venerdì 12 marzo 2010

La difesa della riservatezza non è nel codice di procedura penale.



di Nicola Saracino
(Magistrato)




dalla pagina di Radiocarcere sul Riformista del 10 marzo 2010

Ci risiamo, vien da pensare. Ecco che, ancora una volta, una complessa inchiesta penale dà luogo alla diffusione di notizie attinenti alla sfera privata delle persone coinvolte, a vario titolo, negli accertamenti.

Si tratta, in taluni casi, di fatti che sicuramente nulla hanno a che vedere con i reati sui quali si indaga tanto che, nella prospettiva di un eventuale dibattimento, c’è da credere che né il PM né i difensori se ne avvarranno per sostenere le rispettive tesi.

Queste notizie denunciano immediatamente e senza possibilità di equivoco la loro “non pertinenza” rispetto all’oggetto della verifica, sebbene siano raccolte agli atti del procedimento penale. Ciò avviene perché taluni strumenti d’indagine, come ad esempio le intercettazioni telefoniche, non si prestano ad un preventivo filtro tarato sulla pertinenza dei dati acquisibili.

Diversamente da quel che avviene nell’interrogatorio o nell’esame di un testimone, attività controllate direttamente dall’inquirente che pone domande “mirate” all’accertamento del reato e ad esso pertinenti, quando si intercetta lo si fa per captare notizie utili alle indagini pur sapendo anticipatamente che molte delle conversazioni risulteranno irrilevanti ed inutili. Eppure la legge ne impone la documentazione a futura memoria, non consentendo che il PM ne effettui unilateralmente la scrematura, prima che la difesa ne abbia conoscenza, momento che segna la fine della loro segretezza.

Ecco il motivo per il quale queste notizie, sovente debordanti rispetto al tema penale, diventano di dominio pubblico provocando reazioni tendenti a mettere in discussione la stessa sopravvivenza dello strumento delle intercettazioni, anziché a correggere l’abuso della loro pubblicazione, quando essa appaia scorretta.

L’equilibrio tra i valori in gioco è delicato: si tratta di stabilire il confine tra interessi di pari rango, venendo in considerazione quello alla riservatezza della persona ed il diritto di cronaca.

L’equivoco nel quale sino ad oggi sono incorsi molti commentatori è stato quello di volere, quasi ostinatamente, rintracciare la tutela del diritto alla riservatezza del privato nel codice di procedura penale, quando in realtà esso persegue l’esclusivo obiettivo della protezione delle indagini finché esse devono rimanere segrete.

Il segreto delle indagini è, cioè, un segreto “contro” l’indagato, non a suo favore; né la sua violazione è punita in vista della tutela dei terzi.

La privacy è protetta da “altre” norme, dislocate nella Costituzione, nelle fonti sovranazionali, nel codice civile, ma non in quello di procedura penale, se non marginalmente.

La liceità della pubblicazione di una notizia che tocca la sfera privata della persona non si misura, cioè, in base alla sua provenienza, risultando del tutto indifferente che il giornalista l’abbia appresa leggendo (legittimamente) gli atti non più segreti di un’indagine penale, piuttosto che raccogliendo le confidenze di una sua fonte.

Essa si stabilisce in base a criteri che valgono indistintamente, quale che sia l’origine del dato oggetto di diffusione, costituiti dall’interesse del pubblico alla conoscenza della notizia, dalla sua rappresentazione veritiera, dal controllo delle fonti, dalla continenza delle espressioni adoperate per esporla.


8 commenti:

Vittorio Ferraro ha detto...

Condivido pienamente quanto scritto dal dott. Saracino.

Riporto un passo del prof. Rodotà:
"la tutela dei dati personali non recide il legame sociale, nè uccide la trasparenza, ma si presenta come il luogo di un difficile equilibrio sempre da verificare, tra valori diversi".

SEMPRE DA VERIFICARE...

Questo equilibrio, tra il diritto alla riservatezza e il diritto di cronaca, il legislatore lo ha trovato redigendo e pubblicando, nel 2004, il codice sulla protezione dei dati personale, e nello specifico, nelle disposizioni generali.

Anonimo ha detto...

Giustissime osservazioni che però non tengono conto del fenomeno più grave che spesso ci troviamo di fronte ovverosia la "fuga di notizie" che certamente viola il segreto dell'indagine oltre che il diritto dell'indagato di conoscere direttemante dagli organi preposti cosa gli stia capitando anziché dagli organi di stampa! e sinceramente non ricordo un caso di condanna per queste violente ed inaccettabili vicende. Ricordo solo di fascicoli aperti "contro ignoti". Cordialmente Gianluca.

Anonimo ha detto...

Certo Giuanluca concordo pienamente mai una condanna mai una persona ha pagato per le violenze "a riguardo" fatte.

Unknown ha detto...

Che c'entra il segreto istruttorio con la violazione della privacy?

A quanto ne so un fascicolo viene aperto a seguito di notizia di reato e viene giustamente, giorno dopo giorno, riempito di rapporti, intercettazioni,analisi vere e sbagliate. Il fascicolo diventa un faldone bello grosso.
Quando il PM riteine di avere tutte le prove rinvia a giudizio. Qui, ovviamnete cessa il segreto e le carte diventano pubbliche.

E' ovvio e gisto che l'avvocato difensore pretenda tutto ciò che ha raccolto il PM, per mettersi alla pari.
Il PM non può e non deve far sparire carte a suo giudizio irrilevante.

Qui entra in scena il giornalista.
Un buon giornalista userà quelle carte per arrivare ad uno scoop. un buon giornalista si bea di di controllare le mutande.

Ma quando parliamo di mutande?
Un maresciallo dei CC che si fa pagare un "massaggio" dal pregiudicato ai domiciliairi (controllato/controllore) sono mutande o fatti importanti?
(Anche se non espressamente reato l'intercettazione può rafforzare le altre prove).

E quindi: come fare?

Anonimo ha detto...

Per Gala:
si discuteva di cosa c'è e cosa non c'è nei codici; di sicuro non è consentita la propalazione degli atti di indagine prima che diventino pubblici; è curioso questo fatto:si riconosce (giustamente) il merito a chi ha coordinato le indagini tanto da farsi anche conferenze stampa mentre non si arriva mai a sapere chi viola il segreto istruttorio. Cordialmente Gianluca

Unknown ha detto...

Le conferenze stampa del PM che ha concluso le indagini, quando c'è il rinvio a giudizio, è una sequela di frasi scontate e prefabbricate.
Dice sempre che può ha concluso le indagini e che ha proce inequivocabili. Poi entra in scena l'avvocato che è convinto dell'innocenza dell'imputato.
Non dice mai che è sicuro di smontare pezzo per pezzo le prove ma di essere sicuro dell'innocenza...bla..bla..bla..

Tornando in argomento: Oggi le intercettazioni sono informatizzate, quindi computer, quindi possibilità di password, magari tripla, con ora di accesso ecc..ecc..
E' evidente che c'è una falla nel sistema.
Che facciamo? Invece di mettere un programma password (e altri filtri idonei) proibiamo le intercettazioni?

Il problema comunque rimane. le intercettazioni (tutte) a disposzione della stampa. Come rimediare?

Una ipotesi:
Per le intercettazioni, sono quelle che veramente intaccano la privacu di persone estranne, rimangono riservate fino a che non le ha visionate la difesa ( Il PM già le conosce).
Diverrano atti pubblici solo quelli che il PM e la difesa (sicuramente tanti stralci sono diversi)useranno in aula.

E' un sistema valido?

Anonimo ha detto...

Scusatemi se mi intrometto ma per me le mie intercettazioni sia io personaggio pubblico o semplice cittadino verranno pubblicate solo a mia condanna.Non vedo altro sistema,perche non vedo l'utilità investigativa nella pubblicazione delle stesse ma vedo solo business mediatico.

La Redazione ha detto...

La sua è una delle possibili opzioni.

Che comporta una scelta tra valori talora in conflitto, come quello alla riservatezza ed il diritto di informare e di essere informati.

E' una questione "politica" che deve essere risolta dal Parlamento, nel rispetto della Costituzione che tutela entrambi i valori.