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martedì 30 maggio 2023

La sorte è cieca ma la sventura ci vede benissimo.



Capita, è capitato, che in uno strafalcione  incappi anche chi non dovrebbe. 

Nell’ultimo concorso in magistratura una delle tracce elaborate dalla commissione (della quale fanno parte magistrati,  avvocati e professoroni) conteneva un evidente errore, linguistico con ricadute giuridiche. 

La sorte  - quando si dice fortuna – ha voluto che quella traccia non fosse sottoposta ai candidati  perché non estratta dalla rosa che si deve necessariamente comporre per evitare imbrogli (anche questi, purtroppo, non sconosciuti alle cronache). 

I membri della commissione provenienti dalla magistratura sono, per l’appunto, sorteggiati tra chi aspira ad esserne parte e dimostri il possesso di alcuni titoli e requisiti. 

E’ trapelato che l’errore nell’elaborazione di quella traccia fosse riferibile proprio ad un magistrato.

Ma questa è solo la nascita dello “scandalo”. 

Perché un tema, sebbene proposto da un solo membro della commissione, deve essere approvato collegialmente.  E nessuno ha impedito che lo strafalcione comparisse in uno dei temi che potevano essere proposti ai giovani dottori in legge.  

Tutti insieme, magistrati, avvocati e professoroni, non si sono accorti dell'erroraccio. 

Tutti colpevoli,  nessun colpevole? 

E’ preferibile, invece,  distribuire equamente le responsabilità e quindi se somarata vi è stata e se essa è partita da un singolo,  va anche rimarcato che non ha trovato alcun ostacolo nel vaglio al quale erano tenuti tutti gli altri componenti la commissione. 

La vicenda è stata colta al balzo da una corrente togata, Magistratura Democratica, per svilire il metodo del sorteggio a monte della selezione della commissione esaminatrice che si vorrebbe, invece, accuratamente lottizzata dal potere correntizio, l’unico imperante in magistratura. 

E’ facile immaginare, a quel punto, che i candidati all’esame da magistrato non dovrebbero temere soltanto gli eventuali infortuni nella predisposizione delle tracce,  ma prestare molta attenzione alle stesse soluzioni date ai problemi giuridici di volta in volta prescelti, poiché  le prove potrebbero essere valutate “ideologicamente” e non soltanto giuridicamente. 

Perché di questo si tratta, nella migliore delle ipotesi:  l’ideologia che tenta d’impadronirsi della stessa gestazione dei futuri magistrati. 

In quella peggiore,  è il correntismo che propaga i suoi tentacoli non solo tra i magistrati, ma anche tra gli aspiranti tali. 

E la sfortuna, di solito,  ci vede benissimo.  

domenica 21 maggio 2023

Senza capo … né coda.




«Reputo sia inaccettabile che un Paese civile non abbia il procuratore capo di Firenze, non abbia il procuratore capo di Napoli, non abbia il presidente del tribunale dei minorenni di Roma, che non abbia una guida in uffici chiave del Paese, magistrati che devono anche coordinare i magistrati più giovani. Credo sia inaccettabile e vi assicuro che finché avrò risorse, e ne ho parecchie, mi batterò ogni giorno, h24, sabato e domenica inclusi, per giungere a questo risultato».

Dichiarazioni impegnative, quelle del vice presidente del CSM Pinelli riportate dalla stampa.

Preoccupazioni esagerate: c’è una procura della Repubblica a Firenze, a Napoli ed anche un tribunale dei minorenni a Roma.

La mancanza del “capo” non è mai stata d’ostacolo al regolare funzionamento degli uffici giudiziari. 

Anzi, talvolta. 

Che il CSM sia divenuto un nominificio lo sappiamo da ben prima dei tempi di Palamara, l’ossessione carrieristica delle toghe sgomitanti ha avuto il sopravvento ed il CSM non si occupa d’altro da lustri. 

Non s’interessa del buon funzionamento degli uffici, delega tutto ai “capi”, selezionandoli tra quelli che hanno i migliori risultati elettorali in seno al “parlamentino delle toghe”, cioè i voti partitici delle correnti.

Ecco cosa nasconde lo slogan della scelta del “migliore” per ogni ufficio: la corsa correntizia all’accaparramento dei “migliori” uffici per la propria casacca. 

A costo di sottrarsi, reiteratamente, agli annullamenti del Consiglio di Stato: ci sono dei patti da rispettare. 

A questa forsennata e dissennata cuccagna sembra dare ulteriore vigore il vice presidente Pinelli, assai dotato di risorse, a quanto pare. 

Si preoccupa per i giovani magistrati senza capo.

Peccato che il “capo” è sovente più giovane dei magistrati che già prestano servizio nell’ufficio giudiziario.

La sopravvalutazione dei compiti del dirigente dell’ufficio giudiziario spinge, ineluttabilmente, verso la  gerarchizzazione, un paradosso per i giudici che dovrebbero vivere, invece, di indipendenza. 

Questa la coda, assai indesiderabile per i cittadini, della filosofia del “capo” predicata in ambito togato.

Se davvero la preoccupazione fosse quella di non lasciare vacanti le funzioni organizzative degli uffici giudiziari sarebbe molto semplice assicurarne la continuità prevedendo, ex ante, un meccanismo di rotazione tra i magistrati, capace di tranquillizzare anche il vice "capo" del CSM.

martedì 16 maggio 2023

ANM di lotta e di governo.



di Nicola Saracino - Magistrato 

Agitati. 

Come al solito i magistrati fibrillano quando accade qualcosa che, apparentemente, non sia stata previamente concordata con loro. 

All’epoca della vicenda riguardante la dr.ssa Clementina Forleo e, successivamente, di quella etichettata come ”guerra tra le procure” di Salerno e Catanzaro,  le iniziative punitive contro i magistrati trovarono ampio supporto interno alla casta dei magistrati che, per bocca dei loro rappresentanti, invogliavano il Ministro della Giustizia ad esercitare l’azione disciplinare e plaudivano senza ritegno al trasferimento della dr.ssa Forleo, del quale venne poi sancita l’illegittimità dal giudice amministrativo. 

Oggi il Ministro accusa alcuni magistrati della Corte d’Appello di Milano di aver favorito la fuga di un cittadino russo posto, cautelarmente,  agli arresti domiciliari anziché essere custodito in carcere.
 
Tenuto conto degli intendimenti del Ministro, che vorrebbe le misure cautelari sempre disposte da un collegio anziché dal giudice singolo e questo in funzione della garanzia dell’indagato, la sua stessa iniziativa sembra smentire i propositi dichiarati: a dire di Nordio, infatti, il collegio, in questo caso, avrebbe errato per eccesso di garanzia. 

Si metta d’accordo con sé stesso, insomma.  

Mi pare chiaro che ritengo la sua iniziativa legittima anche se è facile pronosticarne la completa infondatezza: Nordio perderà questa causa. 

Il Ministro accusi, il CSM giudichi: così stanno le cose. 

Tornando al discorso degli “agitati”, l’ANM si è riunita lo scorso fine settimana ed ha deliberato una protesta contro il Ministro cui si imputa proprio di aver adottato quell’iniziativa disciplinare.

Tacendo che il Ministro si avvale, per qualsiasi decisione debba prendere, di un apparato burocratico largamente composto da magistrati, spesso appartenenti alle stese correnti (partitini togati) che hanno in mano le redini dell’ANM. 

Se l’agitazione fosse una cosa seria, anziché la solita messinscena, l’ANM avrebbe dovuto, prima di ogni altra cosa, pretendere dai suoi soci correntisti che sono al servizio del Ministro di abbandonare l’incarico perché non si collabora con chi attenta all'indipendenza dei magistrati. 

Ma questo avrebbe significato mettere in dubbio il dogma del dominio del Ministero della Giustizia saldamente nelle mani delle correnti e quindi della stessa ANM, capace di condizionare ogni scelta occupando tutti i posti chiave ministeriali, in barba al principio della separazione dei poteri. 

Indipendentemente, da quel principio.   

giovedì 4 maggio 2023

L'odiato algoritmo.

di Nicola Saracino- Magistrato 

C’è una querelle che si trascina da molto tempo e riguarda l’individuazione del procuratore “capo” di Reggio Calabria. 

Secondo il Consiglio di Stato (il giudice amministrativo che ha il dovere di annullare gli atti del Consiglio Superiore della Magistratura risultati illegittimi) quello in carica non doveva essere nominato perché vi era un concorrente dotato di requisiti maggiori. 

Lo ha detto già due volte, perché la prima non scongiurò la reiterazione dell’illegittimità ad opera del CSM che infatti si è visto annullare anche la seconda nomina adottata in difformità dall’"algoritmo" imposto dal Consiglio di Stato.

Algoritmo: così è stato recentemente definito il rispetto delle regole da chi gli preferisce la protervia del potere.

Perché un giudice, quale che esso sia, questo fa: impone, in concreto, il rispetto delle regole. 

In questo caso quelle contenute nel testo unico sulla dirigenza giudiziaria, una guida - non derogabile - per il Consiglio Superiore della Magistratura nello svolgimento del compito di nominare i dirigenti degli uffici giudiziari. 

Ed eccoci così al terzo atto della “commedia” che con molta probabilità vedrà il Consiglio Superiore della Magistratura sottrarsi ancora una volta all’algoritmo per affermare, contrastandolo, il suo arbitrio, il suo smisurato potere favorito anche dall’immunità dei Consiglieri superiori per i voti espressi in seno all’organo collegiale.   

Che arrechino danno o commettano illeciti, ciò non avrà conseguenze per i privilegiati sottratti ad “algoritmi” da rispettare. 

Eppure, senza neppure lambire il tema della "giustizia predittiva", proprio sull'algoritmo si basano, ironia della sorte, scelte piuttosto importanti in materia di organizzazione della giustizia: quando non si tratta di distribuire onori, ma soltanto oneri, ad esempio, è proprio l’algoritmo a stabilire quanto lavoro (quanti fascicoli, procedimenti) assegnare a ciascun magistrato e ciò avviene in modo automatico, ad evitare che si possa verificare la scelta del giudice per la singola pratica o in altre parole l’arbitro della partita.

Ecco, persino quelle poche regole stabilite dal testo unico sulla dirigenza giudiziaria - che lasciano in ogni caso notevole spazio alla “discrezionalità” del Consiglio superiore della magistratura - provocano l’orticaria al potere, non più libero di agire secondo i rapporti di forza, di patti, favori e ricatti. 

E’, questo, l’algoritmo del potere e della sua cattiva stampa: facile, sulla sua base, pronosticare l'ennesimo sberleffo alle sentenze del Consiglio di Stato.

Ingiustizia predittiva.