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Con riferimento al tema della importanza, per una democrazia, della possibilità per i cittadini di essere informati – possibilità gravemente vulnerata nella recente proposta di legge in materia di divieto di pubblicazione di atti processuali – pubblichiamo uno scritto inedito cortesemente inviatoci dell’avv. Oreste Flamminii Minuto a seguito di un dibattito svoltosi nel nostro blog a margine dell’articolo che può essere letto a questo link.
L’avv. Flamminii Minuto, già Presidente della Camera Penale di Roma e Giudice aggregato della Corte Costituzionale, è una vera autorità in materia di diritto dell’informazione. Gli siamo sinceramente grati per la sua squisita cortesia e per il prezioso contributo di pensiero che ci offre. Avremo la faccia tosta di importunarlo ancora con i nostri quesiti e le nostre richieste.
di Oreste Flamminii Minuto
(Avvocato)
Per valutare quale e quanta libertà di stampa vi sia nel nostro paese, è consigliabile fare un raffronto con la stessa libertà negli Stati Uniti.
Esaminare a grandi linee quel che accade in quel paese, di sicura affidabilità democratica per ciò che concerne l’informazione, può essere utile a stabilire fino a che punto la nostra informazione sia libera e fino a che punto può esercitare il suo ruolo.
Con tutte le riserve che devono accompagnare l’esame delle ordinamenti di altri stati, sicuramente diversi dal nostro per tradizioni storiche, culturali, ambientali, gli Stati Uniti, che pure hanno discutibili legislazioni in tema di sanzioni penali, (pena di morte, Guantanamo, legislazione antiterroristica …), hanno nel primo emendamento della loro costituzione un punto fermo di primaria importanza.
Il racconto di un episodio realmente accaduto e che ha costituito anche oggetto di realizzazione di un film, può sicuramente rendere conto e ragione di che cosa sia l’informazione negli Usa, di quale considerazione goda presso la pubblica opinione e come sia regolata nei suoi compiti istituzionali.
La guerra in Vietnam ha scandito la storia degli Stati Uniti d’America.
Durante quella guerra accaddero avvenimenti che, visti alla luce dei fatti successivi, possono dare una spiegazione esauriente di quello che significa fare il giornalista, o più genericamente, fare informazione in quel paese.
Un analista della CIA, Daniel Ellsberg, addetto alla segreteria personale del ministro americano della difesa Robert Mac-Namara, scoprì che l’intervento americano, giustificato dal cosiddetto “incidente del Golfo del Tonchino”, in realtà era dovuto a ragioni di politica internazionale e l’incidente in questione era stato inventato di sana pianta, non essendo mai accaduto.
Èllsberg ne fu molto turbato, sia perché aveva creduto fin dall’inizio che l’intervento americano fosse dovuto a ragioni di difesa della libertà del popolo sudvietnamita e sia perché non aveva minimamente dubitato che l’incidente del Golfo del Tonchino fosse accaduto realmente.
Per capire meglio le ragioni del conflitto aveva addirittura chiesto di recarsi in Vietnam dove era rimasto per oltre sei mesi in prima linea condividendo tutti i pericoli di quella guerra, dagli agguati della guerriglia ai bombardamenti al napalm.
Al suo ritorno in America cominciò ad avere qualche perplessità non tanto sulle ragioni del conflitto quanto sugli esiti dello stesso.
Come analista continuò a studiare sia le cause che i possibili sviluppi della guerra e in questa sua attività si imbattè in alcuni fascicoli nei quali la storia dell’incidente del Golfo del Tonchino emergeva in tutta la sua drammatica verità. Si era trattato di un pretesto per scatenare una guerra dalle conseguenze imprevedibili e che aveva già determinato una quantità di morti assolutamente ingiustificata.
Questa scoperta fu per Ellsberg scioccante. Ne fu turbato e cominciò a pensare cosa potesse fare per contribuire a denunciare quella che lui da buon democratico riteneva essere una vera e propria vergogna.
La prima cosa che fece fu provvedere a fotocopiare quella montagna di carte dalle quali si evinceva la frode perpetrata ai danni del popolo americano.
Cominciò a portare fuori dall’ufficio pezzo per pezzo quella montagna e a fotocopiarla con la complicità della sua donna.
Tutto si svolgeva di notte e l’opera di acquisizione di questi dati fu lunga e faticosa.
Quando ebbe completato questa fatica, i 47 faldoni che costituivano la prova della truffa perpetrata dall’amministrazione Johnson vennero consegnati al capo dell’opposizione democratica senatore William Fulbright.
La lettura di ciò che Ellsberg gli aveva portato determinò lo sconcerto e la meraviglia del capo dell’opposizione democratica, ma con grande sorpresa di Ellsberg il senatore Fulbright gli restituì tutto il malloppo comunicandogli la sua impossibilità a fare qualunque cosa.
Quegli atti erano coperti dal segreto di Stato e se egli ne avesse reso pubblico il contenuto sarebbe incorso nel reato di alto tradimento.
Gli Usa, infatti, erano in guerra e qualunque cosa coperta dal segreto, se rivelata, avrebbe potuto nuocere sia ai rapporti internazionali degli Stati Uniti, sia all’andamento delle operazioni belliche.
Pur turbato e preoccupato per lo svolgersi degli avvenimenti, il senatore Fulbright non ebbe altra scelta che restituire le carte che Ellsberg gli aveva sottoposto.
In preda ad un’angoscia crescente, considerando che ogni strada gli era preclusa, per far valere di fronte al mondo la sua denuncia della prevaricazione del Governo americano, Ellsberg non ebbe altra scelta che quella di rivolgersi alla stampa.
La decisione non fu facile, fu presa a seguito di una tormentata discussione con la sua donna che fu determinante nello spingerlo a recarsi nella redazione del New York Times.
Di fronte a quella montagna di carte e alle problematiche della loro pubblicazione, i redattori del New York Times discussero a lungo, ma alla fine la decisione fu: “Pubblichiamo!!”.
Cominciò così la pubblicazione a puntate del dossier sull’incidente del Golfo del Tonchino (“Pentagon Papers”).
Al clamore che ne seguì fu data immediata risposta da parte del Ministro della Giustizia del governo Nixon, il senatore John Mitchel, il quale, per tutelare il buon nome del governo americano, chiese ed ottenne da un giudice della contea di New York una ingiunzione ai giornalisti di non proseguire oltre nella pubblicazione del dossier.
Sempre più angosciato e sempre più in preda a una disperazione assoluta, vedendo che i suoi sforzi per denunciare la vergogna di una guerra inutile non sortivano effetto, Ellsberg, niente affatto rassegnato, si rivolse al Washington Post.
Stessa trafila, stessa pubblicazione della prima puntata, stessa ingiunzione del giudice a non proseguire oltre.
Ma a questo punto cambiarono i protagonisti della vicenda. A Ellsberg si sostituirono i due grandi giornali che fecero ricorso alla Suprema Corte Federale degli Stati Uniti, impugnando la decisione del giudice della contea di New York sostenendo la violazione del primo emendamento della costituzione americana, quello che garantisce la piena libertà di stampa.
La decisione della Corte fu finalmente in linea con quanto Ellsberg si aspettava e la motivazione, stilata dal vecchio giudice costituzionale Hugo Black, riaffermò il principio di ampia libertà di informazione affermando che «Il potere del governo di censurare la stampa è stato abolito affinché la stampa rimanga per sempre libera di censurare il governo. Solo una stampa veramente libera può denunciare con efficacia un inganno in seno al Governo».
Ellsberg aveva vinto la sua prima battaglia, ma subito dopo avrebbe dovuto affrontarne una seconda molto più pericolosa.
Denunciato per alto tradimento, fu tratto giudizio di fronte un giudice della contea di New York.
Le prove a suo carico erano costituite dalla copia dei nastri nei quali erano incise le sue conversazioni con lo psicanalista che lo curava.
In quelle conversazioni vi era la confessione della sua “attività eversiva” e, dunque, era prevedibile la sua inevitabile condanna.
Anche in questo caso, però, l’America dette prova delle democrazia che attraversa le sue istituzioni e i suoi strati sociali.
Quando il processo fu “chiamato“, il giudice chiese quali prove avesse l’accusa in relazione al capo di imputazione.
Al momento della produzione dei nastri si scoprì che l’accusa era venuta in possesso di quei nastri attraverso l’opera dei cosiddetti “idraulici”, vale a dire di quelle persone costituenti la squadra che era stata protagonista dello scandalo dell’hotel Watergate.
Questi si erano introdotti nello studio dello psicanalista dopo averne scassinato la porta e avevano rubato i nastri contenenti le dichiarazioni di Ellsberg.
Questa acquisizione palesemente illegittima, con tutto il disgusto del giudice per il modo con il quale era stata acquisita agli atti, determinò seduta stante l’archiviazione dell’accusa e il proscioglimento di Ellsberg.
Questa storia, che è stata rappresentata anche in un film di buona fattura dal titolo “Pentagon Papers”, è molto significativa sia per ciò che riguarda il ruolo dell’informazione negli Stati Uniti d’America e sia anche per come viene garantito il processo americano nei confronti dei cittadini.
Quello che qui interessa è l’aspetto concernente le funzioni della stampa che in quella società, erede dei principi della rivoluzione francese e, prima ancora, dell’Illuminismo, è considerato assolutamente prioritario tra i beni costituzionalmente protetti.
In quel paese, ciò che non era consentito al Capo dell’opposizione, Senatore Fulbright, era consentito all’Informazione in virtù del Primo emendamento della Costituzione americana.
In quel paese nemmeno la tutela dello Stato è considerato un bene che possa prevalere sul diritto dei cittadini a essere informati e a conoscere tutto quanto concerne la vita pubblica.
E poiché gli Stati Uniti sono un esempio di democrazia per ciò che concerne le conquiste sociali e l’esistenza dei tipi di controllo, istituzionale e non, correlati all’esistenza dello Stato, non si vede perché non si debba pensare che anche nel nostro paese il ruolo della stampa, dell’informazione e dei media in genere possa in qualche modo essere “legibus solutus”.
In Italia, invece, dapprima i magistrati ordinari e in seguito anche la Corte Costituzionale hanno operato il principio cosiddetto del “bilanciamento” di beni costituzionali, per cui - in presenza di un possibile conflitto tra beni costituzionalmente protetti - occorre operare una scelta per stabilire quale dei beni in conflitto debba essere prevalente sull’altro.
Ed è in base a questo principio che, allorquando un giornalista entra in possesso di una notizia sulla quale vige il segreto, ad esempio, di indagine giudiziaria, il bene “informazione” deve cedere il passo al bene “amministrazione della giustizia”.
Questo bilanciamento vede l’informazione quasi sempre soccombente.
È facile, a questo punto, paragonando la storia di Daniel Ellsberg e, soprattutto, quella del New York Times e del Washington Post a quella dei giornali e dei giornalisti italiani, dedurne la convinzione che l’informazione in Italia sia posta nella scala dei valori, ai gradini più bassi, mentre in America sia a quelli più alti e, comunque, sopra ogni altro bene costituzionale.
Se la “bilancia” adoperata in Italia, infatti, fosse la stessa usata negli Stati Uniti saremmo un paese nel quale l’informazione può adempiere al suo naturale ruolo di controllore.
La “bilancia” adoperata in Italia per “pesare” i beni costituzionali è, invece, chiaramente “taroccata”: pesa sempre dalla parte contraria alla libertà di stampa.
Il racconto della vicenda di Daniele Ellsberg fu da me riproposto durante una tavola rotonda sulla rivista MicroMega che vide la partecipazione di Giancarlo Caselli, Gaetano Pecorella e Luciano Violante.
Quest’ultimo rispose alle mie affermazioni relative alla supremazia negli Stati Uniti del diritto dell’informazione (riporto testualmente): “il problema del bilanciamento degli interessi è un problema assolutamente fondamentale in democrazia. E lo è anche negli Stati Uniti, dove, per esempio, è vietato pubblicare le foto delle bare dei soldati che tornano morti dall’Iraq e dell’Afghanistan: un limite che io giudico sbagliato, ma che dimostra che ovunque si pongono dei limiti alla libertà di informazione. Insomma, non esistono diritti assoluti, tutti i diritti trovano un limite nel diritto di un altro”.
Il principio della limitazione del proprio diritto nei confronti dei diritti degli altri è sicuramente un principio assolutamente necessario.
Tuttavia è altrettanto vero che il principio cosiddetto del bilanciamento costituisce lo strumento per il quale è riconosciuta la prevalenza del diritto della collettività a conoscere, rispetto al diritto del singolo alla sua reputazione o alla sua privacy.
Evidentemente l’onorevole Violante non era al corrente che “il divieto opposto dal Ministero e dalla Casa Bianca, preoccupati di tutelare la tale privacy dei militari morti e il dolore dei loro familiari” (giustificazione palesemente pretestuosa) formulato nel 1991 dall’allora ministro della difesa Dick Cheiny durante la prima guerra del Golfo, “era caduto in virtù di un’offensiva legale lanciata da Ralph Begleiter” (cfr Corriere della Sera del 30 aprile 2005).
“Gli avvocati che hanno appoggiato Begleiter nella sua battaglia hanno invocato la superiorità del diritto del pubblico ad essere informato”, e Thomas Blanton, direttore del National Security Archive , ha dichiarato: “nascondere il prezzo pagato in termini di vite umane non contribuisce a rendere questo prezzo inferiore. Vietare la diffusione delle immagini e stata una mancanza di rispetto nei confronti di tutti coloro che hanno pagato con la propria vita”.
Anche in questo caso “la superiorità del diritto del pubblico a essere informato” rispetto a qualsiasi altro diritto, è stata riconosciuta negli Stati Uniti.
Insomma, anche la battaglia vinta da Begleiter è stata possibile grazie al primo emendamento della Costituzione americana e dal Freedom of Information Act, legge varata dal presidente Johnson nel 1964 che altro non è se non la legge sulla stampa e sulla libertà di stampa, (quello che da noi dovrebbe essere, ma non è, la nostra legge n. 47/48).
E’ stata così riaffermata la prevalenza della libertà di informazione su tutti gli altri beni costituzionalmente tutelati in Usa.
E’ vero, inoltre, che - come ha detto l’On.le Violante - “ovunque si pongono limiti alla libertà di informazione”.
Ma è altrettanto vero che questi limiti vengono rapidamente abbattuti ogni qual volta Giudici liberi, che ne abbiano il potere, siano investiti della valutazione della loro legittimità.
L’ultimo “caso” riguarda la Francia.
I giornalisti Jerome Dupuis e Jean-Marie Pontaut erano stati condannati dal Tribunale e dalla Corte d’Appello di Parigi per violazione del “segreto istruttorio”.
La Corte di Strasburgo (Giugno 2007), su ricorso degli stessi, condannò la Francia per violazione dell’art 10 della Convenzione dei Diritti dell’Uomo dichiarando che sulle esigenze del segreto processuale prevale il diritto di informare, specie se ci si trovi di fronte a fatti che siano interessanti per la collettività
Ultimamente “Reporters sans frontiere”, non a caso, ha collocato l’Italia al 40° posto nella classifica dei paesi … liberi !
"Il potere del governo di censurare la stampa è stato abolito affinché la stampa rimanga per sempre libera di censurare il governo. Solo una stampa veramente libera può denunciare con efficacia un inganno in seno al Governo"
RispondiEliminaDa ripetere a se stessi come un karma per difendersi dal subdolo e multifronte attacco mediatico alle nostre coscienze.
L'unico limite alla libertà di stampa è e deve essere la dffamazione. STOP.
Antonino
Grazie all'avvocato Oreste Flamminii Minuto. Veramente una bellissima pagina d'informazione!
RispondiEliminab
L’attuale presidente del consiglio fa nuovamente un uso privato, personale, delle Istituzioni per difendersi dai processi, per sfuggire al suo giudice naturale, per zittire l’informazione, per impedire ai magistrati di compiere il loro dovere. Insomma, per rendersi intoccabile, al di sopra delle leggi, contro la Costituzione – che ha già provato a manomettere – ed incurante del pericoloso scontro che sta causando tra poteri dello Stato. L’inquietante personaggio (quello che “chiagne e fotte”, come diceva Montanelli) mira al potere assoluto: legibus solutus, svincolato dalle leggi come il principe. Nulla, evidentemente, gli importa di Montesquieu e della separazione dei poteri. Nulla dei problemi del Paese. Nulla dei cittadini. E’ persino entrato in collisione con il Quirinale. Col suo colossale conflitto d’interessi, mai risolto, tornano le scandalose leggi “ad personam”. L’attacco frontale alla magistratura, contenuto nella lettera inviata al presidente del Senato e letta nell’Aula di Palazzo Madama, è gravissimo anche se non inaudito. Già altre volte, infatti, lo avevamo sentito straparlare di persecuzione giudiziaria. Ma stavolta ha messo le sue fantasie per iscritto, in un documento ufficiale del Parlamento. Ciò pertanto è, ancor di più, inaccettabile. Nel suo delirio di onnipotenza, vuole cercare di passare, per l’ennesima volta, come la vittima di “magistrati di estrema sinistra” che, secondo la sua fervida immaginazione, avrebbero intentato contro di lui processi “per fini di lotta politica”. Le sue accuse ai magistrati, assolutamente non provate, comprendono un affondo denigratorio personale ad un sostituto procuratore milanese e ad un Tribunale della Repubblica, rei – a suo dire – di adoperare la giustizia a fini mediatici e politici. Sono semplici e vergognose illazioni. Farneticazioni. Condivido soltanto una frase della missiva (ma con riferimento diverso da quello inteso dal ducetto): “Questa è davvero una situazione che non ha eguali nel mondo occidentale”. Una cosa del genere, nelle democrazie, non si è mai vista. Il lupo perde il pelo (anche se a lui trapiantano i capelli…) ma non il vizio. Giano bifronte, ancora una volta, mostra la sua vera identità. E rimane tuttavia attorniato, come un autentico dio bicefalo, da schiere oranti, da adulatori turibolanti. E’ questo lo statista con il quale le “aquile” dell’opposizione vorrebbero dialogare? Indro Montanelli nel 2001 affermò: “Il berlusconismo è veramente la feccia che risale il pozzo”. Aveva ragione. E anche i fatti di oggi lo dimostrano. Esprimo la mia solidarietà alla magistratura. Un solo verbo: resistere, resistere, resistere.
RispondiEliminaMarco Scipolo
in questo paese i mass media sono ben poco liberi, ergo per informarsi sul serio bisogna andare su internet. se i media fossero davvero liberi forse la gente non sarebbe tanto ignorante e non voterebbe come vota...
RispondiEliminaMolto bello e interessante. grazie :-)
RispondiEliminaC'è da chiedersi, se la legge verrà approvata, quale sarà la nuova posizione dell'Italia nella classifica di "Reporters sans frontières" : zona retrocessione ?
RispondiEliminaDaniele Muritano
Davvero una bellissima pagina che aiuta a riflette sul Potere che vuole occultare la Verità.
RispondiEliminaEccola la parola chiave: VERITA'!
Ogni cittadino, ma soprattutto un giornalista, non dovrebbero, mai e per nessuna ragione, essere perseguiti quando raccontano la VERITA'.
Mettere a nudo fatti e situazioni, specialmente quando generati da comportamenti illeciti, è un dovere al quale non si dovrebbe mai abdicare. Non c'è Ragione di Stato che tenga difronte a comportamenti censurabili.
E se non basta la Ragion di Stato a tenere celata la VERITA', la questione non dovrebbe nemmeno porsi quando si tratta di cittadini, tutti i cittadini, compresi quelli prestati, per merito o per errore, alla politica.
La VERITA'... quale VERITA'?
Quella derivante da comportamenti che contrastano con le Leggi che un Paese si è dato, ovvio!
Il mio paese combatte la Mafia, la Corruzione, il Terrorismo, il Traffico di Droga, la Pedofilia, ecc...? - Bene, a nessuno, dunque, deve essere impedito di parlare di chiunque si trovi nelle condizioni di aver violato la Legge.
E se qualcuno pensa, avendone la possibilità, di cambiare le Leggi e fare in modo che le VERITA', anche quelle che lo riguardano, siano occultate?
Male, malissimo! Perchè ogni VERITA' occultata per pavidità, omissione o per Decreto è un colpo mortale inferto alla DEMOCRAZIA!
Dopotutto il concetto è semplice: "Dire il vero non è mai peccato" e nemmeno reato, aggiungo!
Un Abbraccio
COMUNICATO STAMPA DI PeaceLink
RispondiEliminaL’Associazione PeaceLink esprime la propria solidarietà a Carlo Ruta. Il giornalista siciliano è stato condannato a 8 mesi di carcere per aver ospitato sul suo sito http://www.accadeinsicilia.net (integralmente oscurato nel dicembre 2004) l’intervento di un ex funzionario pubblico di Ragusa. E’ questo solo l’ultimo di tanti episodi che in questi anni hanno avuto l’obiettivo di intimidire e oscurare l’informazione indipendente. Episodi che hanno colpito tra gli altri, oltre a Carlo Ruta, Umberto Santino del Centro di documentazione siciliana "Peppino Impastato" e Marco Benanti, ex direttore responsabile del portale Erroneo.org.
PeaceLink sostiene l’informazione antimafia e il giornalismo coraggioso sin dagli albori delle sue attivita’ nei primi anni ’90, quando la rivista "I Siciliani" di Pippo Fava veniva diffusa da PeaceLink sulla proprie rete di BBS. Oggi PeaceLink ospita sul proprio sito web la "Catena di Sanlibero" di Riccardo Orioles, gia’ collaboratore di Fava e cofondatore della rivista "Avvenimenti", e ha denunciato le persecuzioni legali che hanno colpito Carlo Ruta gia’ nel settembre 2005, durante il convegno "Cyber-Freedom" al quale Ruta ha partecipato come relatore e testimone. Purtroppo questa testimonianza e’ caduta nel vuoto, scontrandosi non solo con i bavagli mafiosi di chi ha tutto l’interesse a imbavagliare voci scomode, ma anche grazie al colpevole e complice silenzio dei salotti radical-chic di certa sinistra, dove sindacalisti, giornalisti, politici e intellettuali sono pronti a difendere a spada tratta Biagi, Luttazzi e Santoro, ma diventano colpevolmente silenti (e pertanto omertosi) quando il pugno del potere mafioso colpisce attraverso i tribunali chi lavora contro il malaffare e la criminalita’ lontano dalle luci dei riflettori, dalle vetrine televisive e dalla ribalta del palcoscenico. Il convegno cyber-freedom è stato l’occasione per l’inizio di una proficua collaborazione tra PeaceLink e Carlo Ruta, che oggi collabora con il portale dell’associazione. In questi anni Carlo ha cercato di indagare e documentare tante vicende della Sicilia, spesso ambigue e oscure. E’ un lavoro che espone a rischi importanti. L’Associazione PeaceLink intende quindi stringersi attorno a Carlo e al suo coraggioso lavoro.
FIRMA LA PETIZIONE PER CARLO RUTA
http://www.censurati.it/voxpeople/carloruta/
Quoto pienamente l'articolo dell'avvocato Oreste Flamminii Minuto...
RispondiEliminaRapportando tutto ciò al nostro paese rispetto a quello che sta accadendo ritengo che siamo messi davvero male visto che destra e sinistra sono entrambi daccordo almeno sul mettere dei paletti e un bavaglio alla stampa...
Io sono daccordo sul fatto che la stampa debba rispettare il segreto istruttorio prima di pubblicare ciò che riguarda le inchieste dei pm su eventuali criminali... visto che ci sono solo acquisizioni di prove e quindi nulla è ancora accertato... e visto che anche per quanto riguarda gli imputati e i pm ciò da maggiore tutela ad entrambi... però poi si deve pubblicare senza se e senza ma... di nessuno...
Anche a me piacerebbe che la VERITA' fosse un elemento fondante i rapporti della nostra società.
RispondiEliminaSapete invece quale valore ha nei pocessi civili e penali e quanti strumenti sono sottesi alla ricerca della verità?
Sapete che per l nostro ordinamento la verità ha un valore di molto inferiore anche agli interessi microindividuali.
Il raffronto con gli Stati Uniti dovrebbe essere fatto su larga scala.
Lì se il Presidente della Repubblica nega di avere avuo una amante commette un fatto penalmente rilevante.
Qui da noi, e l'Avv. Minuto potrà riferirVi quante volte i penalisti cavalcano questi strumenti, sono mille e mille gli ostacoli all'accertamento della verità.
la verità processuale e quella sostanziale, raramente si sovrappongono.
Vogliamo aprire un dibattito sul perchè?
Le ragioni sono profonde. Risalgono addirittura al diritto romano.
Ma se prendiamo a modello quel che avviene in ordinamenti che nascono su principi diametralmente opposti da quelli sui quali il nostro attinge le radici, occorre poi avere la obiettività di invocare la difesa della verità in ogni sede.
Anche quando nei giudizi si difendono i delinquenti e si ricorre alle norme di sbarramento (quelle note ai più sotto il nome di garantismo) che postulano che determinate prove non possono essere utilizzate siccome messe nel cestino del processo dal pacchetto di garanzie per l'imputato.
E’ lineare affermare che in un processo determinate prove non possano entrare se non previa verifica della loro utilizzabilità e nelle pagine dei giornali le stesse dovrebbero avere una sorta di accesso diretto?
I processi si fanno nei Tribunali con le garanzie di rito o nelle pubbliche piazze?
Il discorso non è così semplice e l'Ill.mo Avv. Minuto sa bene che non si può partire dalla coda quando si affronta una questione. Occorre partire dalla testa.
Quale valore attribuisce il nostro ordinamento alla verità.
Perchè la parte di un processo civile può mentire spudoratamente negli atti di causa, senza che da ciò possa derivare alcuna conseguenza.
Perchè il nostro ordinamento non sanziona chi nel processo (sia civile che penale) afferma reiteratamente il falso. Perché la pretesa che si svolga un processo fondato su un dovere di verità è affidata solo ad uno strumento processuale (il cd. giuramento decisorio) talmente ipocrita nelle conseguenze di fatto, che forse in 70 anni è stato utilizzato tre o quattro volte?
Perchè l'art. 88 del codice di procedura civile che stabilisce che nel processo civile le parti debbano comportarsi con lealtà e probità, ha poi un suo corollario che limita al solo ambito disciplinare le conseguenze che derivano dalla violazione del suddetto dovere? Praticamente “zero” in termini concreti.
Ogni ordinamento ha i suoi pregi ed i suoi difetti.
L'importante è riconoscere che esistano delle differenze.
IO speriamo che
mafia e massoni, perquisito circolo di Dell'utri
RispondiEliminahttp://newrassegna.camera.it/chiosco_new/p...ntArticle=IGFWW
Battuta ironica... almeno spero:
Domani via al decreto legge salva dell'utri... sempre per tutelare la privacy dei cittadini... vietare le perquisizioni per i reati commessi da cittadini con capelli bianchi e cittadini con capelli neri...
X io speriamo che...
RispondiEliminaNon sono un professionista della materia di giustizia...
ma negli USA... chi dice il falso... non è reato... così mi pare... almeno per certi tipi di reato sui quali si sta indagando... forse in altri casi lo è...
magari sarebbe bello approfondire in merito...
ma non credo che questo sia il problema per il quale è nato l'articolo messo in evidenza dal blog...
credo che l'oggetto di questo post sia se e quando è giusto informare i cittadini per quanto riguarda sia la vita privata di personaggi pubblici, o almeno quelli più autorevoli, e soprattutto ciò che fanno grazie al potere concessogli...
credo che l'oggetto volesse anche far intendere che se la giustizia è amministrata per conto del popolo sovrano... quest'ultimo deve avere la possibilità di controllare come viene esercitata... altrimenti rimangono solo parole...
come poi ho già detto... è ovvio che ci debbano essere delle garanzie... e la legge già prevede tali garanzie che pare abbia avuti negli anni ottimi risultati... se vogliamo parlare di privacy violata rispetto al numero di processi eseguiti ogni anno...
Si vuol fare ancora meglio per evitare anche quel numero minimo di abusi?... basta semplicemnte sanzionare l'editore che permette la pubblicazione di un articolo che contiene fatti di indagini giudiziarie coperte ancora da segreto... anche punendo l'editore con il carcere... e non credo che vedremo altre pubblicazioni del genere...
Gli USA sono molto + liberali...
Noi più garantisti...
Ora mi pare che stiamo diventando invece censuratori...
è diverso... e pericoloso.
Illustre avvocato...Monta “l’insicurezza“: colpa della “investigazione"...mandata in soffitta. Crolla(va) il Muro di Berlino e con esso il comunismo: vince(va?) il capitalismo (imperialista)? "No!", affermò Gheddafi da Giovanni Minoli: “è stato il nemico ad arrendersi”. E sotto le macerie del Muro sono “sepolti” (o mutati?) gli 007… tenuti in vita nei film: sempre gli stessi, appunto! La CIA intanto ha aumentato il suo budget (oltre 30 miliardi di dollari, da 6-7 anni)… per le sofisticate apparecchiature satellitari che ti prendono il N° di targa… dell’“auto già demolita”, come ECHELON (per mostrare le armi di “distruzione di massa” distrutte nell’altra guerra del… petrolio e poi rincarato?!) del Blair “portavoce” di Bush per far sì che l’Inghilterra fosse odiata come gli USA che ancora non si domandano, con umiltà, del perché? Ora non si parla più di “cellule in sonno”, l’unica a dormire (sugli allori?) è l’intelligence (CIA, FBI, ecc. ), che lascia “investigare” Internet e dintorni: non s’indaga più fisicamente, per carpire la notizia di prima mano… con la foto che l’immortala. E così “inviato di guerra” era Jayson Blair che informava dal chiuso di casa , o l’incastonato embedded, come Monica Maggioni...che non racconta di “guerre americane combattute all’estero, anche con parziale legittimazione della tortura, di cui i cittadini stupiti sanno poco o nulla”: parole di John Le Carré…che da tempo critica, disgustato, l’Occidente bulimico in barba ai “dannati della Terra”. "... dove sono i Bernstein e Woodward..."(che fecero dimettere Nixon… che sbottò verso il giudice, di Avellino: “italiani… disonesti, mafiosi e puzzolenti”, lo sa Maroni?), gridava, nel 2005, Robert Redford, forte per averlo interpretato nel 76 in "All the President's Men", mentre pensava - con Woodward - a un film su altra "Gola profonda", l'ex N° 2 del Fbi, e il Pentagono chiudeva "l' Office of strategy influence" (per chi ci crede!) Mentre altri (e altre forme del male) contemporanei macellano … i cosiddetti “Diritti Umani”: cui noi ne siamo i massimi violatori (sanzionati!) in UE per colpe dell' "al-LENTA-ta giustizia; che giova a Berlusconi ma non al resto degli italiani; e “la sinistra che ne difende(va?) i piu’ biechi interessi corporativi”: il nemico del mio nemico e’ mio amico (come fu Saddam per Reagan)? Il resto...da intercettare? Quella degli Usa è una tecnica consolidata: Pearl Harbour, la Baia dei Porci, Vietnam, ecc...persino per le "banane" (la Wto conta come l'Onu nel senso che sono gli Usa a decidere) che pur non essendo una "Repubblica delle Banane" il prodotto gli ha sempre interessato; forse da quando un tizio, che aveva capito che con le banane che trasportava si guadagnava, decise di coltivarle e chiese aiuto al governo Usa prospettandone il business. La Cia con 400 uomini piombò in questo staterello e dopo aver eliminato 6 o 7 sindacalisti, rimosse il governo, cancellò la riforma agraria (simile alla nostra di oltre 50 anni fa )di ostacolo all'idea del tizio e piazzò un governo fantoccio. E così vissero, loro, felici e contenti. Forse era ai tempi di Harry Belafonte che cantava "Banana boat song": "...Mister tally man, tally me banana..." E di tagli si parla. La Ue potrebbe giustificare la parzialità di trattamento sostenendo che la banana in causa non è con...forme alla normativa: insomma non ha la lunghezza e curvatura giusta. Siccome si parla di "guerra...delle banane" si capisce che il ricorso l' ha scritto Bush a corto di dollari e i governi dei paesi latini hanno poi firmato. O no?
RispondiElimina"Abbassare le orecchie e alzare i tacchi!"
Bell'articolo.
RispondiEliminaChe, però, ha una crepa, tanto più grave, visto che si tratta di un articolo sull'importanza del diritto all'informazione.
Nella classifica di Reporters sans frontières (http://www.rsf.org/article.php3?id_article=24011)l'Italia è al 35° posto e gli Stati Uniti sono solo al 48° posto (quindi ben 13 posizioni sotto a quella dell'Italia).
Ed entrambi gli Stati sono in salita nella classifica.
La prossima volta, si auspicano interventi volti a confrontare la liberta di stampa italiana con quella di Islanda, Norvegia, Svizzera ... cioè con gli Stati che occupano le prime posizioni della classifica e che davvero devono costituire il modello da imitare.
Invitiamo, comunque, l'illustre Collega ad aderire a DIFENDIAMOLI TUTTI!
DT
L'avv. Oreste Flamminii Minuto, dalla Falcetti, disse: “degli avvocati se ne può parlar male ma non se ne può fare a meno”. Sì, ma perché si dicono “matrimonialisti” e non “divorzisti”:suona male? Anche quando sono avvenenti e si chiamano De Cinque e De Pace (la suocera di Raul Bova). E perché mai se un imprenditore scopre che l'avvocato, cui ha affidato recuperi di credito per centinaia di milioni lire, è un "fedigrafo" amante del 380 C.p...nessuno dei 200 (avrà pure esagerato, ma il problema resta comunque...) colleghi interpellati assume l'incarico per sostenerlo? Quanti cittadini sono informati in merito? Lei dirà che negli Usa succede di peggio...come fa ben capire Scott Turow in "Lesioni personali".Ma forse, per restare al tema, è meglio parlare di Johnson e dell' onnipotente capo dell' FBI, J. Edgar Hoover, ritratto da James Ellroy ( in "American Tabloid" e "The Cold Six Thousand") come "l'incarnazione assoluta del male nell'America del 20° secolo". E continua - nell'intervista di Ranieri Polese, nel 2003 - "Le sue qualità , se così si possono definire, erano: crudeltà, avidità, megalomania, oscure pulsioni sessuali e un falso moralismo da femminuccia. In una parola, la sua politica era: potere assoluto per se stesso, e repressione di ogni forma di dissenso. Una volta chiesero a L. B. Jonhnson perché teneva Hoover a capo del FBI; e Johnson rispose: "Meglio tenere uno come lui dentro la tenda e lasciare che pisci di fuori, piuttosto che lasciarlo fuori della tenda con la certezza che prime o poi ti piscerà dentro". Hoover aveva prove contro tutti, dai presidenti in giù: poteva ricattare chiunque. Il suo potere era sconfinato". PS Dagli Usa passi il caso Calipari ma non si può tollerare "l' o(e)rrore del Cermis e dei latitanti protetti della Cia per il caso Abu Omar e &!
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