giovedì 18 novembre 2010

Giustizia: dietro le sbarre … “al sicuro”




di Sebastiano Ardita
(Magistrato. Direttore Generale della Direzione Generale dei Detenuti e del Trattamento del Ministero della Giustizia)


da Casablanca dell’11 novembre 2010


La conoscenza dell’universo penitenziario, con le sue contraddizioni ed i suoi limiti strutturali, potrebbe essere oggi una buona opportunità per misurare lo stato di attuazione delle politiche penali della nostra Nazione, e non solo di esse.

Avvolto nel mistero di fitte mura che poco o niente hanno lasciato intravedere dal di dentro, nell’immaginario della gente lo strumento del carcere è stato ritenuto per anni l’unica possibile risposta ai tanti crimini che abbiamo visto raccontati dalle cronache; ma, al tempo stesso, anche un luogo di rimozione del male e di chi lo ha compiuto.

La sua storia, i problemi di chi vi opera, persino le sue regole appaiono tutt’oggi sconosciute ai più.

E dunque anche la sua funzione è tuttora prigioniera di un mito: quello della sicurezza che è garantita ai cittadini dal fatto che i cattivi stiano al sicuro, separati dai cittadini onesti, e messi nell’impossibilità di compiere ancora del male.

La fotografia del carcere di oggi è ben diversa da questa rappresentazione convenzionale.

È vero che all’interno vi sono tante persone pericolose, e che una parte di queste stanno lì ad espiare pene lunghe.

Ma è pur vero che tra i quasi 70.000 detenuti ve ne sono oltre un terzo di origine extracomunitaria.

Una buona parte sono poveri veri. Nel senso che non solo non possono permettersi di avere un motorino o di andare al cinema, ma in certi casi hanno il problema di trovare qualcosa da mangiare o non sanno cosa sia un medico.

Una quota di questi inoltre non sono esattamente dei criminali – anche se hanno violato la legge penale – ed anzi avrebbero avuto anche l’intenzione di lavorare, se fosse stata loro concessa una qualche opportunità.

Aggiungiamo poi che tra i detenuti il 20% soffre a vario grado di disturbi mentali e che un quarto è rappresentato da tossicodipendenti.

Ma vi è un’altra importante questione. Il carcere come luogo di detenzione stabile, come posto in cui si entra e si paga per le proprie colpe è poco meno che un’utopia.

Da uno studio che ho commissionato nel 2007 è emerso che il 30% delle persone arrestate e condotte nei penitenziari ritrovano la libertà dopo appena 3 giorni. E addirittura il 60% vi rimane per meno di un mese.

Rispetto a questi dunque la detenzione, per la sua brevità, non è in grado di offrire offre né sicurezza per i cittadini, né trattamento rieducativo ai reclusi.

Unendo i due dati ne consegue che, insieme a criminali pericolosi, anche una massa di poveri e disadattati entra in carcere e vi transita per qualche giorno. Affolla le strutture e rischia di essere reclutato dalla criminalità organizzata. Tra questi sventurati alcuni, già sofferenti per gravi disagi, si tolgono la vita. Spesso nei primi giorni di detenzione.

Cosa viene da pensare leggendo questi dati? Innanzitutto che il nostro sistema penale nel complesso non funziona. Ma è solo un eufemismo.

Potremmo anche dire che è sull’orlo del collasso, perché determina il fallimento di una grande parte delle sue intraprese e dunque non offre un servizio utile.

Per fare un paragone è come se nel sistema scolastico il 60% dei giovani abbandonassero la scuola. Se nel sistema sanitario il 60% dei ricoveri finissero col decesso del paziente.

La seconda considerazione è che ciò che manca è una regia complessiva nel sistema penale, non solo politica ma anche giudiziaria, che parta dalla osservazione di quante e quali detenzioni esso produce, e per quanto tempo, ossia si ponga la questione dei concreti risultati che riesce a realizzare.

La terza osservazione è che gli operatori penitenziari sono i soggetti più produttivi tra tutti gli operatori penali, se non altro perché, intervenendo nell’ultimo segmento, sono chiamati a uno sforzo sovraumano per correggere le storture generate dalle altre parti del sistema: impedire il suicidio dei disperati, accogliere poveri e malati di hiv offrendo loro un lavoro o un altro interesse per vivere, interpretare il linguaggio e le problematiche degli stranieri.

Si perché sino a quando sarà vigente questa Costituzione, in carcere più che in ogni altro luogo sarà impossibile ogni discriminazione di “razza, sesso, lingua e religione”.

Per non dire della necessità di applicare con rigore le regole nei confronti di quanto hanno cercato di affermare la loro prevaricazione anche dentro gli istituti di pena: mafiosi ed esponenti di altri poteri criminali.

Solo conoscendo questo mondo è possibile comprendere il compito che l’istituzione penitenziaria è chiamata a svolgere, e concepire il carcere come laboratorio antirazzista, come estrema frontiera dello stato sociale, ad un tempo come luogo di offesa e di riparazione dei valori della nostra Costituzione. E dunque, inevitabilmente, come spazio apolitico, anti ideologico, da tenere al riparo dalle spaccature che si sono determinate nella Nazione. Un luogo dove la sofferenza predomina, e dove la dignità dell’uomo deve affermarsi prima ancora dei suoi bisogni individuali. Dove gli operatori condividono il disagio coi detenuti e pagano sulla loro pelle il loro impegno in un ambiente estremo.

Dove la malattia, la sofferenza, e persino il suicidio finiscono per accomunare i carcerati e quelli che ingenerosamente da qualcuno vengono ancora ritenuti i carcerieri.

Non occuparsi del carcere è sprecare una occasione per conoscere lo stato di salute della nostra democrazia.

Una occasione perduta, non solo per la società, ma anche per tanti addetti ai lavori del sistema giustizia che questo mondo non lo conoscono per niente.

E tutto ciò mentre tanti benpensanti ritengono che tutti i cattivi stiano bene e stabilmente lì: al sicuro dietro le sbarre.



25 commenti:

LUIGI A. MORSELLO ha detto...
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
Besugo ha detto...

Quel poco che credo di aver capito in materia di giustizia, mi suggerisce di
asserire che la legge è uguale (solo) per i potenti. Quando un sig. nessuno si rivolge alla giustizia per far valere le sue ragioni avverso un potente prepotente, spesso accade che nonostante sentenze a lui favorevoli nei due gradi di giudizio, il potente prepotente, ricorrerà in cassazione, ove i massimi esponenti della corte suprema, a causa di ineccepibili cavilli procedurali, riformeranno regolarmente la sentenza e tutto ricomincerà daccapo.
Il sig. nessuno, cavalcando la tigre della giustizia, quando sarà costretto a scendere, verrà sbranato ipso facto, ovvero, dilapiderà i suoi risparmi e finirà come Pinocchio in prigione.


Motivazioni Sentenza dellutri

C.V.D

francesco Grasso ha detto...

Rilevante,soprattutto sotto il profilo dell'umantà,è l'intervento del dott. Ardita.
Una vera e significativa riforma dell'istituto penitenziario è oggi necessaria.
A mio parere ,sarebbe utile la edificazione di nuovi istituti di pena ,ampi ,in grado di dare l'occasione ai detenuti di svolgere lavori, soprattutto dove è possibile sfruttare l'estro e le capacità di tanti di essi,opere di artigianato importanti quali il ferrobattuto ,il lavoro artistico della pietra ecc.
La possibilità di frequentare anche persone non recluse.
Molto importante l'incremento della reclusione domiciliare e l'incremento del lavoro.
Soprattutto una differenzazione tra gli elementi pericolosi e quelli che non lo sono,che mai dovrebbero convivere e subire la medesima severità di reclusione, che deve rimanere la più severa, per quelli che non vogliono in nessun caso, sentire le ragioni dell'umanità..

Anonimo ha detto...

Per Francesco Grasso:
Il nostro futuro è il condizionale.
Hanno sprecato ogni risorsa, edificato carceri mai utilizzate e ormai in rovina.
Il fine non è mai stato il buon funzionalento ma il funzionale a qualcuno.
Le carceri e la giustizia civile. Nelle prime marciscono esseri umani e nella seconda marciscono le aspettative di esseri umani.
Nè cittadini, nè sudditi, nessuno.
Alessandra

Unknown ha detto...

Per non saper leggere e scrivere.

Non tutti i detenuti sono socialmente pericolosi per cui non tutti gli istituti di pena deve essere uguali, un ragioniere che ha messo le mani nella marmellata non è un boss mafioso e buon ben essere recluso in un istituto di minimo sicurezza risparmiando così sul personale di custodia ed in generale sull'edifico. per soggetti del genere basta una rete metallica alta un metro a delimitare il confine carcerario, e nello stesso carcere possono essere spostati i reclusi cui manca poco alla libertà.
Se aggiungiamo anche l'orto ed il pollaio, inteso come proprio orto e pollaio, si raggiunge quasi l'autosufficienza.

Traduco: un carcere di minima sicurezza può, nella sua costruzione e getsione costare pochissimo devolvendo le spese ad altro. Vi pare poco?

Anonimo ha detto...

Il Direttore Generale dott. Ardita è uno di quei tanti magistrati (dal Capo di Gabinetto, ai capi Dipartimento etc.) che ricoprono (quasi tutte le) posizioni dirigenziali apicali all'interno del Ministero della Giustizia, che ha a capo il ministro Alfano. A tali posizioni non si arriva solo per competenza, senza un atto di fiducia politica.

Può dirci dunque il cons. Ardita (dal momento che il nuovo logo del sito Giustizia.it è "percorsi chiari e trasparenti, un tuo diritto") in base a quali specifiche competenze, e a seguito di quali trasparenti percorsi di valutazione comparativa con altri Magistrati e dirigenti amministrativi, è diventato Direttore Generale?

Domando ciò anche alla luce del fatto che non rinvengo (come mai?) il suo CV sul sito del Ministero, dove dovrebbe essere pubblicato per obbligo di legge insieme alla sua retribuzione.

Sicuro di una cortese e sollecita risposta, e nell'attesa e nella speranza che questo sito indaghi col necessario mordente su tante fulgide carriere di magistrati all'ombra dell'onorevole Ministro pro-tempore, ringrazio distintamente sin d'ora.


Giordano Bruno

LUIGI A. MORSELLO ha detto...
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
Anonimo ha detto...

Senza entrare nel merito di quanto esposto dal Sig Giordano Bruno, ho un pò curiosato sul sito del Ministero della Giustizia. Il dottor Ardita non appare effettivamente nel primo elenco, ma appare nell'elenco delle persone, con le sue funzioni e indirizzi.
Il primo elenco e il secondo (persone) non coincidono in alcuna maniera e i non addetti non sanno spiegarsi nè le coincidenze, nè le discordanze.

Per quel che riguarda il primo elenco è vero che si hanno molte informazioni sulle persone che vi appaiono, ma sarebbe troppo affermare che tutto sia chiaro.
Un dirigente che viene retribuito con zero euro annui e un altro con cinquemila mi sembra che siano oltremodo bisognosi.
Per quel che concerne il bombardamento di diplomi, articoli e stages frequentati, chi ha un pò di pratica di CV universitari, legge tutto ciò con un moderato interesse. Comunque io penso che sarebbe ingiusto troppo criticare nel nostro caso dato che comunque un pò di informazione ci viene fornita e possiamo pensare che esista l'intenzione di migliorarla.
Bruto e Cassio

LUIGI A. MORSELLO ha detto...
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
Anonimo ha detto...

@Luigi Morsello:
i difensori d'ufficio dovrebbero almeno leggersi le carte. Un magistrato quando ricopre incarichi dirigenziali è un dirigente, e come tale soggetto ai medesimi obblighi di trasparenza dei dirigenti di ruolo. Prova ne sia che sul sito del ministero ci sono i CV di molti magistrati, ivi compresi i capi dipartimento.

E comunque se la trasparenza è un valore (e lo è), sottrarvisi col pretesto che si è magistrati (comunque pagati col pubblico denaro) non è un buon argomento.

A parte questo, perchè non lascia il dott. Ardita e i gestori del blog rispondere direttamente alle domande e alle questioni che ho posto (a loro, e non a lei)? Sono maggiorenni, mi sembra.


GB

Anonimo ha detto...

Mi spiace vedere che il mio intervento non e’ stato (ancora?) pubblicato. Proprio oggi il presidente dell’ANM Luca palamara ha ditto “«Bisogna fissare regole rigorose finalizzate a evitare commistioni improprie tra la funzione giudiziaria e l'impegno politico» , compresa «la possibilità di tornare a fare il magistrato dopo l'esperienza in politica… I magistrati si legittimano esclusivamente nello svolgimento dell'attività giurisdizionale esercitata con indipendenza e imparzialità e senza che si insinui il dubbio di illeciti condizionamenti esterni».
Sarebbe interessante se oltre al diretto impegno in politica, il ‘nuovo’ orientamento dell’ANM si estendera’ anche a quegli incarichi contigui alla politica che sono i fuori ruolo ministeriali in funzione di alta amministrazione.
E che spesso preludono a un diretto impegno in politica, come illustra il caso di AP, Direttore Generale della Giustizia Civile dopo appena cinque anni dalla nomina ad uditore, e poi diventato Deputato (del PDL).

Giordano Bruno

LUIGI A. MORSELLO ha detto...
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
Anonimo ha detto...

Prima che anche su questo sito imperversi un 'mavalà', atto a sviare il discorso con considerazioni del tutto inconferenti, torno a chiarire il mio pensiero:

1) Perchè al Ministero della Giustizia vengono impiegati così tanti magistrati, in posizioni apicali, con preferenza su dirigenti amministrativi di carriera ? Davvero, per fare il caso della DG Detenuti e trattamento, un giovane magistrato è più esperto e qualificato di uno che ha diretto un carcere per tutta la vita?

2) Sviare tanti magistrati dalla giuridizione (i fuori ruolo sono 200) è economico e giustificabile in un momento di crisi della giustizia?

3) Poichè i magistrati arrivano alle posizioni apicali per 'cooptazione' (è il termine utilizzato dal dott. Morsello) ciò presuppone che siano già conosciuti e graditi al potere politico, di qualunque colore esso sia. La coltivazione di tali frequentazioni è etica, e compatibile con lo status di imparzialità di un magistrato?

4) è un dato di fatto che molti magistrati proseguono poi il loro impegno direttamente in politica, a livello nazionale e regionale. Quindi la toga sta diventando un trampolino di lancio per altre carriere, salvo la possibilità, alle brutte, di ritornare in magistratura. E' compatibile con lo status di imparzialità del magistrato questa compromissione con la politica ? Il problema è stato sollevato anche dal presidente dell'ANM Luca Palamara, quindi non è peregrino.

Su tutti questi temi, peraltro già affrontati in passato, mi piacerebbe che questo blog dicesse una parola definitiva.

Grazie.
Giordano Bruno
(e chi ha detto che è uno pseudonimo?)

Anonimo ha detto...

e oggi tiene banco la notizia del megaappalto senza gara dato in sicilia al marito dell'On. Anna Finocchiaro, gia' magistrato transitata in politica. L'assessore alla sanita' della regione sicilia e' incidentalmente Massimo Russo, altro magistrato 'prestato(si)' alla politica, anche lui dopo un passaggio al Gabinetto del Ministero della Giustizia...

Cari amici del Blog, allora vogliamo aprirlo un bel dibattito su queste meravigliose carriere dei magistrati, prima durante e dopo la toga? :-)

Giordano Bruno

Anonimo ha detto...

"c. Il sistema dei controlli interni deve assicurare che il magistrato si dedichi costantemente all’attività giurisdizionale e possa espletare incarichi extragiudiziari solo se essi non ne appannano l’immagine di indipendenza da ogni altro potere. In relazione a questo profilo, deve essere salvaguardato il principio di carattere generale che pone un divieto di commistione tra giurisdizione e amministrazione e, ancor più, tra giurisdizione e funzione di indirizzo politico."

Dal Documento "Movimento per la giustizia – Art.3 / Magisratura democratica - L’autogoverno che vogliamo, Proposte di Area per il prossimo C. S. M."

...qui decisamente si predica bene e si razzola male...

Giordano Bruno

Anonimo ha detto...

dal medesimo documento: 5. Alcuni interventi di riforma non più rinviabili...

a. La revisione delle regole che presiedono alle decisioni di collocamento fuori ruolo. Centrali debbono essere due principi: l'interrelazione tra incarico fuori ruolo e attività giudiziaria, dovendosi escludere incarichi di altra natura; e temporaneità degli incarichi fuori ruolo, onde temperare le norme del nuovo Ordinamento Giudiziario, che consentono di prorogare l’esperienza professionale in tali incarichi oltre ogni ragionevole limite temporale. L’attuale situazione si risolve in uno snaturamento dell’istituto, una volta funzionale ad arricchire le esperienze professionali del magistrato, oggi di fatto potenzialmente destinato a creare professionalità del tutto autonome e parallele alla giurisdizione. E’ indispensabile una ferrea distinzione tra incarichi che, in ragione della particolare utilità per l’Amministrazione giudiziaria, meritano di essere particolarmente favoriti ..., e incarichi che, di contro, non risolvendosi in un significativo vantaggio per l’Amministrazione giudiziaria, devono essere soggetti ad una disciplina fortemente restrittiva, fino ad essere del tutto preclusi ai magistrati (si pensi ad esempio agli incarichi di connotazione più fortemente politica e di natura non elettiva: Assessorati presso enti pubblici, incarichi di nomina fiduciaria che non richiedono competenze giuridiche presso amministrazioni diverse dalla Giustizia ecc.).


(sottinteso: il Ministero della Giustizia deve continuare a essere presidiato dai magistrati?)

Giordano Bruno

Anonimo ha detto...

Segnalo l'interessante servizio dedicato ai Fuori Ruolo da parte di Report Rai . Molto corretto, salvo che i magistrati ordinari fuori ruolo sono ormai piu' di 200.

Mi pare che l'opportunita' di un bel dibattito sugli incarichi dei Magistrati sia sempre piu' evidente...

Allora, amici del sito?

Giordano Bruno

La Redazione ha detto...

Per il grande centravanti delle 10.12..

Gli "amici" del sito sono in ruolo e non ne sono mai usciti.

I casi trattati da Report si riferivano per la grandissima maggioranza a magistrati amministrativi e non ordinari.

Ciò non toglie che esistano casi - tanto sporadici quanto preoccupanti - di magistrati ordinari che percepiscono (troppo) lauti compensi per incarichi svolti altrove. Questo non ci piace.

La battaglia contro i fuori ruolo la stiamo conducendo all'interno della magistratura.

p.s.: eviti di postare messaggi il contenuto dei quali non sia agevolmente verificabile perché, contenendo apprezzamenti nei confronti di terzi, non saranno pubblicati.

Anonimo ha detto...

Direi che dovremmo distinguere due problemi: uno e’ lo scandalo del cumulo di incarichi e stipendi (essere pagati per un lavoro che non si fa), l’altro e’ quello delle carriere parallele, e qui non direi proprio che in magistratura ordinaria ci siano solo dei ‘casi sporadici’.

Secondo l’Intranet del CSM (COSMAG) i fuori ruolo della magistratura ordinaria sono oltre 200. E non sono contati i fuori ruolo per incarichi politici, nel numero…

Nel servizio di report GIUSEPPE CASCINI dice: “bisognerebbe limitare drasticamente i casi di fuori ruolo alle situazioni in cui è effettivamente necessario avere un magistrato in quella funzione.

Il Ministero della Giustizia per esempio ha un Ufficio che si occupa di rogatorie internazionali. In quell’ufficio la presenza di un magistrato è estremamente utile e necessaria. Ci sono altri uffici amministrativi in cui francamente la presenza di magistrati non si spiega.”


Ecco, per esempio, che bisogno c’e’ di un magistrato alla Direzione Generale del Personale del Min. Giustizia, o alla Direzione Generale Beni materiali e servizi, o all’Informatica, o (fino a poco tempo fa) alla Statistica, o all’Ufficio Speciale Napoli, etc? E davvero, per tornare all’inizio di questo discorso, un buon direttore di carcere di lungo corso non potrebbe occuparsi con competenza di “detenuti e trattamento”?

Registro con piacere che state conducendo una battaglia contro i fuori ruolo all’interno della magistratura. Ma, visto che avete aperto un sito, penso che potreste discuterne anche qui, e sentire il volgo che ne pensa… ;-)

GB

Unknown ha detto...

In una azienda privata i fuori ruolo non esistono. Non esistono perchè c'è un'organico ben preciso con la'ggiunta di alcuni elementi per cprire la malattia, le ferie, la turnazione e quant'altro.
Non vedo perchè non debba essere lo stesso nell'amministrazione della Giustizia, dove all'organico della magistratura si può ben aggiungere 300 elementi per coprire i fuori ruoli ed eventuali "supplenze"...

Siamo quindi ridotti al punto da non saper gestire l'organico di un qualunque ufficio statale.

Unknown ha detto...

E passiamo al doppio stipendio.
Siccome la legge non proibisce il doppio stipendio allora è lecito percepirlo, dico ma ci siamo bevuti il cervello?

Un fuori ruolo è uno che passa ad altro incarico, mantiene il vecchio stipendio ed amen!Perchè dovrebbe avere diarie, contributi o doppio stipendio?

Anonimo ha detto...

A proposito di quanto scrive Giordano Bruno.
Sono andato sul link segnalato da Giordano Bruno e francamente se ne apprendono delle belle. Mi ha colpito il tono esitante e non proprio convincente di certi fuori ruolo, tono che sovente lo si riscontra nei tribunali, ma non dal lato dei giudici.
Giordano Bruno però mi pare che non vada a fondo in questa discussione. Mi ricordo benissimo di un segretario di partito, onorevole, che una ventina di anni fa andò in pensione toccando una liquidazione miliardaria e relativa lauta pensione da parte dell'ente nel quale era impiegato e per una attività che non svolgeva da anni essendo pure lui "fuori ruolo" in quanto parlamentare da svariati decenni.
Durante i suoi decenni di non attività in quanto teorico funzionario statale il parlamentare in questione aveva pure ottenuto una serie di promozioni, penso "automatiche".
Allargando il quadro ho il sospetto che la malattia del "fuori ruolo" imperversi in tutta Italia e concerni, non due o trecento persone, ma svariate migliaia, se non decine di migliaia, di persone fra cui i magistrati sono una piccola minoranza. Con ciò sono ben lungi dal pensare che la pratica del "fuori ruolo" all'interno della magistratura sia un fenomeno da trascurare.

La Redazione ha detto...

Per GB DELLE 15,07.

La sporadicità è riferita ai lauti compensi extra, che riguardano solo in minima parte i magistrati ordinari (ma li riguarda!).

Se il segretario dell'anm Giuseppe Cascini si esprime come lei ha rilevato, può ricavarne che il dibattito sullo specifico punto è aperto all'interno della magistratura.

Personalmente concordo con quanto dice Vico Spiano: un magistrato, anche se fuori ruolo, deve percepire il suo normale stipendio.

Non tutte le cose si cambiano in un batter d'occhio, l'importante è cambiare direzione.

Anonimo ha detto...

Per la verità, cara amica Redazione, il fatto che un dibattito si animi all’interno delle stanze della Magistratura poco ci consola. Siamo in democrazia, siamo su Internet, questo è un blog, e anche i non addetti ai lavori vorrebbero dire la loro. La richiesta esplicita che ho fatto, è che su questo blog si cominci a discutere pubblicamente su cifre e incarichi.
Chi sono i fuori ruolo, quanti sono, dove stanno, che fanno, quanto vengono pagati, da chi vengono scelti, con quali criteri, con quali procedure, perché loro e non altri?
A meno che il sottinteso non sia che i cittadini comuni non siano titolati a discutere dell’ “Ordine” (altri direbbero della ‘Casta’), anche quando si tratta di soldi loro…

“Un magistrato, anche se fuori ruolo, deve percepire il suo normale stipendio” voi dite.

Beh, che non ne percepisca due, sarebbe già un bel passo avanti. Ma al Ministero della Giustizia, per esempio, i magistrati occupano anche posizioni di Dirigenti di seconda fascia. Lo stipendio di un dirigente è circa la metà di quello di un magistrato. Quindi i tanti magistrati (e sotto questo governo ne sono stati nominati tanti) che stanno lì, ammesso che non abbiano altre indennità, percepiscono già uno stipendio doppio rispetto alla valutazione di quelle posizioni.

Se poi aggiungiamo al “danno emergente” dell’esborso diretto, il “lucro cessante” (si dice così, vero?) della mancata prestazione professionale di costoro, abbiamo che ci sono duecento persone (non esattamente ‘casi sporadici’) che sono state assunte per fare i giudici e i PM, e che invece fanno i dirigenti, i capi di Gabinetto, gli assessori e compagnia bella.

Infine, la questione pecuniaria non esaurisce la faccenda. Ripeto la domanda: secondo voi, è compatibile con lo status di indipendenza di un magistrato il fatto che egli riceva incarichi fiduciari dal potere politico, incarichi per i quali non è previsto concorso e che pertanto richiedono e denunciano una previa conoscenza e frequentazione?

Un sì o un no come risposta possono bastare. Tutto il resto, insegna il Vangelo, è del Demonio ;-)

GB
(quello del rogo, non della Lazzie)

La Redazione ha detto...

Mi sembra che ne stia parlando. Se ha dati verificabili li pubblicheremo. Molti magistrati reputano inopportuno il collocamento fuori ruolo sia perché non tutti gli incarichi hanno a che fare con le competenze di un magistrato, sia per la modalità fiduciaria con la quale vengono conferiti. La "fiduciarietà" con la politica (o meglio col politico) non contribuisce all'immagine d'indipendenza del togato.