che ormai la esercita non più vincolato dal criterio dell’anzianità di servizio del magistrato. In questa materia non si realizza alcuna “esternalizzazione” (outsourcing) della selezione tecnica dei candidati, come invece accade con il concorso per le assunzioni dei magistrati. E’ questo il settore che maggiormente favorisce il proselitismo delle correnti e se ciò accade lo si deve anche e soprattutto all'ambizione personale dei magistrati che, immemori del monito lanciato dall’art. 107 Cost. (“I magistrati si distinguono solo per diversità di funzioni”), non disdegnano di percorrere la carriera a tappe forzate, scavalcando i concorrenti, senza troppi scrupoli. La qual cosa smentisce chi ha ipotizzato una diversità genetica dei magistrati rispetto a tutti gli altri: non si distinguono per particolari virtù.
E’ qui, dunque, che si alimenta il correntismo inteso come fenomeno clientelare. Se si vogliono contenerne i danni è principalmente questo, allora, il fattore sul quale agire.
Lo si può fare in due modi: o “esternalizzando” la selezione dei dirigenti sulla falsariga di quanto già avviene per il concorso di accesso in magistratura, oppure affidando, almeno in parte, alla sorte la conformazione del “selezionatore”, facendo in modo che esso non sia diretta espressione delle correnti. L’intervento tranchante della politica sarebbe evitabile solo a fronte di una autodisciplina “etica” dell’ANM che determini, nell’interesse, di tutti, magistrati e cittadini, la netta separazione dei compiti dell’associazione da quelli, propriamente istituzionali, spettanti al CSM.



Il CSM è un giudice speciale, per giunta elettivo.

Spettano al CSM “i provvedimenti disciplinari nei riguardi dei magistrati” (art. 105 Cost.).
In questo campo l'ostentata rivendicazione dell’elettività del CSM, come pretesa di scegliere un giudice culturalmente affine al giudicabile, è paradossalmente in conflitto con la demonizzazione dei giudici elettivi, tema che pure è una bandiera dell’ANM.
Ma a ben vedere la Costituzione non ha affatto imposto che il CSM adotti “i provvedimenti disciplinari” nella forma della "sentenza" e nella veste di “giudice”, ben potendo il dettato costituzionale - senza necessità di revisione - attuarsi lasciando intatto il potere sanzionatorio al Consiglio, ma non nella forma giurisdizionale, bensì in quella amministrativa. Questo eviterebbe, prima di ogni altra cosa, la sopravvivenza di un arcaico “giudice speciale” – ereditato dalla tradizione pre-repubblicana - contro il divieto di istituirne posto dall’art. 102 Cost.. In secondo luogo sarebbero fugate tutte le perplessità suscitate da un “giudice elettivo”, l’unico operante nell’ordinamento, a dispetto della estrazione professionale di tutte le altre autorità giudiziarie. Infine sparirebbe l’agghiacciante figura di un giudice immune da conseguenze per ogni tipo di illecito commesso nell’esercizio della giurisdizione.
I provvedimenti sanzionatori, di carattere amministrativo, al pari di tutti gli altri adottati dal Consiglio, diverrebbero, in tal caso, impugnabili davanti alla giurisdizione amministrativa (TAR e Consiglio di Stato), l’unica che ha dato concreta prova, negli anni, di effettiva indipendenza nei riguardi del CSM, dato che le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, alle quali sono oggi rivolte le impugnazioni contro le sentenze disciplinari, sono un giudice “strutturalmente” non indipendente dal giudice “a quo” (il CSM), perché i componenti sono dei magistrati assoggettati al potere dello stesso CSM sia per gli aspetti relativi alla loro carriera, sia per quelli attinenti alla materia disciplinare (sono essi stessi passibili di sanzioni disciplinari da parte del CSM).
A tanto può aggiungersi la singolarità che il Procuratore Generale (che esercita l'azione disciplinare anche dinanzi alla sezioni unite della cassazione) ha il potere di avviare l’azione disciplinare anche contro quel "supremo" collegio.
Se si aggiunge che del CSM sono membri di diritto il Procuratore Generale (che esercita l’azione disciplinare) ed il Presidente della Corte di cassazione (che è al vertice dell’ufficio al quale è demandata la decisione sulle sentenze emesse dal CSM) ci si avvede del diabolico corto-circuito che rischia di compromettere l’indipendente esercizio della giurisdizione disciplinare e, per questa via, di interferire nell’attività giudiziaria ordinaria.
Una soluzione più radicale, che trasferisse la giurisdizione al di fuori del CSM ma lasciandola ai magistrati, sarebbe la via preferibile per gli argomenti già espressi in questo articolo http://toghe.blogspot.com/2008/05/e-irrinunciabile-che-la-materia.html. Ma risulterebbe necessaria una modifica della Costituzione.


Traiamo alcune (provvisorie) conclusioni.

L’elezione del CSM secondo l’attuale schema ne favorisce l’autorevolezza “politica” in quanto esso appare espressione dell’intera magistratura. Ciò ha consentito l’auto-assunzione di compiti che, sebbene non espressamente previsti dalla Costituzione, permettono al CSM di porsi come interlocutore rispetto ad altri poteri costituzionali, ma anche di creare più d’un imbarazzo al Capo dello Stato che lo presiede.

Lo stesso sistema ha favorito il fenomeno deleterio del correntismo , che premia solo una minoritaria percentuale dei magistrati a scapito della sparuta maggioranza di essi. Ha altresì determinato una dannosa compenetrazione tra il libero associazionismo e l’istituzione, così privando la gestione del potere organizzativo della magistratura di ogni controllo critico e democratico.

E mette in dubbio persino il trasparente esercizio della giurisdizione nella materia disciplinare.

Se non si attua una marcata separatezza tra l’ANM ed il CSM, impedendo i passaggi dalla prima al secondo e viceversa, la politica avrà buon gioco nell’introdurre correttivi del sistema elettorale del CSM, esibendo a motivo le innegabili degenerazioni del correntismo, ma forse avendo di mira il vero obiettivo di indebolire la forza “politica” dell’organo di autogoverno della magistratura. Similmente, molti dei magistrati che si ergono a paladini della “rappresentatività” del CSM non difendono con sincerità l’istituzione, ma solo il prolungamento della “tirannia delle correnti”.
In realtà nessun congegno normativo sarà in concreto capace di arginare le degenerazioni, se non sarà preceduto dal mutamento culturale richiesto all'associazione nazionale magistrati che deve essere maggiormente attenta alla tutela di quei valori fondamentali che la impegnano nei confronti della quasi totalità dei magistrati, valori messi in discussione proprio dagli anacronistici settarismi che ne stanno minando la ragion d'essere.


sabato 11 luglio 2009

Nell'attesa della decisione sul lodo Alfano

Subito dopo l’estate la Consulta si pronuncerà sulla spinosa questione del cd. Lodo Alfano.

Com’è noto due sono le fondamentali domande alle quali dovranno essere date risposte.

La prima, di carattere sostanziale, chiede di stabilire se l’uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge tolleri eccezioni così vistose come quelle che esentano alcuni di loro - anche se molto importanti – dall'assoggettamento alla giurisdizione finché dura il mandato, rinviando ad epoca successiva l’accertamento degli eventuali illeciti commessi.


La seconda questione, connessa alla prima, è se tale eccezione possa essere posta da una legge ordinaria, ovvero richieda una riforma della Costituzione.

Ebbene, una volta che saranno risolti tali problemi risulterà più agevole valutare la compatibilità costituzionale di altre “eccezioni”, presenti nell'ordinamento, che rendono alcuni cittadini “più uguali degli altri”.

Tra queste merita di essere segnalata l’immunità - prevista da una legge ordinaria e non da una norma costituzionale - introdotta nel 1981 dall’art. 32 bis della l. 24 marzo 1958 n. 195 che manda esenti da conseguenze civili e penali i consiglieri del CSM disponendo che “I componenti del Consiglio superiore non sono punibili per le opinioni espresse nell'esercizio delle loro funzioni, e concernenti l'oggetto della discussione”.


La giurisprudenza ha chiarito che tale immunità riguarda ogni tipo di responsabilità, sia essa civile, penale o disciplinare. E, si badi, a differenza del lodo Alfano gli illeciti resteranno impuniti anche dopo la scadenza del mandato di consigliere del CSM.

Eppure il primo requisito che - in democrazia - dovrebbe connotare un soggetto investito di funzioni pubbliche parrebbe essere proprio quello della “responsabilità”, specialmente quando non possa operare - come nel caso del CSM - neppure il congegno della cd. responsabilità politica.

Sarebbe quanto mai opportuno, dunque, che il Legislatore eliminasse quella eccentrica immunità.

In tempi di “lodi” più o meno contestati risulta imbarazzante difendere non già una temporanea esenzione dalla giurisdizione come il lodo Alfano, ma una vera e propria impunità priva di ogni ragion d’essere.

Essa - avendo a mente anche le funzioni giurisdizionali del CSM nella materia disciplinare - contrasta, per di più, con tutti i principi regolanti la responsabilità del giudice.

Se si demonizza l’idea dei giudici elettivi cosa pensare, allora, di un giudice e di un amministratore elettivo e per giunta irresponsabile civilmente, penalmente e disciplinarmente?

Nicola Saracino - magistrato