lunedì 30 maggio 2022

Una ANM senza memoria nè identità




di Milena Balsamo - magistrato



Il 28 maggio scorso il Comitato Direttivo Centrale della Associazione Nazionale Magistrati ha diffuso un comunicato/appello (lo si può leggere a questo link:https://www.associazionemagistrati.it/doc/3571/lanm-sugli-emendamenti-governativi-al-ddl-di-riforma-del-processo-penale-ac-2435.htm), con il quale evidenzia i guasti che potrebbero produrre gli emendamenti alla cosiddetta Riforma Cartabia, in esame al Senato nei prossimi giorni.

Il documento del CDC, però, risulta alquanto superficiale, perché - pur accennando ad una possibile incidenza della riforma sul “senso autentico dell’architettura costituzionale della giustizia”, per poi preoccuparsi immediatamente dopo della riforma del sistema elettorale - pare non cogliere un dato importante ed a tratti eversivo: la maggioranza politica costituitasi in Parlamento sta modificando l’assetto costituzionale della Magistratura senza procedere alla indispensabile modifica della Carta fondamentale.

Eppure una piena consapevolezza del problema dovrebbe indurre, o meglio avrebbe già dovuto indurre, l’ANM ad evidenziare al legislatore il grave vulnus che la controriforma in discussione arrecherà all’assetto costituzionale, rendendo probabile. se non addirittura certo, il ricorso - in caso di sua approvazione – alla Corte Costituzionale.

Ma l’ANM si è ben guardata dal prefigurare una simile prospettiva alla Signora Ministra, forse per troppa deferenza.

Una analisi più profonda delle conseguenze della riforma avrebbe invece dovuto portare l’ANM, quantomeno, a:

-         mettere in risalto e denunziare il palese contrasto di alcuni sui passaggi con l’art. 107 Cost., a mente del quale i magistrati si distinguono fra loro soltanto per diversità di funzioni e il pubblico ministero gode delle garanzie stabilite nei suoi riguardi dalle norme sull’ordinamento giudiziario;

-         evidenziare che il sistema di progressione in carriera con concorso per esami è figlio dell’ordinamento giudiziario disciplinato dal r. d. del 1941, espressione del regime fascista, nel quale la magistratura si configurava come un ordine fortemente gerarchizzato, i cui vertici erano nominati dal governo.

E infatti “In quell’epoca i magistrati si distinguevano per gradi (che, fra l’altro, corrispondevano ai gradi militari) ed erano considerati “bocche della legge”, puri tecnici che dovevano non interpretare, ma applicare il diritto secondo il suo unico significato corretto. Per individuarlo, la selezione dei tecnici “più bravi” anche allora avveniva attraverso appositi concorsi interni per titoli o per esami, all’esito dei quali i “migliori” venivano promossi alle Corti di appello, quindi alla Corte di cassazione, per correggere gli eventuali “errori” dei tecnici di grado inferiore” (cfr. E. Paciotti su Questione Giustizia n. 1/22).

Il comunicato del 28 maggio quindi non rivela solo mancanza di autorevolezza, ma anche inconsapevolezza della collocazione dell’Ordine giudiziario nel quadro costituzionale, inconsapevolezza che è il frutto avvelenato di uno, a volte strisciante, a volte  palese, collateralismo con la politica. 

Questo fenomeno, orami radicato da tempo, ha paralizzato l’azione dell’associazione medesima, togliendole quella incisività che in alcuni momenti storici - ormai cronologicamente assai lontani – aveva consentito di contribuire all’evoluzione della cultura istituzionale della Magistratura.

L’Anm si è volutamente auto-relegata alla vicenda dell’Hotel Champagne, ignorando tanti altri luoghi ove si sono svolte manovre politiche di bassa lega e di cui molti magistrati hanno beneficiato continuando, anche dopo che esse erano emerse, ad esercitare le funzioni giurisdizionali senza subire conseguenze di sorta (disciplinari o penali).

Anche di questi episodi è intrisa la storia della magistratura italiana ma il comunicato del 28 maggio dimostra di non essere in grado di leggerle e ricordarle e di non saper nemmeno proporre una linea di opposizione.

A ben vedere da esso traspare una sostanziale condiscendenza a quella politica che mira ad attuare una controriforma dannosissima per il modello di magistrato disegnato dai padri costituenti.

Ciò spiega perché la maggioranza che governa l’associazione ora preferisca concentrarsi sul tema degli emendamenti al ddl, così dimostrando di non aver più, o addirittura di non aver mai avuto, intenzione né spinta ideale per tentare di fermare la contro-riforma, sebbene disponesse degli strumenti a ciò idonei.

E non ci si riferisce a forme di protesta come la recente indizione di un giorno di sciopero, peraltro miseramente fallito, quando ormai la riforma era stata approvata già dalla Camera, ma a proposte per incidere sul sistema elettorale del Csm.

In tale prospettiva l’Anm, ad esempio, ben avrebbe potuto proporre a tutte le correnti che la compongono - e, quindi, a se stessa - il sistema del sorteggio temperato, così da stroncare finalmente l’inveterata e nefasta prassi della designazione di candidati al Csm che sono espressione di singoli gruppi di interesse salvaguardando l’indipendenza interna dei magistrati.

Ed ancora: perché non è chiesto ai magistrati dei vari gruppi associativi che operano al Ministero della Giustizia, e che hanno collaborato alla stesura ed alla correzione del disegno di legge, di dimettersi ?

L’aver trascurato anche tale iniziativa, di agevolissima attuazione, fa ipotizzare che l’operato dei colleghi ministeriali sia linfa vitale per il mantenimento, la conservazione ed il rafforzamento dello status quo, ampiamente favorevole alle correnti della magistratura.



2 commenti:

francesco Grasso ha detto...

Il sorteggio temperato sarebbe un vero e proprio intervento salvavita in caso di arresto cardiaco.

bartolo ha detto...

Il problema per l'ANM è che in questi ultimi trent'anni all'esca della politica ha abboccato voracemente: al ponticello-costituzione, ha lasciato alla politica cavoli e capra, e si è dileguata con il lupo. Ecco: più che crepuscolo del diritto, per tornare al Post di ieri, siamo al funerale dell'ANM.