Volentieri ospitiamo l'accorato intervento di un autorevole operatore del diritto alle prese coi primi, ed a quanto pare sguaiati, vagiti del processo penale telematico. E' comunque di buon auspicio l'invocazione finale di un "giusto processo telematico" che non suona come anacronistica avversione all'evoluzione tecnologica, purché essa sia al servizio della giustizia e non il contrario.
di Oliviero Mazza - Professore ordinario di diritto processuale penale ed Avvocato
Il frutto più velenoso della riforma Cartabia è certamente il processo penale telematico. Dietro al fascino suadente della innovazione si nasconde in realtà un Moloch tecnologico sul cui altare sono state sacrificate le garanzie del giusto processo, anche quelle che nell’ambiente analogico tradizionale sembravano intangibili.
La porta d’ingresso in questo brave new world, in cui i diritti sono confinati in un drammatico limbo esistenziale, sono due norme processuali in bianco (art. 111-bis e 111-ter c.p.p.) che delegano al potere regolamentare (il vero Moloch tecnologico) la scrittura di un processo penale parallelo, libero da vincoli, compresi quelli costituzionali.
L’apparente insipienza del legislatore nasconde, in realtà, la callida scelta di aggirare ogni limite e di utilizzare lo sviluppo digitale quale cavallo di troia per infettare del più cupo germe inquisitorio quello che restava dei brandelli del processo accusatorio dopo la cura efficientista.
