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sabato 26 giugno 2010

Un consiglio spassionato





di Nicola Saracino
(Magistrato)






da Il Fatto Quotidiano del 16 giugno 2010


Si avvicina la data del voto per l’elezione del nuovo C.S.M..

In passato l’esercizio al quale erano chiamate le quattro correnti che “dilaniano” l’Associazione Nazionale Magistrati rivestiva un carattere quasi militare, nel senso che essendo i candidati in numero esattamente corrispondente a quello degli eleggibili, si doveva solo amministrare territorialmente il voto non tanto per contenderselo, ma solo per assicurare la riuscita del “piano di riparto” predeterminato a tavolino.

In fondo le correnti non avevano competitors ad esse esterni e il sistema si basava sulla pesatura preventiva delle rispettive forze con l’effetto di strozzare ogni velleità dell’elettorato di premiare l’una e di punire l’altra.

Questa volta, però, c’è la novità costituita da alcune candidature (sei, per la precisione) “extravaganti”, non stabilite cioè dalle correnti ma nate indipendentemente e, talvolta, persino in aperto contrasto alle scelte degli apparati.

Si tratta di Salvatore Cantaro e di Carlo Fucci per il collegio del pubblici ministeri e di Milena Balsamo, Fernanda Cervetti, Edoardo Cilenti e Paolo Corder per il collegio dei giudici.

Nessuna candidatura “spontanea” è stata partorita per il collegio di legittimità, nel quale due sono gli eleggibili.

E non può essere il caso ad aver suggerito alle correnti che storicamente prevalgono in questo ambito (Unità per la Costituzione e Magistratura democratica unita ai Movimenti Riuniti) di proporre due magistrati che hanno avuto un ruolo di primo piano nell’affaire Salerno-Catanzaro.

Si tratta di Aniello Nappi, estensore della discussa sentenza delle Sezioni Unite che aveva posto il sigillo sulla deportazione della “gang” del deposto procuratore di Salerno Luigi Apicella; e di Riccardo Fuzio che di quella stessa vicenda si era occupato in precedenza, nella fase dell’indagine “sommaria”, eufemismo evocante una sinistra sorveglianza sull’operato degli uffici giudiziari di tutta Italia, prima ancora che siano formulabili addebiti specifici.

Tenuto conto che all’eletto nel collegio della legittimità compete di diritto compito di giudice disciplinare, l’opzione delle correnti appare di stampo auto-conservativo, tendente a scongiurare ogni possibilità di diversa lettura di una vicenda che ha scavato un solco profondo tra gli apparati di potere e i magistrati.

Resta, di buono, la possibilità offerta per la prima volta ai magistrati italiani di spedire a Piazza Indipendenza, dove si trova il Consiglio Superiore della magistratura, degli inquilini realmente in assonanza con quel luogo.

A dispetto del fatto che l’edificio che ospita il Csm è sempre stato il ... Palazzo dei Marescialli .




Il blog di Edoardo Cilenti


Come abbiamo già scritto nel post che si può leggere a questo link, il 4 luglio prossimo i magistrati italiani voteranno per il rinnovo del Consiglio Superiore della Magistratura e questa volta c’è una importante novità, consistente nella presenza di alcuni candidati indipendenti dalle correnti.

Attualmente tutti i magistrati che compongono il Consiglio Superiore della Magistratura sono espressione delle correnti dell’Associazione Nazionale Magistrati.

In occasione delle imminenti elezioni coltiviamo la speranza che nel prossimo C.S.M. ci siano anche alcuni magistrati che non devono la loro elezione a nessuna corrente.

Fra i candidati indipendenti ci sono anche Milena Balsamo, di cui abbiamo già dato notizia nel post che si può leggere a questo link, ed Edoardo Cilenti, del quale si possono trarre notizie dal suo blog che si può leggere a questo link.




Il blog di Milena Balsamo


Come abbiamo scritto nel post che c'è a questo link, le prossime elezioni del C.S.M., che si terranno il 4 luglio, sono caratterizzate dalla novità della presenza di un certo numero di candidati indipendenti.


Una di questi è Milena Balsamo, giudice del Tribunale di Pisa.


Il programma di Milena e alcune notizie su di lei possono essere letti nel blog che si trova a questo link.







martedì 22 giugno 2010

La giustizia penale italiana, tra obbligatorietà dell’azione penale e processi arbitrari.

di Nicola Saracino (Magistrato) Tra i sistemi ad azione penale obbligatoria, come il nostro, e quelli ad azione penale discrezionale vi sono una fondamentale analogia ed una basilare differenza. L’analogia sta nel fatto che nessuno dei due sistemi garantisce l’effettiva punizione di tutti i reati scoperti. La differenza sta nell’accettazione laica di questo insuccesso dove vige la discrezionalità e la fustigazione etica che invece consegue alla declaratoria di prescrizione del reato nei sistemi ad azione penale obbligatoria. Alla scelta discrezionale “a monte” su quali reati perseguire e quali no, l’obbligatorietà dell’azione penale preferisce la via necessitata della prescrizione di una rilevante percentuale dei reati condotti a processo. La selezione, cioè, avviene “a valle” come risultato quasi automatico dell’incapacità della macchina giudiziaria di trattare l’enorme materiale che vi viene immesso senza sostanziale vaglio, per così dire, all’origine. Col corollario che il processo ed i suoi costi sono in larga parte impiegati infruttuosamente, lusso che i sistemi ad azione discrezionale evitano, riservando il processo solo ad una selezionatissima platea di delitti. L’inadattabilità della discrezionalità dell’azione penale al sistema costituzionale italiano è argomentata tradizionalmente ricordandone il conflitto coi principi di uguaglianza e di legalità: tutti gli autori dei reati, di ogni reato, in linea di principio devono essere perseguiti. Se si ammettesse l’opzione preventiva di punirne solo alcuni verrebbero messi in discussione proprio quei principi. Ed allora si reputa maggiormente accettabile l’inefficienza "casuale" del sistema italiano, nel quale è la sorte a stabilire chi scampa il rischio penale usufruendo della prescrizione, piuttosto che la scelta discrezionale che esclude ex ante la processabilità di alcuni fatti. Anche perché, si aggiunge, una simile opzione comporta una responsabilità di carattere politico che mal si addice ad una magistratura professionale e non elettiva. In questo guado le vie d’uscita si riducono notevolmente. Se, infatti, si esclude di rendere discrezionale l’esercizio dell’azione penale nelle varie forme in cui ciò è realizzabile (lasciando la scelta ai prosecutors oppure rimettendola al Ministro o al Parlamento) non resta che limitare il danno di efficienza insito nell’obbligatorietà dell’azione penale che impone il processo per tutti i reati, sebbene si conosca in anticipo che non sarà possibile condurli a compimento. Un esempio matematico aiuterà la comprensione del problema. Con le risorse disponibili, su 100 processi il sistema è in grado di portarne a termine (cioè alla sentenza di assoluzione o di condanna) soltanto 60. Gli altri sono destinati a sfociare nel classico non liquet, vale a dire nella declaratoria di prescrizione del reato per decorso del tempo. Quindi si spendono ingenti risorse per costruire e portare avanti 40 processi inutili, se si è d’accordo che lo scopo pratico del processo penale è quello di assolvere l’innocente o di condannare il colpevole. Occorre, allora agire su quei 40 processi per recuperare risorse ed efficienza. E lo si può fare senza neppure lambire i massimi sistemi e quindi senza mettere in discussione l’obbligo del pubblico ministero di esercitare l’azione penale. Sempre che si sia d’accordo che l’obbligatorietà dell’azione penale non implichi che al suo servizio siano posti degli automi esentati dalla gestione responsabile delle (limitate) risorse disponibili. In una certa percentuale di ipotesi è, infatti, possibile pronosticare in netto anticipo che un reato è destinato alla prescrizione. Ciò nonostante non esiste alcuna norma che consenta di evitare la celebrazione di quel processo, col risultato che si sprecano energie che potrebbero essere spese per accelerare i processi che hanno maggiori chances di pervenire ad una sentenza di merito (assoluzione/condanna) anziché di prescrizione. La statistica giudiziaria fornirebbe affidabili criteri per stabilire quando sia opportuno “mollare la presa” e quindi accantonare, abbandonare i processi già morti, in attesa del tempo necessario a certificare formalmente il “decesso” del reato. Le energie così recuperate potrebbero impiegarsi per accelerare i restanti processi e migliorare la performance riducendo dal 40% al 20% del totale il numero delle prescrizioni, così rendendo un effettivo servizio al principio dell’obbligatorietà dell’azione penale, da molti difeso solo retoricamente. Ad oggi, però, non esiste alcuna norma di legge, né circolare del CSM, che metta al riparo da conseguenze negative il magistrato che ambisca a governare il processo penale anziché esserne supinamente soggiogato.

giovedì 10 giugno 2010

Riformare (ma seriamente) la Costituzione







di Achille





Berlusconi ha detto che la Costituzione è troppo complicata e rende impossibile comandare per davvero.

Giusto!

Sono andato, allora, alla ricerca di una “costituzione” più efficace e che consenta meglio al “Capo” di comandare.

Ma mi sono reso conto che anche lo Statuto Albertino, voluto dal Re Carlo Alberto, non dà tutti i poteri che servono a un vero “Capo supremo” (ma si sa, i Re in Italia non hanno mai comandato veramente; magari i gerarchi).

Propongo, allora, una cosa del genere:

Presidente Berlusconi: “Angelino, gioia, fammi una riforma della Costituzione adatta alle esigenze del Paese”.

Ministro Alfano: “Certo, Capo. Faccio subito”.

Ministro Alfano: “Capo, ecco qui:

Costituzione della Repubblica Italiana.

Articolo 1. Il Presidente del Consiglio fa quello che cazzo gli pare
”.

Avvocato Ghedini: “Non va bene. Un solo articolo è troppo poco per una Costituzione. Non ce la approvano”.

Ministro Alfano: “Va bene. Allora:

Costituzione della Repubblica Italiana.

Articolo 1. Il Presidente del Consiglio fa quello che cazzo gli pare.

Articolo 2: E basta
”.





domenica 6 giugno 2010

La novità delle prossime elezioni per il C.S.M.: i candidati indipendenti.



Il 4 luglio prossimo i magistrati voteranno per eleggere i consiglieri “togati” del Consiglio Superiore della Magistratura.

Le correnti dell’A.N.M. hanno sempre condizionato quelle elezioni con i loro comitati elettorali.

Anche quest’anno lo fanno.

Ma quest’anno c’è una novità: un certo numero di candidati “indipendenti”. Non indicati dalle correnti.

Riportiamo qui sotto un appello a votare per i magistrati “indipendenti”.

___________



Caro/a Collega,

il 4 luglio si voterà per il rinnovo del C.S.M. e ci permettiamo di proporti una riflessione su queste elezioni e sulla principale novità che le caratterizza.

Ci teniamo a dirti che noi che ti scriviamo non facciamo parte di alcun gruppo, corrente o simili e non costituiamo fra noi nulla del genere. Siamo solo dei colleghi che si sono conosciuti casualmente sulle mailinglist alle quali siamo iscritti e che – su questa specifica vicenda delle elezioni del C.S.M. – hanno in comune le poche considerazioni che esponiamo qui di seguito.

Alcuni anni fa il Parlamento, con la lodevole intenzione di rendere più autentiche e democratiche le elezioni del C.S.M., ha modificato la legge elettorale in modo che non si vota più per liste precostituite e con il sistema proporzionale (metodo che dava alle correnti un ruolo decisivo), ma con un sistema per il quale non ci sono liste, chiunque lo voglia si può candidare e tutti i magistrati possono votare per chi preferiscono (senza divisione territoriale dei collegi).

Ma anche questo ottimo sistema è stato condizionato in maniera decisiva dalle correnti che, alle scorse elezioni, hanno "sterilizzato" e vanificato la riforma e così hanno tentato di fare anche in questa occasione.

Il sistema che hanno usato per condizionare l’esito delle elezioni e renderlo del tutto prevedibile si connota nei seguenti termini:

1. hanno candidato un numero di magistrati solo di pochissimo superiore al numero dei posti disponibili: in concreto hanno candidato 3 persone per i 2 posti di legittimità, 5 per i 4 posti di pubblico ministero e 11 persone per i 10 posti di giudicanti; in sostanza, per ciascun ambito tante persone quanti posti più uno (da parte della corrente che confida di prendere un "seggio" in più della volta precedente);

2. hanno dato indicazioni ai loro associati di votare divisi per distretti in modo da suddividere in maniera proporzionata i voti che prevedono di poter prendere ed evitare "dispersioni".

Così, alla fine, è possibile prevedere con la più grande approssimazione chi verrà eletto e le elezioni, più che "elezioni" sarebbero – come la volta scorsa – delle "designazioni".

Un po’ come accade in Parlamento: gli eletti, più che "eletti" sono "designati" dai capi partito e distribuiti nei collegi in modo da avere una certezza predeterminata degli esiti elettorali.

Quest’anno, però, c’è una grande novità: si sono candidati alcuni magistrati in maniera autonoma e indipendente dalle correnti.

Ciò che noi, come elettori, auspicavamo era che i candidati fossero davvero molti, in modo che le elezioni fossero davvero "elezioni", nelle quali ognuno di noi potesse scegliere fra vari candidati quello che riteneva più vicino al suo modo di intendere e di sentire la magistratura.

Purtroppo, invece, anche i candidati indipendenti sono pochi. Ma il solo fatto che essi ci siano cambia moltissimo la concreta natura delle prossime elezioni del 4 luglio.

Infatti, grazie alla presenza di questi candidati indipendenti, il risultato delle elezioni non è più certo in maniera predeterminata e c’è la concreta speranza che al C.S.M., oltre che, come al solito, gli affiliati alle correnti, possa esservi anche qualche Consigliere che voti solo secondo scienza e coscienza e non tenendo conto di quello che gli dice di votare il capo della corrente alla quale appartiene.

In questo contesto, sarebbe davvero un fatto rivoluzionario se nel prossimo C.S.M. sedesse anche qualche magistrato che non deve a una corrente la sua elezione e che, dunque, non deve "pagare debiti" e non ha obblighi di fedeltà verso una corrente e i suoi soci, ma tratterà al C.S.M. le pratiche a lui affidate secondo le stesse logiche con le quali ognuno di noi tratta le pratiche che giudica per lavoro nell’ufficio in cui opera.

Forse tu conosci personalmente qualcuno dei candidati delle correnti. Sai che è un'ottima persona e probabilmente hai ragione. Tuttavia, molti di noi hanno già in passato votato per candidati di corrente che, in sé considerati, erano effettivamente ottime persone, ma, una volta inseriti nell’ingranaggio, hanno finito per seguirne la logica.

C’illudevamo che le correnti si potessero “cambiare dall’interno” e che bastasse solo mandare al vertice le “persone giuste”.

Ma la realtà ci ha più volte smentito ed è risultato evidente che non è così.

Le correnti funzionano a senso unico, in modo clientelare ed opaco, al servizio degli interessi di pochi. Chi non ci sta, viene emarginato e reso “innocuo”.

I candidati "indipendenti" sono "indipendenti" anche fra loro, nel senso che non risultano avere alcun legame fra loro, non costituiscono un "gruppo" e sembrano avere idee molto diverse su tante questioni.

L’unica cosa che li accomuna è di essersi candidati di propria iniziativa e senza una corrente né un "comitato elettorale" alle spalle. Di essersi candidati, in sostanza, secondo la logica della legge elettorale: un certo numero di magistrati offre la propria disponibilità e gli elettori votano per chi gli sembra migliore.

Noi che scriviamo questa mail non abbiamo alcun tipo di "legame" con questo o quel candidato e ciò che ci preme non è l’elezione di Tizio o di Caio, ma che al C.S.M. non ci siano più solo persone “vincolate” alle correnti, ma anche magistrati indipendenti.

Dunque, il nostro appello è a votare qualcuno dei candidati indipendenti.

Scriviamo questa mail di nostra iniziativa e sulla base delle informazioni che abbiamo raccolto sulla mailinglist dell’A.N.M.. Ciò che abbiamo scritto corrisponde esclusivamente al nostro pensiero e non è stato concordato con alcuno dei candidati.

I candidati "indipendenti" sono (li elenchiamo in ordine alfabetico):

1. Milena Balsamo, Giudice del Tribunale di Pisa, che può essere votata fra i giudicanti;

2. Salvatore Cantàro, Sostituto Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Roma, che può essere votato fra i pubblici ministeri;

3. Fernanda Cervetti, Consigliere della Corte di Appello di Torino, che può essere votata fra i giudicanti;

4. Edoardo Cilenti, Consigliere della Corte di Appello di Napoli (Sezione Lavoro), che può essere votato fra i giudicanti.

Ci sono anche Paolo Corder e Carlo Fucci, che sono di Unità per la Costituzione e avevano chiesto di essere candidati dalla loro corrente, ma che, non avendolo ottenuto, si sono candidati in contrasto con la volontà della loro corrente di appartenenza. Questo potrebbe fare sperare che, se eletti, essi siano almeno un po' meno legati dei loro soci agli "ordini di partito", non dovendo alla corrente la loro eventuale elezione.

A questo link c’è un blog aperto da Milena Balsamo, nel quale si possono trovare il suo programma e alcune informazioni su di lei.

Salvatore Cantàro e Fernanda Cervetti hanno diffuso i loro programmi sulle mailinglist e, fra l’altro, in quella dell’A.N.M..

Ai seguenti indirizzi di posta elettronica è possibile contattare personalmente i candidati e chiedere loro maggiori notizie:

Milena Balsamo milena.balsamo@alice.it

Salvatore Cantàro salvatore.cantaro@giustizia.it

Fernanda Cervetti fernanda.cervetti@giustizia.it

Edoardo Cilenti shevardnadze@libero.it


Grazie per l’attenzione che ci hai prestato.

Franca Amadori, Stefania Barbagallo, Donato D'Auria, Mariella Ledda, Felice Lima, Pietro Murano, Giorgio Piziali, Stefano Racheli, Gianni Reynaud, Nicola Saracino, Stefano Sernia, Massimo Vaccari
 


sabato 5 giugno 2010

Come ti "ammaestro" l'arbitro: il perché di uno sciopero.






di Nicola Saracino
(Magistrato)





L’Associazione Nazionale Magistrati (A.N.M.) ha appena proclamato lo sciopero per il 1° luglio, iniziativa che sarà accompagnata dalla sospensione di alcune attività che i magistrati prestano pur senza esservi tenuti assumendosi compiti il cui assolvimento dovrebbe essere assicurato dal Ministro della Giustizia, da decenni inadempiente.

Con la manovra finanziaria appena licenziata sono richiesti pesanti sacrifici economici ai soli lavoratori del pubblico impiego.

Si sa che i lavoratori dipendenti sono contribuenti virtuosi, non certo per loro scelta ma perché i loro redditi non possono sfuggire al fisco. Non è un caso, quindi, che coloro che in quel settore godono degli stipendi più elevati figurino tra i “ricchi”, sebbene nessuno di essi abbia mai acquistato Ferrari, yacht o cavalli da corsa.

Quando serve “fare cassa” mettere le mani nelle loro tasche è operazione agevole che non richiede particolari abilità nei governanti, proprio gli stessi che hanno ammesso il rientro di capitali nascosti all’estero contro il pagamento di un pedaggio simbolico del 5%.

Gli stessi che hanno esentato dal pagamento dell’ICI non solo i cittadini dal reddito umano, ma anche i paperoni che vivono in ville fiabesche e dimore sontuose.Oggi mancano proprio quei soldi, ai quali si è rinunciato senza alcun criterio e solo per motivi elettorali (non ce lo potevamo permettere, evidentemente).
E per mantener fede all’impegno elettorale di non aumentare le tasse che si fa? Ma è ovvio, si riduce lo stipendio, oggi ai pubblici dipendenti e domani chissà.

E poiché ad uno stipendio inferiore corrispondo minori imposte potranno anche vantarsi di aver ridotto le tasse. Sono dei geni!

I sacrifici imposti a tutto il pubblico impiego lasciano, tuttavia, indenni il Parlamento, la Presidenza della Repubblica e la Corte Costituzionale, essendo apparso improprio sottomettere gli organi costituzionali al Governo.

Preoccupazione che, al contrario, non ha minimamente lambito la coscienza governativa nei riguardi della magistratura che, al pari degli organismi appena menzionati, dovrebbe essere autonoma ed indipendente da ogni altro potere. E’ chiaro che se ad ogni finanziaria il Governo intervenisse sulla retribuzione della “casta” dei magistrati, la “casta” dei politici avrebbe un formidabile strumento di pressione per renderla meno indipendente.

Si dà il caso che verso la magistratura il Governo abbia esercitato una singolare attenzione che non trova paragoni.

I magistrati, che sono pubblici dipendenti, risultavano infatti già pienamente coinvolti nel blocco degli automatismi stipendiali e nel prelievo supplementare dai redditi più alti, misure che riguardano la generalità.

Ma la finanziaria è andata ben oltre questo, introducendo - solo per loro - il blocco degli aumenti di stipendio collegati all’avanzamento di carriera, aumenti la consistenza dei quali è piuttosto rilevante (in media pari a circa il 20%) e che si maturano rispettivamente dopo 4, 13, 20 e 28 anni di servizio.

Con effetti paradossali, ciò realizzando disparità di trattamento raccapriccianti, visto che i sacrifici maggiori sono pretesi proprio da quei magistrati che ancora non hanno raggiunto le classi di stipendio più elevate.

Per meglio far capire, sarà utile un paragone con la carriera militare: é come se tra due capitani dell’esercito l’uno prendesse il 30% più dell’altro sol perché ha maturato la promozione dal grado inferiore qualche settimana prima. Ed ecco il paradosso: al generale, che gode del relativo stipendio, si chiede un sacrificio di 1.000, mentre dal tenente che diventa capitano nello “sfigato” triennio si pretende un salasso di 30.000. Nessuno, ma proprio nessuno, accetterebbe una perdita secca dello stipendio che arriva addirittura al 30% per i più giovani.

Sono proprio queste le speciali attenzioni del Governo verso la magistratura a determinarne la reazione.

Non vi è diversa possibilità al cospetto di una manovra “vendicativa” che non trova razionali giustificazioni ed appare incostituzionale sia in sé, sia in quanto volta a colpire gli appartenenti ad un ordine che la Costituzione vuole indipendente dal potere politico.
E poiché in Italia i magistrati sono selezionati con un concorso aperto a tutti i laureati in giurisprudenza è sin troppo evidente che all’abbassamento del livello retributivo corrisponderà ben presto una inferiore qualità degli aspiranti visto che i più preparati non avranno difficoltà a trovare di meglio. A quel punto entreranno in magistratura solo i “ricchi di famiglia” (selezione per censo), gli invasati che reputano quella del magistrato alla stregua di una missione salvifica (selezione politica) o, più verosimilmente, i mediocri (mancanza di selezione).

I mezzi di informazione governativi vogliono far apparire i magistrati come degli egoisti insensibili alle esigenze del Paese, ma non è così. Essi intendono sopportare i sacrifici imposti a tutti i dipendenti pubblici. Ma rifiutano di essere umiliati sol perché non proni al volere dei potenti, proprio nel momento in cui riaffiora il problema della corruzione diffusa che è fonte di un enorme spreco di denaro pubblico .

Lo stipendio dell’arbitro è tema delicato ed è per questo che esso si deve stabilire senza possibilità di intervenire a campionato in corso; nel caso di aumenti o diminuzioni non programmate i tifosi avrebbero ragione di sospettare che ciò tenda, in qualche modo, ad influenzarne la condotta. Proprio per scongiurare questo rischio i magistrati non possono far altro che manifestare pubblicamente la loro disapprovazione proclamando forme di agitazione trasparenti e visibili a tutti, anziché mercanteggiare migliori trattamenti al riparo da sguardi indiscreti.


mercoledì 2 giugno 2010

Ma ci siete o ci fate?




di Marco Travaglio
(Giornalista)





da Il Fatto Quotidiano dell’1 giugno 2010


Il dibattito parlamentare sulla legge bavaglio Al Fano è meglio del cabaret, anche perché è tutto gratis.

Da due anni, da quando B. temeva l’uscita di intercettazioni che avrebbero svelato il quarto segreto di Fatima (perché alcune ministre sono ministre), va in scena la seguente pantomima: il governo di un noto corruttore ed evasore, amico di mafiosi e papponi, commissiona al suo Guardasigilli-portaborse e al suo onorevole-avvocato una legge che favorisce mafiosi, papponi, corruttori, evasori e, siccome la legge è uguale per tutti, anche truffatori, scippatori, rapinatori, spacciatori, sequestratori, stupratori e assassini.

Li immunizza dal rischio sia di essere scoperti e puniti, sia di finire sui giornali per quello che sono.

Basterebbe ricordare il mandante, gli esecutori materiali e l’utilizzatore finale della legge anti-intercettazioni per capirne il movente.

Basterebbe ricordare come si è giunti a incastrare B. nei suoi vari processi per rendersi conto che è tagliata su misura di quei precedenti per evitare che si ripetano: l’articolo Mills, il comma D’Addario, il preambolo Trani, il codicillo Mediaset, il cavillo Dell’Utri, l’inciso Saccà.

Ma ricordare queste cosette non si può, se no la gente capisce tutto, compresi i beoti che han votato B. bevendosi la superballa della “sicurezza” pensando alla propria, mentre lui pensava alla sua.

Dunque ecco assieparsi intorno alla legge Al Nano un termitaio di opinionisti un tanto al chilo, giuristi per caso, scalatori di discese, sfondatori di porte aperte, statisti di chiara fama ma soprattutto fame: tutti intenti a commentarla in punto di diritto e in punta di forchetta, a prescindere, fingendo che davvero serva a tutelare la privacy, la reputazione e il segreto investigativo, e non a salvare le chiappe a B. e alla sua banda larga (secondo Pigi Battista, per dire, la legge la fanno per Francesca, la massaggiatrice della ripassata a Bertolaso).

All’inizio Al Fano restrinse il novero dei reati “intercettabili”.

E tutti a meravigliarsi: ohibò, ma così non s’intercetta più per corruzione, per frode fiscale e per i reati-fine tipici dei mafiosi.

Oh bella, ci voleva tanto a capire che la legge è fatta apposta?

Ponzio Napolitano convocò Angelino Jolie per una bella lavata di capo, pardon un “alto monito del Colle”, e lo rimandò indietro a caccia di “una riforma condivisa”.

Nessuno osò obiettare che gli unici a condividerla sono i criminali.

Il Guardagingilli tentò di occultare movente e mandante con un’altra versione: s’intercetta per tutti i reati ora intercettabili, ma solo in presenza di “gravi indizi di colpevolezza”, cioè s’è già scoperto il colpevole, cioè mai.

Il solito esercito di ipocriti ricadde dal pero: ohibò, imporre i gravi indizi di colpevolezza è come dire che non si intercetta più.

Ma va? Chi l’avrebbe mai detto.

Il premier fa di tutto per comunicarci che è pronto a tutto, anche a mandare impuniti migliaia di delinquenti comuni, pur di nascondere i reati suoi e degli amici degli amici. Ma nessuno gli dà retta e si continua a disquisire di commi e sottocommi, emendamenti e subemendamenti per “migliorare” la legge.

Al Fano, esausto, fa uscire i gravi indizi di colpevolezza dalla porta e li fa rientrare dalla finestra.

Riecco la falange dei finti tonti. “Ancora un piccolo sforzo”, dice il Pd. “Fuochino, via la norma transitoria sui processi in corso e ci siamo”, dicono i finiani, impegnatissimi a limitare i danni di una legge della loro stessa maggioranza.

L’Anm chiede “tre cose semplici: niente limite di 75 giorni, niente divieto per le ambientali, niente competenza ai tribunali collegiali. Poi la legge va bene”.

Hai detto niente: così non resta più nulla. E che la fanno a fare, la legge contro le intercettazioni, se non abolisce le intercettazioni?

Tutto è pronto per la comica finale: Veltroni, il Pd e Ciampi chiedono a Berlusconi di fare piena luce sulle stragi.

Certo, come no. Quello che, alla domanda “dove ha preso i soldi?”, si avvalse della facoltà di non rispondere, ora dovrebbe dire la verità sulle stragi. Magari s’intercetta da solo mentre la dice. Ma questi ci sono o ci fanno?