giovedì 29 aprile 2021

Un'associazione in decomposizione


di Massimo Vaccari - Magistrato

Nello scorso fine settimana si è tenuto il Comitato direttivo centrale dell’Anm, che come ormai sanno i nostri lettori, è l’organo principale dell’associazione, quello che, secondo lo Statuto, avrebbe il compito di adottare tutte le decisioni inerenti la sua attività (il condizionale è d’obbligo per quanto subito diremo).

Uno dei punti all'ordine del giorno della riunione era il seguente: "Dimissioni di alcuni soci dall’ANM ed eventuale pendenza di procedimenti disciplinari. Valutazioni e determinazioni ex art. 7, comma 3, Statuto".

In pratica si trattava di decidere come affrontare la situazione, del tutto inedita per le sue proporzioni, che si sta verificando a seguito della decisione di alcuni iscritti all’Anm. coinvolti nelle auto o etero promozioni di cui danno conto le chat palamariane, di rassegnare le dimissioni (o meglio recedere) dalla associazione, comunicandole alle Giunte esecutive distrettuali (sono le articolazioni territoriali dell’associazione) competenti al fine, per nulla recondito, di sottrarsi al giudizio disciplinare interno, già avviato nei loro confronti dal collegio dei probiviri.

Un caso del genere è contemplato dallo Statuto dell’Anm che al suo art. 7, comma 2, prevede che: “Nel caso in cui il socio dimissionario sia sottoposto a procedimento disciplinare, il Comitato Direttivo Centrale può disporre che si sospenda di provvedere sull’accoglimento delle dimissioni fino all’esito del procedimento medesimo”.

La questione spinosa che si è posta però è stata che alcune delle Ges interessate dalla procedura hanno accettato le dimissioni in questione, senza prima informare il CDC per consentire allo stesso, eventualmente, di provvedere ex art. 7, comma 3, dello Statuto.

Di qui l’esigenza per il CDC di valutare tali iniziative, sia sotto il profilo legale-statutario che sotto quello politico, e il punto all’ordine del giorno della riunione.

Ebbene, questa si è conclusa con un nulla di fatto, dal momento che sono state presentate tre diverse mozioni nessuna delle quali ha ottenuto la maggioranza necessaria alla sua approvazione.

La prima, quella votata dalla corrente di sinistra e dagli indipendenti della lista “Art.101”, intendeva ribadire la necessità di rispettare la previsione statutaria.

Una seconda mozione, proposta e votata dalla corrente di magistratura indipendente, mirava ad affermare la regola che le dimissioni dell’associato vanno comunque accettate, a prescindere dalla pendenza di un procedimento disciplinare a suo carico, per la prevalenza del principio costituzionale di libertà di associazione  sulla norma statutaria.

Una terza mozione, proposta e votata dalla corrente Unicost, invece mirava ad affermare il principio che siano subordinate all’avallo del Cdc le sole dimissioni di associati incolpati di fatti costituenti in linea astratta ipotesi di reato. 

Non intendiamo, almeno per ora, entrare nel merito della questione, anche se dobbiamo rilevare che, finora, tutti questi dubbi sul rapporto tra dimissioni e iter del procedimento disciplinare non erano emersi negli organi associativi.

Nel frattempo, come di consueto, ogni corrente ha emesso un proprio comunicato a commento della due giorni fallimentare, in cui ha rivendicato la bontà della propria posizione e l'erroneità di quella degli altri gruppi. 

Quel che è certo è che il clamoroso stallo verificatosi lo scorso fine settimana offre l’immagine desolante di una associazione che, oltre a lasciar agire il proprio presidente ben al di là dei suoi limiti,  non riesce ad esprimere una interpretazione condivisa delle proprie norme statutarie e di conseguenza nemmeno ad operare.

Forse è stata la presa d’atto di una simile incapacità che ha indotto l’organo deliberativo a non approvare nemmeno una mozione che dopo le personali, e a dire poco irrituali, iniziative del presidente Santalucia intendeva ribadire la propria centralità nell'azione dell'associazione e al contempo, invitare tutti gli attori associativi "ad attenersi scrupolosamente" a tale principio.

Ci permettiamo però di ricordare che situazioni del genere in ambito societario determinano di solito la messa in liquidazione dell’ente per incapacità di raggiungere l’oggetto sociale.

Chissà che qualche associato, particolarmente sensibile alla questione o anche solo esperto di diritto societario, non si convinca a chiederne lo scioglimento  in via giudiziale. 


2 commenti:

bartolo ha detto...

Si spera in questo Blog, faro di notte buia. Ascolteranno? Bho... Intanto la Ministro Cartabia ha proceduto all'arresto di una decina di settantenni che andavano arrestati quarant'anni fa, azione meritoria: "Pane al Pane". Nello stesso giorno in TV il Gotha dei giornalisti italiani in quattro ore di discussione sul depistaggio della strage di Via d'Amelio sono riusciti a non nominare mai almeno otto vittime seguite a quel eccidio: innocenti torturati e uccisi dallo stato. Ora, considerato che gli esecutori delle torture e dei depistaggi sono stati magistrati, poliziotti e forse carabinieri e che i killer della stessa strage confessano il delitto da liberi, seguirà il "vino al vino"?

francesco Grasso ha detto...

Sicuramente la chiusura porterebbe ad un primo atto, in grado di avviare una attività di ampie riflessioni. Unica possibile attività in grado di salvare il salvabile. Ma purtroppo non si intravede nessuna buona intenzione. La più pallida ipotesi di una piccola perdita dei privilegi, oggi ancora perfettamente in piedi, porta la maggioranza a resistere. RESISTENZA AD OLTRANZA !