del Prof. Giuseppe Panissidi
UNICAL
UNICAL
da ilmessaggero.it
Gran bel pezzo di cinema, di fresca attualità, con uno strepitoso Al Pacino magistralmente diretto da Norman Jewison. Una tenace, sofferta ricerca della Giustizia Uguale. Per tutti. Con risultati simbolici, oltre che filmici, sicuramente non trascurabili.
E tuttavia risibili, se confrontati con gli esiti (a dir poco) sorprendenti conseguiti nei giorni scorsi dal vertice della nostra giurisdizione ordinaria, la Corte Suprema di Cassazione. Le cui sezioni unite civili, con sentenza n.15976, hanno pronunciato nel merito dei ricorsi a suo tempo proposti dai magistrati di Salerno e Catanzaro, avverso i provvedimenti cautelari irrogati dal CSM nell’ambito della cosiddetta “guerra delle procure”. Una connotazione mediatica non-neutra, alla stregua della rappresentazione che il Consiglio Superiore della Magistratura ha ufficialmente inscenato per quegli eventi, oggettivamente dirompenti, anzi drammatici.
Invero, istituzioni ed opinione pubblica conoscevano, con congruo anticipo, le conclusioni di questa vicenda, grazie alle puntuali esternazioni del presidente dell’ANM in corso di procedura. Insomma, tutto era stato previsto, con mirabile esattezza. O, come si suol dire: scritto. Lode a sì potenti virtù divinatorie. Nel paese di Balsamo-Cagliostro, che balsamo!
Vorremmo provare a riassumere concisamente i termini essenziali della (poco) intricata vicenda.
La Procura della Repubblica di Salerno conduce, nei confronti di alcuni magistrati di Catanzaro, un procedimento scaturito da una serie di informative di reato da questi ultime inoltrate nei confronti dell’ex pm di Catanzaro De Magistris. Accertata la sua estraneità ad ogni e qualsiasi responsabilità, quell’ufficio s’imbatte in gravi ipotesi di reato in capo ai predetti magistrati calabresi. Come, ad esempio, una presunzione di illeciti a favore dell’ex ministro Mastella:la mancanza di alcuni atti nella trasmissione al GIP della domanda di archiviazione della sua posizione. Un fatto d’inaudita gravità, se provato. Ai fini delle doverose (?) investigazioni, bisogna – è di tutta evidenza anche per i non addetti - disporre di quegli atti. Che, infatti, vengono ripetutamente richiesti a Catanzaro, non senza informare il CSM, che tace. Ma questi documenti - indispensabili per “le determinazioni inerenti all’esercizio dell’azione penale” (art.326 cpp), obbligatoria in forza della Costituzione, art.112 – non arrivano. Ora, è patente che, in ipotesi di omissione, abuso o falsità per occultamento, in testa all’AG di Catanzaro, all’ufficio del pm di Salerno competeva e compete il potere-dovere di indagare e conoscere. Per agire.
Che, poi, siffatte devianze siano occorse nella gestione di un procedimento giudiziario, è circostanza indubbiamente peculiare, ma che non vale a diminuire, la loro gravità. Semmai ad ispessirne la portata. In uno Stato di diritto, ben inteso. E nulla autorizza ad attribuire ai magistrati di Salerno la barbara e demenziale intenzione di sottrarre i procedimenti al competente giudice naturale di Catanzaro, salva l’acquisizione di “copie” conformi degli atti de quibus, da sempre sollecitate.
Né da parte loro era mai stato sollevato il rituale conflitto di competenza. Nulla. Ragionevolmente esclusa la cieca ignoranza, non di un singolo, ma di un intero ufficio! Di processi alle intenzioni, d’altra parte, non si sente il bisogno ed è meglio lasciarli agli Stati-canaglia.
Una semplice osservazione può forse aiutare ad inquadrare correttamente la questione. Se nel corso di un’attività giurisdizionale uno o più magistrati distruggessero documenti od elementi di prova, la competente AG, intervenendo alla ricerca delle relative tracce documentali, di sicuro...interferirebbe. Con il delitto. Anche al fine d’impedire l’”aggravamento ulteriore delle sue conseguenze”, senza, peraltro, con ciò usurpare la competenza naturale in ordine a quella regiudicanda. Come da ampia casistica, oltre che da codice di rito.
Eccoci così giunti al punto più rilevante della determinazione conclusiva della S.C. Che sembra risiedere in una nobile preoccupazione per le sorti della Giurisdizione, messe a repentaglio da “risse” devastanti come quella in argomento. Ora, se esisteva un’alternativa all’operato dell’AG salernitana, quale poteva essere? L’astensione da ogni…interferenza. C’è del vero, in questa posizione, che suona quasi come un invito e un auspicio:in determinati casi, alla “rissa”, è preferibile la…pace.
Prima o poi sapremo anche…per chi.
E ancora, in tema di pace – in un paese fin troppo litigioso - viene in mente quella grande “summa” storico-culturale che è “Guerra e pace” di Tolstoj. Sotto un profilo singolare, però:la sua lunghezza è opportunamente inferiore al decreto di perquisizione e sequestro improvvidamente predisposto dei magistrati campani. 1.400 pagine, un macigno. Esagerati, è il meno che si possa dire. Alla S.C. ne sono bastate 63 per segnare il destino di questi magistrati, a salvaguardia delle “logiche della giurisdizione”. Quale obbrobrio, quel blaterare su fatti estranei alle “finalità” proprie dell’atto. Scrivendo tante pagine inutili, seppure con intento ipermotivante, anziché la consueta, succosa letterina della mamma, si sono dispersi – perdendosi - in sviluppi analitici “inconferenti” – si dice così? Hanno, cioè, mostrato di aver capito ben poco, quasi nulla. Del gioco. E delle sue regole. Di quelle non scritte, segnatamente.
Oppure del sonno del CSM, in (prolungata) fase REM notoriamente caratterizzata da attività onirica con allucinazioni e autorappresentazioni, la cui privazione provoca l'insorgenza rapida di sintomi ansiosi, e se protratta a lungo, di sintomi psicotici, come spunti di depersonalizzazione e di valenze paranoidi.
Il dirigente Apicella, in primis, ha inopinatamente rivelato un’”indole” tutta da rifare, con scarsa propensione alla “comprensione”, perciò finanche indegna della misura – provvisoria - del trasferimento. Rimozione, e non se ne parli più. Conformemente, i media non ne fanno più menzione. In fondo, che cosa c’è da aggiungere a quanto già era noto ed ora viene confermato, in scienza e coscienza, dal giudice supremo della Corte Regolatrice?
Da qui l’addebito di maggiore incisività:l’anzidetta prolissità “tecnico-redazionale” dei salernitani. Davvero imperdonabile agli occhi del censore (mal)cassante. Assai più del delitto medesimo, anche di quello associativo, istituzionale, spregiudicato e scatenato che sia. O dell’ipocrisia, ferocemente stigmatizzata – unica, vera colpa - dal Vangelo di nostro Signore Gesù Cristo. Da stroncare.
Non può che risultarne, di rigore, una sentenza della Cassazione traboccante di legittima suspicione:sospetti – perfino che il decreto incriminato sia opera autografa del De Magistris. Altro lavoro per Perugia, si suppone! – intenzioni, congetture, sfumature, ombre, etc.etc. Si conviene a un provvedimento “giurisdizionale” che si rispetti.
Nelle more, il CSM ha già (per una volta) tempestivamente provveduto ad affidare la direzione della Procura di Salerno ad altro, valoroso magistrato. Senza dannose perdite di tempo. E senza nemmeno attendere l’esito del ricorso in Cassazione del titolare dott. Apicella, sospeso in via cautelare. Non già destituito. Se la linguistica e la semantica, ancor prima che il diritto, conservano un senso.
D’altronde, che bisogno c’era di indugiare, dopo che il presidente dell’ANM aveva già anticipatamente decretato la “conclusione” della vicenda or sono sei mesi? Misteri della chiaro-veggenza.
Per una maggiore precisione. In caso di reintegro del procuratore Apicella, posto che l’ufficio del pm costituito presso il giudice penale di Salerno non avrebbe mai potuto essere retto da una diarchia, il neo nominato avrebbe dovuto far le valigie. Inconcepibile per chiunque, figurarsi per i dotti ermellini del Palazzaccio. Per fortuna, una mera ipotesi. Controfattuale. Carnevalesca. Sul piano della possibilità logico-giuridica, non si sarebbe mai potuta realizzare. E non si è realizzata. Alla S.C. il merito indiscutibile di avere scongiurato altre…”risse”, consacrando lo statu quo ante. L’universo della giurisdizione è finalmente pacificato, in un afflato struggente. Splendido esempio – e monito, soprattutto - per la vita pubblica del Belpaese. Illuminante risposta all’eterno dilemma del:che fare?
Ora lo sappiamo, con il crisma di un apice dello Stato. Mica di un pedice!
Soltanto un dubbio, se consentito. La materia esaminata ed “evasa” dalle sezioni unite civili è la medesima in precedenza delibata dal Tribunale penale di Salerno, che, però, è giunto a conclusioni diametralmente opposte. Prevalgono pulsioni extraprocessuali e la (conclamata) primazia della giurisdizione penale ne esce visibilmente incrinata, non diciamo sbriciolata. Tuttavia, l’altezza della posta in gioco, e il vitale interesse statuale di por fine alle “risse”, e di metterle al bando, debbono rasserenarci, e convincerci che il “bene” tutelato dev’essere apparso decisamente superiore a quelli sacrificati.
Dunque, diamoci…pace. Per l’appunto. Memori del monito - strategico, più che tattico - del grande discepolo di von Clausewitz, von Moltke:”Marciare divisi, colpire uniti”, mediante appropriate manovre di aggiramento sinergico e concentrico. Senza scontri frontali, la rete ferroviaria prussiana – a raggiera - lo consentiva. E’ l’incipit vittorioso del primo Reich. Cui seguirono il secondo e…il terzo. Non v’è dubbio che le sezioni civili della Cassazione siano state…unite.
Mentre scriviamo, continuano a giungere strane voci da Caltanissetta. Stragi di Stato, patti fra mafia e Stato, nomi di qualche vecchio, democraticissimo ministro dell’Interno…Che non si tratti delle “menti raffinatissime” lucidamente evocate da Falcone? A nostro sommesso avviso, bisognerebbe entrare subito in azione, incombono altre “risse”, altri “disastri”, ancora più virulenti di quella qui in discussione. Questa volta, sarà meglio muoversi per tempo, evitando di ripetere gli errori del caso De Magistris. Per la gioia, la tranquillità e la perpetuazione della Repubblica Costituzionale Materiale. E del popolo sovrano. Che rimane in attesa. Educatamente. Fiduciosamente.
Un giorno, si spera non troppo lontano, quando anche noi potremo chiamare davanti a un Parlamento vero - come gli USA davanti al Congresso - qualche alto magistrato, una brezza di senso accarezzerà il paese. Termini come:Resistenza, Costituzione, Diritto, Stato, Comunità, Democrazia, Libertà, Valore, Progresso, cominceranno a recuperare margini di significato. Ma chi più ne ha, più ne o-metta. A scanso di equivoci. E ingorghi. E “risse”.
Sarebbe un magnifico dizionario, da compulsare con i giovani. Spiegando loro: ”Vedete, cari, questo è un linguaggio vero, non una “lingua di legno”, la “langue du bois” dei totalitarismi, il linguaggio come potere, produzione, sistema di relazioni. Menzogne ossessivamente reiterate e imposte come verità”.
Vivremo, allora, entro una relazione di reciproca coniugazione e corrispondenza biunivoca fra parole e cose, concetti e realtà. Infine affrancati dalla tetra previsione orwelliana:la pratica perversa e proterva della cancellazione dal lessico di significanti autentici come strategia politico-statuale di svuotamento, trasfigurazione e sostituzione del reale. Che ha funzionato. Funziona ancora.
Come nel celebre dialogo di Borges fra il democratico vincitore:"Vi abbiamo sconfitti" e il nazista vinto:"No, abbiamo vinto noi. Perché vi abbiamo resi come noi". Secondo autorevoli storici, questi sono ancora problemi del presente, saranno ancora problemi del futuro.
Gran bel pezzo di cinema, di fresca attualità, con uno strepitoso Al Pacino magistralmente diretto da Norman Jewison. Una tenace, sofferta ricerca della Giustizia Uguale. Per tutti. Con risultati simbolici, oltre che filmici, sicuramente non trascurabili.
E tuttavia risibili, se confrontati con gli esiti (a dir poco) sorprendenti conseguiti nei giorni scorsi dal vertice della nostra giurisdizione ordinaria, la Corte Suprema di Cassazione. Le cui sezioni unite civili, con sentenza n.15976, hanno pronunciato nel merito dei ricorsi a suo tempo proposti dai magistrati di Salerno e Catanzaro, avverso i provvedimenti cautelari irrogati dal CSM nell’ambito della cosiddetta “guerra delle procure”. Una connotazione mediatica non-neutra, alla stregua della rappresentazione che il Consiglio Superiore della Magistratura ha ufficialmente inscenato per quegli eventi, oggettivamente dirompenti, anzi drammatici.
Invero, istituzioni ed opinione pubblica conoscevano, con congruo anticipo, le conclusioni di questa vicenda, grazie alle puntuali esternazioni del presidente dell’ANM in corso di procedura. Insomma, tutto era stato previsto, con mirabile esattezza. O, come si suol dire: scritto. Lode a sì potenti virtù divinatorie. Nel paese di Balsamo-Cagliostro, che balsamo!
Vorremmo provare a riassumere concisamente i termini essenziali della (poco) intricata vicenda.
La Procura della Repubblica di Salerno conduce, nei confronti di alcuni magistrati di Catanzaro, un procedimento scaturito da una serie di informative di reato da questi ultime inoltrate nei confronti dell’ex pm di Catanzaro De Magistris. Accertata la sua estraneità ad ogni e qualsiasi responsabilità, quell’ufficio s’imbatte in gravi ipotesi di reato in capo ai predetti magistrati calabresi. Come, ad esempio, una presunzione di illeciti a favore dell’ex ministro Mastella:la mancanza di alcuni atti nella trasmissione al GIP della domanda di archiviazione della sua posizione. Un fatto d’inaudita gravità, se provato. Ai fini delle doverose (?) investigazioni, bisogna – è di tutta evidenza anche per i non addetti - disporre di quegli atti. Che, infatti, vengono ripetutamente richiesti a Catanzaro, non senza informare il CSM, che tace. Ma questi documenti - indispensabili per “le determinazioni inerenti all’esercizio dell’azione penale” (art.326 cpp), obbligatoria in forza della Costituzione, art.112 – non arrivano. Ora, è patente che, in ipotesi di omissione, abuso o falsità per occultamento, in testa all’AG di Catanzaro, all’ufficio del pm di Salerno competeva e compete il potere-dovere di indagare e conoscere. Per agire.
Che, poi, siffatte devianze siano occorse nella gestione di un procedimento giudiziario, è circostanza indubbiamente peculiare, ma che non vale a diminuire, la loro gravità. Semmai ad ispessirne la portata. In uno Stato di diritto, ben inteso. E nulla autorizza ad attribuire ai magistrati di Salerno la barbara e demenziale intenzione di sottrarre i procedimenti al competente giudice naturale di Catanzaro, salva l’acquisizione di “copie” conformi degli atti de quibus, da sempre sollecitate.
Né da parte loro era mai stato sollevato il rituale conflitto di competenza. Nulla. Ragionevolmente esclusa la cieca ignoranza, non di un singolo, ma di un intero ufficio! Di processi alle intenzioni, d’altra parte, non si sente il bisogno ed è meglio lasciarli agli Stati-canaglia.
Una semplice osservazione può forse aiutare ad inquadrare correttamente la questione. Se nel corso di un’attività giurisdizionale uno o più magistrati distruggessero documenti od elementi di prova, la competente AG, intervenendo alla ricerca delle relative tracce documentali, di sicuro...interferirebbe. Con il delitto. Anche al fine d’impedire l’”aggravamento ulteriore delle sue conseguenze”, senza, peraltro, con ciò usurpare la competenza naturale in ordine a quella regiudicanda. Come da ampia casistica, oltre che da codice di rito.
Eccoci così giunti al punto più rilevante della determinazione conclusiva della S.C. Che sembra risiedere in una nobile preoccupazione per le sorti della Giurisdizione, messe a repentaglio da “risse” devastanti come quella in argomento. Ora, se esisteva un’alternativa all’operato dell’AG salernitana, quale poteva essere? L’astensione da ogni…interferenza. C’è del vero, in questa posizione, che suona quasi come un invito e un auspicio:in determinati casi, alla “rissa”, è preferibile la…pace.
Prima o poi sapremo anche…per chi.
E ancora, in tema di pace – in un paese fin troppo litigioso - viene in mente quella grande “summa” storico-culturale che è “Guerra e pace” di Tolstoj. Sotto un profilo singolare, però:la sua lunghezza è opportunamente inferiore al decreto di perquisizione e sequestro improvvidamente predisposto dei magistrati campani. 1.400 pagine, un macigno. Esagerati, è il meno che si possa dire. Alla S.C. ne sono bastate 63 per segnare il destino di questi magistrati, a salvaguardia delle “logiche della giurisdizione”. Quale obbrobrio, quel blaterare su fatti estranei alle “finalità” proprie dell’atto. Scrivendo tante pagine inutili, seppure con intento ipermotivante, anziché la consueta, succosa letterina della mamma, si sono dispersi – perdendosi - in sviluppi analitici “inconferenti” – si dice così? Hanno, cioè, mostrato di aver capito ben poco, quasi nulla. Del gioco. E delle sue regole. Di quelle non scritte, segnatamente.
Oppure del sonno del CSM, in (prolungata) fase REM notoriamente caratterizzata da attività onirica con allucinazioni e autorappresentazioni, la cui privazione provoca l'insorgenza rapida di sintomi ansiosi, e se protratta a lungo, di sintomi psicotici, come spunti di depersonalizzazione e di valenze paranoidi.
Il dirigente Apicella, in primis, ha inopinatamente rivelato un’”indole” tutta da rifare, con scarsa propensione alla “comprensione”, perciò finanche indegna della misura – provvisoria - del trasferimento. Rimozione, e non se ne parli più. Conformemente, i media non ne fanno più menzione. In fondo, che cosa c’è da aggiungere a quanto già era noto ed ora viene confermato, in scienza e coscienza, dal giudice supremo della Corte Regolatrice?
Da qui l’addebito di maggiore incisività:l’anzidetta prolissità “tecnico-redazionale” dei salernitani. Davvero imperdonabile agli occhi del censore (mal)cassante. Assai più del delitto medesimo, anche di quello associativo, istituzionale, spregiudicato e scatenato che sia. O dell’ipocrisia, ferocemente stigmatizzata – unica, vera colpa - dal Vangelo di nostro Signore Gesù Cristo. Da stroncare.
Non può che risultarne, di rigore, una sentenza della Cassazione traboccante di legittima suspicione:sospetti – perfino che il decreto incriminato sia opera autografa del De Magistris. Altro lavoro per Perugia, si suppone! – intenzioni, congetture, sfumature, ombre, etc.etc. Si conviene a un provvedimento “giurisdizionale” che si rispetti.
Nelle more, il CSM ha già (per una volta) tempestivamente provveduto ad affidare la direzione della Procura di Salerno ad altro, valoroso magistrato. Senza dannose perdite di tempo. E senza nemmeno attendere l’esito del ricorso in Cassazione del titolare dott. Apicella, sospeso in via cautelare. Non già destituito. Se la linguistica e la semantica, ancor prima che il diritto, conservano un senso.
D’altronde, che bisogno c’era di indugiare, dopo che il presidente dell’ANM aveva già anticipatamente decretato la “conclusione” della vicenda or sono sei mesi? Misteri della chiaro-veggenza.
Per una maggiore precisione. In caso di reintegro del procuratore Apicella, posto che l’ufficio del pm costituito presso il giudice penale di Salerno non avrebbe mai potuto essere retto da una diarchia, il neo nominato avrebbe dovuto far le valigie. Inconcepibile per chiunque, figurarsi per i dotti ermellini del Palazzaccio. Per fortuna, una mera ipotesi. Controfattuale. Carnevalesca. Sul piano della possibilità logico-giuridica, non si sarebbe mai potuta realizzare. E non si è realizzata. Alla S.C. il merito indiscutibile di avere scongiurato altre…”risse”, consacrando lo statu quo ante. L’universo della giurisdizione è finalmente pacificato, in un afflato struggente. Splendido esempio – e monito, soprattutto - per la vita pubblica del Belpaese. Illuminante risposta all’eterno dilemma del:che fare?
Ora lo sappiamo, con il crisma di un apice dello Stato. Mica di un pedice!
Soltanto un dubbio, se consentito. La materia esaminata ed “evasa” dalle sezioni unite civili è la medesima in precedenza delibata dal Tribunale penale di Salerno, che, però, è giunto a conclusioni diametralmente opposte. Prevalgono pulsioni extraprocessuali e la (conclamata) primazia della giurisdizione penale ne esce visibilmente incrinata, non diciamo sbriciolata. Tuttavia, l’altezza della posta in gioco, e il vitale interesse statuale di por fine alle “risse”, e di metterle al bando, debbono rasserenarci, e convincerci che il “bene” tutelato dev’essere apparso decisamente superiore a quelli sacrificati.
Dunque, diamoci…pace. Per l’appunto. Memori del monito - strategico, più che tattico - del grande discepolo di von Clausewitz, von Moltke:”Marciare divisi, colpire uniti”, mediante appropriate manovre di aggiramento sinergico e concentrico. Senza scontri frontali, la rete ferroviaria prussiana – a raggiera - lo consentiva. E’ l’incipit vittorioso del primo Reich. Cui seguirono il secondo e…il terzo. Non v’è dubbio che le sezioni civili della Cassazione siano state…unite.
Mentre scriviamo, continuano a giungere strane voci da Caltanissetta. Stragi di Stato, patti fra mafia e Stato, nomi di qualche vecchio, democraticissimo ministro dell’Interno…Che non si tratti delle “menti raffinatissime” lucidamente evocate da Falcone? A nostro sommesso avviso, bisognerebbe entrare subito in azione, incombono altre “risse”, altri “disastri”, ancora più virulenti di quella qui in discussione. Questa volta, sarà meglio muoversi per tempo, evitando di ripetere gli errori del caso De Magistris. Per la gioia, la tranquillità e la perpetuazione della Repubblica Costituzionale Materiale. E del popolo sovrano. Che rimane in attesa. Educatamente. Fiduciosamente.
Un giorno, si spera non troppo lontano, quando anche noi potremo chiamare davanti a un Parlamento vero - come gli USA davanti al Congresso - qualche alto magistrato, una brezza di senso accarezzerà il paese. Termini come:Resistenza, Costituzione, Diritto, Stato, Comunità, Democrazia, Libertà, Valore, Progresso, cominceranno a recuperare margini di significato. Ma chi più ne ha, più ne o-metta. A scanso di equivoci. E ingorghi. E “risse”.
Sarebbe un magnifico dizionario, da compulsare con i giovani. Spiegando loro: ”Vedete, cari, questo è un linguaggio vero, non una “lingua di legno”, la “langue du bois” dei totalitarismi, il linguaggio come potere, produzione, sistema di relazioni. Menzogne ossessivamente reiterate e imposte come verità”.
Vivremo, allora, entro una relazione di reciproca coniugazione e corrispondenza biunivoca fra parole e cose, concetti e realtà. Infine affrancati dalla tetra previsione orwelliana:la pratica perversa e proterva della cancellazione dal lessico di significanti autentici come strategia politico-statuale di svuotamento, trasfigurazione e sostituzione del reale. Che ha funzionato. Funziona ancora.
Come nel celebre dialogo di Borges fra il democratico vincitore:"Vi abbiamo sconfitti" e il nazista vinto:"No, abbiamo vinto noi. Perché vi abbiamo resi come noi". Secondo autorevoli storici, questi sono ancora problemi del presente, saranno ancora problemi del futuro.