giovedì 21 dicembre 2023

Spoil system




Titola il quotidiano il  Dubbio:  "L’invasione di toghe a via Arenula sovverte la democrazia.". 

ma chi chiama le toghe a via Arenula?

il Padre Eterno? 

Chiediamo  per un amico…

Nel merito, lo diciamo da sempre, vi è pieno accordo sulla necessità di dare sostanza alla separazione dei Poteri, anche attraverso la cessazione della pratica dei “ fuori ruolo” ( e fuori luogo…) piazzati nei vari Ministeri, così come - per simmetria - del correntismo in magistratura che della politica è diretto strumento.

Ognuno a casa sua, nel reciproco rispetto!

Il Ministero della Giustizia si doti di un proprio corpo burocratico di esperti con compiti scientifici, anche di  produzione normativa se serve; all’occorrenza chiamerà avvocati, magistrati, professionisti, esperti  etc. per audizioni su singoli problemi specifici oppure istituirà commissioni e tavolo permanenti,  senza che vi sia bisogno di sospendere il rapporto di servizio dei singoli magistrati i quali, una volta auditi, torneranno sulle scrivanie ad attendere ai compiti per i quali sono pagati.

Se così volessero il legislatore e la politica, finirebbe finalmente la prassi perversa delle “porte girevoli”’ che spesso vede il ritorno dei “ ministeriali” nella giurisdizione in posizioni dirigenziali ( tralascio ogni commento…); e poi, altra cosa che non sarebbe male, recupereremmo  200 magistrati al loro vero mestiere in un momento di vacche magre ( ne mancano  1700, una voragine non colmabile tramite concorso prima di 5-6-7 anni, tenuto conto dei naturali pensionamenti).

Insomma, per tornare alla domanda iniziale, chi vuole davvero tutto questo?

Il povero giornalista, perduto nel mondo di Alice in Wonderland,  non lo sa:  qualcuno lo aiuti…


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giovedì 7 dicembre 2023

Chi indaga e chi è indagato?



Il Ministro (della Difesa) Crosetto aveva pubblicamente espresso il timore  "… di una corrente della magistratura in cui si parla di come fare a fermare la deriva antidemocratica a cui ci porta la Meloni. Siccome ne abbiamo viste fare di tutti i colori in passato, se conosco bene questo Paese mi aspetto che si apra presto questa stagione, prima delle Europee...".  

E’ il tema della cd. opposizione giudiziaria che si realizzerebbe mediante indagini “ad orologeria” , spesso in prossimità delle cadenze elettorali, con svantaggio di una parte politica. 

Le parole del Ministro non sono originali, nel senso che prima di lui mille altre volte concetti analoghi sono stati in passato espressi da altri politici (spesso con ruoli istituzionali importanti),  dalla stampa e da commentatori di ogni ideologia. 

Mai in passato, però, era stata aperta un’indagine, sia pure conoscitiva. 

Invece, questa volta, dalle parole del Ministro nasce l’iscrizione al modello 45 di un incartamento presso la procura della Repubblica di Roma.

Cos’è il modello 45? 

Ce lo spiega il sito internet del Ministero della Giustizia: “Registro degli atti non costituenti notizia di reato (modello 45). Da una corretta interpretazione delle disposizioni contenute nell’art. 335, le quali fanno obbligo al P.M. di iscrivere il nome della persona cui il reato è attribuito (comma 1) e di annotare ogni mutamento della qualificazione giuridica del fatto o delle sue circostanze (comma 2), deriva che le informative non costituenti notizia di reato non dovranno essere riportate nel registro delle notizie di reato, bensì in un diverso registro, del tutto autonomo dal primo e non assimilabile all’attuale registro generale “C”. 
In esso verranno iscritti, con l’indicazione della data e del contenuto, tutti gli atti ed informative che non debbano essere iscritti nei registri delle notizie di reato relativi a persone note o ignote: tutti gli atti ed informative, cioè, del tutto privi di rilevanza penale (esposti o ricorsi in materia civile o amministrativa; esposti privi di senso, ovvero di contenuto abnorme o assurdo; atti riguardanti eventi accidentali, ecc.).
L’iscrizione dell’informativa pervenuta nell’uno o nell’altro registro dipenderà dalla valutazione che ne dovrà fare il P.M. a norma dell’art. 109 del decreto legislativo 28 luglio 1989 n. 271 (disposizioni di attuazione del c.p.p.).
Nel caso in cui il P.M. ritenga che la notizia, già iscritta nel registro degli atti non costituenti notizia di reato, richieda il compimento di indagini preliminari, prima che queste vengano disposte dovrà essere fatta una nuova iscrizione nel registro delle notizie di reato, con indicazione (nella colonna 2) della provenienza; correlativamente il passaggio dovrà essere annotato nella colonna 7 del registro degli atti non costituenti notizia di reato.

E’ quindi plausibile ipotizzare che qualcuno abbia segnalato alla procura capitolina l’intervista del Ministro Crosetto e che il fatto sia stato, nell’immediatezza, catalogato come materiale inutile ai fini penali. 

Ciò nondimeno il Ministro è stato chiamato a deporre davanti a quell’ufficio giudiziario, vuoi per confermare il contenuto dell’intervista, vuoi per smentirlo.

“Esposti privi di senso, ovvero di contenuto abnorme o assurdo …”, se questa fosse l’ipotesi che ha dettato l’iscrizione della notizia al modello 45 non si comprende cosa vi sia da approfondire. 

Se invece un senso le parole del Ministro lo hanno, allora si tratterà  di stabilire se le sue sono solo congetture oppure siano idee suffragate da eventi già realmente accaduti.

E poiché la tesi è quella della strumentalizzazione politica  delle procure della Repubblica, ognuno vede come la convocazione del Ministro presso l’ufficio pubblico chiamato in causa strida proprio con l’imparzialità che è richiesta all’indagante: dovrà cioè stabilire, una procura della Repubblica, se sia oppur no plausibile che la sua azione sia talvolta connotata da finalità politiche. 

Chi indaga e chi è indagato è affidato, in questo caso, ad un puro rapporto di forza e sarebbe stato molto meglio evitarlo. Il processo alle idee non si può fare. 

Anche perché potrebbe capitare che ad ascoltare il Ministro sia un procuratore aggiunto che un paio di lustri or sono aveva pubblicamente  messo in dubbio la legittimazione del governo (di centrodestra) a proporre riforme in materia di giustizia …


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sabato 2 dicembre 2023

Quando ad esser bocciato è chi dà le pagelle.




Sufficiente, discreto, buono, ottimo.

Anzi, pessimo!

Ma non era questo il Governo che si riprometteva di spezzare le reni al correntismo? 

E invece gli attribuisce ulteriori strumenti di ricatto nei confronti dei magistrati che dalle correnti vorrebbero liberarsi. 

Sì, perché introdurre una scala di valutazioni differenziate, conferisce al “maestro” il potere di stilare graduatorie secondo i propri gusti, vale a dire quelli dell’appartenenza, delle casacche. 

Ecco perché l’ANM se ne sta zitta zitta, è l’ennesimo favore che le viene concesso da governanti miopi.

Oppure occhiuti, perché vien da pensare ad accordi sottobanco proprio col correntismo che, solo a chiacchiere, s’afferma di voler contrastare.  

Lo strumento conferito ai maestrini (elettivi, si badi bene) del CSM è molto subdolo e sarà difficilmente aggredibile dinanzi al giudice amministrativo: cosa vuoi lamentarti se hai preso solo buono anziché ottimo? 

L’idea che i magistrati debbano essere licenziati in numero che soddisfi gli appetiti “giustizialisti” di chi si proclama garantista è, sia consentito il francesismo, un'idea cretina. 

A meno che il Governo non snoccioli i numeri di quanti prefetti, quanti questori, quanti generali abbia licenziato nell’ultimo decennio.

In definitiva non s’impone un test psichiatrico per i magistrati, ma di misurazione del quoziente intellettivo di chi progetta leggi che ottengono risultati platealmente contrastanti con gli scopi dichiarati. 

Della serie “non so se mi rendo conto di quello che faccio”. Bocciato. 


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giovedì 19 ottobre 2023

Separazione delle carriere



Mentre il Governo si appresta ad introdurre l'ennesima eccezione per trattenere fuori ruolo oltre ogni limite di tempo uno dei mille magistrati assunti alle sue dipendenze (in sostituzione di altrettanti del governo precedente) riportiamo un intervento di Andrea Mirenda che pone l'accento sulla più urgente delle riforme che darebbe un senso, vero e sostanziale, al principio della separazione dei poteri.  

Irrimediabilmente offuscato se un capo di gabinetto o un direttore di un ente nominato politicamente va a fare il capo di una procura della repubblica. 

Ma questa "separazione delle carriere" è scomoda per tutti e non è all'ordine del giorno, neppure di questo Governo.       

Ecco il testo.
 
In disparte ogni valutazione sul merito delle decisioni, ovviamente riservata al giudice dell'impugnazione, credo che la vicenda Apostolico o quella fiorentina ci offrano, comunque, una preziosa opportunità per discutere serenamente, senza contingenti fini strumentali, intorno al valore etico e deontologico della cosiddetta "apparenza di indipendenza".
Una raccomandazione, questa, puntualmente recepita anche in sede unionale, a riprova del suo preciso valore fondativo in ambito giurisdizionale.

Molti sono i pericoli di appannamento dell'apparenza di indipendenza, non solo - come oggi certa stampa vorrebbe far credere - quando il magistrato manifesti, in piazza o sui social e in modo più o meno scomposto, il proprio pensiero civile e politico; invero, questo principio entra in crisi - forse con non minore intensità - anche quando il magistrato si pone in condizioni di percettibile subalternità al potere politico e/o amministrativo, come sovente accade nelle ipotesi più esposte di "fuori ruolo".

Immaginiamoci, ad esempio, i casi del Capo di gabinetto, del Direttore Generale o del Sottosegretario presso una delle tante articolazioni ministeriali. 

Siamo davvero certi che questi magistrati, per quanto tecnicamente valorosi, non palesino una chiara opzione politica ai danni non solo della separazione dei poteri ma anche, e ancor più, della terzietà
della toga?

Ecco, mi permetto di osservare che l'oramai ineludibile dibattito consiliare su questi temi troverebbe grande giovamento se preceduto da quello franco, non paludato e orizzontale, tra noi  tutti, giudici e pubblici ministeri, anche alla luce dei principi costituzionali e comunitari che presiedono alla materia.

Il giudice, in sintesi, deve o no apparire indipendente? E se sì, quali le manifestazioni, quali i comportamenti idonei a mettere a rischio questo valore? Quali i ragionevoli limiti interni alla libertà di manifestazione di pensiero del giudice, tenuto conto che chi - come noi - ha poteri immensi non può
razionalmente rivendicare i medesimi diritti degli altri cittadini, secondo l'adagio elementare "tanti poteri/tanti doveri"?

E soprattutto, nel Terzo Millennio, c'è ancora bisogno del pensiero engagé di noi magistrati?

Una società civile globalizzata e "di rete", capace di interrogarsi e di elaborare una vastità di opinioni immaginabile solo vent'anni fa, ha ancora bisogno del faro togato?

Oppure quel faro rischia di essere, in questo tempo liquido, solo velleitario fattore di confusione e disorientamento ordinamentale?

Ecco, penso che un simile dibattito sarebbe di grande giovamento per tutti noi Consiglieri; ci aiuterebbe a mettere a fuoco, oltre ogni furbizia e autoreferenzialità correntizia, un tema che - se abbandonato al suo destino randomico - sarà foriero di gravi conseguenze generali.

Andrea Mirenda

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lunedì 16 ottobre 2023

L'imparziale di destra.



di Nicola Saracino - Magistrato 

Dalla Corte di Cassazione al Governo, senza tappe intermedie. 

Oggi giudico, ma domani governo.  

Senza essere iscritto ad un partito politico, che quello è vietato ad un magistrato. 

E dallo scranno del  Governo  mi metto a pontificare sul perché sia indispensabile che i magistrati, oltre ad esserlo, appaiano imparziali.

Ma imparziali di destra o di sinistra? Vien da chiedersi. 

Perché è a tutti evidente che l’immonda pantomima scatenatasi intorno al caso del giudice Apostolico è soltanto un pretesto per additare decisioni giudiziarie sgradite come frutto di astio politico, anziché di ordinaria applicazione di norme giuridiche. 

Ed il Governo in carica non si distingue da quelli precedenti che pure hanno demolito colleghi onesti quando hanno toccato corde sgradite al potere. 

Con la differenza che i governi di sinistra, di solito, trovano agile sponda istituzionale nel CSM che risponde ai comandi della politica, allo “sconcerto” del potente quando è un amico.  

In questo caso l’aggressione viene da destra e la risposta del potere togato è stata un no. Con la richiesta d’apertura d’una “pratica a tutela” della dottoressa Apostolico, sottoscritta da numerosi consiglieri superiori, s’è posto lo sbarramento a qualsiasi velleità di colpirla disciplinarmente.

Il dott. Mantovano evoca, ancora, applicazioni della legge da intelligenza artificiale, senza pensiero né senso critico, rimettendo alla sola Consulta il potere di giudicare le leggi secondo i valori della Carta costituzionale.

Dimenticando che il disastro giuridico, questa volta, si deve ad un DM (decreto ministeriale) verosimilmente elaborato dalle toghe governative; non è una legge, ma un atto che deve osservarla e che se vi contrasta vale come il due di bastoni a briscola. 

Anzi, quel DM è talmente mal pensato che ha posto esso stesso in pericolo la corretta applicazione dell’intera normativa sul doveroso controllo dell’immigrazione. 

L’avranno concepito - a comando - proprio quei magistrati "indipendenti" che vengono chiamati a servire il governo di turno, dal quale prendono ordini, quali che siano. 

Dottor Mantovano, se mai tornerà a fare il giudice, chieda alle parti in causa se appare loro politicamente "imparziale".

  




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sabato 7 ottobre 2023

Il bue e l'asino.


di Nicola Saracino  - Magistrato 

Soltanto pochi anni fa la Corte Costituzionale (sent. n. 170/2018) aveva ribadito (perché già lo aveva detto con la sent. n. 224/2009) che è conforme alla Costituzione la legge che vieti l’iscrizione dei magistrati a partiti politici, o la loro partecipazione sistematica e continuativa a partiti politici, anche perché è la stessa Costituzione (art. 98, comma 3) a demandare al legislatore di valutare se e come limitare quelle possibilità.

A voler esser precisi la Costituzione ha previsto espressamente solo la possibilità di vietare l’iscrizione del togato ad un partito politico, non anche di partecipare alla relativa attività. Ma una lettura non formalistica della disposizione costituzionale legittima l’estensione del divieto anche alla partecipazione alla vita di partito. 

La Consulta ha, quindi, ravvisato “… lo sfavore nei confronti di attività o comportamenti idonei a creare tra i magistrati e i soggetti politici legami di natura stabile, nonché manifesti all’opinione pubblica, con conseguente compromissione, oltre che dell’indipendenza e dell’imparzialità, anche della apparenza di queste ultime: sostanza e apparenza di principi posti alla base della fiducia di cui deve godere l’ordine giudiziario in una società democratica”. 

E come mai, vien da chiedersi, nonostante la lungimiranza del Costituente, siamo, per l’ennesima volta, al cospetto di una polemica innescata da un provvedimento giudiziario che si sospetta ispirato da motivazioni politiche avverse a quelle del Governo? Si noti, accuse lanciate ancor prima della diffusione di un video ritraente l’autore di quel provvedimento ad una manifestazione in favore dello sbarco di migranti. 

Sulla scia della vicenda catanese, dopo pochi giorni, s’è innestato anche un provvedimento col quale il tribunale di Firenze ha negato che la Tunisia sia uno stato “sicuro” ai fini del rimpatrio. 

Alcuni osservatori segnalano che il presidente del collegio fiorentino è un noto appartenente di Magistratura Democratica (una corrente di magistrati definita “di sinistra”) e che un altro giudice aveva rivestito in passato ruoli di alta amministrazione con governi politicamente antagonisti di quello attuale. 

Abbiamo quindi tre diversi elementi che si possono individuare come cause scatenanti del sospetto di parzialità del giudice.

Il primo è dato dalla condotta individuale del magistrato che ritenga di non tenere per sé i propri convincimenti ideologici (anche su singoli temi di rilevanza sociale) ma anzi li diffonda attraverso internet  o comunque non tema di partecipare a manifestazioni pubbliche e d’essere quindi riconosciuto. 

Il secondo consiste nella “appartenenza” del magistrato ad associazioni togate (le cd. “correnti”) che vengono riconosciute all’esterno per i loro tratti ideologici e politici, quando addirittura essi non siano pubblicamente rivendicati.  

Il terzo scaturisce dalla collaborazione del magistrato ad attività che non dovrebbero essergli proprie, come quelle di ausilio alla politica quando essa si fa “governo”. Sono assai numerosi i magistrati che abbandonano temporaneamente i propri compiti per andare ad aiutare il Governo di turno e ad ogni cambio di Governo vi è una transumanza di toghe sul tragitto che dalle aule di giustizia conduce agli uffici ministeriali e viceversa. Perché ogni Governo chiama “i suoi” magistrati di fiducia. 

Partendo dall’ultimo punto, il Governo in carica non fa eccezione e gli uffici ministeriali si sono riempiti di toghe “appartenenti” ad una corrente tradizionalmente classificata come conservatrice. Un magistrato è addirittura Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri con funzioni di Segretario del Consiglio ed il Ministro della Giustizia è un magistrato in pensione che mai, quando era in attività, ha nascosto le proprie idee politiche sui temi della giustizia. 

Gli stessi osservatori che oggi, per così dire, fanno le pulci ai provvedimenti giudiziari sulla base della vita anteatta dei loro autori c’è da scommettere che non dubiteranno, un domani, dell’imparzialità dei togati che sono alle dipendenze dell’attuale governo e che torneranno ad esercitare la giurisdizione.  

Ecco la prima trave che la politica non ha voluto affrontare: vi è penuria di magistrati, gli organici sono largamente scoperti, i tribunali soffrono. 
Si abbia il coraggio - come peraltro suggerisce oggi l’avvocatura - di attingere i collaboratori in altri ranghi lasciando ai magistrati i propri compiti ed evitando di “colorarne” politicamente la futura attività giurisdizionale, perché è inevitabile che ciò avvenga. 

Le correnti, nate come associazioni professionali di magistrati, hanno nel tempo assunto una struttura analoga a quella dei partiti politici, sia pure nel microcosmo della gestione del potere togato. I magistrati italiani sono piuttosto democratici, votano moltissimo. Votano per scegliere i propri rappresentati “sindacali” a livello locale e poi a livello nazionale; votano, a livello locale, per eleggere i Consigli Giudiziari ed a livello nazionale per eleggere i componenti togati del CSM (Consiglio Superiore della Magistratura). Il voto implica campagne elettorali, organizzazione sul territorio, un elettorato da curare e da premiare.
  
Cosa siano divenute le correnti è la storia che questo Blog racconta da oltre quindici anni. 

Anche in questo caso la nostra proposta di troncare la politicizzazione del CSM estraendone a sorte i candidati è stata snobbata dalla politica, di destra e di sinistra. 
E’ legittimo pensare, anzi, che sia proprio la politica a desiderare magistrati di destra e magistrati di sinistra. 

Infine, la manifestazione individuale da parte del togato delle proprie idee politiche (generali o su singoli temi) non può certo essere impedita invocando l’art. 98 della Costituzione che limita solo la partecipazione alla vita dei partiti politici. Né è ipotizzabile (e manco auspicabile) che il magistrato debba esser privo di valori politici, culturali, ideologici. L’apparenza di imparzialità dev’essere sempre salvaguardata in relazione ai processi nei quali il magistrato è chiamato a svolgere le sue funzioni, alle singole vicende sottoposte al suo esame. Nelle quali applicherà la legge secondo scienza e coscienza, con quel tanto di ineliminabile “filtro” dato dalla propria personale esperienza, sociale e professionale, dalla propria cultura, non soltanto giuridica. A contare dovranno essere solo gli argomenti addotti a sostegno della decisione che, in sede d’impugnazione, saranno cassati se sbagliati, non perché di destra o di sinistra. 

Perché se bastasse l’etichetta di magistrato “di destra” o “di sinistra” a comprometterne l’imparzialità e quindi la credibilità, sarebbe la politica (di destra e di sinistra), prima ancora della magistratura, a dover recitare un fragoroso mea culpa.

Il bue e l'asino, stavolta, hanno entrambi le corna.  









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venerdì 6 ottobre 2023

Notizie dal territorio.



di Nicola Saracino - Magistrato 

E’ piena tempesta tra politica e magistratura. 

Con la prima che accusa i magistrati di frapporsi alla politica di contrasto all’immigrazione,  boicottando i legittimi decreti del governo per “partito preso”.  

E così, spostando l’argomentazione dal merito della materia  - i quasi 5.000 euro di cauzione pretesi dal migrante per evitargli il “trattenimento” – a quella personale, viene messa in dubbio l’imparzialità del giudice. 

Anche attingendo a documenti come filmati risalenti nel tempo che lo ritraggono mentre partecipa ad una manifestazione in favore dello sbarco di migranti. 

Giustificate le immediate preoccupazioni manifestate dall’ANM per bocca del suo presidente Santalucia: da dove viene quel documento, perché lo si tira fuori proprio adesso? 

Questa sensibilità, va notato, manca del tutto quando l’ANM evita di vedere quel che accade all’interno del potere togato, che sfoggia condotte del tutto assimilabili a quelle oggi criticate con seria preoccupazione. 

Vi è un intero capitolo del primo saggio a firma Sallusti-Palamara che si occupa del cosiddetto “cecchinaggio”.

In cosa consiste? 

Quando si vuole ostacolare un magistrato che aspira ad un incarico importante si fa in modo che “escano” notizie, spesso di  fonte imprecisata, capaci di offuscarne l’immagine, non di rado bastevoli a smorzarne gli appetiti di carriera, inducendolo a revocare la domanda.  

Il favore col quale queste notizie spurie vengono raccolte in sede istituzionale dal Consiglio Superiore della Magistratura è testimoniato dalla prassi, ammessa da più d’un consigliere superiore, di attingere le cd. “notizie dal territorio”. 

Vale a dire che -  accantonata ogni  regola formale del procedimento amministrativo -  ciascun consigliere o meglio ancora ciascuna fazione di consiglieri (i gruppi consiliari) si mostrano assai disponibili ricettori di informazioni de-formalizzate e sottratte a qualsiasi contraddittorio con l’interessato, con buona pace delle garanzie che dovrebbero assistere ogni magistrato della Repubblica a presidio della sua autonomia dal potere. 

Ma da quale altro potere dev’essere autonomo un magistrato,  se non da quello capace di incidere sulla sua vita professionale? 

In definitiva il video di ignota provenienza oggi utilizzato per sminuire la credibilità dell’autore di una sentenza, il cui “merito” è assai poco dibattuto,  non è diverso dai sistematici dossieraggi in uso al CSM per sbarazzarsi di candidati poco graditi, quando il loro “merito”  non risulti agevolmente dubitabile.

Bastano notizie dal territorio ...  


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venerdì 28 luglio 2023

Lo rifarà?

Con sentenza n. 34380/22 le Sezioni Unite della Corte di Cassazione avevano cassato la decisione della  Sezione Disciplinare del CSM secondo cui interferire sulla vita professionale dei colleghi confabulando coi consiglieri superiori per spingere l'amico (di corrente) e osteggiare il nemico non avrebbe leso il canone della correttezza.

Le puntate precedenti sono leggibili qui qui.

Quella presidente del Tribunale era stata, infine, assolta dall'addebito non perché i fatti non fossero veri ma perché ritenuti di "scarsa rilevanza" da un giudice disciplinare composto da soggetti (i consiglieri superiori) evidentemente ben felici di raccogliere le pressioni del territorio e quindi assecondare i loro serbatoi elettorali.  

Così quei fatti - sussistenti - non le hanno impedito di ottenere (a maggioranza) la riconferma nel suo ruolo di presidente del tribunale.

A questo punto la domanda è: continuerà a spadroneggiare sulla vita professionale dei colleghi utilizzando canali di conoscenza privilegiati e non formali?

Se questa è la condizione dei magistrati in Italia sia evidente a tutti che non possono garantire i diritti dei cittadini perché non sono indipendenti risultando violate tutte  le procedure che sovraintendono alla loro vita professionale, decisa secondo percorsi occulti.    

Occulti perché i dati raccolti attraverso confabulazioni private non entrano nelle carte dell'istruttoria - sulla cui base il CSM dovrebbe adottare le sue deliberazioni - e sono a conoscenza solo di alcuni consiglieri superiori, di solito quelli della corrente di appartenenza del segnalante.  

Il messaggio dato dal CSM ai giovani colleghi con le ultime decisioni che hanno relegato nell'irrilevanza condotte invece molto gravi è, in definitiva, assai desolante.

E' la conferma della totale inefficacia della finta riforma del CSM di cui si vantava il ministro Cartabia.

Fuffa. 




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lunedì 24 luglio 2023

La logica della loggia.




di Nicola Saracino - Magistrato 


Chi, da oggi in poi, continuerà a chiamarlo “il sistema Palamara” commetterà un falso imperdonabile. 

Perché Palamara è morto (figurativamente, non è più un magistrato), il sistema gli è sopravvissuto e gode di eccellente salute. 

Luca Palamara era stato rimosso dalla magistratura per un fatto ben preciso, collegato alle captazioni avvenute all’interno dell’Hotel Champagne. 

Con altri soggetti (consiglieri superiori, parlamentari) si confabulava sulle sorti della Procura di Roma, in prossimità della scelta, ad opera del Consiglio superiore della magistratura, del suo nuovo “capo”. 

Ebbene il giudice disciplinare ha applicato a Luca Palamara la sanzione più grave (rimozione dall’ordine giudiziario) addebitandogli di aver interferito su scelte proprie del CSM, da compiere in autonomia e senza suggerimenti, per così dire, esterni al Consiglio. 

Il fenomeno delle chat rese pubbliche dal trojan non ha avuto, in sostanza, quasi  alcun rilievo nella rimozione dell’ex presidente dell’Associazione Nazionale dei Magistrati dall’ordine giudiziario, poi avallata dalla Corte di cassazione. 

Sul versante penale, come  si sa, tutto si è chiuso con un patteggiamento per ipotesi di reato quasi bagatellari se confrontate con quelle poste alla base dei provvedimenti che autorizzarono le captazioni sul cellulare dell'indagato, che non si sarebbero potute fare se, sin dall’origine, gli indizi fossero stati letti con maggiore prudenza,  il che avrebbe dovuto far escludere ogni ipotesi di corruzione. 

La retromarcia della procura perugina (che si è rimangiata tutte le accuse più gravi per lasciare sul tavolo solo quella di un generico “traffico di influenze”) è infatti avvenuta prima ancora che l’istruttoria dibattimentale avesse luogo e quindi non è dipesa da elementi forniti dalla difesa dell’imputato che non fossero già a sua conoscenza prima della richiesta di giudizio per fatti corruttivi. 

Ma tant’è, dalle captazioni palamariane è scaturito ampio clamore mediatico accompagnato dallo sconcerto  istituzionale di rito  e dall’evocazione, in seno allo stesso CSM, di pericolose derive massoniche paragonabili alla loggia P2. 

Il “sistema” disvelato al grande pubblico dalla lettura delle chat era, in realtà, già  noto  ai magistrati che in gran numero lo alimentavano con le loro forsennate aspirazioni carrieristiche. 

La raccomandazione era eretta, per l’appunto, a sistema. 

Nonostante il coinvolgimento di numerosi membri,  il precedente CSM non venne sciolto dal Presidente della Repubblica e si tennero  nuove elezioni per soppiantare i consiglieri “spintaneamente” dimessisi dall’incarico. 

La Procura generale della cassazione,  titolare dell’azione disciplinare (insieme ad un Ministro della Giustizia mai pervenuto sullo specifico  tema), aveva sostanzialmente graziato i questuanti, cioè i carrieristi che pietivano il voto per ottenere il posto ambito. 

Tanto è stato scritto su quanto sciagurata fosse stata quella scelta ed è inutile ripetersi. 

Erano invece incorsi in sanzione disciplinare gli autori di condotte  volte a danneggiare un concorrente, specialmente se ciò fosse avvenuto per ragioni di appartenenza correntizia (soci dello stesso gruppo di potere togato). 

Sanzione che era stata comminata anche ad un presidente di un tribunale del nord che nei giorni scorsi era sottoposto alla valutazione del CSM di  conferma al posto direttivo per il secondo quadriennio. 

Il CSM, a maggioranza, ha stabilito che quel presidente potesse continuare l’incarico nonostante la precedente condanna disciplinare. 

Ci può stare, in astratto. 

Senonché, alle solite diatribe correntizie che hanno fatto seguito a quella votazione, con la minoranza che gridava  all’ennesimo scandalo, i consiglieri di maggioranza (quelli, cioè, che col loro voto avevano valutato positivamente il presidente, confermandolo) hanno reagito offrendo delle spiegazioni che paiono in netto contrasto con le scelte sin qui  compiute ed ampiamente pubblicizzate dallo stesso CSM in sede disciplinare, di trasferimento d’ufficio per incompatibilità cd ambientale, di valutazione della professionalità.

Si noti che una toga  con un precedente disciplinare non può nemmeno far da relatore ad un corso di formazione per i neo   magistrati. 

In questo caso era stata ritenuta idonea alla presidenza di un tribunale.

Ebbene, pubblicamente nella seduta del  CSM del 19 luglio un consigliere superiore ha affermato: "Vi invito a essere un pò coerenti con noi stessi. Chi di voi non prende informazioni sul territorio quando va in una nomina? Chi di voi non chiama qualcuno che conosce  sul territorio per sapere che tipo è quel collega o non riceve in maniera indiretta o diretta informazioni sul collega?"

Nei giorni successivi i consiglieri di MI (Magistratura Indipendente) hanno lamentato l’inefficacia delle procedure interne di valutazione dei magistrati  - dettate dallo stesso CSM ed attuate dai Consigli Giudiziari periferici, dislocati su tutto il territorio nazionale – tanto da giustificare il ricorso a fonti di conoscenza non catalogate dalle norme e gli interessamenti degli estranei al procedimento purché mossi da “interesse pubblico”. 

Un uno-due che, in termini pugilistici, mette knock-out gli interessati  cantori della favoletta del cd “sistema Palamara”. 

Palamara è stato rimosso per aver confabulato sulla scelta del procuratore di Roma, per giunta caldeggiando un candidato di indiscusso valore come Marcello Viola  che, vinto il ricorso contro la sua bocciatura a quella carica,  ottenne in seguito dallo stesso CSM il posto, di pari prestigio, di Procuratore della Repubblica di Milano.

Chi ha stabilito e come che l’intervento di Palamara fosse contrario all’interesse pubblico?  

Nessuno.

Eppure la condanna disciplinare di Luca Palamara è passata in cosa giudicata. 

Personalmente ho sempre ritenuto quella sanzione eccessivamente severa, ma non ingiusta. 

Perché non rileva che un magistrato sia mosso da un “interesse pubblico” quando raccomanda ed interferisce sull’operato del CSM; quel che rileva è la modalità, platealmente illecita, di chi si immischia in affari esulanti dalla sua competenza, regolata dalla legge e dalle circolari.  

A garanzia di tutti. 

Perché un magistrato che voglia concorrere ad un qualsiasi posto non deve temere interferenze esterne di colleghi che non hanno titolo per esprimere alcun giudizio nei suoi riguardi, né deve sollecitare raccomandazioni per caldeggiare la sua posizione. 

Esiste un procedimento amministrativo con regole ben precise sulla relativa istruttoria. 

Ovvio che se il CSM si fa influenzare da elementi estranei al fascicolo molte sue decisioni poi cadano sotto la scure del giudice amministrativo. 

Il ricorso a fonti di conoscenza spurie, non regolamentate, non controllabili né verificabili nella loro attendibilità,  inserisce preoccupanti elementi di “massoneria”  nell’organizzazione magistratuale, proprio come pubblicamente denunciato subito dopo i fatti dell'Hotel Champagne.

Se davvero questi sono i metodi ai quali fanno ricorso i consiglieri superiori è concreto il rischio di affidare a potentati di qualsiasi natura, comunque illecita, la scelta dei vertici degli uffici giudiziari.  

Con quella logica  - aberrante – i consiglieri superiori eletti dal Parlamento (quindi non magistrati) potrebbero legittimamente raccogliere dossier sui magistrati coinvolti in procedure di interesse del Consiglio Superiore, al di fuori di ogni garanzia formale e sostanziale. 

Abbiamo un problema: il Sistema non  era Palamara.  


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venerdì 7 luglio 2023

I garantiti.


di Nicola Saracino - Magistrato 

La divisione tra giustizialisti e garantisti offre, da sempre, una visione squilibrata della giustizia perché 
la spada non dovrebbe mai prevalere sulla bilancia, né viceversa. 

Le cronache di questi giorni, oltre a riproporre l’atavico scontro tra due visioni, entrambe strabiche, suggeriscono l’idea di uno strappo ulteriore che col garantismo nulla ha a che vedere.
 
Questa “filosofia” aveva sempre operato, sul piano normativo, ampliando le garanzie di carattere processuale volte a limitare indebite anticipazioni di “pena”   sotto le mentite spoglie di misure cautelari ovvero esigendo un maggiore grado di gravità degli indizi necessari all’affermazione di colpevolezza.

Ebbene,  persino l’abrogazione dell’abuso d’ufficio è stata spacciata, senza troppa cautela, come misura di stampo “garantista”, trascurando totalmente che questa volta è stata eliminata una norma di carattere sostanziale, punitiva: la stessa norma incriminatrice.
 
E poiché l’abuso era il reato tipico dei pubblici ufficiali,  per effetto della sua eliminazione si può affermare che abusare del potere non è reato. 

Con questo intervento  - definitivamente caducatorio di una norma penale già resa moribonda per via di precedenti mutilazioni operate da chi oggi simula un pianto da coccodrillo – il potere si è, senz’altro, “garantito”. 

Ma ciò non ha nulla a che vedere con le garanzie che assistono i comuni cittadini che incappino nel processo penale,  anzi non c’è più difesa dagli abusi di potere, ormai non più punibili.  Probabilmente neanche da quelli dei magistrati. 

L’attualità, poi,  costringe a sillabare i fondamentali dell’azione penale italiana, voluta “obbligatoria” dal Costituente. 

L’obbligatorietà è tale solo se esiste un controllo sul corretto esercizio dell’azione penale che, sul piano processuale, è stato attuato assegnando ad un giudice (il Giudice per le indagini preliminari) il compito di contraddire il pubblico ministero che non voglia muovere un’accusa nonostante le contrarie indicazioni delle indagini; in tal caso glielo impone, con un vero e proprio “ordine”. 

Questo è un atto di ragione e non di volontà, non conta nulla che il pubblico ministero non “voglia” esercitare l’accusa in una determinata vicenda. 

Lo dovrà fare perché così impone la legge, per il tramite dell’ordine del giudice. 

E non conta nulla che quello stesso pubblico ministero probabilmente chiederà l’assoluzione o il non luogo a procedere nel prosieguo del processo. 

Quello che conta, invece, è che il processo si farà ed il suo esito non è legato alle richieste del pubblico ministero, potendo sfociare in condanna anche contro il suo parere. 

Questo è il quadro. 

Le contrarie aspirazioni di chi vorrebbe un pubblico ministero totalmente libero di agire o non agire, secondo volontà e non secondo ragione, implicherebbero l’abrogazione anche di un altro reato tipico dei pubblici ufficiali, quello di rifiuto od omissione di atti d’ufficio. 

Perché l’arbitrio, l’idea che il potere può tutto, totalmente estranea al pensiero liberale, esige garanzie. 

D'impunità. 


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domenica 11 giugno 2023

Castratori di canguri.



Palle balzanti, ci vuole prontezza per coglierle. 

Prima palla.

Una delle tracce dei temi del concorso in magistratura contiene uno sbaglio? 

E’ colpa del sorteggio dei commissari di concorso, meglio che siano cooptati dalle correnti, assurti a comitati scientifici. 

Peccato che quell’errore, se di errore si tratta, è comune a moltissime sentenze della Corte di cassazione e monografie di illustri professori di diritto penale. 

Tentativo maldestro, non hai vinto, ritenta. 

Seconda palla. 

In un corso organizzato dalla Scuola della Magistratura capita che alcuni relatori (non magistrati, sia detto) si lascino andare a commenti stupidi ed inopportuni, con messaggistica privata  maldestramente ostesa a tutti,  visto che l’oratore, alquanto imbranato,  aveva condiviso inavvertitamente il proprio desktop. 

Era un corso a frequenza mista, in parte in presenza ed in parte a distanza con collegamento  telematico. 

Ecco l’occasione per sparare a zero su questa seconda modalità, platealmente utile allo scopo e che fa risparmiare milioni di euro allo Stato che non deve rimborsare i costi di viaggio, vitto ed alloggio ai partecipanti. 

I corsi si tengano in presenza! Dice Magistratura Democratica

Che cosa c’entri il comportamento sbagliato dei relatori con la modalità telematica del corso è un mistero, mentre non lo è l’intento di approfittare dell’episodio per imporre alle reclute la “bella presenza” dei relatori correntizzati, così di solito cooptati. 

A spese vostre. 


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mercoledì 7 giugno 2023

E adesso ve lo spiego io il sistema



La settimana scorsa il quotidiano “il Dubbio” ha pubblicato una intervista a Marcello Basilico,  consigliere togato del Csm nonché capo del gruppo consiliare della corrente Area all’interno dell’organo di autogoverno della magistratura.

Alla domanda se il nuovo consiglio della Magistratura abbia “preso le distanze” da quello precedente nelle nomine ai posti direttivi e direttivi il consigliere ha affermato testualmente “E non abbiamo nemmeno elementi per ritenere che quelle nomine siano state frutto di scelte scorrette. Il fatto che Luca Palamara facesse parte del Consiglio in cui sono stati nominati determinati dirigenti non significa che per questo solo motivo queste nomine fossero tutte frutto di logiche spartitorie.”

Davvero divertente questa intervista. Da scompisciarsi dalle risate avrebbe detto Totò.

In sintesi, “tutto bene, Madama La Marchesa!”.

Al CSM, nel Basilico-pensiero, esistono sì le correnti ( bontà sua) … ma non il correntismo.

E già questo basterebbe per sussultare  sulla sedia!

Non pago, l’esponente di Area aggiunge che il correntismo consiliare non è mai esistito,  neppure nei Consigli precedenti.

E le nomine palamarizzate? Qui addirittura l’intervistato ha anticipato la domanda e subito ci ha tranquillizzato: “tuttapposto”!

Perché, dice, non ci sono le prove dell’illegittimità di quelle nomine…

Ma allora, viene da chiedersi, perché Palamara è stato radiato dalla magistratura ?

Forse per aver realizzato da solo il sistema da lui raccontato nel dettaglio e disvelato dalle chat assurte agli onori delle cronache ?

Eppure il Csm decide collegialmente, come sa anche uno studente al primo anno di giurisprudenza.

Ma se per un attimo, un solo attimo, volessimo anche ritenere verosimile ciò che racconta il dott. Basilico, qualcuno ci potrebbe spiegare che ci stanno a fare le correnti in Consiglio?

Ah già, sì è vero: garantiscono il pluralismo culturale quali motori di idealità !!!!

Perdonate la dimenticanza!

Noi pensavamo anche che non esistessero truffatori senza truffati ma è chiaro che ci sbagliavamo.

E non ci resta che ringraziare il consigliere per averci aperto gli occhi.



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martedì 30 maggio 2023

La sorte è cieca ma la sventura ci vede benissimo.



Capita, è capitato, che in uno strafalcione  incappi anche chi non dovrebbe. 

Nell’ultimo concorso in magistratura una delle tracce elaborate dalla commissione (della quale fanno parte magistrati,  avvocati e professoroni) conteneva un evidente errore, linguistico con ricadute giuridiche. 

La sorte  - quando si dice fortuna – ha voluto che quella traccia non fosse sottoposta ai candidati  perché non estratta dalla rosa che si deve necessariamente comporre per evitare imbrogli (anche questi, purtroppo, non sconosciuti alle cronache). 

I membri della commissione provenienti dalla magistratura sono, per l’appunto, sorteggiati tra chi aspira ad esserne parte e dimostri il possesso di alcuni titoli e requisiti. 

E’ trapelato che l’errore nell’elaborazione di quella traccia fosse riferibile proprio ad un magistrato.

Ma questa è solo la nascita dello “scandalo”. 

Perché un tema, sebbene proposto da un solo membro della commissione, deve essere approvato collegialmente.  E nessuno ha impedito che lo strafalcione comparisse in uno dei temi che potevano essere proposti ai giovani dottori in legge.  

Tutti insieme, magistrati, avvocati e professoroni, non si sono accorti dell'erroraccio. 

Tutti colpevoli,  nessun colpevole? 

E’ preferibile, invece,  distribuire equamente le responsabilità e quindi se somarata vi è stata e se essa è partita da un singolo,  va anche rimarcato che non ha trovato alcun ostacolo nel vaglio al quale erano tenuti tutti gli altri componenti la commissione. 

La vicenda è stata colta al balzo da una corrente togata, Magistratura Democratica, per svilire il metodo del sorteggio a monte della selezione della commissione esaminatrice che si vorrebbe, invece, accuratamente lottizzata dal potere correntizio, l’unico imperante in magistratura. 

E’ facile immaginare, a quel punto, che i candidati all’esame da magistrato non dovrebbero temere soltanto gli eventuali infortuni nella predisposizione delle tracce,  ma prestare molta attenzione alle stesse soluzioni date ai problemi giuridici di volta in volta prescelti, poiché  le prove potrebbero essere valutate “ideologicamente” e non soltanto giuridicamente. 

Perché di questo si tratta, nella migliore delle ipotesi:  l’ideologia che tenta d’impadronirsi della stessa gestazione dei futuri magistrati. 

In quella peggiore,  è il correntismo che propaga i suoi tentacoli non solo tra i magistrati, ma anche tra gli aspiranti tali. 

E la sfortuna, di solito,  ci vede benissimo.  


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domenica 21 maggio 2023

Senza capo … né coda.




«Reputo sia inaccettabile che un Paese civile non abbia il procuratore capo di Firenze, non abbia il procuratore capo di Napoli, non abbia il presidente del tribunale dei minorenni di Roma, che non abbia una guida in uffici chiave del Paese, magistrati che devono anche coordinare i magistrati più giovani. Credo sia inaccettabile e vi assicuro che finché avrò risorse, e ne ho parecchie, mi batterò ogni giorno, h24, sabato e domenica inclusi, per giungere a questo risultato».

Dichiarazioni impegnative, quelle del vice presidente del CSM Pinelli riportate dalla stampa.

Preoccupazioni esagerate: c’è una procura della Repubblica a Firenze, a Napoli ed anche un tribunale dei minorenni a Roma.

La mancanza del “capo” non è mai stata d’ostacolo al regolare funzionamento degli uffici giudiziari. 

Anzi, talvolta. 

Che il CSM sia divenuto un nominificio lo sappiamo da ben prima dei tempi di Palamara, l’ossessione carrieristica delle toghe sgomitanti ha avuto il sopravvento ed il CSM non si occupa d’altro da lustri. 

Non s’interessa del buon funzionamento degli uffici, delega tutto ai “capi”, selezionandoli tra quelli che hanno i migliori risultati elettorali in seno al “parlamentino delle toghe”, cioè i voti partitici delle correnti.

Ecco cosa nasconde lo slogan della scelta del “migliore” per ogni ufficio: la corsa correntizia all’accaparramento dei “migliori” uffici per la propria casacca. 

A costo di sottrarsi, reiteratamente, agli annullamenti del Consiglio di Stato: ci sono dei patti da rispettare. 

A questa forsennata e dissennata cuccagna sembra dare ulteriore vigore il vice presidente Pinelli, assai dotato di risorse, a quanto pare. 

Si preoccupa per i giovani magistrati senza capo.

Peccato che il “capo” è sovente più giovane dei magistrati che già prestano servizio nell’ufficio giudiziario.

La sopravvalutazione dei compiti del dirigente dell’ufficio giudiziario spinge, ineluttabilmente, verso la  gerarchizzazione, un paradosso per i giudici che dovrebbero vivere, invece, di indipendenza. 

Questa la coda, assai indesiderabile per i cittadini, della filosofia del “capo” predicata in ambito togato.

Se davvero la preoccupazione fosse quella di non lasciare vacanti le funzioni organizzative degli uffici giudiziari sarebbe molto semplice assicurarne la continuità prevedendo, ex ante, un meccanismo di rotazione tra i magistrati, capace di tranquillizzare anche il vice "capo" del CSM.


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martedì 16 maggio 2023

ANM di lotta e di governo.



di Nicola Saracino - Magistrato 

Agitati. 

Come al solito i magistrati fibrillano quando accade qualcosa che, apparentemente, non sia stata previamente concordata con loro. 

All’epoca della vicenda riguardante la dr.ssa Clementina Forleo e, successivamente, di quella etichettata come ”guerra tra le procure” di Salerno e Catanzaro,  le iniziative punitive contro i magistrati trovarono ampio supporto interno alla casta dei magistrati che, per bocca dei loro rappresentanti, invogliavano il Ministro della Giustizia ad esercitare l’azione disciplinare e plaudivano senza ritegno al trasferimento della dr.ssa Forleo, del quale venne poi sancita l’illegittimità dal giudice amministrativo. 

Oggi il Ministro accusa alcuni magistrati della Corte d’Appello di Milano di aver favorito la fuga di un cittadino russo posto, cautelarmente,  agli arresti domiciliari anziché essere custodito in carcere.
 
Tenuto conto degli intendimenti del Ministro, che vorrebbe le misure cautelari sempre disposte da un collegio anziché dal giudice singolo e questo in funzione della garanzia dell’indagato, la sua stessa iniziativa sembra smentire i propositi dichiarati: a dire di Nordio, infatti, il collegio, in questo caso, avrebbe errato per eccesso di garanzia. 

Si metta d’accordo con sé stesso, insomma.  

Mi pare chiaro che ritengo la sua iniziativa legittima anche se è facile pronosticarne la completa infondatezza: Nordio perderà questa causa. 

Il Ministro accusi, il CSM giudichi: così stanno le cose. 

Tornando al discorso degli “agitati”, l’ANM si è riunita lo scorso fine settimana ed ha deliberato una protesta contro il Ministro cui si imputa proprio di aver adottato quell’iniziativa disciplinare.

Tacendo che il Ministro si avvale, per qualsiasi decisione debba prendere, di un apparato burocratico largamente composto da magistrati, spesso appartenenti alle stese correnti (partitini togati) che hanno in mano le redini dell’ANM. 

Se l’agitazione fosse una cosa seria, anziché la solita messinscena, l’ANM avrebbe dovuto, prima di ogni altra cosa, pretendere dai suoi soci correntisti che sono al servizio del Ministro di abbandonare l’incarico perché non si collabora con chi attenta all'indipendenza dei magistrati. 

Ma questo avrebbe significato mettere in dubbio il dogma del dominio del Ministero della Giustizia saldamente nelle mani delle correnti e quindi della stessa ANM, capace di condizionare ogni scelta occupando tutti i posti chiave ministeriali, in barba al principio della separazione dei poteri. 

Indipendentemente, da quel principio.   


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giovedì 4 maggio 2023

L'odiato algoritmo.

di Nicola Saracino- Magistrato 

C’è una querelle che si trascina da molto tempo e riguarda l’individuazione del procuratore “capo” di Reggio Calabria. 

Secondo il Consiglio di Stato (il giudice amministrativo che ha il dovere di annullare gli atti del Consiglio Superiore della Magistratura risultati illegittimi) quello in carica non doveva essere nominato perché vi era un concorrente dotato di requisiti maggiori. 

Lo ha detto già due volte, perché la prima non scongiurò la reiterazione dell’illegittimità ad opera del CSM che infatti si è visto annullare anche la seconda nomina adottata in difformità dall’"algoritmo" imposto dal Consiglio di Stato.

Algoritmo: così è stato recentemente definito il rispetto delle regole da chi gli preferisce la protervia del potere.

Perché un giudice, quale che esso sia, questo fa: impone, in concreto, il rispetto delle regole. 

In questo caso quelle contenute nel testo unico sulla dirigenza giudiziaria, una guida - non derogabile - per il Consiglio Superiore della Magistratura nello svolgimento del compito di nominare i dirigenti degli uffici giudiziari. 

Ed eccoci così al terzo atto della “commedia” che con molta probabilità vedrà il Consiglio Superiore della Magistratura sottrarsi ancora una volta all’algoritmo per affermare, contrastandolo, il suo arbitrio, il suo smisurato potere favorito anche dall’immunità dei Consiglieri superiori per i voti espressi in seno all’organo collegiale.   

Che arrechino danno o commettano illeciti, ciò non avrà conseguenze per i privilegiati sottratti ad “algoritmi” da rispettare. 

Eppure, senza neppure lambire il tema della "giustizia predittiva", proprio sull'algoritmo si basano, ironia della sorte, scelte piuttosto importanti in materia di organizzazione della giustizia: quando non si tratta di distribuire onori, ma soltanto oneri, ad esempio, è proprio l’algoritmo a stabilire quanto lavoro (quanti fascicoli, procedimenti) assegnare a ciascun magistrato e ciò avviene in modo automatico, ad evitare che si possa verificare la scelta del giudice per la singola pratica o in altre parole l’arbitro della partita.

Ecco, persino quelle poche regole stabilite dal testo unico sulla dirigenza giudiziaria - che lasciano in ogni caso notevole spazio alla “discrezionalità” del Consiglio superiore della magistratura - provocano l’orticaria al potere, non più libero di agire secondo i rapporti di forza, di patti, favori e ricatti. 

E’, questo, l’algoritmo del potere e della sua cattiva stampa: facile, sulla sua base, pronosticare l'ennesimo sberleffo alle sentenze del Consiglio di Stato.

Ingiustizia predittiva. 


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sabato 29 aprile 2023

INAUDITO !


‘Un c’è cchiù surdu…


La Quinta Commissione del CSM, che istruisce le pratiche per le nomine dei dirigenti degli uffici giudiziari e formula le proposte di nomina al Plenum, ha udito Giovanni Bombardieri, da anni in contesa con Raffaele Seccia per la nomina a Procuratore della Repubblica di Reggio Calabria.

Il CSM ha già nominato due volte Bombardieri, incassando altrettante bocciature dal Consiglio di Stato.

Scopo dell’audizione, dopo il secondo annullamento della nomina all’ambita carica e con la spada di Damocle del Commissario ad acta, che interverrà se il CSM non provvederà alla nuova nomina entro il prossimo 4 maggio secondo gli stringenti criteri segnati dal Giudice amministrativo, era quello di accertare il possesso da parte dell’aspirante Procuratore dei cosiddetti prerequisiti: indipendenza, imparzialità ed equilibrio.

Al centro dell’audizione la lunga chat tra Bombardieri e Luca Palamara, allora componente del CSM e “riveritissimo” Presidente proprio della Quinta.

Il sospetto, indotto dal contenuto di detta chat, è che la nomina di Bombardieri a Procuratore reggino sia stata il frutto di un orribile patto: la revoca della domanda a Procuratore aggiunto della Capitale per lasciare spazio a Giuseppe Cascini di Area in cambio della garanzia alla futura nomina a Procuratore di Reggio.

Bombardieri effettivamente revocò quella domanda a Procuratore aggiunto, Cascini fu nominato a quel posto e, successivamente, con Palamara relatore della pratica, Bombardieri fu nominato all’unanimità Procuratore di Reggio Calabria.

Bombardieri, dal canto suo, ha negato l’esistenza di un tale accordo.

Non sembra, però, che il sospetto sia stato pienamente fugato. Dopo la sua audizione, il togato Andrea Mirenda ha fatto ciò che era naturale fare: proporre di sentire Palamara.

Ma, apriti cielo: la linearità e la logica al CSM non sono di casa. Per tutti gli altri componenti della Commissione, infatti, Palamara è pregiudizialmente inattendibile.

Nun se po’ senti’!

L’affermazione si attaglia al veto su Palamara, il quale, come chiunque altro potenzialmente nelle condizioni di fornire dati utili all’istruzione, potrebbe e dovrebbe essere udito.

Ma ci riferiamo al principio espresso dalla Quinta Commissione del CSM, quella che dovrebbe selezionare i “migliori” magistrati per innalzarli al soglio dirigenziale.

Anche la meno ferrata delle matricole di Giurisprudenza sa che il giudizio di attendibilità/inattendibilità si compie ex post, dopo la sua audizione, riguarda le dichiarazioni rese e non è una qualità intrinseca della persona.

Ma in una parte del CSM, evidentemente, oggi come ieri, si (s)ragiona in base a criteri di convenienza insondabili per i comuni mortali.

Tanto quello di Magistropoli resta territorio franco; lì, a tutti i livelli, i radar di controllo permangono inattivi o, comunque, se ci sono, le rilevazioni non destano reazioni.

 



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venerdì 17 marzo 2023

Il chattismo finalmente all'attenzione del Csm


Novità molto importanti, questa settimana, al Csm.

Dopo quello che fonti ben informate hanno definito come un profondo e franco confronto, la quinta commissione, ossia quella che si occupa dei conferimenti degli incarichi direttivi e semi-direttivi,  ha deciso - all’unanimità – di adottare come protocollo di lavoro quello di acquisire sempre, per ciascun candidato semidirettivo/direttivo, le eventuali chat con Luca Palamara che lo dovessero riguardare onde valutarne i c.d. prerequisiti (imparzialità, indipendenza, equilibrio).

Si tratta, per il vero, di dati già presenti presso il CSM che, peraltro, nella scorsa consiliatura, sono stati usati, quando lo sono stati, asimmetricamente (studiatamente contro alcuni, sapientemente ignorati per talaltri…).

La commissione ha anche espresso l’intenzione di avviare al più presto una discussione generale dell’intero Consiglio sui riflessi deontologici del “chattismo “, nella prospettiva di proporre una circolare che vieti ai magistrati di intercedere presso i consiglieri - per sè o per altri - ai fini dell’ ottenimento di  incarichi o vantaggi personali.

Se tale circolare dovesse vedere la luce sarà sicuramente lecito per i magistrati segnalare ai consiglieri i problemi del proprio ufficio onde ricevere sollecite risposte e ausilio dall’istituzione consiliare; ma vietato darsi alle “auto/etero petulanze”, in conformità, del resto, al progetto di codice etico dei vari CSM europei della Rete Encj.

Il risultato peraltro sconfesserebbe la famigerata direttiva dell’ex procuratore generale Salvi che aveva escluso la rilevanza disciplinare delle autopromozioni, anche se petulanti.



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domenica 5 marzo 2023

Valutazioni non professionali.



di Nicola Saracino - Magistrato  

Ma è mai possibile che secondo il CSM quasi tutti i magistrati vadano promossi?

Uno dei luoghi comuni più abusati è proprio quello che spaccia l’elevata percentuale di valutazioni positive del merito dei magistrati come una disfunzione. 
 
Viene taciuto che la valutazione periodica non può essere vista come un concorso selettivo.
 
La selezione è avvenuta a monte attraverso uno dei concorsi da sempre riconosciuto tra i più impegnativi per i laureati in giurisprudenza. Talmente selettivo che molte volte non si coprono neppure tutti i posti banditi, una percentuale resta scoperta per assenza di “idonei”, nonostante di solito vi partecipino un numero di aspiranti almeno dieci volte superiore ai posti da coprire. 

La valutazione quadriennale alla quale ogni magistrato è sottoposto dopo aver superato il concorso di ammissione serve, innanzitutto, ad intercettare quelle ipotesi di inidoneità sfuggite alle maglie già molto strette del concorso di accesso in magistratura: si potrebbe verificare, nonostante la serietà del concorso, che qualcuno lo abbia superato per una soffiata della buona sorte, al di là dei suoi meriti effettivi. 

Basteranno pochi anni, o anche solo pochi mesi, per scoprire che Gastone non può scrivere sentenze né muovere accuse.

Ipotizzare che le valutazioni della professionalità servano a stilare una graduatoria di bravura dei magistrati è il primo degli equivoci  sui quali si agita la polemica che periodicamente fa capolino sui media. 

I magistrati si distinguono tra loro solo per diversità di funzioni, alle quali devono essere idonei. 

Nel sistema delineato dalla riforma cd Mastella le valutazioni di professionalità non servono a dare un voto all’attività del magistrato, ma soltanto a verificarne la persistente idoneità al ruolo. 

Tanto è vero che l’esito di quella verifica può assumere soltanto tre valori: positivo, non positivo, negativo. 

Non esiste, nella legge, il compito di graduare il merito del magistrato in quella specifica sede della valutazione quadriennale della professionalità. 

Per esprimere il giudizio positivo al CSM basta verificare che tutti i parametri di valutazione  raggiungano un livello di sufficienza.  

La legge non prevede, né a mio avviso ammette, che la valutazione possa spingersi ad una ulteriore graduazione dei giudizi come avverrebbe a scuola: discreto, buono, ottimo è un fuor d’opera in relazione alla funzione di quella valutazione che, s’è detto, è soltanto quella di verificare la persistente idoneità del togato a svolgere la funzione di magistrato. 

Ad un giudizio non positivo segue un periodo di ulteriore verifica di un anno ed a quello negativo di due anni per porre l’interessato nella condizione di rimediare alle “insufficienze”.

Un graduazione è prevista soltanto per queste ultime, infatti. 

Perché solo quella “grave” giustifica una valutazione negativa. 

Se, dopo il biennio previsto dalla legge, quella insufficienza non è colmata al magistrato viene tolta la toga, è dispensato dal servizio, cioè licenziato. 

Indubbia la drammatizzazione del tema. 


Per questo la legge si è presa cura di indicare specificamente le “materie” sulle quali si esercita la valutazione svolta dal Consiglio Superiore della Magistratura, esse sono la capacità, la laboriosità, la diligenza e l’impegno. Sempre la legge indica il dovere del CSM di ancorare il giudizio a dati oggettivi, per evitare che la valutazione di professionalità divenga uno strumento di indebita pressione sulla toga.

A quelle materie il CSM, con le sue circolari, ne ha aggiunte di ulteriori, non previste dalla legge e le ha chiamate  “prerequisiti”: si entra nel vago, nell’insondabile,  spesso nell’arbitrario. 

Indipendenza, equilibrio, imparzialità.

Doveri la cui violazione è già sanzionata disciplinarmente, con fattispecie punitive che di facciata dovrebbero essere “tassative”, vale a dire ben descritte dalla legge proprio per evitare l’arbitrio del giudice (che poi è sempre il CSM, in una sua articolazione). Ed il codice disciplinare già prevede autonomamente la sanzione della rimozione dall’ordine giudiziario, nei casi più gravi. 

Queste materie (i cd. prerequisiti), pur non previste dalla legge, sono quindi entrate nel vaglio quadriennale dell’attività del magistrato, purtroppo con l’avallo - non sufficientemente meditato -  del giudice amministrativo, al quale basta che il rilievo mosso dal CSM al magistrato in sede di valutazione di professionalità appaia “verosimile”, cioè non serve la prova, a differenza di quanto avviene nel giudizio disciplinare (si veda, ad es. TAR Lazio 12567/2022).   

Messa così la valutazione diventa autentica clava non regolamentata nelle mani del potere correntizio che domina al CSM, tanto da sfociare in un, vago quanto temibile, “giudizio globale sulla personalità del magistrato” (Tar Lazio, già citato). 

Il potere correntizio è qui evocato perché sovente, anzi quasi sempre, anche una valutazione di carattere tecnico qual è quella sulla professionalità viene assunta sulla base di votazioni settarie, faziose, nel senso che tutti i membri di un gruppo (di potere)  esprimono lo stesso voto.  

Perché il CSM non è come la commissione del concorso di accesso in magistratura.

Il CSM, a differenza della commissione di concorso, è elettivo, sbandiera e rivendica la sua “politicità”.

Politicità che si riversa anche in compiti che la legge vorrebbe invece esclusivamente tecnici ed ancorati a dati oggettivi.

Dopo questi cenni si può dar conto di una polemica “politica” sollevata da una pratica recentemente esaminata dal CSM e che riguardava un magistrato attinto da sospetti di collusione con ambienti criminali, sospetti del tutto fugati sia in sede penale che disciplinare: quel magistrato si era cioè difeso negli ambiti nei quali è previsto che gli si possano muovere accuse specifiche, quella penale e quella disciplinare. 

Il CSM, alla fine, ha riconosciuto il positivo superamento della valutazione di professionalità, ma “a maggioranza”. 

I componenti di un gruppo di potere magistratuale, di una corrente denominata AreaDG, volevano rimuovere quel magistrato, cogliendo l’occasione di una valutazione che una dissennata giurisprudenza amministrativa consente si svolga sulla base della mera verosimiglianza dell’addebito, esclusa ogni necessità di provare specifiche accuse. 

Di quell’opzione “politica” si fa vanto quel gruppo accusando - neppure velatamente - gli altri componenti del CSM di non affrontare la "questione morale", per giunta  in una sede puramente tecnica  quale dovrebbe essere quella in discorso, a garanzia non del singolo magistrato ma dell'indipendenza di tutti i magistrati.   

Se ne ha conferma a questo link, nel paragrafo intitolato Le relazioni pericolose di un magistrato in valutazione.  

In quel particolare caso, peraltro, s’era verificato che all’interessato - che con la valutazione negativa avrebbe perso il lavoro - non era stato in pratica neanche dato il “monito” che, per legge, deve precedere la valutazione del biennio decisivo, quello “vitale” che segue una prima valutazione negativa. 

Ciò perché, reputandosi il CSM padrone del tempo e ritardando a suo arbitrio le valutazioni di professionalità, aveva ritenuto di valutare, per licenziare un magistrato, non già il biennio che aveva fatto seguito alla  prima valutazione negativa - come espressamente pretende la legge - ma il biennio successivo al quadriennio già negativamente valutato.  

Il lettore attento, e si spera anche qualche cronista, dispone ora di strumenti di conoscenza ulteriori sul tema della valutazione di professionalità del magistrato, questione che non va decisa per “partito preso” da un CSM politico, ma sulla base della rigorosa applicazione della legge. 


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