martedì 8 gennaio 2008

Magistrati: la riforma silenziosa



di Giuseppe Maria Berruti
(Magistrato. Componente del Consiglio Superiore della Magistratura)



da Il Mattino del 4 gennaio 2008

Se ne sono accorti in pochi, salvo i diretti interessati. Ma in magistratura si sta verificando una vera e propria rivoluzione. Organizzativa e culturale.

La riforma Mastella ha inciso profondamente sul regime delle carriere, sulla incompatibilità di sede e di funzione, sul passaggio tra funzioni giudicanti e funzioni inquirenti.

Infine ha modificato non poco il ruolo del dirigente dell’ufficio giudiziario.

In teoria il regime precedente, che consentiva la scelta di un presidente di tribunale o di un procuratore della repubblica attraverso la comparazione di tre criteri (anzianità, merito e attitudini) era corretto e adeguabile alle esigenze pratiche.

Ma ogni professione deve fare i conti con la relazione di forza che si stabilisce quando l’applicazione della legge comporta scelte e, come nel nostro caso, il rischio dl giudizio negativo.

Perciò da qualche decennio i magistrati si erano assestati su di una attesa del turno, che per ciascuno sarebbe arrivato sulla base della anzianità maturata, salvo demeriti.

Un errore. Perché un bilanciamento più intelligente avrebbe consentito di scegliere il dirigente più adatto allo specifico ufficio, anche se non sempre il più anziano.

Un errore che la magistratura ha pagato con la esagerata sottovalutazione pubblica della sua capacità di governo autonomo.

Ma dal quale la riforma, che ha abolito la anzianità come distinto criterio, oggi consente di liberarsi.

I magistrati – dice la Costituzione – si distinguono solo per le funzioni che esercitano.

Li accomuna il potere in base al quale ciascuno di essi intrattiene con la legge, nel momento in cui la interpreta, una relazione esclusiva.

Ogni giudice di questo paese ha totale indipendenza nel momento in cui svolge la sua funzione, perché la correttezza delle sue scelte viene verificata dentro i gradi del giudizio e non nella logica di una struttura burocratica, nella quale il superiore può determinare l’atto dell’inferiore.

La sentenza del giudice resta tale anche se il grado di giudizio successivo la annulla. E il giudice che l’ha pronunciata non deve temere nulla da quell’annullamento.

Da questo sistema delicato sarebbe dovuto derivare un atteggiamento diverso di fronte al problema della scelta dei dirigenti.

Proprio perché se i magistrati sono tutti uguali, in quanto tutti dotati della stessa indipendenza, il dirigente doveva apparire solo un soggetto capace di disporre, meglio di altri, di poteri organizzativi.

Così non è stato. Al punto che alla dirigenza giudiziaria si è assegnata, nella opinione dei magistrati, un rilievo assolutamente grande.

La carriera, e la conseguente valutazione corporativa, che la Costituzione non voleva, i magistrati le hanno create con i loro ritardi.

Oggi la legge, accogliendo una istanza antica della Associazione Nazionale Magistrati, ha stabilito che gli incarichi direttivi durano quattro anni, prorogabili per altri quattro. Quindi al compimento di tale termine essi cessano, senza alcuna deliberazione in proposito: cessano e basta.

La legge non si è fidata di creare un atto dichiarativo di tale cessazione, facilmente aggirabile.

Tra qualche giorno il C.S.M. comincerà a trattare la copertura di qualche centinaio di uffici, di dirigenti e di semi dirigenti che scadono nel modo automatico che ho detto.

Dovrà fare in fretta, perché le scadenze alle quali non seguissero rapide successioni dei nuovi dirigenti creerebbero al sistema un danno enorme.

Il Consiglio Superiore ha scelto di governare questa fase durissima imponendosi ritmi massacranti e proponendosi, nella apposita commissione referente, la ricerca del maggior grado di condivisione delle scelte.

Non perché le differenze di vedute siano considerate espressioni correntizie, ma perché la ricerca della unanimità o almeno di ampie condivisioni, alza il livello di professionalità volta per volta ottenibile.

Questo, almeno nelle intenzioni.

La magistratura si trova ad un bivio. O i magistrati accettano davvero il principio per il quale nessuno può essere esente da una valutazione seria del proprio operato, e dunque accettano anche la opinabilità delle valutazioni, e allora si potrà dire che la autonomia dell’ordine giudiziario può affrontare la modernità, oppure diranno l’ennesimo no, accampando validissime ragioni giuridiche, che il paese non capirà.

Ma getterà nel calderone dei corporativismi che riescono solo a frenare.

5 commenti:

Pietro Gatto ha detto...

A proposito di riforma Mastella, leggo sul Corriere online di oggi:
"La decisione del gip di Ascoli (il repentino ripristino della custodia in carcere del rom accusato di omicidio colposo plurimo e messo ai domiciliari poche ore prima: n.d.a.) è giunta dopo che il ministro della Giustizia, Clemente Mastella, aveva dato mandato «di acquisire ed esaminare immediatamente» il provvedimento con cui il giudice aveva ripristinato gli arresti domiciliari. Il ministro, in una nota, spiega che l’iniziativa serve a verificare se ci sono i presupposti per avviare un’eventuale azione disciplinare nei confronti del gip: si dovrà infatti «valutare l’eventuale sussistenza di profili di abnormità o grave negligenza nell’adozione del provvedimento stesso».
Cosa significa tutto questo? E' semplice dietrologia giornalistica oppure la semplice minaccia di azione disciplinare sta davvero mettendo la mordacchia alla soggezione del giudice alla legge?

Anonimo ha detto...

Caro avv. Gatto,

Non conosco né i fatti né gli atti e dunque non so cosa sia successo.

Certo fa un'impressione enorme vedere quanto sia diventata "normale" questa ingerenza del potere politico nel merito dei provvedimenti giurisdizionali.

Negli ultimi anni ho visto (nei tanti bei documentari che si trovano in dvd) e letto molto sul fascismo e il nazismo (ovviamente non si tratta di una questione di "colore politico", ma delle due esperienze del genere più "vicine" a noi, nel tempo e nello spazio) e mi sono convinto che stiamo ripercorrendo le stesse tappe "culturali" di quelle "esperienze".

Il Ministro della Giustizia che "acquisisce" i provvedimenti dei giudici per promuovere iniziative disciplinari quando "non li condivide" e il Procuratore Generale della Cassazione che a volte pure lo fa (vedi il caso Forleo) a me fanno moltissima impressione.

L'indifferenza dei responsabili delle istituzioni, il silenzio complice dell'A.N.M. su tutto questo mi fa ancora più impressione.

Veramente ci stiamo giocando la democrazia e, come accade sempre in questi casi, lo stiamo facendo senza renderci conto di ciò che questo significa.

Grazie per avere richiamato l'attenzione su questa cosa.

Felice Lima

Anonimo ha detto...

ci stiamo giocando la democrazia? Io penso che abbiamo già fatto molta strada: 1) il dott. De Magistris conduce una inchiesta; 2) Il P.G. f.f. la avoca sulla base ( sembra) del nuovo art. 70 Ord.Giud.( avocazione surrogatoria: non avoca il Procuratore Capo avoca al suo posto il P.G.); 3) Le legge, per questa novellata avocazione, non consente ricorso in Cassazione da parte del Sostituto; 4) Non è, quindi, ammesso ricorso; 5) L'invocato art. 70, tuttavia non abroga il controllo di motivazione del CSM ( questo sembrerebbe potersi argomentare sulla base dell'art. 15 preleggi nonchè sul generale obbligo di motivazione dei provvedimenti - in quante espressione di una funzione - sub species giudiziari che ovviamente sottende un suo controllo) ma sembra da fonti giornalistiche quest'ultimo non è intervenuto poichè non esistevano precedenti anche se a questo link si può leggere il CSM sulla materia http://www.csm.it/circolari/070912_6.pdf; 6) In ogni caso, proprio perchè era inammissibile il ricorso da parte del sotituto, esigenze di controllo facevano apparire opportuno un controllo di motivazione sub specie di eventuale violazione di legge ( vizio del provvedimento).
L'atto invece è rimasto privo di controllo con applicazione di una normativa ( creazione di scala gerarchica tra magistrati) che sembrerebbe in contrasto con l'art. 107 Cost.

Anonimo ha detto...

Ho letto l'articolo sul Corriere, questo Marco Ahmetovic, ci da la dimensione giusta di come siamo ridotti in Italia: 1)si lascia un alcolizzato in possesso di patente di guida, 2) arrestato in seguito ad omicidio colposo plurimo, gli vengono concessi gli arresti domiciliari, 3)un manager, molto intelligente, lo usa per fare promozione pubblicitaria, 4) viene riarrestato per violazione delle norme prescritte, 5) concessioni di arresti domiciliari per altro reato diverso commesso in precedenza, 6) concessioni arresti domiciliari per il reato di omicidio colposo in un luogo diverso da dove aveva stabilito al punto 5 il giudice, 7) intervento del senatore Storace che così dichiara in risposta alla concessione degli arresti domiciliari "Intendiamo preparare un bel comitato d'accoglienza», 8) intervento di Veltroni, 9)intervento di Mastella, 10) revoca della concessione degli arresti domiciliari da parte del gip.
Cari esperti di legge, è chiaro che alla fine gli italiani frastornati cercheranno disperatamente un mussolini che ponga finalmente un pò d'ordine all'attuale stato confusionale.
bartolo iamonte

Anonimo ha detto...

E’ attività giurisdizionale non censurabile quella del Presidente della Corte di Appello di Assise che ha disposto la cancellazione di un’espressione offensiva della dignità del testimone pronunciata da un avvocato nel corso dell’arringa del procedimento di primo grado.
Il principio è desumibile dalla deliberazione della Prima Commissione del Consiglio Superiore della Magistratura che nella seduta del 11.07.07 ha deciso di respingere il mio esposto del 5 Maggio 2006.
Col suddetto reclamo avevo per di più documentato:
1. che il provvedimento di cancellazione era stato dall’offensore sollecitato per iscritto nel maldestro tentativo di aggirare la competenza del Giudice civile chiamato - già da tempo - a giudicare sulla mia domanda di risarcimento;
2. che la cancellazione non sarebbe stata concretamente attuabile sul supporto magnetico;
3. che le espressioni offensive contro la mia persona erano state pronunciate intenzionalmente per inquietanti finalità mai chiarite.

SIC STANTIBUS REBUS, ben venga la riforma del C.S.M.