martedì 29 settembre 2020

Il Presidente del Tribunale di Gela non s'ha da fare. Non ora, almeno...





Lunedì l’Ansa dava notizia che da un anno la presidenza del Tribunale di Gela è vacante e che, tuttavia, il CSM continua a prendere tempo sulla designazione del nuovo Presidente.

Ci siamo incuriositi e abbiamo potuto verificare che la notizia era sbagliata.

Per difetto! Perché, in effetti, il posto di Presidente del Tribunale di Gela è vacante dal 19 giugno 2019, quindi da più di quindici mesi.

E abbiamo anche verificato che ormai da tante settimane, quella del Presidente del Tribunale di Gela è, tra gli incarichi direttivi e semidirettivi degli uffici giudiziari del Paese (escluse le nomine da rifare perché annullate), la vacanza più risalente.

Eppure, benché sempre portata all’ordine del giorno della Quinta Commissione del CSM, la pratica risulta costantemente inevasa.


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sabato 26 settembre 2020

Buone notizie dalla magistratura.

di Guido Salvini - Magistrato 


Finalmente una buona notizia.  La Procura Generale presso la Corte di Cassazione, che è titolare dell’azione disciplinare nei confronti dei magistrati, ha “depenalizzato” con una sua direttiva le raccomandazioni ed il traffico di influenze all’interno della magistratura.

Non saranno punibili, le autopromozioni e la ricerca dei vantaggi contattando Consiglieri del CSM o esponenti dell’Associazione Nazionale Magistrati quando si concorra per un posto purché non si denigrino gli altri candidati e non si promettano vantaggi elettorali.

In pratica comportamenti che, se commessi da un politico o da un amministratore per un concorso pubblico o un appalto, spesso non portano neanche ad un procedimento disciplinare ma direttamente al registro degli indagati.

Anch’io voglio approfittarne subito, partendo per ora dal basso. C’è il concorso per diventare uno dei responsabili del settore informatico del Tribunale, non un granché ma qualcosa che serve per iniziare un cursus honorum che promette incarichi più prestigiosi.

Anche se di informatica capisco poco telefonerò o cercherò di incontrare un autorevole esponente di corrente a Milano affinchè influisca in mio favore sulla Commissione. Gli farò capire che ho votato e voterò sempre, questo è implicito, per la sua corrente e i suoi amici e che comunque resterò a disposizione.  Per quanto riguarda gli altri candidati non li denigrerò, gli ricorderò solamente che non sono dei nostri. Di quello che starò facendo non avrò niente di cui preoccuparmi perché sarà deontologicamente del tutto lecito.


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venerdì 25 settembre 2020

Sia esclusa la petulanza in Procura Generale.

di Nicola Saracino - Magistrato


Che la maggiore preoccupazione del dott. Giovanni Salvi, Procuratore Generale della Cassazione e quindi titolare dell’azione disciplinare contro i magistrati, fosse quella di salvare l’”immagine” della magistratura lo aveva detto lui stesso qualche tempo fa.   

Da pochi giorni sono stati diffusi i criteri concepiti dall’ufficio dell’accusa disciplinare per … assolvere, in definitiva, il sistema del correntismo in magistratura, le lottizzazioni, le raccomandazioni, armamentari della carriera del magistrato ormai sdoganati proprio dal soggetto dal quale ci si sarebbe aspettati l’articolazione di un solido atto d’accusa.

In  questo blog sono già state illustrate le guide lines della Procura Generale, salvacondotto dei petulanti: raccomandarsi non è peccato disciplinare ed il togato gravemente scorretto può essere perdonato per fatto lieve.  

L’ufficio della Procura Generale è molto ambito tra i magistrati ed è ineliminabile, a questo punto,  l'esigenza di fugare l'idea che la linea “morbidissima” concepita in quella sede sia condizionata  dall’approdo di toghe “petulanti”. 

Dichiarino, allora, il Procuratore Generale ed i suoi sostituti e magari anche gli appartenenti alla Direzione Nazionale Antimafia (altro ufficio di accusatori di prestigio) di non essersi mai “auto-promossi” nella loro carriera,  tanto meno col dott. Luca Palamara. 

E’ un atto, a questo punto, dovuto e serve ad escludere che l'accusa disciplinare sia invece distratta, anche inconsciamente, dalla propria difesa.  


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martedì 22 settembre 2020

Il principio di non contraddizione nel caso Palamara: la scorrettezza grave, ma lieve.





Eliminarlo dall’ANM. Fatto. 
Cacciarlo dalla magistratura: al massimo entro ottobre.

E tutti gli inciuci delle chat? 

Cestinazione, cioè amnistia politica generalizzata per mano del Ministro della Giustizia e della Procura Generale, gli unici soggetti ai quali è permesso di accusare i magistrati in sede disciplinare e che se vogliono e sono d’accordo possono non farlo.  Nessuno li sindacherà, tantomeno il CSM. 

La Procura Generale ha diffuso il suo editto. 

Quello dove c’è scritto che il magistrato petulante a caccia di raccomandazioni non è punibile perché non è scorretto.  Quindi è magistrato corretto, se la logica ha un peso.  E quindi se ne può trarre la seguente massima: è corretta, ai fini della legge disciplinare,  la condotta del magistrato che si raccomanda presso i consiglieri superiori per il conseguimento di incarichi direttivi o di altra natura. 
 
Sono parole e metodi della logica, ai quali non sfugge nessuno, nemmeno se si chiama Carnelutti (per i profani il Leo Messi dei giuristi, in altra epoca).

Ebbene proseguendo nell’analisi … logica dello scritto della procura generale ci si imbatte in un ulteriore tortuoso percorso che mette a rischio la tenuta mentale degli sprovveduti. 

Due norme, tratte dal codice disciplinare dei magistrati. 

La prima: costituisce illecito disciplinare nell'esercizio delle funzioni il comportamento  gravemente scorretto. 

La seconda: l'illecito disciplinare non è configurabile quando il fatto è di scarsa rilevanza.

Teniamoci forte, qui cominciano le montagne russe. 

Si può agevolmente affermare che una condotta è scorretta ma non gravemente  e tanto basterebbe ad escluderne la rilevanza disciplinare. E’ il percorso lineare che porta dritto dritto dal punto A al punto B.  

Ma come si può dire che un comportamento gravemente scorretto è di scarsa rilevanza senza causare l'insanabile conflitto tra le due regolette?  

Ebbene, si può dire se nessuno ti contraddice. Cioè se sei solo al mondo. 

Ma se gli altri ti ascoltano ti faranno notare che hai applicato male non una, ma entrambe le regole: applichi male la prima perché se il fatto è lieve la scorrettezza non è grave. Male anche la seconda perché se il fatto è grave non può essere di scarsa rilevanza.  

I logici lo chiamano principio di non contraddizione. 

I potenti lo intendono in senso alquanto libero che suona più o meno così: non permetterti di contraddirmi!

Ma quello è il principio di autorità e regola i rapporti tra diseguali.


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Self marketing, quando il magistrato s’illumina d’immenso.


Sono stati divulgati in questi giorni i criteri che la Procura Generale della Cassazione si è (auto)posta per districarsi nella mole di dati offerti dalle famigerate chat provenienti dallo smartphone del dott. Luca Palamara, per distinguere ciò che dovrebbe avere rilievo disciplinare da ciò che invece è innocuo. 

Premesso che quello della Procura Generale è l’ufficio che condivide col Ministro della Giustizia l’iniziativa disciplinare, vale a dire l’esercizio dell’accusa,  sarebbe da accogliere con favore l’anelito garantista che traspare da quel documento. 

Se non fosse che alcune opzioni, oltre ad apparire tecnicamente errate, tendono  il salvagente a tutti quei magistrati abituati ad avere rapporti diretti col potere interno alla magistratura  e quindi ad alzare la cornetta -  anzi ad agitare la tastiera di whatsapp   - per perorare i propri meriti direttamente col consigliere amico, piuttosto che affidarsi alla documentazione ritualmente inserita nel fascicolo del procedimento ed attenderne serenamente l’esito.  

No. Questa è una condotta che non può pretendersi dai magistrati, ma solo dai comuni cittadini che se colti a brigare con l’assessore o col direttore di turno vanno incontro a guai certi. 

Ecco il passaggio del documento del supremo ufficio d’accusa che sposa l’”autopromozione” dei togati sgomitanti, così illuminandoli d'immenso.
 
Applicando questi principi, ed esemplificando, l’attività di autopromozione, effettuata direttamente dall’aspirante, anche se petulante, ma senza la denigrazione dei concorrenti o la prospettazione di vantaggi elettorali, non può essere considerata in violazione di precetti disciplinari, non essendo  ‘gravemente scorretta’ nei confronti di altri e in sé inidonea a condizionare l’esercizio delle prerogative consiliari.”. 

Dunque, secondo l’indulgente Procuratore Generale, il self marketing rientra nel necessario bagaglio professionale di ogni magistrato aspirante ad un incarico direttivo.  Perché se lo fa uno allora anche il competitore è legittimato a farlo, anzi deve.  

Senza promesse elettorali, per carità.  

Sarà un caso,  ma solitamente l’arrivista si rapporta col consigliere superiore della sua corrente, quello che ha (già) votato e che non potrebbe votare nuovamente perché non rieleggibile. Il riferimento al vantaggio elettorale appare pertanto un richiamo incongruo, se guarda al futuro.  Quel vincolo elettorale, semmai, proviene dal passato e l’auto-promozione del petulante è legittimata da un patto già precedentemente sancito, espressione di un sistema che, v'è da credere, ne esce incredibilmente rafforzato.   

Ora, a ciascuno riflettere sulla correttezza di simili condotte rispetto a quei magistrati che, conformemente alla disciplina che regola i concorsi  - anch'essa, peraltro, riguardante il "servizio giudiziario" -  si limitano a presentare la domanda corredandola degli opportuni  documenti e si astengono dal sollecitare rapporti diretti ed amicali con la commissione esaminatrice (il CSM). 

E’ una scorrettezza gravissima, specialmente se riferita ad un magistrato. Ed è anche violazione di specifiche regole di condotta implicite nella regolamentazione dei concorsi.   

Questione di punti di vista, si dirà.  

Almeno adesso conosciamo quello del  Procuratore Generale.  


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lunedì 21 settembre 2020

L'Anm, Palamara e R.Livatino

L'assemblea generale dell'Anm ha deciso che Luca Palamara ha commesso gli illeciti associativi e disciplinari dei quali era accusato e che la sua espulsione è giusta.

Nulla da eccepire in proposito anzi.

Da questa prima conclusione dobbiamo però dedurne in via logica almeno altre due.

La prima è che non possiamo più mettere in dubbio la compartecipazione a quei fatti di tanti colleghi, anche di correnti diverse da quella di cui faceva o fa ancora parte Palamara.

Dalle chat risulta infatti che il p.m. romano era un instancabile collettore di richieste, più o meno pressanti, che poi coltivava in seno al Csm.

E quelle richieste non possono che qualificarsi come raccomandazioni.

Lo abbiamo già scritto in altre occasioni ma dobbiamo ripeterlo, evidenziarlo in grassetto e sottolinearlo visto il tentativo di numerosi, troppi, colleghi colti a trafficare con “il signore delle nomine” di nobilitare le loro intercessioni come doverose, e addirittura meritevoli, “segnalazioni” di candidati di valore.

E ancora una volta dobbiamo ricordare che le raccomandazioni dirette ad influire sulle scelte del Csm integrano illecito disciplinare e deontologico anche se provengono da magistrati e che gli autori di esse non avevano nessun titolo o ruolo per segnalare chicchessia, senza contare che erano motivati da mestissime ragioni clientelari. 

 La seconda conclusione che possiamo, e dobbiamo, trarre dal destino associativo del collega è che non è mai esistito un sistema Palamara ma esiste un sistema di lottizzazione delle nomine gestito delle correnti perché Palamara operava in un organo collegiale e non poteva da solo condizionarne le decisioni.

Ed allora, fino a quando Anm e Csm ed anche le correnti interessate non daranno una prova concreta di voler “fare pulizia”, quella pulizia invocata da un numero sempre più elevato di voci (segnalo il link all’editoriale di oggi di P.Mieli che si inserisce in quel coro:  https://www.corriere.it/editoriali/20_settembre_20/caso-palamara-quanta-fretta-csm-70393028-fb70-11ea-a2be-cc6f2f2b148b.shtml ) il sospetto, o la convinzione, che si sia voluto trovare in lui un capro espiatorio sarà sempre più forte.

Oggi ricorre l’anniversario della morte di R. Livatino ed una delle sue frasi più celebri era: “Quando moriremo, nessuno ci verrà a chiedere quanto siamo stati credenti, ma credibili”

Ebbene, i cittadini si attendono di vedere una Anm e un Csm credibili almeno ora.

 



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domenica 20 settembre 2020

I buoni e il cattivo



Ulteriore atto della tragicommedia collegata a Luca Palamara. 

Ieri si è svolta l’assemblea di tutti i magistrati italiani iscritti all'ANM (che sono circa 8.000) partecipata da un centinaio di toghe per la maggior parte “targate”, vale a dire inserite mani e piedi nel sistema delle correnti. 
Luca Palamara è intervenuto per ribadire l’esistenza di un sistema nel quale ha ammesso di aver operato da protagonista. Non isolato. 

La sua richiesta di sospendere il procedimento sanzionatorio dell’Associazione Nazionale Magistrati (di cui è stato presidente e segretario) è stata respinta con voto bulgaro (bulgaretto, erano davvero pochini) sebbene sia ancora da decidere se siano utilizzabili le intercettazioni. 

E’  stata così confermata l’espulsione del reprobo dalla linda associazione magistratuale.
Realizzando il primo passo verso la negazione del problema, esclusa caparbiamente la volontà di risolverlo. 
Perché il problema è platealmente di sistema al quale si risponde colpendo il singolo per fatti che non lo coinvolgono: si punisce Palamara ma ad essere condannata  è questa associazione di magistrati, incapace  di emendarsi.  

Mediaticamente tutti conoscono il mercimonio degli incarichi, la spartizione tra tutte le correnti, il premio dato per mera appartenenza.

Eppure nell’assemblea qualche impudente non ha esitato a vantarsi  dell’incarico ricoperto per altissimi meriti personali piuttosto che per la sua adesione alla corrente di turno. Fandonie. Nessuno può ormai negare che il merito è comunque e sempre in sottordine all'appartenenza.
 
Ebbene i cittadini devono drizzare le antenne perché nessuno intende fare chiarezza su "magistratopoli": delle chat di Luca Palamara - quelle che chiamano in causa il sistema di governo della magistratura e la sua palese compromissione con la politica - non si occupa alcuno dei procedimenti sin qui avviati: non quello conclusosi ieri nell’assemblea dell’ANM, praticamente andata deserta in rapporto al numero di iscritti; non se ne occupa il processo penale di Perugia e neppure quello disciplinare davanti al CSM.

Quei fatti devono essere negati, contro l’evidenza. Nessun  testimone deve essere sentito. 
Bisogna far presto, va colpito l’unico cattivo in un mondo di buoni.  

Come nelle favole. Ma è solo commedia. 

La magistratura dimostra di non volere e di non sapere fare ordine al proprio interno. Ben venga, allora, una commissione parlamentare d'inchiesta, primo passo verso una drastica riforma del CSM.  


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mercoledì 9 settembre 2020

La carica del centouno.





La giustizia è amministrata in nome del popolo. I giudici sono soggetti soltanto alla legge.

Il popolo e la legge: i troppo spesso dimenticati  limiti costituzionali della giurisdizione, un potere, meglio ancora un servizio, da esercitare in nome (e per conto)  altrui e nei limiti della legge.

La distorta concezione che guarda invece alla magistratura come soggetto “politico”  autonomo, e che strumentalizza assurdamente il voto previsto per la selezione del Consiglio Superiore della Magistratura, è quella che ci ha condotti sin  qui: una magistratura suddita delle fazioni che la dilaniano, spesso politicamente schierate. Sistemi lottizzatori per la selezione dei vertici degli uffici giudiziari e condizionamento politico dell’azione delle procure della Repubblica, dominate da un solo uomo al comando, il “capo”.

Il mostro, solo in parte disvelato dal caso Palamara, è il frutto del correntismo, incestuosa commistione tra ruoli privati e compiti istituzionali.  

La mancanza di separatezza tra associazione ed istituzione è alla base dello sfascio odierno, sia in termini di perdita della fiducia dei cittadini che di scarsa efficienza della giustizia italiana: quando si scelgono i dirigenti per la loro appartenenza correntizia (o partitica, che è lo stesso) si cancella con un sol tratto il carattere basilare della figura del magistrato, la sua “indipendenza” e si sacrifica la competenza  come unico serio criterio di alternanza nei posti organizzativi. 

Nasce così l’iniziativa di un drappello di colleghi, non legati tra loro da alcun vincolo di “gruppo”, di presentare una lista per le prossime elezioni degli organi dell’Associazione Nazionale Magistrati. 
Col principale obiettivo di richiamare tutti i magistrati italiani a rispettare l’istituzione che è cosa diversa dalla loro privata associazione: il CSM è lo strumento messo a disposizione dal “popolo” per  rendere ogni singolo magistrato fedele soltanto alla legge, non schiavo delle appartenenze. 

Qui di seguito i link all'appello di questi colleghi e al programma, un’opportunità offerta a quella “maggioranza silenziosa” di magistrati estranea al correntismo che è bene esca adesso, subito, allo scoperto.  Altrimenti è  mitologia. 
 
 
 


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