lunedì 26 novembre 2007

Il C.S.M. non vuole un proprio codice deontologico



di Uguale per Tutti

Il 21 novembre 2007 è stata trattata nel plenum del Consiglio Superiore della Magistratura la pratica relativa all’approvazione di un codice deontologico per i consiglieri del C.S.M., proposto dalla Commissione competente su delibera del Comitato di Presidenza del 29 novembre 2005.

La delibera non è stata approvata.

Hanno votato a favore i consiglieri del Movimento per la Giustizia e quelli di Magistratura Democratica, contro quelli di Unità per la Costituzione e di Magistratura Indipendente e tutti i membri di nomina politica di ogni provenienza.

Va sottolineato, per un verso, che nella maggior parte dei casi i consiglieri del C.S.M. non votano in maniera da dare l’impressione di farlo seguendo le personali e indipendenti convinzioni di ciascuno, ma in maniera omogenea per “correnti” (i togati) e partiti (i cc.dd. “laici”) di provenienza. E così è stato anche in questo caso.

E, per altro verso, che è davvero molto grave che la maggioranza dei consiglieri abbia voluto sottrarsi a un seppur modestissimo – per semplicità e “ovvietà” dei precetti – codice deontologico.

Addirittura, il codice proposto da alcuni dei consiglieri è stato ritenuto “offensivo” del Consiglio da coloro che hanno votato contro!

Pubblichiamo qui di seguito il testo della delibera respinta.

- 8/MO/2005 - Delibera del Comitato di Presidenza in data 29 novembre 2005 con la quale si autorizza l’apertura di una pratica concernente l’adozione di una risoluzione di carattere generale sui doveri e comportamenti dei singoli consiglieri (vi è riunita la pratica 3/MO/2007).

(Relatore dott.ssa Maccora)

La Commissione propone l’adozione della seguente delibera:

Il Consiglio Superiore della Magistratura adempie la funzione assegnatagli dall’art. 105 della Costituzione: esso si pone quindi come organismo costituzionale che assicura il rispetto del principio di autonomia ed indipendenza dell’ordine giudiziario. Proprio in ragione di tale funzione è prevista una sua composizione mista di laici e togati ed è stabilita, per la legittimità delle sue deliberazioni, una presenza numerica minima sia di laici sia di togati. I temi dell’efficienza e della trasparenza dell’azione consiliare sono essenziali alla credibilità dell’organo e, in ultima analisi, della magistratura stessa nel suo complesso.

La rilevanza ed estrema delicatezza dei compiti assegnati dalla Costituzione al Consiglio comporta di per sé che il suo corretto e tempestivo funzionamento sia assicurato non solo dall’allestimento di adeguate strutture di supporto all’attività ma anche (e soprattutto) dalla piena consapevolezza, da parte di ogni singolo consigliere, della rilevanza della funzione svolta e quindi dall’adozione, da parte sua, di regole di comportamento coerenti col ruolo affidatogli col mandato dai magistrati o dal parlamento. E’, peraltro, del tutto ovvio che né la legge né il regolamento interno del Consiglio possano contemplare disposizioni relative ai doveri ed agli obblighi di ogni singolo consigliere (essendo previsti dall’art. 33 della legge n. 195 del 1958 solo evidenti aspetti di incompatibilità con l’esercizio di determinate funzioni o professioni) ed ancor meno prevedere strumenti volti a sanzionare condotte deontologicamente censurabili. L’aspetto precettivo e sanzionatorio, infatti, mal si concilia con lo svolgimento di un simile elevato compito istituzionale essendo lecito ritenere che la consapevolezza dei doveri insiti nella funzione sia connaturata al livello etico dei componenti eletti.

Non si può, peraltro, ignorare che nella percezione comune dell’opinione pubblica, sia interna all’ordine giudiziario che generale, sia forte la sensazione che l’azione consiliare non sia sempre adeguata alle necessità e che alcune scelte siano in qualche misura condizionate da logiche diverse. Di ciò si è reso autorevole interprete il Capo dello Stato, che nella seduta del 1 agosto 2006 ha ricordato che è necessario procedere al di fuori di logiche strettamente correntizie, rivelatesi di ostacolo ad un corretto esercizio delle funzioni consiliari, ed ancora da ultimo nella seduta plenaria del 6 giugno 2007 ha richiamato il Consiglio alla «necessità che i criteri di valutazione prescindano dalla mera anzianità o da logiche correntizie “che - come ebbi modo di dire - travalichino i limiti della normale dialettica”», invitando a non fermarsi lungo la strada virtuosa intrapresa.

Proprio in adesione a questo auspicio, occorre, pertanto, in questa sede ribadire che ciascun consigliere è cosciente che l’adempimento di incarichi di alto rilievo costituzionale implica necessariamente una particolare accentuazione del principio secondo il quale il fine considerato nell’operare è unicamente quello istituzionale nella consapevolezza che il suo perseguimento, allorché si opera in un organismo collegiale, viene assicurato dall’apporto di ogni singolo liberamente autodeterminatosi.

Invero questa è l’essenza della funzione qual è concepita dalla carta costituzionale che impone di concepire il ruolo consiliare come servizio “alto” da rendere alla collettività.

La libera autodeterminazione di ciascun componente del Consiglio comporta che la volontà che viene manifestata sia frutto di un personale studio e valutazione delle questioni considerando anche le opinioni manifestate dagli altri consiglieri nella sede a ciò deputata. Non corrisponderebbe quindi a tale modello il rendersi acritico interprete in sede consiliare di posizioni di gruppi politici o di singoli esponenti politici nonché di gruppi dell’associazionismo giudiziario o di singoli magistrati anche solo per ragioni di appartenenza o di “debito” elettorale.

E’ poi contrario a tale concezione del ruolo l’utilizzo improprio di regole (quale quella del numero legale) poste a garanzia del funzionamento del consiglio secondo il dettato costituzionale e quindi è da escludersi la correttezza di condotta volta deliberatamente a creare ostacolo alle attività istituzionali col far venir meno il numero legale ed attuata per ragioni personali o politiche.

In questa sede, inoltre, occorre riflettere sul fatto che l’intenso grado del dovere di diligenza e laboriosità richiesto al consigliere discende dalla considerazione che, per volontà della

Costituzione, l’incarico di componente del CSM è esclusivo essendo previsto, per i magistrati, il fuori ruolo ed essendo inibita, per i laici, la possibilità di svolgere le loro attività professionali: a questo riguardo è essenziale sottolineare la necessità di un uso delle diverse figure di supporto dell’attività consiliare (magistrati addetti alla Segreteria e all’Ufficio Studi, personale amministrativo) in modo pienamente in linea con le relative competenze. Solo così, infatti, è possibile il rispetto dei programmi di lavoro prefissati negli ordini del giorno dei lavori di commissione e di plenum, in modo da garantire non solo un ordinato modus operandi che consente al singolo consigliere di programmare i propri impegni e lo studio delle pratiche ma, soprattutto, assicurare la regolarità e tempestività dell’azione consiliare secondo una preordinata e razionale programmazione la cui inosservanza determina perniciosi effetti “a cascata” sulla funzionalità del sistema.

L’esperienza dell’attività consiliare, in conclusione, impone di adottare sempre più modelli virtuosi che consentano al Consiglio di superare i momenti di difficoltà e di fornire una risposta in termini adeguati e tempestivi ai propri compiti.

In questa prospettiva, si muove la previsione di una sessione annuale sullo stato delle attività dell’organo di autogoverno, finalizzata ad un esame dell’andamento dei lavori del Consiglio e di tutte le sue articolazioni. La forte condivisione di questi princìpi e l’esigenza di assicurare trasparenza all’attività consiliare, consiglia di prevedere in via regolamentare un momento pubblico di riflessione annuale sulla propria attività, sul modo con il quale è stata condotta l’azione istituzionale, sui risultati conseguiti e sui possibili programmi futuri. E ciò al duplice fine di migliorare la propria azione in termini di funzionalità e nitidezza attraverso il confronto delle opinioni, e di rendere conto di quanto realizzato e del rispetto degli impegni assunti, anche al fine di restituire al Consiglio la credibilità e il prestigio consoni al suo ruolo di organo di rilevanza costituzionale.

Pertanto, si propone di inserire nel Regolamento Interno un articolo 28 bis, denominato “Sessione sullo stato delle attività del Consiglio superiore della magistratura”, come di seguito riportato:

Dopo l’art. 28 R.I. è introdotto il seguente art. 28 bis

R.I. Art. 28 bis - Sessione sullo stato delle attività del Consiglio superiore della magistratura

1. Il Consiglio dedica annualmente una sessione di lavori all’esame dello stato delle sue attività.

2. La sessione annuale sullo stato delle attività del Consiglio si articola in una o più sedute, convocate dal Comitato di Presidenza.

3. Nel corso dell’esame sullo stato delle sue attività il Consiglio procede: a) all’esame dell’attività delle Commissioni, anche sulla base di relazioni presentate dalle Commissioni stesse, avuto riguardo, in particolare, ai tempi di definizione delle pratiche e all’andamento del contenzioso sulle relative delibere; b) all’esame delle attività del Comitato scientifico, del Comitato per la parti opportunità in magistratura e dei comitati e gruppi di lavoro eventualmente istituiti; c) all’esame delle problematiche attinenti all’organizzazione del Consiglio e alla gestione delle risorse finanziarie, ferme restando le disposizioni di cui al Regolamento di disciplina del personale e le disposizioni di cui al Regolamento di amministrazione e contabilità; d) alla programmazione delle attività per il successivo anno ed all’individuazione degli obiettivi di lavoro da perseguire in via prioritaria.

4. All’esito della sessione, il Consiglio può impartire direttive alle Commissione ai sensi dell’art. 21. 5. I verbali delle sedute della sessione annuale sullo stato delle attività del Consiglio sono comunicati a tutti i magistrati.



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