venerdì 11 gennaio 2008

Le dimissioni di Ilda Boccassini dall'A.N.M.: i motivi


di Cinzia Sasso
(Giornalista)



da La Repubblica dell’11 gennaio 2008

“Siamo diventati una corporazione, serve pulizia tra di noi”
Lo sfogo della Boccassini: “Magistrati, fate autocritica”

Come quindici anni fa. Anche stavolta l’attacco arriva a freddo, inatteso, proprio ora perfino impensabile.

La rabbia è la stessa, anzi, forse di più.

Perché «tanto tempo è passato ma niente è cambiato, come fossimo nella Palermo del principe di Salina».

Per Ilda Boccassini la maturità, però, è una conquista e un grande alleato, e allora oggi per alzare la voce, per puntare l’indice, per suggerire disperatamente attenzione, bastano poche righe.

Messe nero su bianco. Oggi non occorre un microfono in mano.

Ilda Boccassini quelle righe le ha scritte alla metà di dicembre, sono le sue dimissioni dall’Associazione Nazionale Magistrati.

E non sono la stizza di chi si è sentito scavalcato; non è, anche se a molti fa comodo leggerle semplicemente così, l’invidia contro un collega che è anche un amico.

Le sue dimissioni, rese note dal Corriere della Sera, parlano solo di motivi «maturati nel tempo».

Ma dietro c’è un preciso atto d’accusa contro la sua associazione che «non ha mai fatto autocritica», che «non ha il coraggio di guardare dentro se stessa», che non pretende da tutti «professionalità, rigore, indipendenza, autonomia».

Che fa, insomma, «come fanno i napoletani con la monnezza: la colpa è sempre degli altri, loro non c’entrano mai».

Tra poco sarebbe toccato a lei: Ilda Boccassini – magistrato-simbolo, l’unica conosciuta e invitata anche all’estero, implorata dalle tivù per un’apparizione, corteggiata per un’intervista – sarebbe diventata uno dei procuratori aggiunti della Repubblica a Milano, la città dove ha lavorato di più.

Ma lei, ancora una volta, ha spiazzato tutti: non vuole più quel posto, non le interessa «fare carriera».

«Io sono un soldato», dice, un magistrato che vuole fare i turni esterni, perché quelli, solo quelli, sono un bagno nella realtà, sono il modo per amministrare la giustizia dei semplici; la giustizia non sono solo i processi a Berlusconi.

Dunque non è la gelosia per una promozione mancata: a concorrere per il posto da aggiunto appena assegnato c’erano lei e Francesco Greco, il collega che ha la stanza proprio di fronte alla sua. Stesso punteggio a tutti e due, ma poi, stavolta, ha fatto premio l’anzianità. Ed è passato Greco, il pubblico ministero delle inchieste finanziarie. Di certo, però, al prossimo turno sarebbe toccato a lei.

Ma, ecco, alla Boccassini questa è sembrata l’occasione giusta per riprendere il discorso cominciato quindici anni fa.

Era il ‘92, l’aula magna del palazzo di giustizia di Milano stracolma. Di fronte a una folla di colleghi che ricordavano Giovanni Falcone, Ilda prese il microfono e puntò il dito: «L’avete fatto morire voi – disse – con le vostre critiche, la vostra indifferenza, la vostra diffidenza».

Era un atto d’accusa violento contro una categoria.

Quella categoria che non l’ha mai amata perché lei non è mai stata un cavallo da scuderia e non ha mai accettato briglie sul collo.

Che ufficialmente l’ha portata ad esempio, ma che ha ritardato le sue promozioni.

Che l’ha avuta come emblema, ma che sotto sotto l’ha vissuta come un peso da cui liberarsi: lei, una donna, per giunta, che con la sua ostinazione a celebrare a tutti i costi qualsiasi processo sembrava essere diventata la causa della rappresaglia della politica contro la magistratura, non già la paladina di un principio costituzionale.

Perché la carriera dei magistrati è ingessata, prigioniera di logiche di corrente, svincolata da valutazioni sulla professionalità e sul rendimento, passa chi deve passare per questioni di equilibrio interno.

La carriera dei magistrati, pensa la Boccassini, «è un mercato»; e a volte, ma solo a volte, vincono i migliori.

Ed è questo quello che le sue dimissioni dal sindacato dei magistrati, da «una corporazione ripiegata su se stessa», vogliono dire.

«Facciamo autocoscienza, guardiamo dentro noi stessi. Abbiamo il coraggio di dire che ci sono sacche di ignoranza, di scarsa produttività, anche di corruzione».

Un appello disperato: «A me – dice Boccassini – interessa solo il mio lavoro, la credibilità delle istituzioni».

C’è troppa confusione, in giro. Troppi silenzi quando bisognerebbe alzare la voce, e troppo clamore quando sarebbe necessario tacere. Come se la magistratura fosse diventata «un Grande Fratello».

Anche ieri, alla segreteria del P.M., sono arrivate richieste di partecipazione a trasmissioni tivù. E anche ieri, con cortesia ma fermezza, sono state respinte.

«Un magistrato non va in televisione – si inalbera la Boccassini – e c’è perfino stato chi ha avuto il coraggio di paragonarsi a Falcone»: un riferimento alla collega Forleo.

Se c’era un’attenuante, fino a qualche tempo fa, quando il governo Berlusconi aveva dichiarato guerra alla magistratura e dunque l’esigenza primaria era quella di difendersi coi denti, oggi quell’attenuante non vale più.

Non esiste un governo amico – perché la forza della magistratura sta nella sua indipendenza – ma oggi, secondo lei, la categoria dovrebbe riprendere la battaglia anche dentro se stessa.

Avere il coraggio di liberarsi dalla logica delle correnti.

Trovare la forza di imporre quelle quattro, semplici parole, che sono sempre state il suo unico motto: «Professionalità, rigore, indipendenza, autonomia».

3 commenti:

Anonimo ha detto...

Belle parole, ma non vedo come una categoria possa riformarsi DA SE'. Sarà sempre peggio, nonostante gli sforzi dei migliori, perché i migliori sono pochi, isolati, e contano poco.

Non credo che la gran massa, la maggioranza, sia mossa da grandi ideali. Credo che prevalgano soltanto criteri spiccioli di convenienza, adeguati allo spirito dei tempi.

Pertanto, temo che questo "andazzo", che ha già fatto perdere gran parte del consenso popolare dai tempi (lontanissimi, ormai) di "mani pulite", finirà per isolare del tutto la magistratura, e per assoggettarla interamente, mutato il governo e la maggioranza, al potere politico, anche se pro forma rimarrà "indipendente".

Con grave danno per gli onesti, per i magistrati che fanno bene il loro lavoro e, in ultima analisi, per tutti i cittadini.

Non vedo soluzioni. Qualcuno ne può suggerire almeno una ?

Anonimo ha detto...

Tanto per tenerci informati passo passo

http://www.tendenzeonline.info/apcom/view.php?s=20080111_000135.xml

I testi sono, nell'ordine, il procuratore Lombardi che ha querelato piu' volte a Salerno il PM incolpato, l'aggiunto Murone, definito "creatura sua" da uno degli indagati di Toghe Lucane, il capitano Zaccheo, stretto collaboratore di de Magistris ed indagato a luglio scorso da alcune delle Toghe Lucane sotto inchiesta a CZ come associato a delinquere in concorso con aluni giornalisti e trasferito a Fermo.

Speriamo vinca la giustizia

KciN ha detto...

La politica è l' artefice principale del lento crearsi di una "forma mentis" che difatto ha reso in tutto e per tutto assimilabile a quanto detto dal censis..Con evidenti ripercussioni anche sulle profesioni dei singoli..

L' indipendenza interna, dopo quella esterna, pare essere destinata a crollare...L' ormai secolare strumentale assedio Mediatico-Politico sta dando i suoi frutti..

Ma cosa ci aspettiamo?Con una scuola sempre più schifosa e con l esempio che giornalmente provvedono a darci le c.d. "classi dirigenti", cosa pretendiamo dalla gente?Cosa dai futuri "funzionari" dello Stato?

Non cambierà mai nulla se non agiamo sulla Scuola, sull' Informazione e sulla Politica..Quantomeno su una di queste componenti..