sabato 27 marzo 2010

“Qui tam pro domino rege”. Riflessioni sul licenziamento della dr Rosa Grazia Arcifa



Con riferimento alla vicenda del licenziamento dalla Agenzia delle Entrate della dr Rosa Grazia Arcifa per dei commenti scritti sul nostro blog, di cui diamo notizia nel post che si trova a questo link, riportiamo uno scritto di menici60D15.




di menici60D15



Esprimo solidarietà alla dr Arcifa per il licenziamento censorio.

L’opposizione intellettuale e politica agli abusi e alle sopraffazioni del potere può riguardare situazioni e circostanze molto diverse, e suscitare reazioni altrettanto diverse, a seconda di come si colloca rispetto al gioco degli interessi.

In medicina, ad un estremo sta il caso dei medici che sostenevano il progetto di Allende, medico anch’egli, di ridurre la farmacopea nazionale a poche dozzine di farmaci, e di ridurre i consumi e le importazioni di farmaci.

Furono fatti assassinare nel 1973, pochi giorni dopo l’Undici settembre cileno, voluto dagli USA.

In Italia si dovrebbe parlare di diversi casi della stessa matrice; es. quello di Domenico Marotta, padre nel dopoguerra dell’Istituto superiore di sanità, fatto mettere in cella ottantenne da PM che poi risultarono legati alla P2 e alla mafia; il Nobel Bovet lo definì “un integerrimo grand commis de l’Etat”.

Marotta aveva infranto il monopolio anglo-americano sulla penicillina chiamando il Nobel inglese Ernst Chain a lavorare per l’Italia.

Oggi l’ISS è un gran commesso di quegli interessi che Marotta offese (Pansera F. Michael Stern e l’eziopatogenesi della demenza senile, 2007. Relazione a Casarrubea, Dino, Scarlata, Scarpinato, Paci, Tranfaglia).

All’altro estremo, in USA c’è una legge che tutela i “whistleblowers” – come vengono chiamati gli autori di questo genere di denunce – che svelano frodi ai danni dello Stato; legge detta anche “Qui tam”, abbreviazione dell’interessante espressione “Qui tam pro domino rege quam pro se ipso in hac parte sequitur”: “Colui che si fa parte in causa sia per il re che per sé stesso”.

La legge prevede che denunciando una frode ai danni dello Stato si abbia diritto a una ricompensa.

Nel 2009 Kopchinski, un ex informatore farmaceutico della Pfizer, attualmente la maggiore casa farmaceutica al mondo, dopo essere stato licenziato ha ricevuto dallo Stato decine di milioni di dollari per avere denunciato che la ditta promuoveva l’uso “off-label”, cioè al di fuori delle indicazioni per le quali era stato approvato, di un antidolorifico (la legge USA consente prescrizioni off-label ai medici, ma non consente alle case farmaceutiche attività di marketing per indicazioni off-label).

La British medical association nel 2009 ha invitato i suoi membri a denunciare irregolarità quanto prima, e ha istituito un servizio di supporto dedicato per i whistle-blowers.

Riguardo alla necessità di procedere per via gerarchica e istituzionale nel denunciare un danno o un pericolo al pubblico, ciò appare la via da seguire se ci si imbatte in problemi di tipo colposo.

Va meno bene per le frodi o altri illeciti commessi consapevolmente da superiori, e può essere un suicidio per situazioni che sono profondamente radicate nel sistema, istituzionalizzate e che muovono interessi di grande portata.

Il fisico australiano Brian Martin, che ha studiato sul piano accademico la soppressione del dissenso nella ricerca, nei suoi consigli ai ricercatori dissidenti osserva che questi hanno in genere una forte fiducia nelle istituzioni e pertanto una tendenza a usare procedure ufficiali; in base alla casistica che ha raccolto, esprime scetticismo sull’efficacia del rivolgersi ai canali ufficiali, che vede come disegnati dal potere, e in genere ad esso asserviti; inclusa la magistratura. Invita quindi ad essere “wary” dei canali che noi chiamiamo istituzionali.

In uno studio su 35 “whistleblowers” (Lennane KJ. “Whisleblowing”: a health issue. British medical journal, 11 set 1993) tutti i soggetti avevano cominciato sollevando il problema all’interno delle organizzazioni delle quali facevano parte; comportamento che nella quasi totalità dei casi ha portato a subire persecuzioni e pesanti colpi.

Lo studio espone i vari trattamenti ai quali si viene sottoposti quando si fanno queste denunce, e i conseguenti danni economici, psicologici, morali e fisici.

Considera anche il profilo psicologico dei “suonatori di fischietto”, che tra i vari rischi corrono anche quello di venire patologizzati sul piano psichiatrico.

Mentre non sono emerse personalità inusuali, in quasi metà dei casi è risultato un profilo del tipo “sensing, thinking, perceiving” (contro il 12% della popolazione generale).

I “whistlebowers” dunque non andrebbero visti a priori né come eroi né come disturbati mentali.

La risposta ai dubbi su di loro e sul loro operato andrebbe cercata, come al solito, partendo dal merito delle questioni che sollevano, volontariamente con le loro denunce; o che sollevano involontariamente, con altre iniziative; spesso convinti di stare semplicemente servendo il re, cioè i princìpi del bene comune.




2 commenti:

Rosa Grazia Arcifa ha detto...

Ho sempre creduto che ognuno è responsabile per ciò che dice e fa e corresponsabile di ciò che lascia dire e fare agli altri, per questo il pubblico impiego merita l’Amministrazione che ha.
Nell'esporre e contrastare alcune storture istituzionali, derivate da procedure sbagliate o dalla stoltezza di singoli soggetti interni, i cui comportamenti procuravano danni irreparabili al contribuente o alla stessa P.A., io non ho perseguito alcun interesse privato, né mio né di terzi, ma ho agito unicamente nell'interesse pubblico. Le mie denunce erano rivolte a favorire un maggior rispetto della legge. Non vi può essere danno per l'immagine di un'Istituzione quando da parte dei dipendenti si riconoscono e si discutono i problemi gestionali e organizzativi della stessa, si denunciano reati o irregolarità interne; vi sarebbe danno invece ove emergesse la presenza nelle Istituzioni di comportamenti illegali, immorali, o lesivi dei principi costituzionali.
Io ho sempre evitato situazioni e comportamenti che avrebbero potuto nuocere agli interessi della P.A., ma l'Agenzia delle Entrate ha preferito difendere gli interessi di alcuni dipendenti e di alcuni cittadini loro amici.
Il dovere di riservatezza, di cui parlano spesso, non va riferito alla soppressione dei diritti sanciti dall'articolo 21 della Costituzione, ma va riferito ai nominativi sia dei contribuenti che dei funzionari. Non mi sembra di aver fatto nomi nei miei commenti.
Quanto all'immagine pubblica, alla quale non bisogna nuocere, la norma prescrive al dipendente pubblico di non disonorare le istituzioni con comportamenti disdicevoli, credevo che la concussione e il peculato rientrassero tra questi comportamenti, invece devo dedurre dal mio licenziamento che comportamento disdicevole è non coprire con il silenzio le irregolarità dalla vista dei contribuenti e della pubblica opinione, insomma bisogna “tacere ed obbedire”.
Alla luce dei fatti dovrei dire: “adesso basta, ora si passa ai nomi e cognomi anche perché non ho nulla da nascondere e poi non sono io che devo aver paura per non aver commesso irregolarità, sono loro che devono tremare per quello che hanno fatto e continuano a fare”.
Infatti è stato fatto di tutto per rovinare la mia vita e quella della mia famiglia.
Potrei citare la vergognosa comminazione della più grave delle sanzioni disciplinari prima del licenziamento consistente nella sospensione per tanti mesi dal servizio e dalla retribuzione con l’accusa infamante dello scarso rendimento perché mi si obbligava a lavorare senza assegnazioni scritte in modo da potermi incolpare di scarso rendimento per il proprio interesse.
Riguardo l’inaffidabilità della magistratura di cui mi parlano tanti conoscenti,voglio avere fiducia, anche se è vero che ci sono sentenze stravolte tra il primo grado ed il secondo grado e i fatti non erano cambiati.
Sono andata in causa perchè sono convinta di avere ragione e i fatti lo dimostrano.
I giudici servono a far rispettare le regole e in Italia purtroppo il rispetto delle regole è pochissimo diffuso e quindi il ruolo della magistratura finisce con l'essere per necessità di cose molto rilevante. Chi non rispetta le regole è in genere chi ritiene di poterselo permettere: dunque quello che conta sull'impunità e sul successo delle sue prevaricazioni.
L'amministrazione della giustizia deve servire a coloro che non hanno i mezzi a procurarsi da se ciò a cui hanno diritto, oppure, come nel mio caso, a non vedersi strappato via quello a cui hanno diritto e il ricorso al giudice del lavoro è l'unico strumento che si ha per riottenere ciò che è dovuto.
Io non mi lamento delle conseguenze della scelta di aver scritto in questo blog, lo rifaccio e lo rifarò ancora perché la dignità e la liberà non hanno prezzo.

menici60d15 ha detto...

Prendo spunto dal commento della dr.sa Arcifa per proseguire la riflessione sul mio sito, col commento "Il ladro e il viandante".

menici60d15.wordpress.com