domenica 11 novembre 2007

Ma siamo divenuti un popolo di razzisti?


di Carlo Maria Martini
(Cardinale della Chiesa Cattolica)

da Il Sole 24 Ore dell’11 novembre 2007

Ho sempre pensato come italiano, di appartenere a uno dei popoli meno razzisti della terra e questo per motivi storici, culturali, religiosi, ecc..

Questo non vuoi dire che quando accade un episodio gravissimo di violenza, soprattutto da parte di immigrati irregolari, non si alzi un coro di voci per deprecare quanto è avvenuto e per invocare più rigorose misure di sicurezza.

Come dice il Salmo, siamo ben convinti che nei momenti di transizione, quando non sono tenuti saldamente in mano, «emergono i peggiori tra gli uomini» (Sal. 12, 9).

Ma nell'insieme abbiamo una visione degli altri popoli che non avrei esitato a qualificare come non razzista.

Ora tuttavia la mia sicurezza si è incrinata leggendo le interessanti interviste di Rula Jebreal pubblicate sotto il titolo significativo «Divieto di soggiorno».

Ecco quanto afferma per esempio un immigrato che pure si può considerare un «caso riuscito» di integrazione, essendo oggi impegnato in politica e con un insegnamento universitario: «Gli italiani provano indifferenza verso tutto ciò che è diverso, hanno una sorta di pigrizia mentale, una mancanza di volontà di comprendere l'immaginario altrui».

Come può questo giudizio andare d'accordo con la scontata affermazione di un altro immigrato riuscito: «Gli italiani sono brava gente. I media, la televisione, continuano a parlare di conflitto tra stranieri e italiani, ma la realtà di tutti i giorni è diversa. Quando hanno a che fare con te direttamente, nel rapporto faccia a faccia, gli italiani si comportano bene, come con un loro pari»?

Probabilmente c'è un po' di verità in entrambi i giudizi. Ma tutto ciò mette in luce la gravità e l'urgenza del problema affrontato nel libro di Rula Jebreal, cioè quello dell'integrazione ben regolata di milioni di immigrati, oggi e tanto più nel futuro.

Possiamo infatti parlare di un problema minaccioso che si sta affacciando ai confini dell'Europa e rischia di causare una forte divisione, una spaccatura di animi e di intenti. Non v'è luogo, per quanto piccolo e nascosto, che potrà venir risparmiato da questa prova. Essa consisterà nella nostra capacità di vivere insieme come diversi, non solo di lingua, di cultura, di abitudini, di religione, ma anche differenti nelle sensibilità inconsce, nelle simpatie o antipatie, nel modo di concepire la giornata e la vita ...

Qualcosa di simile si è sempre avuto nella storia dell'umanità, ma lo stare gomito a gomito con un numero crescente di "diversi" sta diventando un fatto che sempre più condizionerà la nostra vita quotidiana e il nostro lavoro.

Ad esso si può reagire in vari modi: o deprecando il fatto che non sia ormai possibile fare a meno di chi viene a turbare la nostra quiete e preoccupandosi di stabilirgli delle zone in cui egli ci è utile o addirittura necessario e altre in cui vogliamo essere lasciati in pace; o demonizzando la sua cultura e le sue tradizioni, curando di lasciar entrare tra noi il meno possibile della identità di queste persone.

In ogni caso anche un atteggiamento che possa essere definito "buonista", ma nasca da uno spirito seccato e un po' malmostoso, tende a chiudere queste persone in ghetti che a lungo andare diventano pericolosi focolai di malumore e di ribellione. Si prospetta così il fantasma di un "clash of civilations" (scontro di civiltà) che alcuni ritengono far parte di un inevitabile futuro del mondo europeo.

Eppure sono convinto che non solo è possibile e doveroso fare di tutto per evitare questo "scontro di civiltà", ma che occorre dimostrare che noi cresciamo e maturiamo proprio nel "confronto col diverso".

Ciò avviene quando esso è visto non soltanto come accettazione necessaria di un fatto inevitabile e neppure come semplice tolleranza e rispetto per le abitudini altrui, purché non siano offensive del bene comune, e neppure come volontà di assimilazione o di conversione. C'è al di sotto di tutto un dovere reciproco di vivificarci e stimolarci a vicenda vivendo quegli atteggiamenti di rispetto, di gratuità, di non preoccupazione del proprio tornaconto o della propria fama, di accoglienza e perdono, che caratterizzano ad esempio il discorso della montagna di Gesù (Matteo capitoli 5-7) e che sono capiti da tutti e utili a tutti.

C'è poi un discorso ancora preliminare a questo, e il libro di Rula Jebreal ci aiuta a entrare nella dimensione giusta: quella di non giudicare e di non condannare subito, ma anzitutto di ascoltare con simpatia e cercare di comprendere con oggettività l'esperienza e la storia dell'altro.

Questo libro presenta una dozzina di interviste a persone straniere venute in Italia per i più diversi motivi. Alcune sono riuscite a inserirsi con soddisfazione nel nostro tessuto sociale, altre invece hanno fallito. Particolarmente commovente è la storia della piccola prostituta Olga, che non vede l'ora di ritornare a casa dopo aver sfruttato la situazione e essersi lasciata sfruttare fino alla perdita di ogni senso della dignità umana.

Rula Jebreal scrive come una vera giornalista, che sa raccontare e coinvolgere ma senza inserire le proprie emozioni o forzando il discorso. Ci insegna che occorre soprattutto cercare di capire, ascoltare, comprendere le motivazioni e le situazioni: solo dopo è possibile vedere il da farsi.

Ci auguriamo di essere in molti a capire questa lezione di giornalismo e di vita, così che il peso di questa inevitabile transizione verso una nuova società, quasi un nuovo "meticciato", diventi non solo più sopportabile per tutti, ma sia fonte di nuove scoperte sulla ricchezza della nostra umanità.


2 commenti:

Anonimo ha detto...

Due indicatori dell'atteggiamento dell'Italia verso europei,americani,australiani, ecc

1) ATTO CAMERA
INTERROGAZIONE A RISPOSTA SCRITTA 4/04602
Dati di presentazione dell'atto
Legislatura: 15
Seduta di annuncio: 199 del 01/08/2007
Firmatari
Primo firmatario: ANGELI GIUSEPPE
Gruppo: ALLEANZA NAZIONALE
Data firma: 01/08/2007
Destinatari
Ministero destinatario:
MINISTERO DELL'UNIVERSITA' E DELLA RICERCA
MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI
PRESIDENZA DEL CONSIGLIO - RIFORME E INNOVAZIONI NELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE
Attuale delegato a rispondere: MINISTERO DELL'UNIVERSITA' E DELLA RICERCA delegato in data 01/08/2007
Stato iter: IN CORSO


Atto Camera

Interrogazione a risposta scritta 4-04602
presentata da
GIUSEPPE ANGELI
mercoledì 1 agosto 2007 nella seduta n.199


ANGELI. -
Al Ministro dell'università e della ricerca, al Ministro degli affari esteri, al Ministro per le riforme e le innovazioni nella pubblica amministrazione.
- Per sapere - premesso che:

lo Stato italiano, secondo l'interrogante, continua a discriminare la categoria dei cosiddetti «lettori di madrelingua», i quali, con elevata professionalità, insegnano, in lingua straniera, in numerose università italiane;

la suddetta categoria è stata disciplinata, da ultimo, in modo assolutamente anomalo, dal contratto collettivo nazionale dei tecnici ed amministrativi del comparto universitario, il che ha comportato la perdita del loro status giuridico ed economico, con evidente negazione dei diritti acquisiti ed una decurtazione del 75 per cento circa dello stipendio -:

se il Governo non ritenga di dover riconoscere lo specifico ruolo professionale dei cosiddetti «lettori di madrelingua», attraverso la creazione di un autonomo comparto contrattuale, così da garantirli sotto il profilo giuridico ed economico.(4-04602)

2)L’ EUROPA DELLE LINGUE:
diversità linguistica, plurilinguismo, apprendimento delle lingue
lungo tutto l'arco della vita

Convegno nazionale organizzato da Proteo Fare Sapere e FLC-CGIL toscana
6 novembre 2007
Villa Reale di Castello
Firenze

L’insegnamento linguistico nell’Università italiana

Intervento di John Gilbert,
Lettore di madrelingua inglese
Facoltà di Lettere e Filosofia
Università degli studi di Firenze

Premesse
Il multilinguismo nei 27 paesi dell’Unione europea, con le sue 21 lingue ufficiali su oltre 220 lingue parlate sul territorio, rappresenta una preziosa ricchezza, un patrimonio linguistico e culturale che le direttive delle istituzioni europee hanno cercato di difendere e potenziare ormai da tanti anni. Purtroppo l’Italia rimane ancora oggi il fanalino di coda dell’Europa per l’apprendimento e la conoscenza delle lingue. Mentre oggì come ieri il bilinguismo ed anche il plurilinguismo sono una realtà nella maggior parte del resto dell’Europa, per non dire del resto del mondo dove circa due-terzi della popolazione è considerata bilingue o plurilingue, in Italia persiste un monolinguismo di fatto che indebolisce il suo posto all’interno di una Unione europea che si allarga, e che minaccia il suo sviluppo e la sua appartenenza alla moderna società della conoscenza.
Da qualche anno nella scuola pubblica l’Italia sta cercando di applicare delle riforme scolastiche per anticipare e potenziare l’insegnamento dell’inglese ed anche di spagnolo, francese e tedesco. Tuttavia mancano ancora delle adeguate iniziative di pedagogia interculturale che potrebbero arricchire e diversificare la formazione linguistica nelle nostre scuole, attingendo alla risorsa del multilinguismo portato dalle comunità dei migranti.
In Italia , il fenomeno dell’immigrazione - che ci vede ormai come terzo paese in Europa per numero di immigrati - si distingue dal resto dell’Europa proprio a causa della sua incredibile varietà di etnie presenti sul territorio. Secondo il Dossier Statistico Immigrazione 2007 della Caritas, i quasi quattro milioni di immigrati in Italia parlano oltre 150 lingue e rappresentano ormai circa il 6,2% della popolazione totale. Ci sono più di mezzo milione di bambini stranieri, ovvero il 5,6% della popolazione scolastica, mentre spesso la percentuale è più alta in alcune province, arrivando a superare il 25%, e i numeri degli alunni immigrati nelle nostre scuole sono in forte crescita, anche se sono ancora relativamente pochi all’università con solo l’1,5% di universitari stranieri in Italia di fronte al 11,3% del Regno Unito, al 9,8% della Germania e al 9% della Francia. Ma se il multilinguismo di questi nuovi cittadini rappresenta senz’altro una risorsa enorme per la società italiana, rimane il problema assai grave del monolinguismo della popolazione autoctona.
La politica linguistica dell’Unione europea mira a portare i cittadini dell’Unione a poter parlare 2 lingue straniere entro il 2010, ma secondo i sondaggi Eurobarometro del 2006 , solo il 16% degli italiani è in grado di farlo mentre il 59% non conosce nessuna lingua straniera . Peggio dell’Italia ci sono solo il Regno Unito e l’Irlanda. Ma nonostante questa drammatica povertà linguistica degli italiani, il problema non viene neanche menzionato nelle 281 pagine del programma elettorale del governo Prodi intitolato “Per il bene dell’Italia”. Questa mancanza nel programma di governo di una specifica politica per la formazione linguistica in Italia purtroppo si verifica anche nell’operato del Governo Prodi e dei suoi Ministri per la Pubblica istruzione e per l’Università e la Ricerca ormai da un anno e mezzo al governo. Il problema dell’analfabetismo linguistico in Italia è chiaramente un problema culturale complesso che non si può risolvere dall’oggi al domani. E non sarà superato soltanto attraverso il potenziamento del sistema pubblico di formazione e ricerca. Tuttavia se non si comincia in tempi brevi ad attuare una forte politica a sostegno della formazione linguistica nelle scuole e all’università, allora non ci sarà mai la speranza di poter portare questo paese in Europa ai pari degli altri stati.

L’insegnamento linguistico nell’Università italiana
Con queste premesse, vorrei adesso considerare brevemente la storia travagliata dell’insegnamento linguistico nelle università italiane durante gli ultimi tre decenni e cercare poi alla fine di indicare delle soluzioni pratiche da poter intraprendere subito per migliorare la formazione linguistica universitaria.
Per poter affrontare la questione della formazione linguistica nell’università italiana non si può prescindere dalla questione dello status giuridico e del trattamento normativo ed economico dei cosiddetti lettori di madrelingua. Storicamente l’insegnamento delle lingue nelle università italiane è stato sempre per la maggior parte la responsabilità di questi insegnanti di madrelingua straniera, quasi sempre all’interno di corsi di lingua e letteratura straniera dove il titolare del corso era un professore di letteratura mentre la glottodidattica rappresentava una specie di cugino povero della letteratura, con le lingue insegnate dai lettori, figura storica prima equiparata all’assistente universitario dalla Legge 349 del 1958 e in seguito disciplinata dalla Legge 382 per la Riforma della Docenza universitaria nel 1980.
A causa del trattamento discriminatorio previsto a livello normativo ed economico per questi insegnanti stranieri, negli anni si sono accumulate innumerevoli sentenze della magistratura italiana, fra le quali una sentenza della Corte costituzionale del 1989, e ben 5 sentenze di condanna dell’Italia da parte della Corte di Giustizia europea (nel 1989, 1993, 1997, 2001 e 2006), oltre a 3 risoluzioni di condanna del Parlamento europeo (nel 1995, 1996, 2000).
Nel 1995 il Parlamento italiano ha approvato la Legge 236 che ha tentato di circoscrivere le varie sentenze della giurisprudenza italiana ed europea sopprimendo la figura del lettore di madrelingua e creando ope legis una nuova figura con il nome di collaboratore ed esperto linguistico (cel). Nonostante tutti i pronunciamenti delle istituzioni europee e le sentenze passate in giudicato, in Italia permane ancora oggi una situazione di discriminazione contro questa categoria di circa 2.000 insegnanti universitari, in gran parte stranieri e di cui circa un quarto sono ancora dei lavoratori precari con contratti a tempo determinato in palese violazione dell’art. 4 della Legge 236/95. Inutile evidenziare i seri danni recati alla formazione linguistica degli studenti universitari in questo paese a causa del persistere di questa situazione di incertezza e sofferenza da più di venticinque anni.
Nel 1999 il Parlamento ha approvato la legge 509 per la Riforma della Didattica con l’istituzione del sistema cosiddetto “3 più 2”, con la nuova laurea triennale e quella specialistica biennale. Finalmente l’Italia segue l’esempio del resto dell’Europa (e del mondo) e separa la lingua dalla letteratura, almeno per la maggior parte delle lingue straniere che così diventano corsi di lingua e traduzione. Con i nuovi ordinamenti per la prima volta la conoscenza (e la relativa verifica) orale e scritta di almeno una lingua europea è richiesta da tutti i nuovi corsi di laurea. Si parla poi dell’“l’europeizzazione” dei curricula universitari in Italia, dell’internazionalizzazione delle formazioni offerte dalle università italiane. Tuttavia - ed incredibilmente - nella nuova riforma della didattica non appare mai la parola lettore/cel di madrelingua nonostante il fatto che quella figura sia indispensabile per raggiungere gli obiettivi didattici previsti dalla riforma nel settore della formazione linguistica. Ancora oggi questi ca. 2.000 insegnanti svolgono dal 70 al 90% dell’insegnamento linguistico nelle università italiane, svolgendo autonomamente i loro corsi nelle facoltà e nei centri linguistici in corsi di lingua ad ogni livello, sia di lingua generale che di lingua specialistica, inclusa la relativa programmazione, didattica e valutazione, e partecipando alle commissioni d’esame per gli esami di profitto nelle facoltà di lingue, lettere e filosofia, economia, scienze politiche e scienza della formazione e agli esami di idoneità linguistica nelle facoltà scientifiche.
Si tratta di una figura di mediatore linguistico e culturale non solo altamente specializzato nella glottodidattica e nell’insegnamento delle lingue, ma anche di una specie di ambasciatore che da anni porta la propria cultura, la cultura del proprio paese di origine, all’interno degli atenei italiani e favorisce così la “contaminazione” interculturale fra gli studenti italiani e stranieri e gli insegnanti di madrelingua stessi. Come scrive Antonella Fucecchi, studiosa della didattica interculturale nel campo dell’insegnamento linguistico: “l’insegnamento e l’apprendimento di una lingua straniera costituisce già di per sé un’esperienza interculturale (…) perché permette di conoscere un’altra lingua e di entrare in contatto con un’altra realtà.” Questi insegnanti di madrelingua hanno un importante e prezioso contributo da offrire anche in questo senso. Ma per la Legge 509 sono invisibili.
In risposta a questa grave mancanza della Legge 509 del 1999, lo stesso anno più di mille docenti universitari, tra cui diversi rettori e numerosi presidi e presidenti di consigli di corso di laurea, hanno firmato un appello da parte della docenza universitaria per riconoscere la professionalità e la dignità del lettore di madrelingua come personale insegnante. Ma a tutt’oggi, nel 2007, questa figura - che dedica circa un milione di ore di didattica ogni anno alla formazione linguistica negli atenei – si trova ancora senza un profilo professionale definito, né per legge né per contratto nazionale di lavoro, una figura ancora oggi - dopo più di 25 anni - sottopagata e mortificata con un trattamento normativo ed economico del tutto disomogeneo a livello nazionale – un trattamento discriminatorio che non esiste per nessun altra categoria di lavoratori in Italia. Lo stipendio suggerito dal contratto nazionale mette loro ben al di sotto della “soglia di povertà “ indicata dai dati ISTAT. Ed è normale che quando un insegnante non ha la possibilità di percepire uno stipendio decoroso e si trova in uno stato di precarietà perenne, quando vede mortificata la sua dignità professionale ed umana da oltre 20 anni, non ha quella tranquillità di esistenza assolutamente necessaria per poter dare il meglio di sé nelle aule delle università italiane. Avviene una sorta di instabilità occupazionale istituzionalizzata. Ovviamente questo stato di cose non può che avere una ripercussione negativa sulla formazione linguistica fornita agli studenti.
Quindi oggi ci troviamo in uno stato permanente di emergenza per ciò che riguarda la situazione della formazione linguistica negli atenei italiani. La riforma “3 più 2” prevede la conoscenza di almeno una lingua europea per tutti i nuovi corsi di laurea nonché, per alcuni corsi di laurea triennale come la Classe 11 in Lingue e culture moderne o la Classe 12 in Mediazione linguistica, la padronanza di due lingue straniere e la conoscenza anche del patrimonio culturale delle civiltà di cui queste lingue sono espressione, oltre ad un’eventuale sufficiente competenza scritta e orale in una terza lingua. Anche nelle lauree specialistiche sono previsti simili requisiti. Ma poi nella pratica, a volte a causa della mancanza dei titolari dei corsi di lingua, anche per via del mancato riconoscimento giuridico del lettori/cel di madrelingua, a volte per altri motivi, vengono tagliati i crediti previsti per i corsi di lingua, contribuendo così al crollo delle competenze linguistiche degli studenti se paragonati ai risultati ottenuti con le vecchie lauree quadriennali. L’Italia dovrebbe assicurare il raggiungimento dei parametri previsti dal Quadro Comune Europeo di riferimento per le lingue del Consiglio d’Europa ma purtroppo siamo ancora lontani come dimostrano tutte le statistiche in merito.
L’Università pubblica dovrebbe garantire tutte le condizioni affinché tutti gli studenti universitari italiani possano avere la giusta preparazione linguistica e le stesse opportunità dei loro coetanei europei. Invece troppo spesso si ricorre all’esternalizzazione, dando in appalto all’esterno la formazione linguistica e anche le verifiche, alle scuole private di lingua, alle agenzie formative, alle fondazioni, alle convenzioni, dove non si può garantire il controllo e la qualità che la formazione pubblica dovrebbe assicurare.
In alcuni atenei invece si tenta di risolvere il problema della titolarità degli insegnamenti con il ricorso ai professori a contratto. Questi contratti con figure estranee agli atenei e sottopagate non possono offrire il numero di ore di didattica che viene offerto da un contratto di lettorato e spesso vengono stipulati con persone non di madrelingua e comunque di norma con persone (p.e. i nostri studenti neo-laureati o chi non è riuscito ad entrare in graduatoria come insegnante) che non possiedono il patrimonio di esperienza didattica e scientifica dei lettori.
Ma la questione della titolarità dei corsi di lingua non dovrebbe rappresentare più un problema dopo l’invio di due note nell’estate del 2006 da parte del Ministero dell’Università e della Ricerca a tutti gli atenei italiani per informarli che i lettori hanno diritto a partecipare ai concorsi per gli affidamenti dei corsi. Questa novità rappresenta una importantissima occasione per il miglioramento della offerta di formazione linguistica negli atenei italiani, novità che potrebbe risolvere in gran parte la mancanza di professori e ricercatori di lingua nelle facoltà e che potrebbe superare la pratica fallimentare dell’utilizzo di contratti di insegnamento a personale esterno per le esigenze di formazione e verifica linguistica nei corsi di laurea. Già dallo scorso anno accademico atenei in Piemonte, Liguria, Puglia ed altrove hanno iniziato a coprire i loro corsi di lingua - sempre previa autorizzazione dei relativi organi decisionali - con affidamenti ai propri lettori/cel. Tuttavia troppi atenei, la maggioranza, continuano ad escludere a priori i lettori/cel dai conferimenti di affidamenti e supplenze in palese contrasto con le indicazioni del Ministero.
Purtroppo l’atteggiamento verso i lettori/cel dell’attuale Segretario Generale della Conferenza dei Rettori (CRUI) il Prof. Marco Mancini (Rettore di Viterbo) non promette bene. In un suo intervento al V Convegno annuale dei direttori amministrativi delle università (CODAU), a Napoli il 27-30 settembre 2007, il Prof. Mancini ha espresso l’auspicio che nel prossimo contratto nazionale di lavoro “sia chiaramente definito lo stato giuridico ed economico di questa categoria che, pur facendo parte del personale tecnico-amministrativo delle Università, continua ad essere oggetto di contenziosi onerosi e interminabili su tutto il territorio nazionale." E purtroppo sembra che la richiesta del Prof. Mancini sia stata recepita dall’atto di indirizzo del Comitato di settore per le prossime contrattazioni nazionali con l’ARAN per il comparto università.
Bisogna senz’altro dare una definizione dello stato giuridico dei lettori/cel dopo più di 25 anni, ma quella definizione non potrà certamente prescindere dal pieno riconoscimento professionale della funzione didattica svolta da questa figura, il cui compito primario è l’insegnamento della propria lingua madre come lingua straniera. Come già riconosciuto dagli organi europei, non si tratta della figura di un lavoratore tecnico-amministrativo ma bensì di un insegnante. L’accanito rifiuto di riconoscere questa semplice verità continuerà a portare seri danni alla formazione linguistica a livello universitario – e non solo lì, se consideriamo, per esempio, il ruolo che quella formazione gioca nella preparazione degli insegnanti di lingua nelle nostre scuole di domani.
Il rapporto annuale dell’OECD per il 2007 intitolato “Education at a Glance” sottolinea il nesso fra l’investimento nel sistema formativo e i vantaggi ottenuti sul piano dello sviluppo economico. Ebbene, una prima misura da intraprendere per migliorare la situazione insostenibile dell’insegnamento delle lingue negli atenei sarebbe la modifica della Legge 63 del 2004, per arrivare a un trattamento economico minimo per i lettori/cel pari a quello del ricercatore confermato a tempo pieno. Infatti il parametro di una figura a tempo parziale, che poi secondo la Legge 63/04 andrebbe applicato in soli sei atenei, rappresenta una beffa da parte del precedente governo ed una situazione da rimediare quanto prima.
Poi bisogna stabilizzare i circa 500 lettori/cel precari (fonte MIUR, 2003), la stragrande maggioranza con contratti che violano l’art. 4 della Legge 236/95 che prevede di norma il rapporto di lavoro a tempo indeterminato e solo per esigenze temporanee la possibilità di contratti a tempo determinato. Il Decreto del Ministro Nicolais che riguarda l’attuazione della Legge Finanziaria per la stabilizzazione dei lavoratori precari nelle università ci fornisce lo strumento necessario: adesso bisogna verificare la reale volontà degli atenei di migliorare l’offerta formativa linguistica stabilizzando i troppi lettori/cel precari.
Il 27 giugno scorso è stata firmata l'"Intesa per un'azione pubblica a sostegno della conoscenza" dal Ministro per le Riforme e le Innovazioni nella Pubblica Amministrazione, dal Ministro dell'Economia e Finanze, dal Ministro dell'Università e della Ricerca e dalle Organizzazioni Sindacali. Quella Intesa dovrebbe rappresentare un programma per l’intera legislatura che prevede, fra le altre cose, delle strategie di riforma del sistema universitario e di revisione degli ordinamenti didattici. L’Intesa impegna il Governo ed i sindacati ad assumere la conoscenza come elemento strategico per lo sviluppo del Paese ed a mettere in atto le iniziative concrete che sono necessarie per attuare tale scelta.
Successivamente il Patto per l’Università e la Ricerca sottoscritto il 2 agosto fra i Ministri Mussi e Padoa Schioppa dovrebbe indicare un concreto impegno da parte del governo nei confronti del sistema universitario.
Quindi sembrerebbe che finalmente ci siano tutte le premesse necessarie per dimostrare una vera volontà di affrontare il declino del sistema universitario in Italia e in particolar modo anche la grave crisi della formazione linguistica che allontana l’Italia da quel plurilinguismo che caratterizza il resto dell’Unione europea. Il problema dei lettori/cel di madrelingua è solo un aspetto di quella crisi ma certamente è emblematico e come anello nel ciclo formativo è un aspetto assai vitale. Tutti i vari governi negli ultimi anni hanno tanto parlato dell’importanza dell’insegnamento linguistico per una Italia competitiva a livello europeo e mondiale. Vedremo se con questo governo ci sarà veramente la volontà concreta di trovare finalmente le risposte e le soluzioni necessarie.

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Blog su blogger di Tescaro ha detto...

Complimenti per il vostro interessante blog. Anche sul mio stò trattando un post sulla cultura degli immigrati in Italia e in particolare del Bangladsh, vi invito a visitarlo e a lasciare un commento che sarà molto gradito. Buon pomeriggio da Tiziano