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martedì 11 settembre 2007

L'epidemia


di Thomas More

C’era una volta un paese, arroccato tra le montagne, i cui abitanti erano, chi più chi meno, brave persone. Poiché il clima del luogo era freddo e uggioso, decisero di dar vita a un club in modo di poter trascorrere amabilmente le lunghe serate che specie di inverno naufragavano nella noia, dato che il luogo non offriva alcun divertimento e la città più vicina distava diversi chilometri.
Fu così che, su iniziativa del farmacista, dopo molto confabulare, fu costituita un’associazione ricreativa che prese il nome di Associazione Neve e Montagne. Sono d’accordo con voi: il nome non era un gran che e risultava anche tritamente retorico, ma tant’è, la gente accorse numerosa e le iniziative si moltiplicarono tanto che, nell’ambito dell’associazione, si crearono una sorta di sottogruppi, alcuni dei quali – come “Funghi e mirtilli” o “Difendiamo i caprioli”, tanto per citare alcuni tra i più attivi – ebbero notevole successo.
Si sa come vanno le cose: si parte tutti amici e, strada facendo, i rapporti cambiano. Così, un po’ perché ogni sottogruppo voleva prevalere, un po’ perché il farmacista non digeriva il fatto di essere messo in ombra, un po’ perché i vari notabili - e in special modo il tabaccaio, il maresciallo dei carabinieri e persino don Filippo, il viceparroco – entrarono in competizione tra loro, la meritoria iniziativa cominciò a mutarsi da luogo di intelligente svago a sede di manovre occulte, di mormorazioni, di calunnie e, talora, di vere e proprie chiassate.
Fu così che un giorno il tabaccaio, fuori della grazia di dio e rosso in volto come un tacchino, urlò all’indirizzo di don Filippo:
“Si vergogni, bell’esempio che dà ai suoi figliuoli!
Si trattava di un evidente lapsus, ma ne nacque un parapiglia con don Filippo a gridare “I figliuoli li avrà lei!” (quasi che ciò fosse per il tabaccaio - che effettivamente ne aveva cinque - una vergogna) e il maresciallo a strepitare, battendo i pugni sul tavolo, “Ordine, ordine!”. Insomma ne venne un vero pandemonio.
Due tra i presenti, che allibiti assistevano a quel duello rusticano, notarono all’improvviso che alcuni dei contendenti, oltre che essere rossi per l’ira come pomodori maturi, avevano delle escrescenze sulla fronte, piccole, ma evidentissime. Non delle corna, sia chiaro, ma certo qualcosa di veramente antiestetico.
I due sul momento non dissero nulla per non creare allarmismi, ma dopo un qualche tempo, notando che anche altri soci manifestavano identici sintomi, iniziarono a preoccuparsi, anche perché - per quanto la cosa possa sorprendere - nessuno sembrava accorgersi di quel fatto allarmante.
Così un bel giorno, con la scusa di fare una foto ai padri fondatori per il giornalino dell’associazione (anche lì sorsero questioni dato che tutti rivendicavano la qualifica di padre fondatore) immortalarono facce e protuberanze. Il dì seguente, di buon’ora, presero la corriera (l’unico mezzo che unisse il paese al resto del mondo) e si recarono in città per sentire il parere del prof. Micavoto, un illustre dermatologo.
“La patologia è seria e ben nota in letteratura” sentenziò il professorone indicando ai due villici i vari volumi che si accatastavano negli scaffali della sua biblioteca. “Trattasi” proseguì con sussiego “di macula cheratiformis”, la quale, detto in breve, nasce e si diffonde in ambienti chiusi e affollati”.
“Lo sospettavamo” commentarono i villici, scuotendo tristemente il capo “sempre lì a litigare se si debba andare a funghi o a fotografare caprioli; tutti a strepitare su chi debba essere nominato fotografo maximus e chi tesoriere. E poi tutti fumano come ciminiere!”.
Tornati al paese, i due presero il coraggio a due mani e, il giorno della festa del santo patrono, approfittando della presenza di quasi tutti i soci, senza tanti fronzoli, misero il dito sulla piaga:
“Amici cari” dissero “qui siamo nei guai. Molti infatti si sono infettati e l’associazione rischia di essere non già fonte di serenità, ma focolaio di infezione”.
Ci si aspettava una reazione preoccupata, ma, sorprendentemente, non si preoccupò proprio nessuno. O meglio: qualcuno si interrogò, scrutò, provò a dire “Bé effettivamente qualche bitorzolo...”, ma erano briciole. In compenso, moltissimi - offesi - insorsero.
“Malati noi?!!” gridò il maresciallo, divenendo paonazzo e così rendendo assai più evidenti le protuberanze.
“Ma quale ambiente malsano!” gli fece eco il viceparroco “Qui anche i cessi sanno di buono e profumano come gigli di campo”.
“Ingrati!” mormorò, pallido in volto, a mezza bocca il farmacista “Con tutto quello che ho fatto per voi ...”
I più, a dire il vero, sembravano infischiarsene altamente, ma i notabili sembravano usciti di senno, quasi fossero stati offesi i loro affetti più cari. Uno, in particolare, andava strepitando: “Dire che siamo malati vuol dire insultare i nostri genitori: è come dire che ci hanno resi cagionevoli con una alimentazione malsana”.
Detto fatto, si intrapresero iniziative per impedire che in futuro potessero ripetersi azioni “calunniose e palesemente dirette a colpire chi più si era adoperato per il bene del paese”. Si proprio così fu scritto su “ Vivendo volando che male ti fo?” il giornalino dell’associazione su cui comparve un articolo, a firma del farmacista, dal titolo (cubitale) “Dove andremo a finire?”.
“Bravo, bravo!” si complimentò con il farmacista il tabaccaio (che sino al giorno prima si dichiarava suo acerrimo nemico, andando dicendo in giro che lui, il farmacista, si curava pochissimo dell’associazione e anche dell’igiene personale, visto che quando entrava nella stanza del consiglio direttivo, venivano subito spalancate le finestre). “Bravo !” ripeté “Era ora che qualcuno gliele cantasse a quei due. Non saprei dire se sono più stupidi o manigoldi”.
“Grazie, carissimo” rispose il farmacista con un timido sorriso, quasi a schermirsi. E soggiunse “Il tempo è galantuomo: prima o poi tireranno giù la maschera e si vedrà quale sia il loro vero scopo”.
“Si vedrà, si vedrà di certo” ammise il tabaccaio, congedandosi affettuosamente, proprio lì dove il lampione, fendendo le ombre della sera, mostrava chiaramente che il volto del farmacista ormai somigliava assai di più alla corazza di un pangolino che al volto di un cristiano. Ma il tabaccaio non ci fece caso né punto né poco.
La storia si interrompe qui. Essa non ha un fine (né lieto né triste) per il semplice motivo che al momento in cui si scrive non è finita. Se per caso siete interessati a conoscere l’esito finale, basta consultare questo blog in data successiva alle elezioni per il rinnovo del C.D.C. [Comitato Direttivo Centrale] dell’A.N.M. [Associazione Nazionale Magistrati]. Se poi addirittura, come ai due villici, vi interessasse evitare il diffondersi del malanno, il da farsi è preso detto: basta inviare una mail a toghe.posta@yahoo.it.

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