sabato 13 giugno 2020

Cancellate quella chat!

di Nicola Saracino - Magistrato 



Il codice di procedura penale contempla, tra le altre, l’esigenza di evitare l’inquinamento probatorio quale presupposto per applicare misure cautelari personali, vale a dire per bloccare chi sta per sopprimere le prove della colpevolezza sua o dei complici. Ebbene pare sia in corso un tentativo del sistema - che in ogni caso si proscioglierà da ogni addebito - di far  sparire le tracce della sua compromissione, svelata in diretta TV.   

Fanno capolino sulla stampa notizie secondo le quali la documentazione originale delle captazioni avvenute a mezzo del trojan iniettato nello smartphone del dott. Luca Palamara potrebbe venir presto distrutta. 

E l’iniziativa non sembra provenire dal dott. Palamara il quale, anzi, ha sollecitato di poter scrutinare  personalmente il ponderoso materiale sin qui raccolto.  Ciò, verosimilmente, sia per correggere eventuali errori di trascrizione (sempre possibili) sia per selezionare argomenti a propria difesa da sottoporre al giudice penale, se mai verrà rinviato a giudizio, o a quello disciplinare essendo la celebrazione del relativo processo  certa,  dato che vi è già stata la sospensione cautelare del magistrato,  prima al vertice dell’Associazione Nazionale Magistrati e poi membro del Consiglio Superiore della Magistratura. 


E’ bene sapere che le intercettazioni sono solitamente impiegate a piene mani nei giudizi disciplinari a carico dei magistrati  anche se delle stesse risulti vietato l’uso nel processo penale, alla sola  condizione che quelle intercettazioni non siano il frutto di gravi violazioni di legge (che in questo caso non sembra ricorrano).

Dalle  trascrizioni  sin qui rese note al grande pubblico (una minima parte del totale se la Procura Generale ha dovuto istituire un pool per leggere le 60.000 pagine di trascrizioni) emerge uno spaccato della magistratura che ha ampiamente allarmato l’opinione pubblica, la politica e  persino provocato un monito del Presidente della Repubblica. 

La qual cosa denota che i fatti che vi figurano sono di sommo interesse pubblico, perché i cittadini hanno il diritto di conoscere, della magistratura, oltre alle virtù anche i tanti vizi, al cospetto dei quali quelli della politica sembrano ormai  piccola cosa. 

Dalle prime trascrizioni delle chat rese note emergono sicure responsabilità deontologiche e disciplinari di molti magistrati e non possono escludersi neppure illeciti penali, se si leggono gli atti secondo logica e senza sfuggire al dovere di escludere senza incertezze che esista un “sistema” che si muove ai margini della legalità, anche costituzionale.  

Ma allora perché si profila la distruzione di un materiale di così fondamentale importanza? 

Procediamo con ordine.

Occorre partire dalle mille polemiche del passato,  suscitate dalla diffusione sulla stampa dei contenuti delle intercettazioni telefoniche, un mezzo di indagine assai intrusivo che all’evidente compressione della privacy dell’intercettato aggiunge quella dei suoi interlocutori i quali possono essere estranei a qualsiasi malefatta e tuttavia incappare nell’esposizione al pubblico del loro privato.

Allo scopo di limitare   danni di questo tipo,  il codice di procedura penale (art. 269 cpp) prevede che gli interessati possano chiedere la distruzione della documentazione delle intercettazioni  quando ciò non nuoccia al procedimento penale e possa servire a tutelare la loro riservatezza. 

Riservatezza è un concetto che allude alla sfera privatissima della persona, dei suoi affetti, delle sue amicizie, dei suoi interessi,  delle cose più intime; non include certo l’interesse a nascondere condotte poco commendevoli sotto il profilo deontologico e/o disciplinare, specialmente quando  si tratta di soggetti che, come i magistrati, rivestono funzioni di primario interesse pubblico. 

L’intercettazione in senso proprio consiste nell’impiego di strumenti che si intromettono nella conversazione vocale tra due o più soggetti  per ascoltare quanto si dicono, ascolto che può avvenire in diretta o in differita, un po’ come per le partite di calcio.   Può verificarsi anche che siano collocati dei microfoni in luoghi ove si pensa che l’indagato possa trovarsi (ad esempio la sua automobile o la sua casa) ed in tal caso si parla di intercettazioni  ambientali, ma la sostanza non cambia. 

Il trojan!

Famigerato quanto efficace,  il cd trojan è un captatore informatico che consiste in un software che si installa (di nascosto ovviamente) direttamente nel telefonino, come se si trattasse di una app nascosta. 

Cosa consente di fare il trojan?   

Un po’ tutte le cose che abitualmente facciamo col nostro smartphone e quindi, oltre a registrare le telefonate (lo smartphone talvolta serve anche per telefonare!) consente di accedere ai contenuti del terminale ove è installato il “virus legale” e quindi di controllare  le chat di Whatsapp o altra applicazione analoga,  oppure di registrare le conversazioni che avvengono nelle vicinanze del telefonino (è il caso dell’ormai noto rendez-vous all’Hotel Champagne). 

Come ognuno può notare,  il trojan è strumento assai versatile nelle sue capacità di intrusione ed ascolto perché segue la persona che “indossa” il cellulare, ormai per tutti una specie di protesi del corpo umano.  

Il perché di questa -  spero non noiosa -   spiegazione è presto detto. 

Non tutto ciò che fa il trojan può essere assimilato all’intercettazione telefonica e quindi non tutta la disciplina delle intercettazioni telefoniche può essere applicata anche alla “documentazione” scaturita dal suo impiego.  

Così, se la registrazione di una telefonata o di un dialogo avvenuto in presenza tra due o più persone innegabilmente somiglia al prodotto di una normale intercettazione, non altrettanto può dirsi per l’intrusione nelle conversazioni “scritte”  sul cellulare, con whatsapp o qualsiasi  altra app, anche di posta elettronica.  

Che barba che noia. Lo so, ma una digressione sulla  segretezza della  corrispondenza è altrettanto necessaria per seguire il filo del discorso. 

La lettera, quella di carta che non si usa più, che spedivamo imbustandola e francobollandola,  è anch’essa tutelata dalla legge, nel senso che nessuno può  permettersi di aprirla e leggerne il contenuto se non il suo destinatario. In ciò si sostanzia la tutela della sua segretezza. Se però l’autorità giudiziaria ha bisogno di frugare nella corrispondenza di un indagato,  non ha necessità di far ricorso al restrittivo  apparato normativo delle intercettazioni, perché essa  viene considerata come un qualsiasi altro documento e può quindi essere appresa senza i limiti imposti alle intercettazioni. Per chi fosse interessato rimando a questo datato  approfondimento che mi pare ancor oggi  valido, sebbene la giurisprudenza abbia orma preso la via meno garantista, quella  che sconsiglia a tutti  di confidare nella segretezza della propria corrispondenza, sia essa epistolare o elettronica. Perché anche per acquisire le mail che vi scambiate coi vostri amici un indagante non incontra i limiti delle intercettazioni, venendo esse trattate come semplici documenti.  

Ora basta, sapete a sufficienza per giungere sani e salvi alla fine del discorso. 

Dunque, la prospettiva della distruzione della documentazione sin qui raccolta a Perugia nell’ambito dell’indagine contro il dott. Luca Palamara paventata dalla stampa non potrà che avvenire in forza dell’unica disposizione di legge che l’autorizza, vale a dire l’art. 269 cpp che riguarda esclusivamente le intercettazioni e non certo i documenti. Nessuno può distruggere documenti inseriti in un procedimento penale se non commettendo reati, anche  piuttosto gravi. 

Possiamo quindi concludere che sono a rischio di estinzione solo le conversazioni vocali captate dal trojan, a distanza o in presenza, ma non tutto il restante prodotto dell’intruso, vale a dire le chat di whatsapp, le mail,  le foto ed i testi eventualmente custoditi nel cellulare del dott. Luca Palamara, che devono essere trattati come semplici “documenti”.  

Questo consentirà, quando gli atti saranno pubblicabili, non già di  frugare nella “vita privata” del dott. Palamara e dei suoi interlocutori -  della quale nulla ci importa -  ma di conoscere i moltissimi fatti di estremo interesse pubblico che riguardano il funzionamento della magistratura italiana ed in particolare del Consiglio Superiore della Magistratura, organo che dovrebbe esprimere  i valori di indipendenza, di terzietà  e di soggezione esclusiva alla legge che caratterizzano  una magistratura professionale e non politicizzabile.  

Resta fermo che  l’eventuale distruzione della documentazione di conversazioni vocali non potrà che avvenire a tutela della riservatezza della persona e non certo per occultare le prove (come tali spendibili in sede disciplinare) di un sistema correntizio  che lo stesso Presidente della Repubblica ha ritenuto degenerato  e inammissibilmente commisto alla politica. 





2 commenti:

bartolo ha detto...

di solito, ma tanto di solito, funziona così: più le persone sono credibili legalitari miti e rispettosi della morale propria e altrui e più sono soggetti utili (idioti) agli interessi delle mafie (possiamo dire mafie, o prima dobbiamo chiedere il permesso ai torturatori?).

francesco Grasso ha detto...

Quousque tandem abutere, Catilina, patientia nostra..? Pensano di poter fare quello che vogliono e tireranno la corda finché non si rompe. Finché il P.M. sarà soggetto al governare il C.S.M. una tigre sdentata e senza artigli ecc. In quale paese cd democratico si sono visti stragi di stampo libanese come nel nostro.