sabato 18 luglio 2020

La ricusazione del dott. Luca Palamara nei confronti del dott. Davigo



Astensione e ricusazione del giudice sono istituti volti a garantire la terzietà del giudizio, vale a dire che esso non risulti condizionato dai rapporti del giudice con le parti o dalla diretta conoscenza dei fatti di causa acquisita al di fuori del processo.

Nel processo civile la disciplina dell’incompatibilità è posta dall’art. 51 del c.p.c. che, tra le altre ipotesi, prevede quella del giudice che “ha deposto in essa come testimone” o che “ha dato consiglio”; nel processo penale, analogamente,  l’art. 34 del c.p.p. esclude dalla funzione giudicante chi “ha prestato l’ufficio di testimone”; l’art. 36 prevede poi l'obbligo di astenersi dalla funzione giudicante del soggetto che abbia dato consigli sull'oggetto del procedimento fuori dell'esercizio delle funzioni giudiziarie.

A queste ipotesi sembra ricollegarsi la ricusazione da poco depositata dalla difesa del dott. Luca Palamara nei confronti del dott. Davigo, componente della Sezione Disciplinare del CSM che è il giudice  - elettivo – degli illeciti disciplinari dei magistrati.

Eccone il testo.
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CONSIGLIO SUPERIORE DELLA MAGISTRATURA
SEZIONE DISCIPLINARE

INVITO ALLA ASTENSIONE EX ARTT. 51 C.P.C. E 36 C.P.P.

RICORSO ED ISTANZA DI RICUSAZIONE EX ART. 52 C.P.C. E 37 C.P.P.

PROC. N. 76/2019

Ill.mo Presidente,

il sottoscritto Stefano Giaime GUIZZI, nella qualità di difensore di fiducia del dott. Luca Palamara, nato a Roma 22 aprile 1969, ed unitamente ad esso, rappresenta quanto segue.

*** *** ***
Il Cons. dott. Piercamillo DAVIGO, Presidente di Sezione della Corte di Cassazione, farà parte – quale magistrato titolare di funzioni di legittimità – del collegio giudicante chiamato a celebrare il dibattimento a carico del dott. PALAMARA e, dunque, a pronunciarsi sulla sua eventuale responsabilità in relazione agli illeciti disciplinari contestatigli.

Tuttavia, dal verbale delle sommarie informazioni testimoniali rese dal dott. Stefano FAVA – ex artt. 391-bis e 391-ter cod. proc. pen. – in data 6 novembre 2019 [verbale che qui si allega sub 1), ai sensi dell’art. 38, comma 4, cod. proc. pen., con riserva di ulteriore produzione dello stesso anche in occasione degli incombenti di cui all’art. 493 cod. proc. pen.], risulta che il medesimo ebbe ad incontrare il predetto dott. DAVIGO, unitamente ad altro componente di codesto Ill.mo C.S.M., dott. Sebastiano ARDITA, in alcune occasioni. In particolare, il dott. FAVA ha riferito che – in occasione di un incontro avvenuto a fine febbraio 2019 presso il ristorante “Il Baccanale” – oggetto del suo colloquio con entrambi i Consiglieri fu, oltre ad una sua possibile candidatura alle elezioni per il rinnovo degli organismi dell’Associazione Nazionale Magistrati, l’esistenza di “divergenze di vedute” all’interno del suo Ufficio di appartenenza (la Procura della Repubblica di Roma), ed in particolare di “possibili conflitti di interesse” che egli aveva segnalato “tra il Procuratore ed alcuni indagati”. Il dott. FAVA, inoltre, ha riferito che – nel corso di un successivo colloquio, nel maggio 2019, con il solo dott. ARDITA – ebbe a riferire al medesimo della “segnalazione […] fatta al CSM il 27 marzo 2019” in merito, tra l’altro, proprio a quel conflitto di interessi.

Per parte propria, anche il dott. Erminio AMELIO, nel verbale delle dichiarazioni rese il 2 luglio 2020, ex art. 362 cod. proc. pen., innanzi alla Procura della Repubblica di Perugia [verbale che qui si allega sub 2), ai sensi dell’art. 38, comma 4, cod. proc. pen., con riserva di ulteriore produzione dello stesso anche in occasione degli incombenti di cui all’art. 493 cod. proc. pen.], ha confermato – per avervi egli stesso preso parte – la circostanza del pranzo, “all’inizio del 2019”, tra il dott. FAVA e Consiglieri DAVIGO ed ARDITA. Il dott. AMELIO ha, del pari, confermato che – nel mese di marzo 2019 – il dott. FAVA, dopo avergli riferito di aver “redatto una richiesta di misura cautelare nei confronti dell’Avv. AMARA, che non aveva ottenuto il visto del Procuratore” (ciò che aveva determinato “dei contrasti che avevano condotto alla revoca dell’assegnazione”), apprese, dallo stesso, della sua volontà di “fare un esposto, in quanto era preoccupato del fatto che la vicenda potesse andare contro di lui”, tanto che il medesimo dott. AMELIO ebbe “l’impressione che il suo intento” (ovvero, del dott. FAVA) “fosse tutelarsi da una vicenda, in cui si sentiva, suo malgrado, coinvolto”, donde “la necessità di rivolgersi al CSM perché temeva di poter subire un danno da quanto accaduto”.

Proprio tali risultanze probatorie hanno indotto questo difensore, e con esso il dott. PALAMARA, a richiedere a codesta Ill.ma Sezione Disciplinare, ex art. 468 cod. proc. pen., l’autorizzazione alla citazione – quale teste a discarico dell’incolpato – del Cons. DAVIGO (e del Cons. ARDITA), costituendo le circostanze suddette fatti idonei a dimostrare l’infondatezza degli addebiti, in particolare, di cui al capo 1) lett. Y nn. 1), 2), 3 e 4).      

Tale circostanza, pertanto, pone il Cons. DAVIGO – qualunque sarà la determinazione che assumerà codesta Ill.ma Sezione Disciplinare, in ordine alla richiesta di escussione dello stesso quale teste – in una condizione davvero “sui generis”, tale da consigliarne l’astensione ex art. 36 cod. proc. pen., ovvero, in difetto, da indurre sin d’ora questa difesa a formulare istanza di ricusazione ex art. 37 del medesimo codice di rito penale.

Ed invero, se il Cons. DAVIGO fosse esaminato ai sensi degli artt. da 497 a 500 cod. proc. pen., si verrebbe a determinare la singolare situazione di un soggetto che riveste, nello stesso processo, la posizione di teste su (taluni dei) fatti oggetto di incolpazione, nonché di giudice degli stessi.

Si tratta, pertanto, di situazione rilevante – nella prospettiva della astensione/ricusazione del Cons. DAVIGO – ai sensi degli artt. 51, comma 1, n. 4), e 52 cod. proc. civ., non ostando, invero, a tale conclusione, ma anzi corroborandola, quanto affermato dalle Sezioni Unite civili della Corte di Cassazione.

Esse, infatti, con riferimento ad un procedimento disciplinare a carico di un esercente la professione forense (fattispecie assimilabile alla presente, anche alla luce di quanto ritenuto dalla giurisprudenza della Corte EDU,  che ha qualificato il procedimento a carico dei magistrati di cui al d.lgs. 23 febbraio 2006, n. 109  come "un contenzioso disciplinare, concernente il diritto di continuare a praticare una professione” che “può dar luogo a «controversie su diritti (...) di carattere civile» ai sensi dell’articolo 6 § 1 della Convenzione”; cfr. Corte EDU, Seconda Sezione, sentenza 9 luglio 2013, in causa Di Giovanni c. Italia) hanno, per vero, escluso che l’art. 54, comma 1, n. 4), cod. proc. civ.  potesse trovare applicazione con riferimento al caso di un soggetto, chiamato a svolgere funzioni giudicanti in quel procedimento, che era stato indicato come testimone nel procedimento penale iniziato contro l’incolpato. Tuttavia, le Sezioni Unite Civile sono giunte a tale conclusione sul duplice rilievo che, in quel caso, l’escussione del teste era stata chiesta in un procedimento diverso da quello disciplinare e, soprattutto, senza che la relativa istanza fosse già nota all’interessato al momento di assumere la decisione come giudice, sicché proprio tali circostanze – che non ricorrono, invece, nel caso in esame – sono state ritenute ostative all’obbligo di astensione (cfr. Cass. Sez. Un. Civ., sent. 6 luglio 2005, n. 14214, Rv. 583897-01).

D’altra parte, qualora codesta Ill.ma Sezione Disciplinare decidesse di escludere l’esame testimoniale del Cons. DAVIGO, l’astensione/ricusazione dello stesso si rende necessaria ai sensi degli artt. 36, comma 1, lett. c), e 37, comma 1, lett. a), cod. proc. pen.

Il Cons. DAVIGO risulta, infatti, aver interloquito – stando, almeno, ai documenti sopra menzionati – con il dott. FAVA, il quale ebbe, in particolare, a discutere con lui in merito a quelle “divergenze di vedute”, all’interno della Procura della Repubblica di Roma (e, segnatamente, con i vertici della stessa) e su quei “possibili conflitti di interesse”, in relazione ai quali egli ebbe, poi, a ritenere opportuno presentare alla Prima Commissione del CSM quell’esposto che tanto rilievo riveste, nella prospettazione dell’accusa, in ordine alle incolpazioni di cui al capo 1), lett. Y, nn. 1), 2), 3 e 4), elevate a carico del dott. PALAMARA.

Ricorre, dunque, quella condizione – l’avere il Cons. DAVIGO “manifestato il suo parere sull’oggetto del procedimento” (almeno “in parte qua”) “fuori dell’esercizio delle sue funzioni” – alla quale danno rilievo, nella prospettiva dell’astensione/ricusazione del giudice, le norme codicistiche sopra menzionate.

Ed invero, la giurisprudenza penale di legittimità, nel precisare che le “nozioni di «parere» (rilevante ex art. 36, comma 1, lett. c e 37, comma 1, lett. a, cod. proc. pen.) e «convincimento» (rilevante ex art. 37, comma 1, lett. b, cod. proc. pen.) sono talvolta state promiscuamente intese”, ha sottolineato, con forza, come “il dato letterale, ovvero la diversa terminologia adoperata nel medesimo contesto (le due distinte ipotesi confluiscono, infatti, nella stessa norma, l’art. 37 cod. proc. pen.)”, riveli, tuttavia, “la trasparente intenzione del Legislatore di fare riferimento a due situazioni diverse: in caso contrario, sarebbe davvero incomprensibile l’impiego, in una stessa norma, di due distinti termini per evocare il medesimo concetto” (Cass. Sez. 2 Pen., sent. dep. 25 giugno 2013, n. 27813, Rv. 255691).

La Suprema Corte, pertanto, ha evidenziato non solo che “l’espressione «oggetto del procedimento» di cui all’art. 36 lett. c) cod. proc. pen., ha contenuto più ampio rispetto a quella di «fatti oggetto dell’imputazione»”, ma pure, per converso, “che il termine «convincimento» ha un significato più ristretto, implicante un’analisi ed una riflessione rispetto al «parere», che indica un’opinione non preceduta necessariamente da un ragionamento fondato sulla conoscenza dei fatti o degli atti processuali” (Cass. Sez. 2 Pen, sent. dep. 6 giugno 2005, n. 20923, Rv. 232689; in senso conforme anche Cass. Sez. 2 Pen. sent. n. 27813 del 2013, cit.) e ciò, oltretutto, “senza che rilevino nè il momento, né il luogo, né il destinatario, né la qualità del parere medesimo”, così come la circostanza che “il procedimento sia in corso o ancora non si sia iniziato” (Cass. Sez. 1 Pen. sent. dep. 15 ottobre 1996, n. 5293, Rv. 205843-01; in senso conforme anche Cass. Sez. 2 Pen. sent. n. 27813 del 2013, cit.),

Orbene, a tale ampia nozione di “parere sull’oggetto del procedimento” è certamente ascrivibile il contegno tenuto dal Cons. DAVIGO, dal momento che egli, come detto, ebbe ad interloquire con il dott. FAVA – senza far mancare, nell’ambito di tale colloquio, quella “opinione non preceduta necessariamente da un ragionamento fondato sulla conoscenza dei fatti”, idonea, come visto, ad integrare il “parere” cui dà rilievo l’art. 36, comma 1, lett. c), cod. proc. pen. –  in merito alla situazione di conflitto all’interno della Procura capitolina e alle modalità con le quali, più opportunamente, quel sostituto avrebbe potuto portarla a conoscenza delle autorità competenti, circostanze, entrambe, «oggetto del procedimento» (secondo il significato dianzi chiarito, che individua la nozione in chiave autonoma rispetto a quella di “fatti oggetto dell’imputazione”), nel quale il Cons. DAVIGO riveste, oggi, la qualità di giudice.

ciò premesso e considerato

Nell’interesse del dott. Luca PALAMARA ed unitamente ad esso si ricorre alla competente Sezione del Consiglio Superiore della Magistratura affinché, ai sensi degli artt. 36 e 37 cod. proc. pen. e dell’art. 52 cod. proc. civ., in relazione al precedente art. 51, voglia accogliere la presente istanza di ricusazione nei confronti del Cons. dott. Piercamillo DAVIGO per le motivazioni espresse in premessa.
Si allegano i documenti indicati nell’istanza.
Con osservanza.
Chiavari/Roma, 17 luglio 2020
Per il dott. Luca PALAMARA
Stefano Giaime GUIZZI

1 commenti:

francesco Grasso ha detto...

La difesa Palamara appare insormontabile! Possiamo eliminare dalla lista il teste in oggetto. Rimangono altri elementi davvero granitici. Nulla quesito, non può dolersene il dott. Palamara, si apre la via dell'impugnazione di eventuale sgradita sentenza.Sicuramente per via ordinaria (SS UU), ma anche per via amministrativa.