lunedì 26 ottobre 2020

Il "Sottile" distinguo tra rappresentanza e rappresentatività.

di Giuliano Castiglia
Magistrato

Tre giorni dopo il voto del Plenum del 19 ottobre scorso, che ne ha sancito la cessazione dalla carica di componente del Consiglio Superiore della Magistratura a seguito del suo collocamento a riposo, Piercamillo Davigo si è presentato sugli schermi di La7, davanti alle telecamere della trasmissione Piazzapulita condotta da Corrado Formigli. 

Nelle dichiarazioni di Davigo sulla deliberata cessazione della sua carica nel CSM e sulla sua determinazione di ricorrere al TAR, ci sono passaggi che destano forti perplessità e molta preoccupazione.

Primo tra tutti quello in cui l’ex magistrato ha testualmente dichiarato: “sarebbe bastato un cenno del Presidente della Repubblica per farmi dimettere. Non c’era bisogno di farmi arrivare al voto”.

L’affermazione di Davigo è già assai preoccupante perché dà conto della disponibilità di un componente del CSM a dimettersi non per propria autonoma e convinta determinazione ma per “un cenno” del Presidente della Repubblica; ed è ancor più preoccupante perché lascia intendere l’idea che un Presidente della Repubblica possa sollecitare, ad nutum, le dimissioni di un membro dell'organo di autogoverno dei magistrati. 
Ancorché disposto a dimettersi per “un cenno” del Presidente della Repubblica, adesso Davigo dichiara che la sua determinazione di ricorrere al TAR si spiega perché la questione non è personale ma investe la natura del Consiglio.

Ci sarebbero due modi di intendere il CSM: “Il primo” - afferma Davigo - “è di intenderlo come organo di rappresentanza; il secondo come organo di garanzia. Chi sostiene la tesi della mia decadenza” - prosegue - “lo interpreta nel senso della rappresentanza ma interpretarlo nel senso della rappresentanza è difficile perché la Costituzione dice che i componenti elettivi del Consiglio non sono immediatamente rieleggibili e allora che rappresentanza è se uno non essendo rieleggibile non assume personalmente nessuna responsabilità politica di quello che ha fatto?”.

Ma c'è una lettura più logica e coerente di quella appena prospettata.

È vero, semmai, che proprio in base alla vulgata, particolarmente gradita alle correnti, secondo cui il CSM sarebbe organo di rappresentanza politica, ci si dovrebbe attendere che l’eletto completasse il mandato indipendentemente dalle condizioni personali che lo riguardano. 

In tale ottica, infatti, in quanto rappresentante degli elettori, l’eletto sarebbe legittimato adeguatamente ed esclusivamente dal mandato elettorale.

Rappresentante, infatti, è colui che agisce nell’interesse del rappresentato e che, in assenza di revoca del mandato da parte dello stesso rappresentato, è legittimato a portarlo a termine.

La visione del CSM come organo di rappresentanza politica, però, è palesemente anticostituzionale.

Se n’è discusso in altre occasioni su questo Blog.

Qui è sufficiente osservare che la ragion d'essere del CSM, ente strumentale all'indipendenza e soggezione soltanto alla legge dei singoli magistrati, è la sottrazione dell'amministrazione dei magistrati all'Esecutivo, ossia alla politica.
 
Sarebbe semplicemente assurdo aver sottratto la giurisdizione al governo dell'Esecutivo per assoggettarla a quello di un altro organo politico; nè è pensabile che i magistrati, privi di qualsiasi legittimazione politica e legittimati esclusivamente in ragione della loro idoneità tecnico-professionale, possano conferire natura politica all’organo da loro principalmente eletto.

Davigo, quindi, ha certamente ragione quando contesta la natura di rappresentanza politica del CSM e ne rivendica la funzione di garanzia. Garanzia, tra l’altro, proprio dell'assenza di un indirizzo politico nell'esercizio della funzione giurisdizionale.
 
Ma l’errore, non solo suo, sta nel confondere la rappresentanza con la rappresentatività.

Il criterio che regola il rapporto tra magistrati e componenti togati del CSM non è quello della rappresentanza bensì quello, radicalmente diverso e non politico, della rappresentatività.

I magistrati componenti del CSM sono, sostanzialmente, un campione rappresentativo dei magistrati.

Ciò è espresso perfettamente dalla Costituzione, secondo cui i componenti togati del CSM «sono eletti da tutti i magistrati ordinari tra gli appartenenti alle varie categorie» (art. 104, co. 3, Cost.).

Dunque, una rappresentatività essenzialmente professionale, in ragione delle diverse funzioni esercitate e dei diversi ambiti di lavoro.

E se il componente del CSM deve essere rappresentativo di una categoria di magistrati è ovvio che la sua appartenenza a una di tali categorie e, prima ancora, la sua stessa qualità di magistrato, è consustanziale alla carica di componente del CSM.

Non ci si può in alcun modo stupire, pertanto, che il Consiglio di Stato, abbia definito “scontato che la perdita dello status di magistrato in servizio, comportando il venir meno del presupposto stesso della partecipazione all’autogoverno, è ostativa alla prosecuzione dell’esercizio delle relative funzioni in seno all’organo consiliare” (Consiglio di Stato, Sez. IV, sent. 16 novembre 2011, n. 6051).

2 commenti:

francesco Grasso ha detto...

E' cosa certa ed incontestabile che i magistrati componenti del CSM sono un campione RAPPRESENTATIVO dei magistrati, che concorre alla composizione di un organo, come sostenuto da autorevole dottrina, di RAPPRESENTANZA. Svolgono funzioni di rappresentanza del potere giudiziario nei rapporti con gli altri poteri. Fanno proposte al ministro della giustizia, emettono pareri sulle leggi, sulla loro formulazione, esercitano il potere di pronunciare la propria opinione sulla giustizia.

bartolo ha detto...

vai a scioglierlo, se non "mastichi" filosofia del diritto, il sottile distinguo tra rappresentanza e rappresentatività. più complicato ancora, per coloro senza denti assottigliati, l’aneddoto del dottor davigo. cioè quello del commesso e il cliente in un supermercato dove egli faceva la spesa. infatti, la commissione del csm che ha escluso i testi a difesa del dottor palamara, secondo quanto ho capito, pare essere il commesso che ha rigettato le giustificazioni (altri clienti trasgredivano l'uso di guanti) del trasgressore di mascherina, e non già il padrone del supermercato, come credevo, il quale oltre sanzionare quella trasgressione avrebbe tutto l’interesse di raccogliere elementi utili anche al fine di correggere altre usanze scorrette dei clienti. la legge! tra sottigliezze e interpretazioni, si sa com'è.