lunedì 15 giugno 2020

Castelli in area

di Andrea Mirenda - magistrato


Claudio Castelli, Presidente della Corte d’Appello di Brescia e, prima ancora, leader storico di MD, con l’articolo del 9.6.2020, “La nomina dei dirigenti: problema dei magistrati o del servizio?, su Questione Giustizia, affronta da par suo il tema degli incarichi direttivi.

Non è facile, almeno per chi scrive, commentare senza un umano senso di fastidio proposte di riforma (ammesso che se ne intraveda alcuna…) di  coloro che, personalmente o per sodalità, sono stati i teorici nonché coprotagonisti dello sfascio istituzionale che ci ha condotto al minimo storico di credibilità.

Ciò premesso per doverosa trasparenza, abbiamo letto con attenzione l'articolo del Presidente della Corte d’Appello di Brescia che, ad ogni piè sospinto, rimarca : a) L’esigenza di " un ruolo di direzione dell'Ufficio Giudiziario che è diventato sempre più complesso e che richiede specifiche attitudini… "; b) " la mancanza di leadership in troppe sedi..”; c) il carattere fondamentale della “ presenza, autorevolezza e capacità dei dirigenti…”; d) il ruolo di “altro mestiere” dell’amministrazione della giurisdizione accanto a quello di pura amministrazione, salvo tuttavia riconoscere graziosamente che " il modello disegnato dall'ordinamento giudiziario, che vede un uomo solo al comando, è del tutto inadeguato e del resto si scontra sempre più con strutture formali e informali di supporto al dirigente … Omissis";  e) la necessità della nomina di un organismo consultivo ( ne immaginiamo subito i margini di autonomia…) in seno al CSM, composto di tecnici esterni incaricati di valutare i candidati e di fornire le caratteristiche e le capacità di ciascuno, verificando i risultati avuti;  f) la durata dell'incarico di anni 4 + 4, con la solita litania dell'effettività della verifica dei risultati al momento della riconferma quadriennale;  g) la (assai poco sorprendente) critica sbrigativa della rotazione, a  suo dire rispondente” … ancora una volta a istinti corporativi che tendono a spartire tra tutti incarichi più o meno ambiti” (l’autorevole dirigente dimentica, tuttavia, con allegra disinvoltura,  che la “spartizione” è esattamente ciò che accade oggi, con l’aggravante  dell’esclusione della quasi totalità dei magistrati non proni alla correntocrazia – parola di Palamara - dall’esperienza direttiva, anche quando dotati – seguendo le sue parole - di “capacità organizzativa e di relazione, oltre che di punto di riferimento giuridico”).

E’, poi,  ben vero, come chiosa Castelli per negare dignità alla rotazione, che “Sostenere che tutti sono eguali ed idonei non risponde pacificamente al vero”. Come non riconoscere, difatti, che in magistratura c’è  chi  è più uguale degli altri per le ragioni orwelliane che le chat transcorrentizie di Palamara, Fracassi & Co. ben hanno disvelato?

Castelli non manca, infine, di giungere in soccorso ai vincitori,  evidenziando che "pretendere di oggettivizzare nomine in cui una discrezionalità di valutazione è inevitabile, viene ad essere del tutto perdente”.

Insomma, facendola corta, secondo il Presidente della Corte d’Appello bresciana,  non ci si può discostare dall'esigenza della ricerca del MIGLIORE… nell'interesse superiore ed oggettivo dell'Ufficio.

Questo, in pillole,  il milieu culturale del Castelli-pensiero. Un contributo per molti versi prevedibile e dal quale, nonostante i tempi grami, risulta ovviamente assente una seria autocritica per lo sfascio sin qui compiuto.

Ma non basta. Ancor più grave è notare come l’intervento in questione, privo di proposte legislative riformiste, lasci immutato quel quadro legislativo che, di riffa o di raffa, ha consentito agli Apostoli del  correntismo di perpetrare indisturbati le allegre  scorribande nelle lussureggianti  praterie del Lauto Governo.

Cosa resta, allora, del contributo di Claudio Castelli? Presto detto: né più né meno che l'ennesimo “fioretto” labiale,   mascherato  dietro l’obiettivo della ricerca del  Migliore, quasi che in passato si fosse mai teorizzata la ricerca del peggiore… 

Nulla di più, dunque, del solito refrain con il quale i correntocrati ci hanno “scassato” i timpani ( ma Camilleri avrebbe detto diversamente…) da 15 anni a questa parte,  in barba alle centinaia e centinaia di pagine del TU sulla Dirigenza, in barba al bollettino periodico delle Carte dei Valori, in barba alle promesse elettorali di santità e purezza, in barba ai diari di Ciccio & Ale e, in fine, in spregio  agli appelli alla trasparenza dei vari Capi dello Stato avvicendatisi alla guida del CSM. E badiamo bene che quanto sin qui accaduto e dimostrato è avvenuto costantemente senza che agli Apostoli del Migliorismo gliene fregasse minimamente delle reali capacità organizzative del lottizzato di turno, non di rado definito nelle chat del Luca nazionale in termini che, sinteticamente, potrei cosi riassumere: “ va beh, è un inetto ma che vuoi mai, è voluto da…”

E allora il commento all’articolo di Castelli potrebbe anche finire qui, in omaggio a Charles Bukowski (  “In generale accetto senza problemi  le chiacchiere di tutti e senza problemi le lascio perdere”).

Ma qui l’unica a perdere è la magistratura tutta. 

Sicchè, superato il fastidio profondo, l’occasione è comunque utile per confrontarsi sul modello di dirigenza del nostro maitre a penser, ancora una volta incentrato sul solito, stantio, nucleo pulsante: il  Sacro Graal dell' “Attitudine Direttiva” (messa in maiuscolo per giusto ossequio alla sacralità del tema...)

Ora, per farla breve, chiunque abbia un minimo di cultura aziendalistica non può ignorare che un manager è tale solo se dotato  di autonomia finanziaria, autonoma  leva di spesa e potere di spoyl system, ciò è, a dire, di creazione ad hoc di uno staff finalizzato alla realizzazione del progetto perseguito. In mancanza di questi tre pilastri parliamo di acqua fresca… E allora, i fan dell’attitudine direttiva ci spieghino se tali “dotazioni” - essenziali nel mondo dell'organizzazione - siano punto a disposizione dei nostri dirigenti. Ci dicano quanto spazio effettivo di manovra abbiano i capi degli uffici a fronte degli autonomi poteri organizzativi assegnati ad uno staff burocratico di nomina ministeriale.  Ci dicano se quello staff sottostia al Capo Carismatico o, piuttosto, come ben sappiamo, operi motu proprio sulla scorta di linee guida centrali. E a Claudio Castelli verrebbe fatto di chiedere, in particolare, se egli - nella sua alta veste - abbia avuto mai, in modo corretto, ciò è a dire slegato dai perversi meccanismi delle conoscenze personali, quelle risorse e, a seguire, quali risultati speciali egli abbia conseguito rispetto al trend dei suoi predecessori.

In breve, ci troviamo innanzi alle solite montagne di chiacchiere che partoriscono topolini:  la roboante attitudine direttiva, scolpita a lettere d’oro nel  Libro degli Inganni della correntocrazia, si rivela per quello che è. Nulla più di un topolino le cui ambizioni gestionali si arrestano, otto volte su dieci, di fronte allo “stato dell’arte”. 

Agevole è la prova del 9. Basterà confrontare gli ampollosi PROGETTI ORGANIZZATIVI presentati dagli aspiranti dirigenti in sede di nomina (sovente in relazione a sedi in cui non sono mai stati…) con quelli poi concretamente raggiunti, per merito proprio, nel quadriennio. E stendiamo un velo pietoso sul fatto che nessuno di codesti miglioristi sia chiamato a renderne conto in sede di riconferma...

Su una cosa dobbiamo concordare con Claudio Castelli ed è lì dove assume che la dirigenza dell'ufficio è  un “servizio”. Ma chi deve assolverlo? Pochi eletti espressi per mera sodalità da un CSM preda dell’arbitrio di un manipolo di “associazioni private”, i cui metodi meriterebbero l’attenzione del giudice penale? oppure, all’opposto, tutti i magistrati, in ossequio ai principi costituzionali di autogoverno, pari dignità delle funzioni e soggezione del giudice soltanto alla legge? Principi seriamente messi in forse dall’attuale casta dei direttivi “a vita” che - in modo surrettizio – subordina in via permanente quasi il 90% dei magistrati.

 Se, dunque, come dice bene Castelli, servizio deve essere, servizio sia! Esso andrà assolto da tutti i magistrati, pari per dignità e funzioni, nessuno escluso. Solo così si potrà superare in modo non ingannevole la crisi morale che ha investito l’Ordine Giudiziario. 

Occorre, in altre parole, tornare al modello costituzionale di magistrato, togliendo alle correnti il loro boccone preferito: il nominificio.
Per fare ciò, unica è la via maestra: il “coordinamento” (perché parlare di dirigenza “inter pares” è un non-senso) a rotazione dell’Ufficio (due/tre anni) tra i magistrati ivi presenti da almeno cinque anni, con adeguata anzianità (10/15 anni di servizio) e  senza alcuna possibilità di rinnovo dell'incarico, esaurito il quale si ritorna sulle sudate carte,  le sole  nelle quali ogni giudice deve trovare il “proprium” della sua funzione.

Imbarazzante (quando non addirittura amorale) è l'argomento per cui certi magistrati  mai potrebbero coordinare un ufficio in quanto “inetti”: premesso che il sistema attuale non ha certamente garantito il fior fiore dei dirigenti  (anzi…, le cronache penali ce ne danno conto…), occorre osservare che il problema non deve essere quello, a valle,  del magistrato inetto chiamato a dirigere un ufficio bensì,  a monte, dell’inetto che nell'esercizio della giurisdizione lede ogni giorno i diritti dei cittadini.

È chiaro, peraltro, che il modello della rotazione esige un'eccellenza professionale quotidiana di ciascun magistrato, un salto di qualità straordinario in ciascuno di noi, che -  laddove mancante – deve trovare la sua risposta non nell'esclusione dall'esperienza di autogoverno bensì nella sanzione disciplinare.

Aggiungiamo, ancora, che l'idea che un magistrato possa essere bravo sulle carte ma inidoneo sul piano organizzativo  generale pecca di astrattezza: il bravo magistrato (se effettivamente è tale) si caratterizza, difatti, non solo per il bello scrivere o l'ottimo studio ma, ancor prima, per la capacità di gestire il ruolo, l'agenda, i rapporti con la cancelleria e con il foro,  i propri programmi di smaltimento, etc.  Ora, tutto ciò presuppone necessariamente una capacità di auto-organizzazione del singolo collega che non può essere dispersa e, anzi, va messa turnariamente a disposizione dell'intera comunità dell'Ufficio.

Si dice poi che alcuni di noi, pur avendo tali ottime caratteristiche, mai hanno manifestato interesse reale all'organizzatore complessiva dell'ufficio, badando essi solo alla buona gestione del proprio ruolo. 

Qui però si impone una domanda: non è forse che questi bravi colleghi (e ce ne sono davvero tanti) si disinteressano per frustrazione ? Perché sanno bene che non verranno mai chiamati, stando così le cose, al coordinamento dell’Ufficio? Perché coscienti di far parte di quel 90% di “autogovernati” a vita, esclusi sulla carta da ogni esperienza direttiva? Io penso proprio questo…

Concludo ricordando che già Napoleone Bonaparte aveva previsto la rotazione annuale dell'incarico di presidente del tribunale della Repubblica cisalpina di Milano… per assicurare l'effettiva parità dei signori giudici.

Il grande Corso aveva intuito, già due secoli fa, che solo la partecipazione orizzontale di tutti i magistrati alla gestione avrebbe evitato pericolose cattedrali di potere e incarnato il modello costituzionale moderno di giudice sine spe ac metu.  

Siamo in ritardo di due secoli… Rotazione subito!





2 commenti:

francesco Grasso ha detto...

Abbiamo sostituito gli insegnamenti di Piero Calamandrei con quelli di Palamara. Alla. "SEMPLICITA'" con cui i ventenni hanno dato la vita per la libertà e la Giustizia, unico, esclusivo riferimento per il costituente, e pertanto del legislatore e del giudice, abbiamo sostituito l'interesse e il disonore. L'invenzione di 20 o più piccoli collegi per eleggere i membri del C.S.M., micidiale, in grado di eliminare quei pochi che la pensano come Calamandrei , è geniale ? No !!! Meschina. In grado di ben rafforzare la bandiera che sventola sul punto più alto della collina del disonore.

bartolo ha detto...

Anche perché i "vigliacchi ", e a quanto pare in magistratura non è che manchino, così facendo sono costretti a trovare da soli il coraggio. A riceverlo dalle correnti, potrebbe costar caro (anche se, il conto più salato è a carico della stessa giustizia).