mercoledì 16 luglio 2008

Il testo integrale della sentenza della Cassazione sul “caso De Magistris”


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Pubblichiamo il testo integrale della sentenza delle Sezioni Unite Civili della Corte di Cassazione sul “caso De Magistris”.

Si tratta della sentenza n. 19279 dell’1-11 luglio 2008.

Fra i commmenti abbiamo inserito una spiegazione semplificata (per i “non addetti ai lavori”) della questione di diritto.

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CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Sezioni Unite Civile


Presidente Corona - Relatore Oddo



Svolgimento del processo

Il Ministero della Giustizia promosse il 20 settembre ed il 4 ottobre 2007 azione disciplinare nei confronti di Luigi De Magistris, sostituto procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Catanzaro, chiedendone contestualmente il trasferimento in via cautelare ad altra sede e ad altre funzioni, in relazione ad illeciti commessi nell’esercizio delle sue funzioni di magistrato assegnatario della trattazione dei procedimenti cc.dd. “Poseidone”, “Toghe lucane” e “Why not” e, in particolare, in relazione alla trasmissione alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Salerno di un procedimento penale del quale gli era stata revocata la coassegnazione, all’emissione di tre decreti di perquisizione locale nei confronti, tra gli altri, del Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Potenza, del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Matera e di un Sostituto procuratore presso il Tribunale di Potenza, alla mancata richiesta di convalida di un provvedimento di fermo, all’omissione dell’iscrizione di alcuni indagati nel registro notizie di reato, alla condotta tenuta nei confronti di altri magistrati, all’omessa cautela per prevenire la diffusione di notizie attinenti a procedimenti in corso ed ai rapporti da lui mantenuti con i mezzi di comunicazione.

All’esito delle indagini richieste dal Ministero, il Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione chiese al Presidente della sezione disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura la fissazione dell’udienza per la discussione del procedimento disciplinare formulando le seguenti incolpazioni del De Magistris:
A) violazione degli artt. 1 e 2, co. 1, lett. n), d.lgs. n. 109/2006, mod. con 1. n. 269/2006, per aver gravemente mancato ai propri doveri di correttezza e rispetto delle norme anche regolamentari disciplinanti il servizio giudiziario adottate dagli organi competenti; in particolare nell’esercizio delle sue funzioni giudiziarie, con grave inosservanza delle disposizioni adottate dal capo dell’ufficio che aveva disposto in data 29.3.2007 la revoca della coassegnazione anche al medesimo di un procedimento penale (n. 1217/05-21), ordinava in data 30.3.2007 - malgrado non avesse più alcuna legittimazione a procedere essendo intervenuta la revoca dell’assegnazione - la trasmissione di detto procedimento per competenza ex art. 11, c.p.p., al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Salerno, sottraendone la disponibilità ai magistrati rimasti coassegnatari del procedimento;
B) violazione degli artt. 1 e 2, co. 1, lett. a), g), e u), d.lgs. n. 109/2006, per avere, con grave e inescusabile negligenza, emesso, nell’ambito del procedimento penale n. 3750/0321- n. 444/05-21, denominato “Toghe lucane”, in data 5.6.2007, un decreto di perquisizione locale nei confronti del dr Vincenzo Tufano, Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Potenza, ed altri, eseguito il successivo 7.6.2007, connotato da gravi anomalie, quali l’evidente non pertinenza della motivazione (attestata altresì dal successivo annullamento del Tribunale del riesame con ordinanza in data 3.7.2007) nella parte in cui richiamava procedimenti penali sforniti di qualsivoglia attinenza ai reati ipotizzati, con conseguente illegittima diffusione dei relativi atti di indagine, e violazione del diritto alla riservatezza delle persone impropriamente nominate, tra le quali due magistrati del Tribunale di Potenza, che si ipotizzava avessero una relazione extraconiugale fatto, pur se eventualmente fondato, del tutto indifferente sia ai fini indiziari sia ai fini della motivazione dell’atto;
C) violazione degli artt. 1, 2, co. 10, lett. n), d.lgs. n. 109/2006, per aver gravemente mancato ai propri doveri di correttezza e rispetto delle norme anche regolamentari disciplinanti il servizio giudiziario adottate dagli organi competenti emettendo il decreto suddetto senza preventiva informazione del Procuratore della Repubblica, capo dell’Ufficio e magistrato codelegato alla trattazione del procedimento; violazione da ritenersi grave per la rilevanza del provvedimento - emesso a carico di un Procuratore Generale della Repubblica, di un ex parlamentare, di un alto funzionario della Polizia di Stato, del Presidente di un Consiglio dell’Ordine degli Avvocati - per il clamore che avrebbe sicuramente suscitato e per i prevedibili dirompenti effetti che avrebbe avuto sull’’amrninistrazione della giustizia penale in Basilicata;
D) 1. violazione degli artt. 1 e 2, co. 1, lett. a), ed n), d.lgs. n. 109/2006, perché, arrecando ingiusto danno e con grave inosservanza di norme regolamentari e delle disposizioni sul servizio giudiziario prescritte dagli organi competenti, adottava, nell’ambito del procedimento penale n. 949/2006, un decreto di perquisizione locale nei confronti di tre indagati, tra i quali il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Matera, tacendone l’esistenza al Capo del suo Ufficio, al quale sottoponeva esclusivamente il decreto di sequestro preventivo d’urgenza adottato nell’ambito della stessa indagine, che sarebbe stato poi eseguito con testualmente alla perquisizione; violazione da ritenersi grave per la particolare pregnanza del dovere d’informazione verso il Procuratore, data la rilevanza del provvedimento, la qualità dei suoi destinatari, e le prevedibili conseguenze in termini di pubblico clamore, credibilità della giurisdizione e buon funzionamento dell’Amministrazione della giustizia.
2. violazione degli artt. 1 e 2, lett. n), d.lgs. n. 109/2006, per avere emesso, con grave inosservanza di norme regolamentari e delle disposizioni sul servizio giudiziario prescritte dagli organi competenti, nell’ambito del procedimento penale n. 444/05-21 iscritto presso la Procura della Repubblica di Catanzaro e di cui era coassegnatario il dott. Mariano Lombardi, procuratore della Repubblica, in data 17.2.2007 nei confronti della dott.ssa Felice Genovese (sostituto procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Potenza) e del marito della stessa Michele Cannizzaro entrambi indagati per il reato di cui agli artt. 110 e 323 c.p., decreto di perquisizione, decreto di sequestro (provvedimenti entrambi annullati dal tribunale del riesame perché adottati dopo la scadenza dei termini massimi di durata delle indagini preliminari) ed invito a comparire nei confronti della dott.ssa Genovese, senza previa informazione del Procuratore della Repubblica, anche coassegnatario del procedimento;
E) violazione degli artt. 1 e 2, co. 1, lett. g), d.lgs. n. 109/2006, perché nell’ambito del procedimento penale n. 2350/03 R.G.N.R., con inescusabile negligenza, dopo l’emissione (in data 23 giugno 2006) ed esecuzione (in data 12 luglio 2006) nei confronti di 26 in dagati di un provvedimento di fermo, ometteva di richiederne la convalida al G.I.P. di Catanzaro ai sensi dell’art. 390 c.p.p., determinando la conseguente dichiarazione di inefficacia da parte del G.I.P. in data 14.7.2006;
F) violazione degli artt. 1 e 2, co. 1, lett. d), d.lgs. n. 109/2006, perché, nell’esercizio delle funzioni giudiziarie sopra indicate, ponendo in essere più comportamenti gravemente scorretti generava, nei confronti dei superiori e di altri magistrati, sospetti non suffragati da elementi probanti, con conseguente oggettivo discredito per l’istituzione giudiziaria. In particolare:
1. nelle note trasmesse al CSM in data 2 aprile 2007 ed al Procuratore Generale di Catanzaro in data 16 aprile 2007, il dott. De Magistris, nel riferire in merito alla disposta segretazione dell’iscrizione dei nominativi di Pittelli Giancarlo e di Crepella Lombardo Walter, affermava di non aver “... informato il Procuratore della Repubblica ed il Procuratore Aggiunto dell’iscrizione a mod. 21 dell’avv. Giancarlo Piattelli per i motivi che ha specificato, non solo nel provvedimento di iscrizione stesso, ma anche nella nota trasmessa alla Procura della Repubblica di Salerno, nella quale si legge: “Per scongiurare, difatti, che l’indagato potesse essere messo a conoscenza dell’iscrizione nei suoi confronti e di attività investigativa che lo riguardava, per quanto di fatti era emerso, ho effettuato un provvedimento - motivato - di iscrizione, disponendo la segretazione dell’atto ...” mostrando così di diffidare della riservatezza e della correttezza del Capo dell’ufficio senza, peraltro, addurre circostanze concrete che potessero giustificare tale atteggiamento;
2. nel provvedimento in data 30 marzo 2007, con cui veniva trasmesso il procedimento cosiddetto “Poseidone”, n. 1217/05-21, alla Procura della Repubblica di Salerno, ritenuta competente ex art. 11, c.p.p., esponeva di ritenere che il provvedimento di revoca della coassegnazione disposto dal Procuratore dott. Lombardi fosse “... connotato da profili di illiceità ... In particolare, la condotta associativa che vede coinvolto, quale indagato, nel procedimento penale indicato in oggetto, il sen. avv. Giancarlo Pittelli sembra essere caratterizzata, a questo punto, anche proprio dalla sua capacità di consumare condotte illecite unitamente a Magistrati ... Ritengo a questo punto doveroso trasmettere gli atti a codesto Ufficio sia per valutare, alla luce dei nuovi elementi, la connessione dell’ intero fascicolo con gli atti già trasmessi (tenuto conto del coinvolgimento del dr Lombardi), sia per evitare che Magistrati, nei confronti dei quali ho rappresentato fatti che ritengo gravi, possano contribuire a reiterare condotte di favore nei confronti, quanto meno, dell’indagato Piattelli. Ritengo veramente assai grave e sconcertante che dopo due anni circa di attività di indagine ... mentre mi accingevo a richiedere l’applicazione, di misure cautelari personali e reali ed avviarmi al deposito degli atti ai sensi dell’art. 415 bis, c.p.p., mi venga revocata la coassegnazione con un provvedimento che, tra, l’altro, mi pare illegale”, con ciò adombrando una possibile strumentalizzazione dei propri legittimi poteri da parte del Procuratore della Repubblica in vista del raggiungimento di finalità illecite, senza specificare né i moventi né lo scopo del Procuratore;
3. con nota diretta al Procuratore della Repubblica in data 10 luglio 2007, il dott. De Magistris, riferendosi a due richieste che gli provenivano dal Procuratore Aggiunto dott. Murone, volte a conoscere eventuali ipotesi di duplicazione di indagini nei procedimenti 1217/05-21 e 2057/06-21, chiedeva “... direttive sulla necessità - e le eventuali modalità - delle informazioni da fornire al Procuratore Aggiunto richiedente, il quale appare coinvolto in rapporti che appaiono sospetti, per come già rappresentato al Procuratore della Repubblica di Salerno, proprio con il principale indagato, Saladino Antonio”, definendo le richieste del Procuratore Aggiunto “un’oggettiva interferenza sull’attività investigativa in pieno svolgimento” presso il suo Ufficio ed assumendo, altresì, di aver già riferito, “per le vie brevi”, circa il coinvolgimento ..: del collega Cisterna della Procura Nazionale Antimafia”.
Richiesto dal dott. Lombardi di precisare in cosa consistevano i sospetti che egli aveva nei confronti del Procuratore Aggiunto dott. Murone, riferiva che erano stati acquisiti elementi di collegamento tra quest’ultimo e l’indagato, Saladino Antonio, elementi desumibili dall’esame di alcuni tabulati telefonici, non essendo peraltro in grado di spiegare “secondo quale aspetto la richiesta del dott. Murone gli appariva come una oggettiva interferenza nell’attività investigativa che stava compiendo ...”. Analogamente, anche con riguardo al dott. Cisterna, il ritenuto “coinvolgimento” veniva desunto da “contatti telefonici che emergevano dai tabulati acquisiti nel procedimento”. In entrambi i casi veniva, quindi, esclusa la sussistenza di elementi tali da determinare l’assunzione della veste di indagato da parte di magistrati asseritamene “coinvolti”, come comprovata dalla mancata iscrizione dei nominativi dei dottori Murone e Cisterna nel registro degli indagati’,
G) violazione degli arti. 1 e 2, lett. a), g), m) e ff), d.lgs. n. 109/2006, perché mancava gravemente ai propri doveri di diligenza, di equilibrio e di rispetto delle norme anche regolamentari disciplinanti il servizio giudiziario, e adottava provvedimenti in casi non consentiti dalla legge, in quanto, nell’esercizio delle funzioni giudiziarie sopraindicate, violando l’art. 335, c.p.p., eludeva l’obbligo di immediata iscrizione nel registro delle notizie di reato di Crettella Lombardo Walter e di Piattelli Giancarlo attraverso la redazione di un provvedimento di iscrizione - abnorme e comunque inidoneo a determinare effetti giuridici - del seguente testuale tenore:
“OGGETTO: iscrizione di nominativi di indagati nel registro mod. 21. Il Pubblico Ministero,
letti gli atti del proc. n. 1217/05 mod. 21,
viste, in particolare, le risultanze già inviate dai CTU dr Pietro Sagona e dr Gioacchino Genchi, dispone iscriversi i seguenti nominativi: Pittellì Giancarlo; nato a Catanzaro il 9.2.1953; Crettella Lombardo Walter, nato a Colosimi (CS) il 22.11.1951; il primo in ordine ai reati p. e p. dagli artt. 416 648 bis, c.p., in Catanzaro, nella regione Calabria ed altre parti del territorio nazionale con condotta in atto; il secondo in ordine al reato p. e p. dall’art. 416, c.p., nella regione Calabria ed altre parti del territorio nazionale, con condotta in atto;
rilevato che vi sono pressanti ed inderogabili esigenze di assoluta segretezza - desunte anche da attività effettuata in altro procedimento - che impongono che il predetto provvedimento venga immediatamente depositato in armadio blindato e non comunicato, almeno allo stato, a nessuno, nemmeno al R.E.G.E; rilevato che tali ragioni non debbono, comunque pregiudicare i diritti degli indagati; dispone che la decorrenza dei termini delle indagini preliminari avvenga alla data odierna;
letti gli artt. 329 e 335, c.p.p., dispone il segreto sul presente provvedimento. Catanzaro 31.1.2007”
Con postilla autografa a margine veniva aggiunto; “Si aggiorni inserendosi anche il reato p. e p., dall’art. 2 lg 25.1.1982, n. 17, Cz 15.3.07”
L’atto, quindi, privo di qualsiasi attestazione di deposito e di altro connotato che conferisse certezza alla sua data, contrasta con l’art. 335, c.p.p., che consente una segretazione delle iscrizioni sul registro, ma non una “iscrizione’’ destinata per ragioni di riservatezza a rimanere nell’armadio blindato dell’ufficio, con una lesione dei diritti delle persone cui è attribuito il reato.
Veniva così formato un atto elusivo delle specifiche finalità cui era destinato (l’iscrizione al Re.Ge.) con fissazione del decorso dei termini per le indagini preliminari con i corrispondenti diritti dei soggetti indagati, ed inoltre gravato dall’apposizione di un segreto non contemplato né dal terzo comma dell’art. 329, c.p.p., (difettando la qualifica di atto d’indagine) né dal terzo comma bis dell’art. 335, c.p.p., (difettando la richiesta di comunicazioni da parte degli aventi diritto).
Con lo stesso comportamento, il dott. De Magistris impediva inoltre al Procuratore dott. Lombardi di astenersi in relazione ad un procedimento del quale era coassegnatario, e che vedeva quale indagata persona con cui, come riferito dallo stesso Lombardi, aveva un ventennale rapporto di amicizia e frequentazione. Inoltre la “anomala” annotazione della supposta iscrizione ha determinato comunicazioni difformi dal vero ed in contrasto con le testuali previsioni dell’art. 110 bis, disp. att. c.p.p.;
H) violazione degli artt. 1 e 2, co. 1, lett. g) ed n), d.lgs. n. 109/2006, perché, con grave violazione di legge per negligenza inescusabile e grave inosservanza di norme regolamentari ordinava in data 1.3.2007 una perquisizione domiciliare (successivamente annullata dal Tribunale del Riesame per carenza di indizi) nei confronti di un ufficiale generale della Guardia di Finanza e l’invio di un’informazione di garanzia nei confronti di un parlamentare senza previamente iscrivere ì relativi nominativi nel registro notizie di reato, così come specificamente contestato al capo precedente, e senza previamente informare gli altri magistrati coassegnatari del procedimento che erano all’oscuro di tali iniziative non concordate;
I) violazione degli artt. 1 e 2, co. 1, lett. u) ed aa), d.lgs. n. 109/2006, perché nell’esercizio delle funzioni giudiziarie sopra indicate, ponendo scarsa attenzione al profilo della riservatezza nello svolgimento dell’attività investigativa ed omettendo qualsiasi cautela idonea a prevenire la diffusione di notizie attinenti a procedimenti in corso rendeva possibile ripetute ed in controllate fughe di notizie. In particolare:
1. con riferimento all’informazione di garanzia emessa nei confronti di Bisignani Luigi, il quale riferiva, con esposto datato 10 luglio 2007, di essere stato contattato in data 3 luglio 2007 dal vice direttore del settimanale Panorama che gli chiedeva di commentare l’avviso di garanzia emesso nei suoi confronti dalla Procura di Catanzaro per reati previsti dalla legge Anselmi sulle associazioni segrete nell’ambito di una più ampia inchiesta delegata al dott. De Magjstris: avviso di garanzia che gli veniva ritualmente notificato il successivo 5 luglio in occasione della perquisizione disposta nei suoi confronti dal suddetto magistrato;
2. con riferimento all’iscrizione nel registro degli indagati del Presidente del Consiglio dei ministri in carica Romano Prodi, disposta il 13 luglio 2007 sempre nell’ambito del medesimo procedimento penale, la notizia dell’iscrizione veniva diffusa lo stesso giorno attraverso il sito web di Panorama in cui appariva l’articolo a firma di Giacomo Amadori dal titolo “Inchiesta sulla loggia di San Marino: Prodi indagato a Catanzaro”;
3. prima ancora della iscrizione del Presidente del Consiglio dei Ministri nel registro degli indagati, sul settimanale Panorama n. 28 del 12 luglio 2007, distribuito in edicola il 6 luglio 2007, era apparso un articolo dal titolo “Le relazioni pericolose del professore” di Giacomo Amadori in cui veniva riferito di persone indagate vicine al Presidente del Consiglio dei Ministri e dello svolgimento di un’analisi dei tabulati del numero di cellulare utilizzato dal Presidente Prodi. Tali notizie, alla data del 6 luglio, non potevano che provenire da fonti dirette, poiché a quella data non era stato utilizzato in sede processuale o incidentale alcun documento nel quale esse fossero formalizzate;
4. con riferimento al contenuto del decreto di perquisizione locale emesso in data 5 giugno 2007 dal dott. De Magistris in pregiudizio, tra gli altri, del Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Potenza dott. Vincenzo Tufano, ed eseguito il 7 giugno, il dott. De Magistris risulta aver inviato il successivo 8 giugno, all’indirizzo di posta elettronica del Capitano dei CC Pasquale Zacheo, non delegato allo svolgimento delle indagini, il decreto di perquisizione, che lo stesso Zacheo faceva inviare immediatamente all’indirizzo di posta elettronica del giornalista del Corriere della Sera Carlo Vulpio, il quale si occupava di “Toghe lucane” e intratteneva in quel periodo assidui rapporti personali con dott. De Magistris, testimoniati dalle intercettazioni telefoniche disposte nell’ambito dei procedimento penale n. 2751/06-21 dalla Procura della Repubblica di Matera;
L) violazione degli artt. 1 e 2, co. 1 lett. a), d), v), aa), d.lgs. 109/2006, 5, co. 2, d.lgs. n. 106/2006, perché manteneva un disinvolto rapporto con la stampa e i mezzi di comunicazione del tutto disattento ai profili di opportunità nonché di riservatezza delle attività d’indagine preliminare, oggettivamente in grado di determinare la divulgazione del contenuto di atti giudiziari sottoposti al segreto d’ufficio, anche quando svincolati dal segreto investigativo, rendendo dichiarazioni senza la delega del Procuratore della Repubblica e suscitando altresì pubblicità sulla propria attività di indagine, anche utilizzando canali informativi personali privilegiati. In particolare:
1. rilasciava un ‘intervista al quotidiano Il Giornale, del 14 agosto 2007, avente per contenuto fatti oggetto di indagini in corso e (sia pure allusivamente) soggetti nelle medesime coinvolti, spesso utilizzando, altresì, espressioni del tutto improprie ed incontinenti, in termini di inammissibili sfoghi, del tenore “vogliono togliermi le inchieste”, “vogliono fermarmi”, ed altre della medesima portata; inoltre, nella medesima intervista, dichiarava che il procuratore della Repubblica aveva disatteso le sue richieste di essere affiancato nelle indagini più delicate ed anzi era stato oggetto di accuse “per convincere il CSM ad allontanarmi per incompatibilità ambientale”;
2. rendeva, in più occasioni, dichiarazioni pubbliche o interviste riguardanti gli affari in corso di trattazione, con le quali, in maniera gravemente scorretta nei confronti di altri soggetti - partì, difensori e magistrati - faceva apparire che le iniziative giudiziarie o con finalità di accertamenti deontologici, - adottate nei suoi confronti - fossero in realtà manifestazioni di un complotto per far cessare la sua attività d’indagine anche con il ricorso ad istituti processuali strumentalmente utilizzati per intaccare l’autonomia e il potere diffuso della magistratura (dichiarazioni al Giornale radio Rai 3 trasmessa nell’edizione delle 8.45 del 13 agosto 2007 e ripresa dalla Gazzetta del Mezzogiorno del 14 agosto 2007; dichiarazione a Tele Reggio in data 19 settembre 2007; dichiarazioni al quotidiano L’Unità del 13 agosto 2007; dichiarazioni al quotidiano Unità del 1 aprile 2007; intervista a Telespazio del 20 maggio 2007, con cui si lamenta che il De Magistris ingenera il convincimento di essere vittima di persecuzioni da parte di magistrati e di politici di ogni fazione, ponendosi quale unico moralizzatore della vita pubblica calabrese; intervista al quotidiano Repubblica e al quotidiano Corriere della Sera del 21 ottobre 2007);
M) violazione degli artt. 1 e 2, co. 1, lett. u), d.lgs. n. 109/2006, per aver omesso di esercitare la dovuta diligenza ai fine di evitare la divulgazione di atti del procedimento coperti dal segreto o di cui sia previsto il divieto di pubblicazione. In particolare:
a) in relazione al processo” Toghe lucane”:
1. divulgazione sul quotidiano Calabria Ora del 25 maggio 2007 del contenuto dell’atto, coperto da segreto, avente ad oggetto il decreto di consegna di documenti emesso il 21 maggio 2007 nei confronti della dott.ssa Genovese;
2. divulgazione sul quotidiano Corriere della Sera del 26 e 27 febbraio e 3 e 17 marzo 2007, a firma di Carlo Macrì e Carlo Vulpio, del contenuto di atti e di alcune intercettazioni relative alle indagini in corso;
3. divulgazione, sul quotidiano Corriere della Sera del 15 aprile 2007 del contenuto delle dichiarazione del Sostituto Procuratore di Potenza nonché, sullo stesso quotidiano del 14 maggio 2007, delle dichiarazioni del dott. Rocco Pavese, GIP del Tribunale di Potenza, nonché, sullo stesso quotidiano del 25 maggio 2007, delle dichiarazioni del dott. Alberto Iannuzzi, GIP del Tribunale di Potenza, rese tutte nei rispettivi interrogatori davanti al dott. De Magistris; divulgazione di notizie riservate e di attività di indagine sul quotidiano La Stampa del 22 maggio 2007 circa le modalità di svolgimento dell’attività istruttoria compiuta da De Magistris all’interno del palazzo di giustizia di Potenza;
b) In relazione ai procedimenti Poseidone e Why Not:
1. divulgazione al settimanale L’Espresso in edicola il 29 marzo 2007 delle indagini in corso, con diffusione del nome degli indagati, della informazione di garanzia nei confronti del sen. Pittelli del 24 marzo (notizia apparsa sull’indicato settimanale pur essendo la notifica all’interessato avvenuta solo il giorno precedente 28 marzo) e dell’ampia ricostruzione della attività investigativa in corso sulla “presunta cupola politico-affaristica” esistente in Calabria, anche con specifici riferimenti alla collaborazione investigativa con l’OLAF (nonostante la prescritta riservatezza dell’indicata attività di cooperazione giudiziaria) ed ai possibili sviluppi delle indagini su presunte “nomine pilotate” del direttore generale dell’OLAF;
2. divulgazione al quotidiano “La Stampa” del 8 aprile 2007 (a firma di Antonio Massari), Corriere della Sera del 1 aprile 2007 (a firma di Carlo Macrì) del contenuto e delle ragioni della nota del 30 marzo inviata al Procuratore della Repubblica di Salerno con la quale aveva trasmesso per competenza l’intero fascicolo n. 1217/05 (come” corpo di reato “) in relazione a responsabilità penali a carico del Procuratore Lombardi.
La sezione disciplinare, riunito il procedimento avente ad oggetto la richiesta di trasferimento cautelare a quello di merito, respinse nell’udienza dell’11 gennaio 2008 la richiesta dell’incolpato di rinvio del giudizio in attesa dell’esito delle indagini preliminari in corso presso la procura della Repubblica di Salerno e, accolta l’istanza subordinata dì acquisizione dei verbali relativi alle audizioni dei magistrati di detta procura innanzi alla prima commissione del C.S.M., con sentenza del 18 gennaio 2008 - depositata il 19 febbraio 2008 -:
- dichiarò il De Magistris responsabile delle incolpazioni di cui ai capi A), B), C), D.2), E) e G), riqualificate in parte come in motivazione, infliggendogli la sanzione della censura;
- assolse il predetto dalle incolpazioni di cui ai capi D.l), F), I), L) ed M) per essere rimasta esclusa la sussistenza degli addebiti;
- dichiarò non luogo a provvedere quanto al capo H), in quanto assorbito nel capo G);
- dispose il trasferimento del De Magistris ad altra sede e ad altre funzioni;
- respinse la richiesta di misura cautelare.
Per la cassazione della sentenza sono ricorsi il Ministero della Giustizia con atto notificato il 20 marzo 2008 ed il De Magistris con atto depositato l’11 aprile 2008 nella segreteria della Sezione Disciplinare del C.S.M. ed illustrato da memoria.


Motivi della decisione


Precede l’esame della questione relativa all’osservanza dei termini e delle forme imposti per la proposizione dei ricorsi, alla cui trattazione le parti sono state invitate prima dell’inizio della discussione.

Il d.lgs 23 febbraio 2006, n. 109 (disciplina degli illeciti disciplinari dei magistrati, delle relative sanzioni e della procedura per la loro applicabilità) ha abrogato con l’art. 31, a far data dal novantesimo giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella G.U., l’art. 60, d.p.r. 16 settembre 1958, n. 916, che avverso i provvedimenti in materia disciplinare del C.S.M. consentiva il ricorso delle parti alle sezioni unite civili della Corte suprema di cassazione entro sessanta giorni dalla loro comunicazione in copia integrale, ed ha disposto che:

- i motivi delle sentenze sono depositati nella segreteria della sezione disciplinare entro trenta giorni dalla deliberazione (art. 19, co. 2);

- avverso i provvedimenti della sezione disciplinare l’incolpato, il Ministro della giustizia ed il Procuratore generale presso la Corte di cassazione possono proporre ricorso per cassazione, nei termini e con le forme previsti dal codice di procedura penale (all’art. 24, co. 1);

- la Corte di cassazione decide il ricorso entro sei mesi dalla sua data di proposizione a sezioni unite civili (art. 24, co. 2, come sostituito, con decorrenza 8 novembre 2006, dall’art. 1, co. 3, lett. o), l. 24 ottobre 2006, n. 269, che ha modificato l’iniziale attribuzione della competenza alle sezioni unite penali).

Nel nuovo quadro normativo le sentenze della sezione disciplinare, pronunciate - quale quella in oggetto - nei procedimenti promossi successivamente al 19 giugno 2006 vanno dunque impugnate, quanto alle forme del ricorso ed alle sue modalità di presentazione, con l’osservanza degli artt. 581, 582 e 583, c.p.p., e, quanto ai termini del ricorso, con l’osservanza degli artt. 544 e 585, c.p.p., che determinano la durata di detti termini in funzione del tempo stabilito per il deposito della motivazione delle sentenze.

Secondo il meccanismo risultante da queste ultime norme, infatti, il termine per l’impugnazione è:

- quindici giorni per le sentenze, la cui motivazione è redatta immediatamente dopo la sottoscrizione del dispositivo;

- trenta giorni per le sentenze, la cui motivazione non è possibile redigere immediatamente e vi si provvede non oltre il quindicesimo giorno da quello della pronuncia;

- quarantacinque giorni per le sentenze relativamente al cui deposito il giudice ha rissato un termine più lungo, non eccedente comunque il novantesimo giorno dalla pronuncia, ritenendo per la particolare complessità della stesura della motivazione di non potere depositare la sentenza nel termine fissato nell’ipotesi precedente.

I termini decorrono dal giorno stabilito dalla legge o determinato dal giudice per il deposito della sentenza o, in caso di ritardo nel deposito, dalla notifica o comunicazione del relativo avviso da parte della cancelleria ed il termine di trenta giorni non differito dal giudice, non muta se il ritardo nel deposito della motivazione trovi causa nella complessità della sua redazione (cfr. cass. pen., sez. un., sent. 30 aprile 1997, n. 5878).

L’articolazione non include l’ipotesi di sentenze, per cui deposito è stabilito un termine di trenta giorni dalla pronuncia, e l’inoperatività che ne consegue dell’automatismo previsto che ricollega i termini di impugnazione a quelli di deposito solleva il quesito se il rinvio fatto dal d.lgs. n. 109/06 per l’impugnazione delle sentenze disciplinari ai termini di impugnazione stabiliti dal codice di procedura penale comporti, non essendo consentita un’interpolazione di termini di decadenza stabiliti dalla legge, l’applicazione del termine previsto per le sentenze, alla redazione della cui motivazione il giudice deve provvedere entro quindici giorni dalla decisione, ovvero del maggiore termine stabilito in caso di indicazione da parte del giudice di un periodo di tempo più lungo per il deposito della motivazione.

Sul punto hanno già avuto modo di esprimersi queste sezioni unite, rilevando, nella sentenza n. 16615/07, l’inammissibilità dell’impugnazione di una sentenza disciplinare, nell’ipotesi in cui fosse stata consentita secondo il rito penale, poiché per le norme regolanti tale rito “il ricorso dev’essere proposto nel termine di trenta giorni dalla comunicazione dell’avviso di deposito della sentenza e nella specie la comunicazione del provvedimento disciplinare in copia integrale è avvenuta in data 16 maggio mentre il ricorso è stato depositato il 4 luglio successivo oltre il termine di legge, scaduto il 15 giugno”, e ritenendo “evidente”, nella sentenza n. 25815/07, “l’inammissibilità (sia per tardività, sia, comunque, per essere stato consumato il diritto di impugnazione)” di un ricorso avverso un’ordinanza della sezione disciplinare per il mancato rispetto dei termini di cui all’art. 585, c.p.p., essendo stato il provvedimento comunicato l’11 maggio 2007 e l’impugnazione proposta il 22 giugno 2007”.

L’obiter dictum del primo rilievo, formulato in relazione ad una ipotetica applicabilità del rito penale, e la non decisività del secondo, essendo l’inammissibilità del ricorso fondata su una duplice ratio, impongono, tuttavia, un ulteriore esame della questione, alla luce, in primo luogo, dei principi che regolano le impugnazioni nel processo penale.

La fissazione di termini diversi per le impugnazione delle sentenze penali e la costruzione di un regime costituito da tre fasce di termini (quindici, trenta e quarantacinque giorni), decorrenti dalla data di deposito, o di avviso di deposito, della motivazione, sono dirette ad armonizzare la salvaguardia degli interessi coinvolti dalle statuizioni penali con la necessità di una sollecita definizione dei processi, alla quale ultima è funzionale la regola della redazione immediata di “una concisa esposizione dei motivi di fatto e di diritto sui quali la sentenza è fondata” e la previsione sussidiaria del deposito dei motivi non oltre il quindicesimo giorno dalla pronuncia, “qualora non sia possibile procedere alla redazione immediata”, oppure entro un termine più lungo, non eccedente comunque il novantesimo giorno da quello della pronuncia, “quando la stesura della motivazione è particolarmente complessa per il numero delle partì o per il numero e la gravità delle imputazioni” ed il giudice “ritiene di non potere depositare la sentenza nel termine stabilito dalla legge”.

Nell’ambito della motivazione differita delle sentenze, divenuta in concreto la regola nel procedimento penale, il deposito entro il termine di quindici giorni predeterminato dalla legge senza alcuna specifica valutazione della complessità di redazione dei motivi ed in ragione del solo ritardo che l’immediata stesura di essi comporterebbe alla pubblicazione della sentenza, costituisce una previsione di carattere generale, oltre che di assoluta maggiore applicazione, e rispetto ad esso la fissazione da parte del giudice di un più lungo termine di deposito si atteggia come istituto di natura speciale, sia perché il ricorso a tale facoltà è soltanto eventuale e sia perché è subordinato all’ulteriore requisito di una particolare complessità della motivazione ostativa ad un suo deposito non solo immediato, ma anche nel termine ordinariamente previsto.

Nell’ipotesi in cui l’automatismo risultante dal coordinamento degli artt. 544 e 585, c.p.p., non soccorra a determinare i termini di impugnazione di una sentenza secondo le norme del procedimento penale ed occorra al tal fine procedere ad una applicazione analogica di quelli specificamente previsti, l’estensione del termine speciale di quarantacinque giorni, anziché di quello generale di trenta, potrebbe essere quindi giustificata soltanto in ragione di una peculiarità della fattispecie e della sua assimilabilità a quella per la quale è previsto il più lungo termine di impugnazione.

Un primo elemento di valutazione può trarsi sul punto dalla considerazione che il termine di trenta giorni, stabilito per il deposito delle sentenze della sezione disciplinare del C.S.M., costituiva il termine ordinario, al quale l’art. 585, co. 1, lett. b), c.p.p., aveva ricollegato quello di impugnazione di trenta giorni, e che la sua riduzione a quindici giorni venne operata dall’art. 6, d.l. 1 marzo 1991, n. 60, conv. dall’art. 1, l. n. 133/91, per meri fini acceleratori del processo, senza apportare alcuna modifica alla sua applicabilità a tutte le sentenze per le quali non era possibile procedere alla redazione immediata e lasciando ferma la riserva di indicazione da parte del giudice di un termine più lungo nell’unica ipotesi di stesura della motivazione particolarmente complessa.

Un secondo elemento è fornito dal termine stabilito per ricorrere in cassazione avverso le sentenze pronunciate in altri procedimenti disciplinari aventi natura giurisdizionale.

La l. 16 febbraio 1913, n. 89 (ordinamento del notariato e degli archivi notarili), nel testo anteriore alle modifiche apportate con il d.lgs. n. 249/06, applicabile a norma dell’art. 54 cit. d.lgs. ai procedimenti disciplinari promossi sino al 31 maggio 2007, prevedeva che le sentenze di appello in materia disciplinare dovevano essere depositate non oltre trenta giorni dalla lettura del dispositivo (art. 157) ed erano ricorribili alla Corte di cassazione nel termine di trenta giorni (art. 156) per incompetenza, per violazione o falsa applicazione della legge (vedi peraltro l’art. 360, u.c., c.p.c, come sostituito dall’art. 2, d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40).

Analogo termine di trenta giorni, benché ritenuto illegittimo per avere introdotto in via regolamentare, ed in mancanza di una apposita disposizione di legge, una deroga all’art. 325, co. 2, c.p.c, era stato stabilito dall’art. 68, d.p.r. 5 aprile 1950, n. 221 (regolamento di esecuzione del d.lgs. 13 settembre 1946, n. 233), per il ricorso alle sezioni unite della Corte di cassazione avverso le decisioni pronunciate dalla Commissione centrale per gli esercenti le professioni sanitarie in materia disciplinare.

Sono soggetti, inoltre, al termine di trenta giorni stabilito dall’art. 56, r.d.l. 27 novembre 1933, n. 1578, e devono essere decisi nel termine di novanta giorni, i ricorsi alla Corte di cassazione per incompetenza, eccesso di potere e violazione di legge (vedi ora art. 360, u.c., c.p.c.) avverso le decisioni del Consiglio Nazionale Forense in materia disciplinare e, come anche osservato, detto termine trova obiettiva giustificazione nella peculiarità del procedimento (cfr.: Cass. civ., sez. un., sent. 20 novembre 1982, n. 6252).

Le disposizioni rendono evidente che anche nei procedimenti disciplinari aventi natura analoga a quelli nei confronti magistrati il contemperamento delle esigenze di salvaguardia degli interessi coinvolti dalle statuizioni con la necessità di una loro sollecita definizione è stato molto, in presenza di un termine di deposito delle decisioni di trenta giorni od indeterminato, ritenendo congruo per il ricorso alla Corte di cassazione lo stesso termine di trenta giorni ordinariamente stabilito dalle norme del codice di procedura penale per impugnare le sentenze delle quali non è possibile procedere alla redazione immediata dei motivi.

All’operatività dunque di tale termine nel procedimento regolato similarmente dal d.lgs. n. 109/06 concorre peraltro, oltre al riferimento sistematico, la non desumibilità dalla tipizzazione degli illeciti dei magistrati di una connaturata generale maggiore complessità delle fattispecie disciplinari alla quale possa rapportarsi un termine diverso da quello stabilito dall’art. 585, co. 1, lett. b), c.p.p., fermo che l’incondizionato rinvio dell’art. 24, co. 1, d.lgs. cit., “ai termini’’ di impugnazione previsti dal codice di procedura penale, comporta l’ulteriore applicabilità della disposizione contenuta nell’art. 585, co. 1, lett. e), c.p.c, nel caso in cui, ricorrendone i presupposti, la sezione disciplinare si sia avvalsa del potere di indicare nel dispositivo un termine più lungo per il deposito della sentenza.

Consegue l’inammissibilità, a norma dell’art. 591, co. 1, lett. c), c.p.p., del ricorso proposto dal De Magistris l’11 aprile 2008, essendo a tale data decorso dalla comunicazione della sentenza, effettuata il 20 febbraio 2008 al difensore ed il 28 febbraio 2008 all’incolpato, il termine di trenta giorni stabilito per l’impugnazione dall’art. 585, co. 1, lett. b), c.p.p.

Egualmente va dichiarato inammissibile il ricorso del Ministero della giustizia.

Come già osservato, il ricorso per cassazione delle sentenze della sezione disciplinare del C.S.M., va proposto con l’osservanza degli artt. 581, 582 e 583, c.p.p., i quali stabiliscono tra l’altro che, salvo che la legge disponga altrimenti:

- l’atto d’impugnazione è presentato personalmente ovvero a mezzo incaricato nella cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento impugnato l’impugnazione. Il pubblico ufficiale addetto vi appone l’indicazione del giorno in cui riceve l’atto e della persona che lo presenta, lo sottoscrive, lo unisce agli atti del procedimento e rilascia, se richiesto, attestazione della ricezione (art. 582, co. 1, c.p.p.);

- le parti e i difensori possono proporre l’impugnazione con telegramma ovvero con atto da trasmettersi a messo di raccomandata alla cancelleria indicata nell’art. 582, co. 1, c.p.p.. Il pubblico ufficiale addetto allega agli atti la busta contenente l’atto di impugnazione e appone su quest’ultimo l’indicazione del giorno della ricezione e la propria sottoscrizione (art. 583, co. 1, c.p.p.).

Aggiunge l’art. 584, c.p.p., che l’atto di impugnazione è comunicato a cura della cancelleria che ha emesso il provvedimento al pubblico ministero presso il medesimo giudice ed è notificato alle parti private senza ritardo.

A tali disposizioni non si è adeguato il Ministero, avendo proposto il ricorso mediante notifica all’incolpato, al Procuratore generale presso la Corte di cassazione ed alla sezione disciplinare del C.S.M. ed avendo depositato l’atto oltre il termine di trenta giorni dall’avviso di deposito della sentenza e nella cancelleria della Corte di cassazione, anziché nella segreteria della sezione disciplinare, alla quale competevano la ricezione dell’impugnazione ricorso, la verifica del soggetto che l’aveva proposta e del giorno in cui l’aveva ricevuto e le comunicazioni alle altre parti.

All’inammissibilità dei risorsi segue la formulazione del seguente principio di diritto:

Il ricorso per cassazione contro le sentenze disciplinari della sezione disciplinare del C.S.M., che a norma dell’art. 24, d.lgs. n. 109/06 va proposto nei termini e con le forme previsti dal codice di procedura penale, deve essere presentato o fatto pervenire mediante telegramma o lettera raccomandata alla segreteria della sezione disciplinare, ai sensi degli artt. 582 e 583, c.p.p., nel termine di trenta giorni stabilito dall’art. 585, co. 1, lett. b), c.p.p., decorrente dalla scadenza del termine stabilito per il deposito dall’art. 19, co. 2, d.lgs. n. 109/06 cit., o dal giorno in cui è stata eseguita la notificazione o la comunicazione del relativo avviso, se il deposito è avvenuto successivamente, ovvero, con le medesime decorrenze, nel termine di quarantacinque giorni, stabilito dall’art. 585, co. 1, lett. c), c.p.p., se la sezione disciplinare, essendo la stesura della motivazione di particolare complessità per il numero delle parti o per il numero o la gravità delle impugnazioni, si sia avvalsa della facoltà, prevista dall’art. 544, co. 3, c.p.p., di indicare nel dispositivo per il deposito un termine più lungo, non eccedente comunque il novantesimo giorno.
Sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese del giudizio.


PQM


La Corte dichiara inammissibili i ricorsi e compensa tra le parti le spese del giudizio.



19 commenti:

"Uguale per tutti" ha detto...

Per i “non addetti ai lavori”, proviamo a fare una sintesi comprensibile della questione di diritto che sta alla base della sentenza della Corte di Cassazione sul caso De Magistris.

Gli “addetti ai lavori” ci perdoneranno alcune semplificazioni.


L’art. 544 del codice di procedura penale si intitola “Redazione della sentenza” e dispone:

“1. Conclusa la deliberazione, il presidente redige e sottoscrive il dispositivo. Subito dopo è redatta una concisa esposizione dei motivi di fatto e di diritto su cui la sentenza è fondata.
2. Qualora non sia possibile procedere alla redazione immediata dei motivi in camera di consiglio, vi si provvede non oltre il quindicesimo giorno da quello della pronuncia.
3. Quando la stesura della motivazione è particolarmente complessa per il numero delle parti o per il numero e la gravità delle imputazioni, il giudice, se ritiene di non poter depositare la sentenza nel termine previsto dal comma 2, può indicare nel dispositivo un termine più lungo, non eccedente comunque il novantesimo giorno da quello della pronuncia.
(…)


Quello che rileva qui è il 3° comma che dispone, come testé scritto, che “quando la stesura della motivazione è particolarmente complessa per il numero delle parti o per il numero e la gravità delle imputazioni, il giudice, se ritiene di non poter depositare la sentenza nel termine previsto dal comma 2, può indicare nel dispositivo un termine più lungo, non eccedente comunque il novantesimo giorno da quello della pronuncia”.

L’art. 585 del codice di procedura penale si intitola “Termini per l’impugnazione” e dispone:

“1. Il termine per proporre impugnazione, per ciascuna delle parti, è:
a) di quindici giorni, per i provvedimenti emessi in seguito a procedimento in camera di consiglio e nel caso previsto dall'articolo 544 comma 1;
b) di trenta giorni, nel caso previsto dall'articolo 544 comma 2;
c) di quarantacinque giorni, nel caso previsto dall'articolo 544 comma 3.
2. I termini previsti dal comma 1 decorrono:
a) dalla notificazione o comunicazione dell'avviso di deposito del provvedimento emesso in seguito a procedimento in camera di consiglio;
b) dalla lettura del provvedimento in udienza, quando è redatta anche la motivazione, per tutte le parti che sono state o che debbono considerarsi presenti nel giudizio, anche se non sono presenti alla lettura;
c) dalla scadenza del termine stabilito dalla legge o determinato dal giudice per il deposito della sentenza ovvero, nel caso previsto dall'articolo comma 2, dal giorno in cui è stata eseguita la notificazione o la comunicazione dell'avviso di deposito;
d) dal giorno in cui è stata eseguita la notificazione o la comunicazione dell'avviso di deposito con l'estratto del provvedimento, per l'imputato contumace e per il procuratore generale presso la corte di appello rispetto ai provvedimenti emessi in udienza da qualsiasi giudice della sua circoscrizione diverso dalla corte di appello.
3. Quando la decorrenza è diversa per l'imputato e per il suo difensore, opera per entrambi il termine che scade per ultimo.
4. Fino a quindici giorni prima dell'udienza possono essere presentati nella cancelleria del giudice della impugnazione motivi nuovi nel numero di copie necessarie per tutte le parti. L'inammissibilità dell'impugnazione si estende ai motivi nuovi.
5. I termini previsti dal presente articolo sono stabiliti a pena di decadenza”
.


Dunque, leggendo in maniera coordinata i due articoli che ho testè riportato, il termine per impugnare è di trenta giorni nel caso di cui all’art. 544, 2° comma, che ricorre quando il giudice redige la motivazione della sentenza entro i quindici giorni successivi alla pronuncia. Ed è di quarantacinque giorni nel caso di cui all’art. 544, 3° comma, che ricorre “Quando la stesura della motivazione è particolarmente complessa per il numero delle parti o per il numero e la gravità delle imputazioni, [e] il giudice, se ritiene di non poter depositare la sentenza nel termine previsto dal comma 2, può indicare nel dispositivo un termine più lungo, non eccedente comunque il novantesimo giorno da quello della pronuncia”.

In sostanza, se la motivazione è molto complessa, il giudice può assegnarsi un termine più lungo per scriverla e, in questo caso, al più lungo termine assegnato al giudice corrisponde un più lungo termine per la parte per impugnare.

Nella vicenda De Magistris, il giudice (il C.S.M.) NON si è assegnato un termine più lungo.

Ma ha depositato oltre il termine previsto. Ossia, in ritardo.

L’avvocato di Luigi De Magistris ha sostenuto che, essendosi il C.S.M. preso più tempo per scrivere la motivazione, egli aveva diritto al termine più lungo per l’impugnazione.

Sostiene, però, la Cassazione che l’art. 585, comma 1, lett. c, non concede il termine lungo ogni colta che il giudice impiega più tempo di quanto voluto dalla legge per scrivere la sentenza, ma solo
(testualmente) “nel caso previsto dall'articolo 544 comma 3”.

E il “caso previsto dall'articolo 544 comma 3” è quello in cui il giudice, all’atto della pronuncia della sentenza, la dichiara complessa e si assegna un termine lungo per scriverne la motivazione.

Dice la Cassazione: se il giudice non ha dichiarato complessa la sentenza e non si è assegnato il termine più lungo, non ricorre il “caso previsto dall'articolo 544 comma 3”.

Né il solo fatto che il giudice abbia impiegato più tempo del dovuto a scrivere la sentenza significa da sé solo che la sentenza era complessa, perché potrebbe anche significare – e normalmente significa – solo che, avendo un grosso carico di lavoro e avendo tante sentenze da scrivere, non è riuscito a scrivere quella nei termini.

Peraltro, in quest’ultimo caso, il termine per l’impugnazione decorrerà dalla data in cui le parti riceveranno formale comunicazione dell’avvenuto deposito della sentenza.

La Redazione

Anonimo ha detto...

Il rilievo che i termini di deposito della sentenza non siano stati osservati depone, a mio avviso, per la complessità della sentenza; tutti i giudici sono oberati dall'onere di redigere le motivazioni di più sentenze e quindi, se non riescono a rispettare i termini, questo si deve al fatto che le relative motivazioni non sono tanto semplici da consentire l'osservanza dei tempi ordinari.
In ogni caso, trattandosi di una norma che riguarda il diritto di difesa, nei casi dubbi, essa dovrebbe essere intepretata nel senso più favorevole all'incolpato.
Diversamente da una errata opzione del giudice (che non ha indicato il maggior termine di deposito) si fa discendere la compressione del "diritto di replica".
Nicola Saracino

Asdrubale88 ha detto...

Credo che la legge sia stata rispettata nella sentenza, peccato che ci sia un vuoto normativo, casualmente proprio in questo caso in cui la motivazione arriva dopo molto tempo senza però che ne sia dichiarata la complessità!

Sarebbe opportuno che nel caso di motivazione tardiva, automaticamente vengono spostati i termini massimi di impugnazione...a mio parere.

"che sfiga!"

Anonimo ha detto...

Da "non addetta ai lavori" mi ha incuriosito nella motivazione :
- nell'ambito della motivazione differita delle sentenze, divenuta in concreto la regola nel procedimento penale...
- ....sia perchè il ricorso a tale facoltà ...è subordinato all'ulteriore requisito di una particolare complessità della motivazione
- l'estensione del termine speciale di quarantacinque giorni, anzichè di quello generale di trenta, potrebbe essere quindi giustificata soltanto in ragione di una peculiarità della fattispecie e della sua assimilabilità a quella per la quale è previsto il più lungo termine di impugnazione.
Che significa?
sembra di capire che anche se non è indicato nel dispositivo un termine più lungo, l'utilizzo del termine più lungo equivale alla complessità della motivazione.
Non ridete di me se ho letto alla rovescia sono autodidatta.
Alessandra

Anonimo ha detto...

Condivido i rilievi del Dott. Saracino (pur non occupandomi specificamente di processi penali), e penso che alla declaratoria di inammissibilità dovrebbe giungersi nei casi in cui non c'è veramente alcuna alternativa. Il problema, nel giudizio di legittimità, è però - credo - molto più generale: qualche tempo addietro un collega del Foro libero (professore universitario in aggiunta) mi raccontava che la Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile un motivo di ricorso basato sulla violazione di una clausola di contratto collettivo (si trattava di causa di impiego) perché era stata inserita nel fascicolo copia della sola predetta clausola, e non dell'intero contratto. Gli addetti ai lavori sanno perfettamente che sarebbero state percorribili moltissime altre "strade" - nell'ambito del pieno rispetto delle regole della "tecnica" - per una decisione diversa (e non staremo dunque a discettare della correttezza o meno della decisione). Sono perfettamente comprensibili le esigenze deflattive del contenzioso davanti la Corte di Cassazione: ma non esiste davvero un criterio per impedire che in quella sede arrivino cause di nessun rilievo, il cui "peso" travolge poi la decisione di quelle davvero importanti?
Saluti a tutti,
Piefrancesco La Spina

Cinzia ha detto...

Ma scusate, se il giudice non si è assegnato un termine più lungo del dovuto e ha semplicemente depositato oltre il termine dovuto allora, mi chiedo, con quale logica l'avvocato ha scelto di presentare il ricorso oltre i termini?
La logica del "di solito va così"!
Come avrebbe fatto il suddetto avvocato a prevedere questo effettivo ritardo e quindi ad avvalersene se non era stato dichiarato dal giudice stesso?
E poi perché alla Cassazione dovrebbe essere riconosciuto il diritto di presentare una sentenza oltre i termini per motivi di sovraccarico lavorativo e lo stesso diritto non viene riconosciuto a chi presenta il ricorso. E' stabilita per legge anche la validità del ritardo a causa del sovraccarico lavorativo, ma non è obbligatorio rilevarla prima e disporre, anche in questo caso, un termine diverso?
Ho l'mpressione che il diritto d'interpretazione appartenga in certi casi e senza replica solo a chi ha più forte il potere di esercitarlo e questo non è solo ingiusto, ma soprattutto pericoloso.
Ma ci sono davvero dei margini d'interpretazione in questa storia o semplicemente gli si è fatto un gran favore a chi si è trovato nella posizione di decidere?!
Comunque, tutto ciò prende la forma della solita "fiera delle ovvietà".
Ovvio il percorso, ovvio il decorso, ovvio il finale.

Anonimo ha detto...

Come si dice?? in claris non fit interpretatio??

Se il giudice non dichiara espressamente nel dispositivo che ha bisogno di un termine piu' lungo per redigere le motivazioni, il termine per impugnare e' solo e soltanto quello di 30gg.

Sarebbe stato carino dire alle parti:"ragazzi non ci arrivo, non perche' la motivazione e' complessa, ma per mancanza di tempo (per cui il termine rimane quello di 30 gg)...ma questa forse e' solo cortesia che nel diritto non trova dimora

Anonimo ha detto...

Talvolta finanche le sentenze di patteggiamento sono depositate in ritardo.
Credo che la pronuncia della Cassazione sia ineccepibile: la complessità della redazione della motivazione, secondo lo spirito della legge, deve esser valutata "ex ante" e non "ex post", e cioè nel momento in cui si deliba la sentenza.
Diversamente si consentirebbe di "mettere una pezza a colori" ad ogni ritardo di deposito di sentenza.
Mi sembra di capire che si voglia affermare il principio, giustamente disatteso dalla cassazione, che il ritardato deposito della sentenza equivalga a complessità di estensione della stessa.
Qualunque avvocato di provincia, non avrebbe atteso mai l’ultimo giorno, di un termine incerto, per presentare il ricorso…
Però anche il dott. De Magistris, uomo di legge, queste cose avrebbe dovuto conoscerle, o sbaglio? Sicuramente quando ha discusso con il legale incaricato si saranno posti, fra le altre cose, anche il problema del termine per la presentazione del ricorso..E nessuno dei due (Dr. De Magistris e Prof. Universitario) si è chiesto quale fosse quello prudentemente da osservare? E non erano a conoscenza della costante giurisprudenza della cassazione?

Buona serata.

Anonimo ha detto...

Capisco che quasi tutti i commentatori abbiano particolare simpatia per il dott. De Magistris e ritengano che egli abbia subito una grave ingiustizia.
Io non lo so e non mi permetto di azzardare giudizi sul punto.
Prendo atto di una decisione ormai inoppugnabile e la rispetto come, credo, dovrebbero fare tutti.
La cosa che maggiormente mi impressiona, comunque, è l'errore di procedura in cui è incorso il dottore che, pure, applica quotidianamente il codice di procedura penale.
Stento a credere che nello svolgimento delle note indagini alle quali si riferiscono i fatti rilevanti nel procedimento disciplinare il dott. De Magistris abbia impiegato una cura minore di quella riservata alla predisposizione delle sue difese.
Mi sorge il sospetto che anche le attività di indagine del dott. De Magistris siano state svolte con una scarsa professionalità e che esse questo spieghi le contestazioni disciplinari tanto chiacchierate.
Questo post vuole essere un semplice contributo al dibattito e non esprime un giudizio defnitivo - che non ho nè titoli nè conoscenza degli atti per effettuare - sulla vicenda De Magistris

Anonimo ha detto...

Scusate l'ignoranza ma torno a ripetere che scandalosa non è la sentenza che condanna De Magistris (poteva anche succedere che lo ritenessero colpevole, "SE QUALCUNO AVESSE BUTTATO UN OCCHIO SULLE CARTE CHE LO RIGUARDAVANO").

Scandaloso è che si possa decidere di "non decidere" solo per questioni di lana caprina.

Se il condannato fosse un poveraccio, ingiustamente accusato di omicidio, qualcuno qui si sentirebbe tranquillo sapendo che sarà costretto a passare la vita in carcere solo perchè il suo avvocato ha presentato in ritardo un ricorso?

Certo, le procedure sarebbero state rispettate in pieno, resta il fatto che quello è innocente e nessuno ci potrà fare niente.

Come facciamo a chiamarla "Giustizia"?
Cosa c'è di "giusto" in una norma el genere?

A me sembra allucinante.

Prima di tutto deve venire l'accertamento della verità, anche in deroga ai termini di certe scadenze se necessario.
Perchè un conto è tirare ad allungare il brodo per guadagnare tempo, e un conto è portare prove concrete della propria innocenza.

Se un codicillo diventa più importante di una palese verità, allora possiamo anche smettere di discutere di tutto il resto che tanto non serve a niente. 8(

Luciana

Anonimo ha detto...

Per Anonimo delle 19.47.

Gentile Anonimo,

rispondo alle Sue osservazioni, segnalandoLe che le cose non stanno come Lei ipotizza.

Ho affrontato la questione nel post “Grazie Luigi !” e nei molti commenti allo stesso, che mi permetto di consigliarLe di leggere (il post e i commenti).

Riporto, comunque, qui sotto, per comodità di lettura - Sua e di altri - uno dei ultimi commenti che ho scritto a quel post.

In esso sono illustrate le ragioni per le quali l'inammissibilità del ricorso non è ascrivibile a responsabilità del nostro collega De Magistris.

Mi permetta di approfittare di questa occasione per farLe notare una cosa.

Lei scrive: "Mi sorge il sospetto che anche le attività di indagine del dott. De Magistris siano state svolte con una scarsa professionalità e che esse questo spieghi le contestazioni disciplinari tanto chiacchierate".

E con ciò ripete insinuazioni fatte anche da altri.

Ciò che Lei scrive impone due tipi di considerazioni.

Il primo riguarda il fatto che Lei - come altri - sembrate sottovalutare la valenza offensiva delle Vostre affermazioni.

Non so che mestiere Lei faccia, ma sono certo che se qualcuno ipotizzasse, così, gratuitamente (perchè, come dirò, Voi non ci fate la grazia di indicare in quali concreti passaggi il collega sarebbe stato poco professionale) che Lei lavora con "scarsa professionalità", Lei sporgerebbe querela.

In Italia sta accadendo questa cosa molto strana: che affermazioni che chiunque facesse nei confronti di chiunque sarebbero qualificate come diffamazione. Se le si fa contro un magistrato, sono legittime.

Lei si immagina cosa accadrebbe se io dicessi che il Presidente del Consiglio è uno "psicopatico disturbato mentale", "metastasi della democrazia"? Verrei giustamente punito. Il Presidente del Consiglio dice queste cose di me e nessuno ci trova nulla da ridire.

Così Lei dice di non conoscere bene il caso, ma di ipotizzare che un magistrato sia stato "scarsamente professionale" e ciò le pare "normale".

La seconda considerazione sta nel fatto che sarebbe doveroso che chi intende fare ipotesi sulla "scarsa professionalità" di altri, avesse la cortesia di indicare il fatto concreto, la specifica attività nella quale tale "scarsa professionalità" si sarebbe manifestata.

Pensi cosa succederebbe se io, imitandola, dicessi: "Ma, a me sorge il dubbio che Tizio o Caio siano dei disonesti. Non è che conosca bene la vicenda, ma mi sono fatta questa idea".

Allora, vorrei invitarLa a fare due fatiche: la prima di studiare le cose sulle quali vuole esprimere giudizi, soprattutto se cririci; la seconda rispettare gli altri evitando, finché non conosce bene le cose di cui parla, di giudicarli male.

Scusi la franchezza di questa risposta, ma davvero credo che abbiamo bisogno di ricominciare a fare la fatica di pensare in proprio e non superficialmente e per sentito dire.

Grazie davvero, comunque, della Sua cortese attenzione e del Suo intervento, che mi ha offerto l'occasione di precisare le cose che ho appena scritto.

Un cordiale saluto.

Felice Lima

(...)

rispondo alle Sue cortesi richieste in due tappe.

Intanto un paio di precisazioni in fatto:

1) Luigi De magistris NON HA MAI pensato di depositare intenzionalmente in ritardo il suo ricorso.

2) Ha dato formale mandato a difenderlo dinanzi alla Corte di Cassazione a un prestigioso Avvocato, professore universitario proprio di procedura penale, e, ovviamente, come avviene in questi casi, ha confidato che egli lo avrebbe difeso al meglio.

3) Luigi De Magistris era ed è pieno di lavoro e di impegni. Se incarichi un professionista fra i migliori perchè faccia una cosa, non puoi controllare che non faccia errori come quello di cui stiamo discutendo. Perchè dai per scontato che non li faccia.

4) Dinanzi alla Corte di Cassazione non ci si può difendere da sé (a meno che non si sia avvocati) e, dunque, incaricare un Avvocato era, da parte di Luigi, necessario e inevitabile.

5)L'Avvocato di Luigi ha depositato il ricorso tardivamente ritenendo di avere a disposizione per farlo un termine di 45 giorni, sulla base di una sua ricostruzione tecnica del caso. Il termine che aveva era, invece, di 30 giorni. E ciò sulla base di una interpretazione della legge del tutto convincente e comunque ormai costante da parte della Corte di Cassazione. E' ovvio che, in ogni caso, ammesso (e secondo me non concesso) che si possa discutere della questione, essendo comunque controversa, dovere dell'Avvocato era depositare il ricorso nel termine più sicuro di 30 giorni.

6) Fra le materia di competenza del mio ufficio c'è proprio la responsabilità professionale. In un caso come questo, l'Avvocato non potrebbe neppure invocare una sorta di "consenso" del cliente. Nel caso di specie, Luigi De Magistris, come ho già detto, non ha mai autorizzato o condiviso la decisione di depositare il ricorso dopo i 30 giorni, perchè è questione di cui non si è occupato, avendo incaricato, come detto, un legale. Ma in un caso del genere l'Avvocato non potrebbe sottrarsi alla propria responsabilità dicendo che il "cliente" era stato d'accordo. Il caso è identico a quello di un medico chirurgo. Il chirurgo deve eseguire l'operazione. Se la esegue con un metodo sbagliato che porta alla morte del paziente, non potrà dire: "Ma lui era stato d'accordo". L'Avvocato deve svolgere il suo mandato con diligenza, evitando tutto ciò che può precludere al suo assistito il risultato legittimamente sperato. Se il suo assistito, per qualche ragione, vuole che la prestazione venga svolta in un modo diverso (immaginiamo, per esempio, che l'assistito si debba procurare dei documenti e gli serva più tempo e non ci si arrivi nei 30 giorni), l'Avvocato ha il dovere di avvertire l'assistito delle conseguenze e di procurarsi un valido consenso informato a un deposito fuori termine.

Nel caso di specie nulla del genere vi è stato e, peraltro, si sarebbe potuto depositare nei termini il ricorso e, se del caso, illustrare successivamente i motivi con altra memoria di motivi aggiunti.

Ci tengo a precisare che, ovviamente, ho scritto queste cose non già per discutere qui della prestazione professionale dell'Avvocato, ma per evitare dietrologie sulla condotta del collega De Magistris.

Un caro saluto.

Felice Lima

Anonimo ha detto...

egregio dott. Lima,
mi pare che le critiche all'operato del dott. De Magistris siano scritte nero su bianco nel provvedimento disciplinare ormai inoppugnabile.
E credo che quel provvedimento consenta - lo si condivida o no - di avanzare dubbi sulla correttezza dell'operato del dott. De Magistris senza rischiare di diffamarlo, cosa comuqnue lontana dalle mie intenzioni (anzi mi dispiace se le ho comunicato questa impressione).
Io non considero affatto normale considerare incapace un magistrato, anzi mi guardo bene dal farlo.
Reputo legittimo avanzare dubbi sulla professionalità di un professionista quando la stessa risulta acclarata in una decisione inoppugnabile, che si può criticare, ma non si può ignorare.
Occorrerebbe, per presciderne, ottenerne la cassazione nelle sedi competenti, cosa ormai impossibile.
Mi consenta, poi, di sorprendermi della circostanza che un PM erri nell'applicazine del codice di procedura penale in maniera così clamorosa.
Sarà colpa dell'avvocato, ma certo l'interessato era in condizione di avvedersi della data in cui sarebbe spirato il termine per impugnare (sempre che abbia consegnato in tempo le carte al difensore, cosa che lei dà per scontato, a quanto pare).
Beninteso, non intendo offendere nessuno ma, se si ammette che la questione De Magistris sia oggetto di pubblico dibattito, mi sembra normale discuterne esprimendo opinioni e valutazioni.
E sul blog leggo con interesse giudizi anche forti su diversi argomenti.
Beninteso, qualora ella ritenga scorretto (se non addirittura penalmente rilevante) e fuori luogo il mio modo di parteciapre alla discussione, mi scuso fin d'ora e le anticipo che mi asterrò dal farlo in futuro.
Con cordialità e stima

Anonimo ha detto...

Per Anonimo delle 21.43.

Gentile Lettore,

grazie di cuore per la Sua cortese risposta.

Io non penso minimamente che ciò che Lei ha scritto possa essere penalmente rilevante e sono convinto che la libertà di critica possa solo giovare a tutti.

In ventidue anni di carriera ho ricevuto insulti di ogni genere e per convinta scelta non ho mai denunciato o querelato alcuno.

Inoltre, non solo non auspico che Lei si astenga dall'intervenire ancora, ma, al contrario, La prego, se lo vorrà, di restare con noi e continuare a esporre liberamente le Sue opinioni.

La ricchezza di questo blog è, secondo me, proprio nella libera partecipazione di persone diverse dalle opinioni diverse.

Con la mia rispota - mi scuso se eventualmente poco chiara - intendevo richiamare l'attenzione Sua e di tutti sul fatto che, fermo il diritto di critica, la critica medesima risulta più "nobile" e anche più utile se argomentata.

E' vero che, purtroppo, la sentenza disciplinare a carico di Luigi è ormai irrevocabile, ma è anche vero che alcuni di noi (negli articoli che ho segnalato nel post "Grazie Luigi !" e in altri) ci siamo fatti carico di analizzarla e criticarla tecnicamente.

E' ovvio che è ben possibile che abbiamo torto, ma sarebbe bello trovare qualcuno disposto all'analisi e al confronto. Mentre ciò che è molto diffuso è il parlare senza argomentare o argomentando in maniera semplicistica.

Lei scrive: "Mi pare che le critiche all'operato del dott. De Magistris siano scritte nero su bianco nel provvedimento disciplinare ormai inoppugnabile.
E credo che quel provvedimento consenta - lo si condivida o no - di avanzare dubbi sulla correttezza dell'operato del dott. De Magistris".

Affermazioni ineccepibili, ma provenienti da persona (Lei) con "strumenti intellettuali" (che emergono evidenti dal suo scritto) tali da potersi auspicare che voglia andare al di là della mera esistenza di una sentenza inoppugnabile e confrontarsi con il contenuto della stessa (non a caso, riportiamo sul blog più documenti possibili per esteso).

Pensi alle sentenze sul sen. Andreotti. Tutti ne parlano e veramente pochi le hanno lette, sicchè i discorsi - da entrambe le "parti" - tendono a ridursi a invettive.

Mi scusi ancora - e glielo chiedo sinceramente - se la mia risposta appariva ostile. Voleva essere un invito a offrire al dibattito argomenti specifici e circostanziati, piuttosto che, come fa la quasi totalità delle persone, illazioni e congetture.

Grazie per la Sua attenzione e per la Sua gradita presenza fra noi.

Un cordiale saluto.

Felice Lima

La Redazione ha detto...

Intervengo nuovamente sul tema per chiarire pochi concetti.

1. La decisione delle SS.UU. è conforme ad un orientamento giurisprudenziale pressocché costante: siamo nel campo del "certo".

2 Questo non vuol dire che la soluzione praticata sia quella "giusta", per i motivi che già sono stati esaminati.

3. Infatti, nel rileggere la sentenza di condanna ciascuno può farsi un'idea sulla effettiva complessità delle incolpazioni (elevate in gran numero) e, di conseguenza, della motivazione: si trattava di un caso non semplice, sebbene il giudice non lo avesse detto nel dispositivo.

4. Ovvio, in ogni caso, che la prudenza suggerisse di avvalersi del termine breve.

Nicola Saracino

Anonimo ha detto...

...non sono, palesemente e dichiaratamente, un tecnico.

Ma a leggere la traduzione dal giuridichese all'italiano delle motivazioni qui commentate mi viene da commentare -in italiano- che la Cassazione ha, semplicemente, commesso il delitto perfetto: non entra nel merito e puo' invocare attendibili giustificazioni tecniche per evitare di farlo, lavandosene felicemente le mani.

Insomma, ha segnato un gol a porta vuota. Con buona pace di quei cittadini (come il sottoscritto, giusto per trovarne uno) che avrebbero voluto che una sentenza definitiva chiarisse se il dott. de Magistris effettivamente soffre di deliri da protagonismo oppure se, come disse l'ex presidente della giunta regionale calabrese in una telefonata intercettata, "dovra' passare gli anni suoi a difendersi" per aver fatto fino in fondo e alla luce del sole il proprio dovere di magistrato.

Nel frattempo, come punizione per l'asserito (da parte del CSM) protagonismo del suddetto, egli non potra' piu' fare il PM, bensi' dovra' rassegnarsi a svolgere la funzione di magistrato giudicante.

Chissa' che splendida piece avrebbe tratto da questa vicenda (e da molte, molte altre) Pirandello, se solo fosse ancora vivo...

Cinzia ha detto...

Gentile Anonimo delle 21.43
Lei dice:

"...mi pare che le critiche all'operato del dott. De Magistris siano scritte nero su bianco nel provvedimento disciplinare ormai inoppugnabile."

Eh già, e rimarranno per sempre nero su bianco a futura memoria della loro vergogna. Parere del tutto personale il mio ma a quanto pare condiviso da molti più autorevoli e competenti di me.

Poi dice:

"Reputo legittimo avanzare dubbi sulla professionalità di un professionista quando la stessa risulta acclarata in una decisione inoppugnabile, che si può criticare, ma non si può ignorare."

Da comune e incompetente cittadina vorrei commentare questa frase glissando elegantemente sulla legittimità dei suoi dubbi perché ognuno ha il diritto di averne dopo un'attenta analisi dei fatti, e se io non ne ho è una mia opinione, come ho già detto.
Mentre vorrei contestare il risultato che Lei dice acclarato in quanto, mi sembra di aver capito che la Cassazione non ha potuto valutare il merito del provvedimento dal momento che ha rigettato il ricorso per un problema tecnico, la decorrenza dei termini.
Purtroppo è proprio perché non possiamo ignorare questa sentenza inoppugnabile che siamo qui a criticarla.
Senza però conoscere il dott. De Magistris, ma solo con un semplice senso di umana comprensione, posso immedesimarmi e arrivare a capire che quando ci si affida ad un avvocato non si sta a controllare tutto ciò che fa nei minimi dettagli e, anche e soprattutto se si è del mestiere, certo non gli si vanno a dare consigli su come muoversi tecnicamente, mentre al contrario si condividono e si discutono sicuramente le decisioni strategiche. Non ho dubbi che se l'avvocato avesse prospettato concretamente il suo proposito di presentare il ricorso entro i 45 e non i 30 giorni, chiunque conoscendo le procedure glielo avrebbe sconsigliato, figuriamoci l'interessato.
Non è un dettaglio di poco conto su cui giocare una partita così importante.
Nessuno avrebbe rischiato volontariamente.
Né Lei, né io, né De Magistris.
Mi è più facile dedurre che la mossa sbagliata forse è stata fatta a monte e cioè nella scelta dell'avvocato. Ipotizzo, ma con la stupidità del senno di poi, che forse un professore è più avvezzo alla teoria delle aule universitarie che alla pratica smaliziata dei tribunali e dei loro insidiosi cavilli, sui quali tanti processi a volte anche giusti nella sostanza crollano proprio in Cassazione laddove mi sembra di capire si spulcia la tecnica. Qui però non si è arrivati neanche a misurare le pulci, ma solo a dire che non possono entrare perché sono arrivate troppo tardi.
Posso aver detto delle stupidaggini, La avverto, io non sono né un magistrato, né un avvocato e neanche un cancelliere.
Perciò spero che vorrà perdonarmi se ho sbagliato. Leggo ogni cosa e mi sforzo di capire, ma poi quando si tratta di giudicare ci metto molto della mia esperienza e del mio cuore, cosa che un giudice non è tenuto a fare.

Con osservanza e cordialità.

Anonimo ha detto...

Ma scusate se ho 2 termini a disposizione ma poi in qualsiasi caso e' meglio che io utilizzi sempre quello piu' breve per non incorrere in intoppi non graditi, ma perche' non usarne uno solo e basta?

Le motivazioni sarannom sicuramente state complesse e vi credo ma se il giudice nulla dispone in dispositivo perche' devo interpretare il suo pernsiero? la norma sembra chiarissima

Scusate non voglio far l'allenatore.. cerco di capire sfruttando anche la vostra pazienza anche perche' questa storia mi lascia l'amaro in bocca

io che speravo che :( ha detto...

Intervengo solo per dire due cose due:

Per Cinzia:
Non so quale sia la Sua occupazione, ma da addetto ai lavori mi sento di dirLe che Lei ha notevoli capacità di argomentazione.
In quanto dotata di tali strumenti penso che Lei possa attribuirsi sicuramente la condizione di soggetto "laico" rispetto alla giustizia, ma più che in grado, dando costantemente del "tu" alla logica, di formarsi un adeguato convincimento anche rispetto alle questioni più tecniche. Il messaggio è rivolto a Cinzia per mera occasione ma come Lei sono tanti quelli che mostrano di avere ampie capacità di elaborazione.
Trovo pertanto assai utile la possibilità di discutere e commentare, nel merito, il contenuto di qualsiasi decisione, definitiva o non che sia, anche perché penso che la “definitività” di un provvedimento, e parlo in linea generale, non possa mai attribuire a questo anche i crisma della logicità, correttezza, completezza ecc. ecc. che, soli, potrebbero consentire di affermare che una decisione è non discutibile nel suo insieme.
L’indiscutibilità (che è concetto diverso dalla definitività) di un provvedimento, di una affermazione, di un teorema, insomma di tutto ciò che ha a che fare con l’uso della ragione, è conseguenza della qualità delle trame logiche che li compongono, e non della scadenza di un termine e/o dell’esaurimento dei livelli di gravame.

Tengo a precisare che nel caso di specie la Suprema Corte ha assunto una decisione che poteva anche essere capovolta ma che francamente ha una sua forza logica e una sostanziosa carica persuasiva.
Altre son le decisioni "deboli".
E qui passo al punto successivo.

Per l'Avv. La Spina

Concordo in pieno con le Sue osservazioni in merito allo strano atteggiamento deflattivo della Cassazione e sullo stesso argomento mi permetto di segnalare il contenuto di un mio commento, mi sembra a margine dell'articolo “Fratelli d’Italia”, nel quale mi ero intrattenuto su una sentenza della Suprema Corte a Sezioni Unite il cui contenuto, se letto ed interpretato con l’impiego della sola logica (vale a dire senza andare a cercare la sua ragione sostanziale, che altro non può essere che quella di fare selezione) è a dir poco raccapricciante.

In quella sentenza la Corte per pronunciare l’inammissibilità di un motivo del ricorso è arrivata ad affermare che un quesito di diritto posto in termini astratti non è idoneo a superarlo lo sbarramento previsto dall’art. 366 bis, affermando nella sostanza (perché questo è il significato reale della pronuncia che poi nella fattispecie in cui era stata emessa risultava ancor più odiosa) che essa Corte non si sarebbe potuta accollare l’onere di integrare il contenuto del quesito con quello del ricorso, dovendo il quesito essere autonomamente idoneo a consentire l’esame del merito della questione.
In quella sentenza il collegamento con il caso concreto era stato effettuato esattamente fino al rigo precedente a quello in cui iniziava poi il quesito di diritto.
La Corte ha affermato tuttavia che il ricorso non era ammissibili perché essa Corte non poteva utilizzare quel che era stato scritto fino a pag, 4 rigo 9, per integrare in termini concreti ciò che poi era stato posto in forma di quesito di diritto a pag. 4, rigo 10.
Spero di non essermi contorto (scusate ma ho fretta), ma a mio avviso la Corte ha gettato le basi per decidere ad libitum quando entrare nel merito di un ricorso e quando rigettarlo in limine.
Trattasi di vera e propria lotteria, molto pericolosa soprattutto per coloro che avevano stilato i ricorsi fino al mese di aprile 2008 adeguandosi al contenuto reale dell’art. 366 bis, e non al contenuto dello stesso così come rielaborato dalla Suprema Corte.

Sono tornato sull’argomento perché lo ritengo di vitale importanza per l’andamento in genere della giustizia, e perché l’Avv. La Spina me ne ha offerto l’occasione.

Un caro saluto

IO speriamo che

PS: Spero di non avere fatto troppi errori logici o grammaticali ma vado davver di corsa.

Cinzia ha detto...

Per IO speriamo che

La ringrazio molto per il Suo elogio.
La mia occupazione più frequente pare sia quella di essere disoccupata.
Se Lei conosce un mercato del lavoro aperto e disponibile a valutare le capacità di argomentazione senza riserve di altra natura (età, laurea, servilismo), La prego me lo faccia sapere, potrei a questo punto pensare seriamente di metterle in vendita.
(ironia della disperazione!)
A parte gli scherzi il Suo autorevole giudizio mi gratifica troppo e non voglio montarmi la testa, ma infondo sono queste le soddisfazioni che la vita ci riserva e per questo La ringrazio ancora.

Con simpatia