mercoledì 19 maggio 2010

G8 di Genova: condannati i vertici della polizia

Diaz, condannati i vertici della polizia. L’appello ribalta sentenza di primo grado.

Condanne per un totale di 85 anni di carcere a 25 dei 27 imputati. Tra loro tutti i massimi esponenti delle forze dell’ordine. Nel primo grado di giudizio, nel 2008, erano stati assolti in 16.



da Repubblica.it del 18 maggio 2010


Genova - I giudici della Terza sezione della Corte d’Appello di Genova hanno ribaltato la sentenza di primo grado per i disordini e l’irruzione alla scuola Diaz del luglio 2001 a Genova. Tutti i vertici della polizia che erano stati assolti hanno subito condanne comprese tra 3 anni e 8 mesi e 4 anni unitamente all’interdizione dai pubblici uffici per 5 anni. Nel complesso le pene superano gli 85 anni. In totale sono stati condannati 25 imputati sui 27.

Il capo dell’anticrimine Francesco Gratteri è stato condannato a quattro anni, l’ex comandante del primo reparto mobile di Roma Vincenzo Canterini a cinque anni, l’ex vicedirettore dell’Ucigos Giovanni Luperi (oggi all’Agenzia per le informazioni e la sicurezza interna) a quattro anni, l’ex dirigente della Digos di Genova Spartaco Mortola (ora vicequestore vicario a Torino) a tre anni e otto mesi, l’ex vicecapo dello Sco Gilberto Caldarozzi a tre anni e otto mesi.

Altri due dirigenti della Polizia, Pietro Troiani e Michele Burgio, accusati di aver portato le molotov nella scuola, sono stati condannati a tre anni e nove mesi.

Non sono stati dichiarati prescritti i falsi ideologici e alcuni episodi di lesioni gravi.

Sono invece stati dichiarati prescritti i reati di lesioni lievi, calunnie e arresti illegali.

Per i 13 poliziotti condannati in primo grado le pene sono state inasprite.

Il procuratore generale, Pio Macchiavello, aveva chiesto oltre 110 anni di reclusione per i 27 imputati.

In primo grado furono condannati 13 imputati e ne furono assolti 16, tutti i vertici della catena di comando.

I pubblici ministeri Enrico Zucca e Francesco Cardona Albini avevano chiesto in primo grado 29 condanne per un ammontare complessivo di 109 anni e nove mesi di carcere.

In primo grado furono assolti Francesco Gratteri, ex direttore dello Sco e oggi capo dell’Antiterrorismo, Giovanni Luperi; Gilberto Caldarozzi e Spartaco Mortola.



4 commenti:

siu ha detto...

Da quando ieri sera l'ho saputo, sto davvero un po' meglio. Perchè se c'è un giudice, a Berlino, ce n'è forse uno anche a Genova.
Giornata di ribaltamenti, ieri. Con Sanguineti, uomo giovanissimo e lontanto anni luce dall'idea di morire, ma che quando proprio... diceva che avrebbe voluto uno o due giorni per prendere coscientemente atto, che la morte stava arrivando. E invece è morto sotto i ferri. Lasciando un vuoto che non avrei immaginato così cocente.
E poi questa sentenza d'appello, inimmaginabile per pessimismo, tanto, quanto la scomparsa di Sanguineti lo era per ottimismo. Comunque fondamentale, prezioso spiraglio di possibile speranza per un ritorno alla legalità e alla civiltà in questo Paese.

Besugo ha detto...

Un vecchio genovese come me, prende atto del prezioso lavoro svolto dall’intemerato magistrato Pio Macchiavello. Il procuratore Pio Macchiavello, al processo d’appello, ha concluso la sua arringa con adeguate richieste di pena per i protagonisti di una delle pagine più nere nella storia della Polizia di Stato.
Una ondata di inaudita e feroce violenza investì all’epoca poveri cittadini inermi, perlopiù pacifici manifestanti, che solo per miracolo scamparono ad una morte atroce ed inspiegabile (tranne uno: C. Giuliani).

Besugo ha detto...

Vedo le due righe di notizia negli sms del “Corriere della Sera” sul telefonino e scopro, nel leggere quel brevissimo flash (“È morto nella clinica di Genova Villa Scassi il poeta e scrittore Edoardo Sanguineti.
L’intellettuale aveva 79 anni”) un
senso disturbante di irrealtà.
A un certo punto della vita capita spesso (esito a dire “sempre più spesso”) di dover ricordare con dolore e rimpianto qualcuno, qualcuna che a un certo punto hai affiancato o ti ha affiancato nella vita. Come i missili terra-aria, vai a cercare il calore di momenti, fatti, situazioni, cose dette, cose scritte, lampi di memoria.
Qui è diverso. Sanguineti era il mio compagno di banco al liceo D’Azeglio a Torino.
Insieme conducevamo una nostra battaglia contro il professore di greco, fresco di Salò e non in vena di pentimenti. E abbiamo dato
vita a un nostro “giorno della memoria” in classe con il prof. Vigliani (letteratura italiana
e CLN). Torino era stata straziata dalle leggi razziali. E quasi tutta la classe ci seguiva.
Però una delle ragioni di tanto seguito non era la passione morale e politica. Sia lui che io passavamo i compiti in classe con la tecnica di lavorare veloci e poi far girare le copie. Ma se il compito era di matematica,
copiavo anch’io, perché – di noi – S a nguineti era il solo ad avere il doppio talento, e a risolvere le equazioni con la stessa rapidità
impeccabile della traduzione in latino. C’era questo di strano e di unico. A 15 anni ci trattavamo con stima, come due colleghi di una strana, inesistente accademia.
Io ero letteralmente felice della sua stima. Sentimento strano, fra adolescenti, più da Vienna 1930 che da Torino 1946, più da Musil che da Pavese (nostro comune
riferimento in quegli anni). Non c’era mai niente di detto. Ma se organizzavo, lui veniva, e allora sapevo di aver fatto la cosa
giusta. In seguito, Sanguineti ne ha scritto varie volte in articoli e in un libro: il nostro
primo circolo culturale lo abbiamo fatto in casa mia.
Mia madre aveva sgombrato per noi una stanza, lasciando un divano, un tavolo e molte sedie (allora, tranne che in gita, i ragazzi non si sedevano per terra, non se erano ospiti di una casa).
Parlavamo sempre di politica, ma sempre Sottoforma di libri.
Era lui a parlare di poesia (Auden, Neruda)
come se fosse una normale pratica
quotidiana.
Non c’erano orari e nessuno andava mai via. Ci premeva il disprezzo per tutto ciò che era celebrato al momento. Ci premeva finire la discussione che non finiva mai. Certo, eravamo privilegiati. Eravamo all’inizio di un’epoca.
Una mattina di primavera o d’inizio estate (faceva caldo) Sanguineti non era in classe,
e questo non succedeva mai. Il giorno dopo non c’era. Sono riuscito a sapere da un
bidello: “Mah, gli è morta la madre, così, l’altra notte. Voi ragazzi queste cose non le sapete; ma succedono, sai?”.
Ho deciso di andare, senza chiedere i permessi dovuti. La portinaia mi ha fermato.
Vedendo l’età ha capito e ha detto: “Il tuo compagno è andato in chiesa”. Ha indicato la strada. Sono andato di corsa, nella mattina
di sole, come se temessi di fare tardi.
Era una chiesa grande, finto antica, vuota. Il contrasto di luce mi faceva vedere buio. Poi,
nel buio, lontana, davanti all’altare, ho visto la bara. E ho visto Sanguineti davanti alla
bara. Solo. Non c’era nessuno. Sono rimasto lontano anche quando è venuto il prete.
E lui, da lontano, alla fine, ha accennato un saluto. A scuola ho dato io l’annuncio. Lui non ha voluto parlarne.
Tutto il resto della sua vita è pubblico, è noto, è l’affermarsi di un poeta e di un maestro che ha lasciato la sua impronta nel
secolo. Fa parte di quel gruppo, “I Novissimi”, che hanno segnato un prima e un dopo nella poesia italiana. Quel gruppo è stato l’anima del Gruppo ’63.
In quel gruppo ci siamo trovati di nuovo insieme, per anni, ogni volta che il gruppo si riuniva. Eravamo insieme nel giornale del
gruppo “Quindici”.
Abbiamo continuato a chiamarci per cognome, come a scuola (quella scuola dell’altro secolo), fino all’ultimo incontro, due anni
fa.
di Furio Colombo

Anonimo ha detto...

So di essere cinico ma bisogna guardare la realta delle cose.In quella manifestazione ci sono state delle responsabilità (mi permetto di dire organizzative e di coordinamento) per questo varie persone appartenenti alle forze dell'ordine sono state indagate poi giudicate secondo i riti previsti.Ma da qui a dire che gli oppositori siano martiri bhè non lo accetto anche perche i fatti più o meno sono noti a tutti.Che si sia evitata una mattanza mi sembra fuori luogo e totalmente esagerata in questo povero paese sia chiaro chi fa il poliziotto paga in prima persona non solo per il suo operato ma anche per tutto quello che comporta il lavoro stesso (mi riferisco ad indagini contro la malavita dove rischiano grosso)e tutto per una modica retribuzione.A volte non pensiamo ne giudichiamo le mere attività investigative di questa o quella prucura che lasciano sgomento nelle sentenze e ancor di più sete di vendetta (eppure le retribuzioni non sono male)per concludere chi ha sbagliato pagherà come è giusto che sia ma questo dovrebbe essere per tutti cosi come dice la legge (uguale per tutti)