venerdì 5 giugno 2020

Il dilemma del ministro (ri)pensatore (Sorteggio e rotazione per ridare dignità ai magistrati - parte seconda)


di Giuliano Castiglia - Magistrato 



Abbiamo concluso la prima parte di questa storia  con la constatazione che, per affrontare con qualche speranza di successo i gravissimi problemi della magistratura, resi ormai a tutti noti dagli esisti delle indagini della Procura di Perugia su Luca Palamara, occorre compiere due passi tanto semplici quanto indispensabili.

Il primo di tali passi è quello di liberare il Consiglio Superiore della Magistratura dalle correnti.

Il CSM non potrà essere libero dalle correnti fin tanto che alle stesse sarà garantito il potere di selezionare i candidati alle elezione dei suoi componenti.

Sottrarre tale potere alle correnti, quindi, è indispensabile.

Qualsiasi sistema elettorale che non compia tale passo sarà, per definizione, inidoneo a raggiungere l’obiettivo di liberare il Consiglio dall’occupazione delle correnti.

Funzionale a conseguire tale scopo è la selezione dei candidati al CSM mediante sorteggio.

È ovvio che le correnti e la cassa di compensazione dei loro interessi alla quale è stata ridotta l’ANM si sono sempre fermamente opposte al sorteggio e hanno sempre indicato come normale il sistema attuale che vede le correnti spartirsi i componenti del CSM.

Per giustificare questa vera e propria occupazione dell’organo di autogoverno dei magistrati, correnti e ANM affermano che il CSM sarebbe un organo di rappresentanza politica e che ciò sarebbe dimostrato dal fatto che i suoi componenti sono eletti attraverso il voto.

Dietro tale assunto, però, si cela una vera e propria frode alla Costituzione.

L’assoluta illogicità dell’idea secondo cui i componenti del CSM sono rappresentanti di chi li ha eletti è disvelata immediatamente dalla lettura dei compiti che la costituzione assegna al CSM.

Il CSM è costituzionalmente chiamato, in attuazione delle “norme sull’ordinamento giudiziario”, a assumere, assegnare e trasferire, promuovere e sanzionare disciplinarmente i magistrati (art. 105 Cost.).

Sono tutti compiti assolutamente incompatibili con l’idea della rappresentanza politica dei suoi componenti.

Rappresentante è colui che agisce nell’interesse del rappresentato. È di tutta evidenza, però, che il CSM non è chiamato a curare gli interessi di coloro che eleggono i suoi componenti bensì a curare un interesse pubblico che non solo non coincide con quelli degli elettori ma che si differenzia nettamente da tali interessi e che, non di rado, confligge radicalmente con essi.

Basti pensare, tra l’altro, che il CSM è chiamato ad adottare i provvedimenti disciplinari nei riguardi dei magistrati.

Come si può mai pensare che chi è chiamato a infliggere ai magistrati i provvedimenti disciplinari possa essere rappresentate dei magistrati stessi? Se così fosse, sarebbe un vero e proprio ossimoro e si determinerebbe un insanabile e insolubile conflitto di interessi in capo a ciascun componente del CSM.

Il criterio che regola il rapporto tra magistrati e componenti togati del CSM non è quello della rappresentanza bensì quello, radicalmente diverso e apolitico, della rappresentatività.

I magistrati componenti del CSM sono, sostanzialmente, un campione rappresentativo dei magistrati.

Ciò è espresso perfettamente dalla Costituzione, secondo cui i componenti togati del CSM “sono eletti da tutti i magistrati ordinari tra gli appartenenti alle varie categorie” (art. 104, co. 3, Cost.).

Dunque, una rappresentatività essenzialmente professionale, in ragione delle diverse funzioni esercitate e dei diversi ambiti di lavoro.

Rappresentatività che la legge potrebbe anche declinare ulteriormente in termini territoriali o di genere ma che giammai potrebbe contraffare in rappresentanza politica.

Infatti, i Costituenti hanno voluto, direi anzi hanno imposto, una giurisdizione apolitica a garanzia dei più essenziali principi dello stato di diritto e, quindi, magistrati professionali, tecnici del diritto, selezionati per concorso e soggetti, nell’esercizio della funzione sovrana a loro assegnato, “soltanto alla legge”.
Dove l’attenzione deve concentrarsi tanto sull’avverbio “soltanto” quanto sul predicato nominale “soggetti”.

I magistrati, quindi, “sono soggetti (soltanto) alla legge” e non possono nella loro azione perseguire liberamente i fini che ritengono più meritevoli.

Questa attività è propria degli organi di indirizzo politico ma è preclusa alla giurisdizione e, dunque, ai magistrati che sono chiamati a esercitarla.

Il che non significa, ovviamente, che i magistrati non possono avere e manifestare idee politiche ma che non possono in alcun modo piegare a tali idee l’esercizio della giurisdizione.

E ancora, non significa che i magistrati non possono associarsi per promuovere collettivamente idee politiche ma che in nessun modo possono farlo per piegare alle loro idee né la giurisdizione né l’amministrazione di coloro che la giurisdizione sono chiamati a esercitare, i magistrati stessi.

Ecco perché un CSM politico che, anziché limitarsi all’imparziale amministrazione dei magistrati secondo la legge, viene condizionato da organizzazioni private che si impegnano nell’imporre un “modello di magistrato” politicamente contrassegnato, è semplicemente fuori dalla Costituzione.

Del resto, i magistrati, nominati a seguito di concorso anonimo al precipuo scopo – oltre che di selezionare soggetti tecnicamente preparati – di sganciare la giurisdizione e chi la esercita da qualsiasi condizionamento politico garantendone alla base la neutralità, non hanno alcun titolo per attribuire legittimazione politica ad alcunché.

Un CSM politico giammai potrebbe essere un organo fatto esclusivamente da tecnici e la cui componente maggioritaria è selezionata tra soggetti e da soggetti privi di qualsiasi legittimazione politica.

Un CSM politico dovrebbe essere formato quanto meno da una maggioranza di politici eletti o direttamente dai cittadini o da soggetti dotati di legittimazione politica (parlamentari).

Spesso, per giustificare il ruolo politico del CSM si richiamano alcune sue attribuzioni e, in particolare, quella consultiva sui disegni di legge in materia di giustizia e quella normativa in materia di ordinamento giudiziario.

Come è evidente, si tratta di attribuzioni che non sono previste dalla Costituzione e che sono state inserite nell’ordinamento dal legislatore ordinario.

Inoltre, nel compito di fornire pareri non è ravvisabile alcun profilo politico, trattandosi all’evidenza di pareri tecnici, al pari di una miriade di altri pareri previsti dall’ordinamento.

Quanto alla funzione normativa, invece, essa è essenzialmente frutto di un’auto-attribuzione da parte dello stesso CSM, solo recentemente e in minima parte “sanata” da taluni riferimenti legislativi a tale attività del Consiglio.

Ma l’ordinamento giudiziario – come si è esposto nella prima parte di questo scritto e come ricorda in un’intervista al quotidiano Il Foglio del 29 maggio u.s. l’ex Presidente della Corte costituzionale Giovanni Maria Flick – “è sottoposto a rigorosa riserva di legge”.

Il potere normativo che, complice l’inerzia della politica (il Legislatore), il CSM si è arrogato, è esso stesso sostanzialmente incostituzionale e sarebbe quanto mai auspicabile che il Legislatore si riappropriasse delle proprie esclusive prerogative in materia.

Tutto questo evidenzia come la selezione mediante sorteggio dei candidati al CSM, oltre a costituire l’unica via per liberare il Consiglio delle correnti, è anche perfettamente rispondente alle esigenze di imparzialità nell’amministrazione dei magistrati e di neutralità politica della giurisdizione.

Contro la proposta del sorteggio dei candidati al CSM si obietta che essa sarebbe incostituzionale perché violerebbe il diritto dei magistrati di candidarsi al CSM, ossia il c.d. elettorato passivo dei magistrati, rappresentato come una sorta di incomprimibile diritto assoluto.

Si tratta di un’obiezione che ha anch’essa le sue radici nell’assunto secondo cui il CSM sarebbe un un organo di rappresentanza politica.

Solo se fosse vero tale assunto, infatti, avrebbe un senso l’asserito diritto di elettorato passivo di tutti i magistrati.

Ma, a prescindere dalla considerazione che giammai il diritto di elettorato passivo può essere assoluto e illimitato (lo stesso art. 56 Cost., che lo prevede in termini generali, ne rimette la disciplina alla legge limitandosi a prevedere un divieto di discriminazioni), come abbiamo visto, il CSM non è un organo di rappresentanza dei magistrati.

Non ha senso, dunque, l’idea di un generalizzato diritto di elettorato passivo dei magistrati, che postulerebbe una legittimazione degli elettori ad assegnare un mandato politico agli eletti.

Ma è la stessa lettera della Costituzione che evidenzia l’inesistenza di un diritto di elettorato passivo di tutti i magistrati.

L’art. 104, co. 4°, Cost., infatti, attribuisce a tutti i magistrati soltanto il diritto di elettorato attivo (diritto di eleggere), stabilendo che i componenti togati del CSM “sono eletti da tutti i magistrati ordinari”.

Non regola, invece, l’elettorato passivo e, quanto agli “eletti”, si limita a stabilire che devono essere selezionati “tra gli appartenenti alle varie categorie” e non certo tra gli “appartenenti” ai diversi “orientamenti culturali” come vengono chiamate, con formula paludata, le correnti.

La Costituzione, quindi, come già detto, esprime un’esigenza non già di rappresentanza ma di rappresentatività categoriale, alla cui soddisfazione il sorteggio si presta perfettamente e, senza alcun dubbio, meglio della designazione correntizia dei candidati.

Nulla a che vedere con quanto previsto, invece, dagli artt. 56, co. 3°, e 58, co. 2°, della Costituzione, che disciplinano specificamente il diritto di elettorato passivo, rispettivamente, per la Camera dei Deputati e il Senato della Repubblica: il primo stabilendo che “sono eleggibili a deputati tutti gli elettori che nel giorno delle elezioni hanno compiuto i venticinque anni di età”; il secondo che “sono eleggibili a senatori gli elettori che hanno compiuto il quarantesimo anno”.

Fino a pochi anni fa solo pochissimi magistrati indicavano nel sorteggio il giusto metodo di selezione dei candidati al CSM e l’esperienza da loro compiuta, attraverso il comitato Altra Proposta, di selezionare attraverso sorteggio alcuni candidati in occasione delle elezioni del CSM del 2014, fu pressoché totalmente snobbata dal mainstream mediatico-giudiziario.

Oggi, invece, sono sempre più numerosi coloro che non solo prendono in considerazione di ricorrere al sorteggio come metodo di selezione dei candidati al CSM ma che ritengono tale strada una scelta opportuna e necessaria.

Ai tanti cittadini non direttamente impegnati nel settore del diritto e ai politici di diversi orientamenti, si affianca una schiera sempre più folta di magistrati, avvocati, professori universitari.

Da ultimo si sono registrate autorevolissime adesioni alla proposta del sorteggio.

Tra queste, quella dell’ex Presidente della Corte costituzionale Giovanni Maria Flick: “Se in passato nutrivo dei dubbi – ha riferito Flick parlando della necessità di riforma delle “modalità di nomina” dei componenti del CSM – adesso dico che si può anche pensare di introdurre il sorteggio: a mali estremi, estremi rimedi”. 

Chi invece sembra avere ingranato la retromarcia è proprio il movimento politico che fino a pochi mesi fa, più di tutti gli altri, sembrava consapevole del problema e dichiaratamente disposto ad affrontarlo: il Movimento 5 stelle.

In questo senso, il Ministro della Giustizia Bonafede, fino a meno di un anno fa, stava promuovendo un progetto di riforma che, con l’introduzione del sorteggio come strumento per la selezione dei candidati al CSM, avrebbe potuto realmente sottrarre alle correnti il sostanziale controllo del Consiglio e impedire la strumentalizzazione dello stesso alle logiche perverse compiutamente rappresentate dalle chat del telefono sequestrato a Luca Palamara.

Improvvisamente, tuttavia, si è assistito a un tanto repentino quanto immotivato cambio di posizione.

Spostandosi sulle posizioni reazionarie dell’establishment correntocratico e dell’ANM – da sempre strenua oppositrice di ogni cosa possa limitare la forza e il potere delle correnti –, il Ministro pentastellato ha rinunciato all’idea del sorteggio dei candidati al CSM.

Non sembra un caso che questa retromarcia sia stata annunciata, a novembre 2019, proprio al congresso dell’ANM di Genova, tra gli applausi e il compiacimento generale dell’assise correntizia ivi radunata.

Appare inspiegabile come ciò sia potuto accadere dopo che i fatti emersi dall’inchiesta perugina riguardante l’ex Presidente dell’ANM Luca Palamara avevano mostrato a tutti la pericolosità del sistema correntocratico non solo per l’imparzialità del CSM ma per l’indipendenza e l’imparzialità della stessa giurisdizione.

Ancora più inspiegabile appare che, in questi giorni, dopo la seconda ondata del c.d. “scandalo Palamara” – che più correttamente andrebbe chiamato “scandalo CSM” o “scandalo Magistratura” –, il Governo perseveri nella volontà di conservare alle correnti il monopolio del CSM dando avvio a un progetto di riforma “fuffa”.

Infatti, la riforma proposta dal Ministro della Giustizia – dopo le sollecitazioni accorate dello stesso Presidente della Repubblica affinché “si approdi in tempi brevi a una nuova normativa” che preveda un CSM “formato in base a criteri nuovi e diversi” – costituisce una vera e propria “frode delle etichette” che non diminuisce in alcun modo il potere delle correnti ma, se mai fosse possibile, lo accresce ulteriormente (si leggano, al riguardo, i post di questo Blog Nonposso ma se potessi e La fuffa, ovvero la collina che partorì il topolino).

Se tutto ciò resta senza spiegazioni apparenti, può tuttavia affermarsi con certezza che è quanto meno ingenuo pensare di risolvere il problema del correntismo in magistratura e delle gravissime distorsioni istituzionali connesse a tale fenomeno con una ricetta in nessun modo indigesta e, anzi, sostanzialmente collimante con quella propugnata dai suoi principali protagonisti, ossia l’ANM e le correnti.


Se il Ministro della Giustizia e il Governo, su questo terreno, vogliono essere credibili e, soprattutto, vogliono impedire il crollo definitivo della credibilità della giurisdizione devono compiere un reset radicale dello stato della situazione e ripartire da proposte idonee a realizzare l’obiettivo dichiarato di liberare il CSM dallo “spettacolo indecente” portato in scena dalle correnti.


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