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martedì 31 maggio 2022

Perchè la magistratura merita d'essere radicalmente cambiata.




Non saranno certo gli ingenui referendum di prossima celebrazione a determinare un qualche cambiamento.

Politica e magistratura vanno a braccetto, si sa. 

Gli stessi politici che a chiacchiere sostengono i referendum,  hanno appena votato una pseudo riforma alla camomilla che lascia intatto il correntismo, per giunta assoggettandogli anche quei magistrati che vogliono starne fuori.

Oggi il CSM ha santificato una prassi che in qualsiasi altro ambito sarebbe colpita. 

Quando si parla di commistione inammissibile tra politica a magistratura (copyright del Presidente della Repubblica) evidentemente si è inascoltati proprio dall'organo presieduto dal Capo dello Stato.

Un onorevole in toga ciatta con Palamara per chiedere questo e quello.

Il CSM dice che va tutto bene, perchè l'onorevole aveva a cuore le sorti della magistratura, messe in pericolo dalla destinazione di questo o quel magistrato, per lei  immeritevole,  al posto di turno.

Lasciate in pace anche Cosimo Ferri, tuona coerentemente l'isolato Nino Di Matteo (Ferri aveva sostenuto un magistrato valoroso a tal punto da essere mandato da questo stesso CSM a capo della Procura di Milano).

Questa è la plastica rappresentazione della politicizzazione della magistratura:  decisioni diverse per casi simili, giustificate solo con le maggioranze del momento.

E in questo momento, grazie anche al mancato scioglimento di un CSM senza precedenti, le maggioranze premiano alcuni in danno di altri. 

Non esiste al mondo che un magistrato estraneo al CSM possa interferire impunemente sulle sue scelte. 

Invece il CSM ama le interferenze, occasione di futuri premi per i consiglieri disposti ad ascoltare suppliche,   ricevere raccomandazioni se non addirittura prendere ordini.

Questo è il CSM che andrebbe difeso dai magistrati italiani?

Gli va senza dubbio preferito un Ministro, almeno investito democraticamente. 

Certo, di  Claudio Martelli in giro non se ne vedono ... 

      

                   

lunedì 30 maggio 2022

Una ANM senza memoria nè identità




di Milena Balsamo - magistrato



Il 28 maggio scorso il Comitato Direttivo Centrale della Associazione Nazionale Magistrati ha diffuso un comunicato/appello (lo si può leggere a questo link:https://www.associazionemagistrati.it/doc/3571/lanm-sugli-emendamenti-governativi-al-ddl-di-riforma-del-processo-penale-ac-2435.htm), con il quale evidenzia i guasti che potrebbero produrre gli emendamenti alla cosiddetta Riforma Cartabia, in esame al Senato nei prossimi giorni.

Il documento del CDC, però, risulta alquanto superficiale, perché - pur accennando ad una possibile incidenza della riforma sul “senso autentico dell’architettura costituzionale della giustizia”, per poi preoccuparsi immediatamente dopo della riforma del sistema elettorale - pare non cogliere un dato importante ed a tratti eversivo: la maggioranza politica costituitasi in Parlamento sta modificando l’assetto costituzionale della Magistratura senza procedere alla indispensabile modifica della Carta fondamentale.

Eppure una piena consapevolezza del problema dovrebbe indurre, o meglio avrebbe già dovuto indurre, l’ANM ad evidenziare al legislatore il grave vulnus che la controriforma in discussione arrecherà all’assetto costituzionale, rendendo probabile. se non addirittura certo, il ricorso - in caso di sua approvazione – alla Corte Costituzionale.

Ma l’ANM si è ben guardata dal prefigurare una simile prospettiva alla Signora Ministra, forse per troppa deferenza.

Una analisi più profonda delle conseguenze della riforma avrebbe invece dovuto portare l’ANM, quantomeno, a:

-         mettere in risalto e denunziare il palese contrasto di alcuni sui passaggi con l’art. 107 Cost., a mente del quale i magistrati si distinguono fra loro soltanto per diversità di funzioni e il pubblico ministero gode delle garanzie stabilite nei suoi riguardi dalle norme sull’ordinamento giudiziario;

-         evidenziare che il sistema di progressione in carriera con concorso per esami è figlio dell’ordinamento giudiziario disciplinato dal r. d. del 1941, espressione del regime fascista, nel quale la magistratura si configurava come un ordine fortemente gerarchizzato, i cui vertici erano nominati dal governo.

E infatti “In quell’epoca i magistrati si distinguevano per gradi (che, fra l’altro, corrispondevano ai gradi militari) ed erano considerati “bocche della legge”, puri tecnici che dovevano non interpretare, ma applicare il diritto secondo il suo unico significato corretto. Per individuarlo, la selezione dei tecnici “più bravi” anche allora avveniva attraverso appositi concorsi interni per titoli o per esami, all’esito dei quali i “migliori” venivano promossi alle Corti di appello, quindi alla Corte di cassazione, per correggere gli eventuali “errori” dei tecnici di grado inferiore” (cfr. E. Paciotti su Questione Giustizia n. 1/22).

Il comunicato del 28 maggio quindi non rivela solo mancanza di autorevolezza, ma anche inconsapevolezza della collocazione dell’Ordine giudiziario nel quadro costituzionale, inconsapevolezza che è il frutto avvelenato di uno, a volte strisciante, a volte  palese, collateralismo con la politica. 

Questo fenomeno, orami radicato da tempo, ha paralizzato l’azione dell’associazione medesima, togliendole quella incisività che in alcuni momenti storici - ormai cronologicamente assai lontani – aveva consentito di contribuire all’evoluzione della cultura istituzionale della Magistratura.

L’Anm si è volutamente auto-relegata alla vicenda dell’Hotel Champagne, ignorando tanti altri luoghi ove si sono svolte manovre politiche di bassa lega e di cui molti magistrati hanno beneficiato continuando, anche dopo che esse erano emerse, ad esercitare le funzioni giurisdizionali senza subire conseguenze di sorta (disciplinari o penali).

Anche di questi episodi è intrisa la storia della magistratura italiana ma il comunicato del 28 maggio dimostra di non essere in grado di leggerle e ricordarle e di non saper nemmeno proporre una linea di opposizione.

A ben vedere da esso traspare una sostanziale condiscendenza a quella politica che mira ad attuare una controriforma dannosissima per il modello di magistrato disegnato dai padri costituenti.

Ciò spiega perché la maggioranza che governa l’associazione ora preferisca concentrarsi sul tema degli emendamenti al ddl, così dimostrando di non aver più, o addirittura di non aver mai avuto, intenzione né spinta ideale per tentare di fermare la contro-riforma, sebbene disponesse degli strumenti a ciò idonei.

E non ci si riferisce a forme di protesta come la recente indizione di un giorno di sciopero, peraltro miseramente fallito, quando ormai la riforma era stata approvata già dalla Camera, ma a proposte per incidere sul sistema elettorale del Csm.

In tale prospettiva l’Anm, ad esempio, ben avrebbe potuto proporre a tutte le correnti che la compongono - e, quindi, a se stessa - il sistema del sorteggio temperato, così da stroncare finalmente l’inveterata e nefasta prassi della designazione di candidati al Csm che sono espressione di singoli gruppi di interesse salvaguardando l’indipendenza interna dei magistrati.

Ed ancora: perché non è chiesto ai magistrati dei vari gruppi associativi che operano al Ministero della Giustizia, e che hanno collaborato alla stesura ed alla correzione del disegno di legge, di dimettersi ?

L’aver trascurato anche tale iniziativa, di agevolissima attuazione, fa ipotizzare che l’operato dei colleghi ministeriali sia linfa vitale per il mantenimento, la conservazione ed il rafforzamento dello status quo, ampiamente favorevole alle correnti della magistratura.



venerdì 27 maggio 2022

Piccoli sintomi di Götterdämmerung, ovvero: c’era una volta il codice.



di Cristiana Valentini 

Alzi la mano chi non ricorda il testo dell’art. 523 c.p.p. La dimenticanza può verificarsi giusto se non si praticano le aule della giustizia penale da molto tempo, perché la disposizione è di quelle abbastanza indelebili anche alla memoria dello studente più distratto: «esaurita l'assunzione delle prove, il pubblico ministero e successivamente i difensori della parte civile, del responsabile civile, della persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria e dell'imputato formulano e illustrano le rispettive conclusioni… Il pubblico ministero e i difensori delle parti private possono replicare; la replica è ammessa una sola volta e deve essere contenuta nei limiti strettamente necessari per la confutazione degli argomenti avversari. In ogni caso l'imputato e il difensore devono avere, a pena di nullità, la parola per ultimi se la domandano».

Testo limpido, fraseggio compatto, la norma è un omaggio al contraddittorio, replicando schemi argomentativi risalenti all’alba dei tempi: tutte le parti illustrano le proprie conclusioni; tutte le parti possono replicare se vogliono; in omaggio alla peculiare posizione dell’imputato, costui e il suo difensore hanno diritto di giovarsi dell’ultima parola se la chiedono.

Tutto chiaro no? 

E, invece, a quanto pare, non è chiaro affatto, perché nei nostri Tribunali circola da alcuni mesi una roba che possiamo definire “leggenda metropolitana”, visto che non esiste nome giuridico adatto a definirla: secondo la leggenda, la parte civile avrebbe sì anch’essa il diritto di replica, ma solo se per primo replica il pubblico ministero, altrimenti deve tacere. E’ irrilevante che la legge dica nero su bianco che tanto il pubblico ministero quanto i difensori delle parti private possono replicare, perché la parte civile –narra la leggenda- vede le sue sorti appese a quelle del pubblico ministero, arbitro di decidere, col suo silenzio, anche se il difensore di parte civile ha diritto di parola o no. Ed è anche irrilevante che per avventura la replica abbia ad oggetto la pura pretesa civilistica, su cui il pubblico ministero non ha né titolo né modo per argomentare.

Chi scrive aveva appreso questa cosa dalla vox populi dei colleghi dei più disparati fori, senza crederla realmente possibile sino alla giornata di ieri, quando la leggenda metropolitana è divenuta realtà, privando la parte civile di un diritto di replica che avrebbe (tra l’altro) in concreto impedito al Tribunale di pronunziare un’erronea declaratoria di prescrizione; danno non da poco, dunque, realizzato, oltretutto, senza che alla parte civile fosse concesso di argomentare l’(effettiva) sussistenza del proprio diritto di replica.

Si dirà: perché evocare addirittura il crepuscolo degli dei wagneriano per una simile piccolezza? Beh, perché il diavolo è nei dettagli e in queste piccole, ma quotidiane e continue distruzioni del testo della legge, si consuma la tragedia di un sistema giustizia che ormai non conosce più regole ed è allo sbando totale.

Noi avevamo un codice; per alcuni brutto, per altri meraviglioso, per altri ancora perfettibile, ma di fatto lo avevamo ed era ciò che la legge dovrebbe essere: una fonte di certezze, umane e limitate, certamente, ma pur sempre una salda roccia cui aggrapparsi per evitare l’arbitrio.
Ora siamo al punto in cui il primo che si sveglia la mattina e decide, per esempio, che il diritto iscritto in seno al 523 c.p.p. non esista più, può farlo tranquillamente, anzi sarà anche imitato da altri creativi a cui è piaciuta l’idea.

E così, pezzo dopo pezzo, giorno dopo giorno, sotto i nostri occhi la legge viene trasformata in coriandoli, finchè non ci sveglieremo e ci accorgeremo che, nel silenzio generale, lo Stato di diritto non esiste più. 

martedì 24 maggio 2022

Punto è a capo

di Nicola Saracino - Magistrato 




Solo il 5,7 % dei candidati è stato ammesso all’orale del concorso in magistratura. 

Non è tanto la percentuale a sorprendere,  quanto il dato che il numero degli ammessi alla prova orale è notevolmente inferiore a quello dei posti da magistrato messi a concorso, restandone  sicuramente scoperti almeno 90.
 
A sottoporsi al giudizio della commissione esaminatrice erano stati oltre 3.500 dottori in giurisprudenza che avevano variamente integrato la preparazione con ulteriori percorsi di studio, oggi imposti dalla legge prima di poter accedere al concorso. 

Si legge di un livello non adeguato della preparazione e, soprattutto, di una lingua italiana poco fluente espressa dai candidati ai quali s'imputa scarsa conoscenza del corretto uso della punteggiatura. Un problema piuttosto serio.  

Affermazioni che suscitano sconforto. 

Per i giovani laureati che sicuramente hanno profuso tutto il loro impegno per superare l’ostica prova concorsuale,  senza riuscirvi; per le gravi scoperture d’organico che saranno determinate dal basso numero di nuove leve; perché tra i tanti che non hanno superato le prove scritte molti sono verosimilmente già impegnati negli uffici giudiziari come coadiutori nel cd. “ufficio del processo”, questi ultimi selezionati in gran numero ed in brevissimo tempo. 

Ed allora s’impone un interrogativo. 

Perché è evidente il divario tra i criteri impiegati per selezionare i giovani laureati addetti all’ufficio del processo ed i nuovi magistrati. 

I primi, nel pensiero del PNRR,    dovrebbero alleviare non di poco il lavoro dei magistrati professionali, sotto la loro guida, collaborando all’attività di studio preventivo dei fascicoli oltre che alla redazione di bozze di provvedimenti tanto da far preventivare ottimistici incrementi della “produttività” degli uffici giudiziari,  con l’immissione di una forza sì  giovane e magari anche volenterosa, ma probabilmente selezionata con criteri piuttosto blandi; si tratta di giovani sottopagati e sicuramente precari. 
  
Di questi l’amministrazione della giustizia ha saputo far rapida incetta,  affidando alla risorsa messa a disposizione degli uffici giudiziari l’improbo compito di elevarne a dismisura il rendimento.
 
Molto più schizzinosa la stessa amministrazione si è manifestata  quando si è trattato di assumere magistrati professionali, retribuiti da professionisti e stabili nel loro impiego. 

Non si dispone degli elaborati scrutinati dalla commissione esaminatrice e quindi sarebbe azzardata ogni valutazione del relativo operato. 

Certo è che quella commissione aveva il preciso compito di “selezionare” i migliori tra i partecipanti alle prove scritte in una percentuale congrua rispetto ai posti  da assegnare con un concorso di per sé molto costoso per le casse pubbliche. 

Pare che la moltitudine dei neolaureati non abbia raggiunto, per così dire,  il “minimo etico” per fare ingresso con la toga da magistrato in un tribunale.

A quella stessa moltitudine,  nelle ambizioni del Ministro della Giustizia - subito scimmiottate da dirigenti degli uffici giudiziari  preoccupati più  ad assecondare il potente che  della qualità  del servizio offerto -  è affidato l’impensabile obiettivo di un sostanziale raddoppio della produttività degli uffici giudiziari. 

Quasi a dire che una malpagata e precaria manovalanza intellettuale è rimedio più a buon mercato per far funzionare la “giustizia” rispetto alla effettiva formazione delle nuove leve togate. 

Ignoro quale sia il livello preteso dai commissari dell’ultimo concorso, quanto alta fosse l’asticella da superare per accedere alla prova orale. 

So per certo che alla commissione si chiedeva di operare una selezione di idonei tra i giovani dottori in giurisprudenza di questo Paese e che il risultato non è stato raggiunto. 

Una brutta pagina. 

Il punto è al  capo …

martedì 17 maggio 2022

Flick e flop …



di Andrea Mirenda - Magistrato 

Sei magistrati su dieci hanno salutato con un bel “ ciaone” l’Associazione Nazionale Magistrati e sono rimasti sulla scrivania a fare il loro dovere … 

In pratica, al netto della consueta guerra delle cifre, si attesta intorno al 48%  l’adesione allo sciopero anti Cartabia indetto da una ANM che, per molti versi, appare ingrata verso una Ministra che, secondo il preciso mandato del suo stake holder politico,  ha graziosamente risparmiato il collo alle correnti,  rottamando per fantasiosa incostituzionalità quel sorteggio che ne avrebbe fatto cessare il Lauto Governo.

Sonore le batoste nei principali uffici  del Paese (Cassazione  meno del 23%; Torino, Milano, Toscana, Abruzzo, Messina, Sardegna, ampiamente  sotto il 40%;  Venezia di poco superiore al 40%)  e merita attenzione il dato di Milano ( 39 %), nonostante la chiamata alle armi, in loco, del Presidente dell’ANM Santalucia.

Né si pensi che i magistrati che hanno inteso lavorare ciò abbiano fatto per adesione alla  riforma cartabiana.  Anzi!

La parola d’ordine che girava in questi giorni era, difatti, tra i colleghi,  “Né con Cartabia né con ANM”: e  questo è stato, almeno per una fetta notevole del corpo giudiziario, oramai capace di individuare l’ordine reale dei fattori. 

Ecco, allora, che il correntismo, di cui l’ANM è diretto percolato, diviene -  per un magistrato su due – la prima e principalissima minaccia alla sua indipendenza, specie quando privo (per scelta) della protezione del gruppo. 

E se non c’è alcun dubbio sull’inconsistenza riformista del progetto cartabiano (con un CSM che resterà graziosamente in balia dei soliti noti, ancora festeggianti…), non vi è parimenti dubbio che le pretese minacce che esso introdurrebbe - con la pagellina del magistrato, la farsesca separazione delle funzioni  (nulla più che  che la fotografia dell’esistente)  e il voto degli avvocati nei C.G. ( che, al contrario, andrebbe salutato con favore, quale blandissimo antidoto etico  al noto corporativismo dei “tutti bravissimi”) -  comparate a quelle vive e presenti rappresentate  da una correntocrazia asservitrice che, in questi ultimi 15 anni, col suo nominificio “taroccato”, ha leso la pari dignità dei magistrati dando vita ad una magistratura alta e una bassa, abbia la tossicità …. della Cedrata Tassoni.

Di qui la scelta morale di prendere le distanze da costoro: “non in loro nome!”

Santalucia ne tragga le doverose conseguenze…

Atto di debolezza



Meno della metà dei magistrati ha scioperato.

Eppure l'assemblea dell'ANM aveva deciso lo sciopero con maggioranza bulgara. 

Com'è possibile?

Sono gli arcaici metodi del "Sistema", spacciato per democrazia.   

Nell'era della telematica le assemblee dell'associazione nazionale magistrati si svolgono ancora con il calepino, assemblee fisiche, dunque. Da Trento a Reggio Calabria i togati chiamati al consesso devono fare la valigia, prendere l'aereo, pagarsi un albergo per essere "presenti" nel centro del potere associativo, Roma caput mundi

L'alternativa è quella di "delegare" qualcuno che voti a nome tuo.

E' il sistema delle deleghe, per l'appunto: all'assemblea partecipano fisicamente poche decine di magistrati, per lo più correntisti, che hanno fatto incetta di deleghe e così, all'atto del voto, uno non vale uno. 

A dar retta ai proclami, questo sciopero era voluto dal novanta per cento dei magistrati. 

Un atto di forza, dunque.

Ed invece ha smascherato la debolezza del correntismo che dalla finta riforma Cartabia trae ogni speranza di sopravvivenza.

Era palese che si trattava di una protesta "pro forma": serviva alla politica per poter dire di aver dato fastidio ai magistrati. 

Ma il Capo dello Stato non ce l'aveva coi magistrati, bensì col Sistema. 

Contro il quale nulla è stato fatto. Anzi. Indebolire i singoli magistrati, come ha fatto il ministro Cartabia, altro non fa che rafforzare il Sistema correntizio al quale essi vengono consegnati mani e piedi.

E' una riforma che pecca d'incompetenza - nell'ipotesi migliore - perché denota di non conoscere i problemi e quindi non li risolve, li aggrava.

Quasi la metà dei magistrati aveva indicato la via per estirpare il correntismo dal CSM: il sorteggio temperato dei candidati.

Una politica miope ha trascurato quella indicazione adducendo pretesti che confliggono con il chiaro invito del Presidente della Repubblica a ripensare il modo di "formazione del CSM", formula della quale solo i disattenti non colgono la portata innovativa. 

E invece siamo fermi, al correntismo, al medioevo della Repubblica. 

I correntisti non temono realmente le "pagelle" perché  i voti li darà il Sistema. 

A meritare un bel quattro è chi  lo ha messo, ancora una volta, in cattedra.