martedì 22 settembre 2020

Self marketing, quando il magistrato s’illumina d’immenso.


Sono stati divulgati in questi giorni i criteri che la Procura Generale della Cassazione si è (auto)posta per districarsi nella mole di dati offerti dalle famigerate chat provenienti dallo smartphone del dott. Luca Palamara, per distinguere ciò che dovrebbe avere rilievo disciplinare da ciò che invece è innocuo. 

Premesso che quello della Procura Generale è l’ufficio che condivide col Ministro della Giustizia l’iniziativa disciplinare, vale a dire l’esercizio dell’accusa,  sarebbe da accogliere con favore l’anelito garantista che traspare da quel documento. 

Se non fosse che alcune opzioni, oltre ad apparire tecnicamente errate, tendono  il salvagente a tutti quei magistrati abituati ad avere rapporti diretti col potere interno alla magistratura  e quindi ad alzare la cornetta -  anzi ad agitare la tastiera di whatsapp   - per perorare i propri meriti direttamente col consigliere amico, piuttosto che affidarsi alla documentazione ritualmente inserita nel fascicolo del procedimento ed attenderne serenamente l’esito.  

No. Questa è una condotta che non può pretendersi dai magistrati, ma solo dai comuni cittadini che se colti a brigare con l’assessore o col direttore di turno vanno incontro a guai certi. 

Ecco il passaggio del documento del supremo ufficio d’accusa che sposa l’”autopromozione” dei togati sgomitanti, così illuminandoli d'immenso.
 
Applicando questi principi, ed esemplificando, l’attività di autopromozione, effettuata direttamente dall’aspirante, anche se petulante, ma senza la denigrazione dei concorrenti o la prospettazione di vantaggi elettorali, non può essere considerata in violazione di precetti disciplinari, non essendo  ‘gravemente scorretta’ nei confronti di altri e in sé inidonea a condizionare l’esercizio delle prerogative consiliari.”. 

Dunque, secondo l’indulgente Procuratore Generale, il self marketing rientra nel necessario bagaglio professionale di ogni magistrato aspirante ad un incarico direttivo.  Perché se lo fa uno allora anche il competitore è legittimato a farlo, anzi deve.  

Senza promesse elettorali, per carità.  

Sarà un caso,  ma solitamente l’arrivista si rapporta col consigliere superiore della sua corrente, quello che ha (già) votato e che non potrebbe votare nuovamente perché non rieleggibile. Il riferimento al vantaggio elettorale appare pertanto un richiamo incongruo, se guarda al futuro.  Quel vincolo elettorale, semmai, proviene dal passato e l’auto-promozione del petulante è legittimata da un patto già precedentemente sancito, espressione di un sistema che, v'è da credere, ne esce incredibilmente rafforzato.   

Ora, a ciascuno riflettere sulla correttezza di simili condotte rispetto a quei magistrati che, conformemente alla disciplina che regola i concorsi  - anch'essa, peraltro, riguardante il "servizio giudiziario" -  si limitano a presentare la domanda corredandola degli opportuni  documenti e si astengono dal sollecitare rapporti diretti ed amicali con la commissione esaminatrice (il CSM). 

E’ una scorrettezza gravissima, specialmente se riferita ad un magistrato. Ed è anche violazione di specifiche regole di condotta implicite nella regolamentazione dei concorsi.   

Questione di punti di vista, si dirà.  

Almeno adesso conosciamo quello del  Procuratore Generale.  

1 commenti:

Unknown ha detto...

Buongiorno mi chiamo Giammauro PASQUALE, vivo a Genova e segue da sempre le vicende di casa nostra specie quelle della Giustizia.Quello che sconcerta di piu' e il silenzio di chi potendo intervenire, non lo fa. Si deve veramente pensare a un Pactum Sceleris che risale a parecchi decenni fa. L'unico che oso' intervenire fu Cossiga.
provarono a farlo passare per matto