di Mario Fantacchiotti
(Presidente di Sezione della Corte di Cassazione)
da SiciliaInformazioni
Caro Direttore,
rispondo alla tua richiesta di informazioni sullo stato di disagio espresso dai magistrati in seguito alle recenti iniziative, anche economiche, del Governo; cercherò di essere conciso.
Vorrei riuscire anche ad essere obbiettivo nonostante la mia appartenenza al quella che la classe politica definisce una “casta” privilegiata che rifiuta di cedere sui suoi ingiustificati privilegi.
L’intenso scambio di mail tra i magistrati è espressione di un vero e proprio dibattito interno alla Magistratura sul tema dei rapporti con il gruppo di potere che, “per volontà del popolo”, legittimamente ci governa.
Questo dibattito sta assumendo toni particolarmente intensi, sofferti ed esasperati.
Esprime un malcontento forte soprattutto dei giovani.
Questo malcontento non può essere compreso dai cittadini soprattutto perché del tutto disinformati o malamente informati; non vuole essere recepito dai politici perché come ti chiarirò meglio in seguito, l’interesse politico, in questo momento, non è quello di costruire, anche attraverso le risorse umane, un ordine giudiziario efficiente ma quello di ridisegnare l’equilibrio tra il potere di governo e quello del magistrato.
Esigenza, è giusto chiarire, sulla quale non esprimo giudizi perché ciò che non condivido non è il profilo generale del problema ma il modo con il quale esso si vuole risolvere, attraverso la diffamazione.
Il malcontento può comprendersi solo se provassimo a metterci, senza pregiudizi, nella prospettiva dei magistrati che lavorano nel modo indicibile con il quale la maggior parte dei magistrati opera.
Quando vedo scrivere, nelle innumerevoli email che in questo momento affollano la mia posta elettronica, di colleghi che impegnano i sabati e le domeniche per lavorare, io mi vedo allo specchio; comprendo quello che vogliono dire e credo in quello che dicono semplicemente perchè anche per me i sabati, le domeniche, il giorno di Pasqua e quello di Natale sono stati regolarmente impegnati per completare o eliminare il lavoro che mi sono sempre ritrovato sulle spalle non perchè prima non avevo lavorato ed ero andato a spasso ma semplicemente perchè questo è ciò che mi era caduto sulle spalle; quando sento parlare delle lunghe ferie dei magistrati mi viene da ridere, anzi da piangere, perchè io non sono mai riuscito ad andare in ferie senza portare nella valigia sentenze da scrivere, talvolta anche complesse; ciò che ho potuto fare con maggiore facilità da quando dispongo dei CD rom con la giurisprudenza dato che, con il mio p.c. (il mio, non quello dell’amministrazione, che si è rotto e non può essere sostituito) quei CD rom mi consentono di portare con me una intera biblioteca.
Il giovane magistrato che sente parlare dei suoi alti stipendi ha motivo di arrabbiarsi dato che lo stipendio iniziale è appena al livello, anzi al di sotto, di un dattilografo della Regione Siciliana o della Assemblea; molto inferiore a quello dei giudici amministrativi e dei giudici della Corte dei Conti che pure svolgono un lavoro non più complesso ed anzi normalmente più tranquillo; ha ragione di arrabbiarsi anche il magistrato più anziano dato che lo stipendio di un magistrato della cassazione con 35/40 anni di servizio è notevolmente inferiore a quello di un dirigente amministrativo; la funzione del giudice di legittimità è meno impegnativa e professionalmente qualificata di quella di un dirigente dello Stato?
Il magistrato avverte anche il diverso metro di valutazione comune del suo operato; se un professionista imbroglia il cliente (per esempio facendogli pagare “acconti” ogni volta che lo vede senza rilasciare ricevuta e pretendendo poi una parcella nella quale non tiene conto degli acconti), fa una costruzione abusiva, esercita attività economiche produttive, il fatto non da scandalo, “sconcerto”, non è riportato dai giornali, non è motivo per un attacco alla categoria; ogni cittadino può scrivere ed esprimere liberamente le sue idee senza essere accusato di … parlare troppo o di occupare spazi che non gli competono; qualche avvocato può anche dire al cliente che la causa è stata persa perchè l’avversario ha corrotto il giudice o che per ottenere la libertà occorre una certa somma per pagare il giudice, o che la causa è stata persa perché il giudice è …… ignorante o cretino, in tal modo esprime, infatti, una sua idea; ogni cittadino può fare insomma tutto quello che fanno gli altri senza destare scandalo perché oggi il dovere di osservanza delle leggi è solo un optional; un magistrato no ! se è solo accusato di una irregolarità, anche non penalmente rilevante, o se ritarda nel deposito di una sentenza di due o tre mesi, è censurabile, il procedimento disciplinare scatta automaticamente se non riesce a dimostrare che le ragioni del ritardo non gli sono imputabili.
Ammetto che queste diversità possono anche farsi entrare, per la verità con una evidente forzatura, nella fisiologia dei rapporti sociali perché il magistrato ha sposato il principio di legalità e ad esso deve rispetto indipendentemente dal timore della pena mentre il cittadino, in una società che disconosce il valore di questo principio, è solo tenuto a comportarsi nel modo che gli assicuri di sottrarsi alla sanzione.
Ma nella corretta gestione del rapporto sociale dovrebbe entrare anche il rispetto della persona e della dignità professionale del magistrato fino a quando non sia provato che questo, cioè l’individuo, è pigro, incapace, cialtrone.
Per gli inetti noi tutti, compreso il CSM, vogliamo, anzi vorremmo applicate rigorose censure, purché con le garanzie di legge (donde il diritto del reo ad essere difeso, il dovere del giudice penale o disciplinare di condannare), del resto dovute anche ai mafiosi.
Il controllo e la critica contro la magistratura dovrebbe individuare i casi di disservizio, non per colpire il corpo ma per colpire il fatto.
In atto esso è invece usato solo per colpire il corpo perchè il fine non è quello del miglioramento ma quello dell’assoggettamento.
Abbiamo assistito sotto tutti i governi, ed assistiamo oggi, ad una precisa involuzione dello Stato di diritto; quello che conta non è il diritto ma la legittimazione del potere; si deve perciò affossare la magistratura perché, anche se con alcuni errori, anche questi fisiologici, e normalmente emendabili dal sistema delle impugnazioni , è organo di garanzia di legalità.
Dunque, non si vuole più questo organo, si vuole un servizio giustizia governato o comunque controllato dal potere; non un garante di legalità che possa mettere sotto accusa gli esponenti elettivi del potere politico.
Non discuto della legittimità della istanza di assegnazione del privilegio della immunità alle cariche politiche (siano esse alte o basse); quello che metto in discussione è la strada che si è voluto imboccare dalla politica (di ogni colore) per raggiungere questo risultato; la strada cioè della distruzione morale di un ordine statale.
In questo contesto il danno che si sta producendo è irreversibile; le lettere di sdegno, le proteste sono forse ancora espressione di una volontà di opposizione a questa involuzione, ma sono, io temo, soprattutto, forme di reazione rabbiosa di chi si sente attaccato mentre lavora, non una ribellione politica, come si è tentati di considerare ogni critica del sistema, ma una difesa personale della propria dignità professionale.
Il prossimo passaggio, la strada che stanno imboccando i giovani magistrati, quelli cioè della magistratura del domani, potrebbe condurre a risultati veramente eversivi: la giustizia e la qualità del lavoro potrebbero non interessare più, ogni individuo potrebbe cercare solo di sgomitare per trovarsi un posto comodo, sicuro o di prestigio (id est di potere); ogni cosa può andare allo sfascio perché “così va il mondo”; potrebbe interessare a nessuno che la magistratura sia inquadrata nel sistema di potere; per i magistrati sarebbe anzi un vantaggio perché in tal modo non vi saranno più disfunzioni perchè anche per la magistratura, come per gli altri corpi (es amministrativi, giurisdizioni amministrative, autorità di controllo), ci sarà il silenzio della informazione, l’importante, per la nuova classe che si potrebbe formare, sarebbe che al corpo omologato sia assicurata la stessa posizione di privilegio che hanno gli uomini del potere.
Probabilmente tutto questo non sarebbe accaduto se fosse stata mantenuta la norma dell’art. 68 comma secondo della costituzione che testualmente stabiliva: “Senza autorizzazione delle Camere alla quale appartiene nessun membro del Parlamento può essere sottoposto a procedimento penale né può essere arrestato, o altrimenti privato della libertà personale o sottoposto a perquisizione personale o domiciliare, salvo che sia colto nell’atto di commettere un delitto per il quale è obbligatorio il mandato o l’ordine di cattura”.
La norma è stata modificata (in estrema sintesi la necessità dell’autorizzazione a procedere è stata esclusa per i procedimenti penali, resta per i provvedimenti restrittivi della libertà personale, le perquisizioni , le intercettazioni etc) a causa del malgoverno che di essa fu fatto da parte delle Camere, chiuse in difesa corporativa dei suoi; ma gli effetti del rimedio sono stati veramente dirompenti.
Tutto questo mi preoccupa al punto che mi sembra giunto il momento, per quanti possono farlo, di andare a casa.
L’esodo è già cominciato.
Proprio ieri l’altro un valentissimo giudice della Cassazione è andato a fare ... l’avvocato; alcuni mesi addietro un altro magistrato è passato alla avvocatura (che davvero non avrebbe bisogno di essere rafforzata) oggi è saldamente inserito, ha comprato lo studio in un palazzo antico, guadagna il triplo di un consigliere della cassazione con quaranta anni di anzianità; alcuni hanno lasciato per altre attività; un valoroso magistrato operante in zona di criminalità organizzata parteciperà al concorso per l’accesso alla Corte dei Conti.
Gli esempi sono innumerevoli.
Chi pagherà le spese, nel domani in cui tutti saranno costretti ad aprire gli occhi, sarà il cittadino.
Spero davvero di sbagliare. Il che non è del tutto impossibile, data la mia personale tendenza al pessimismo.
C’è una stampa capace di rendersi interprete di questo?
Solo per chiudere voglio farti notare che il tempo impiegato per scrivere, oggi, domenica, questo appunto è stato sottratto al lavoro ordinario; mezza sentenza in meno, anche per questo sentirò quello stesso rimorso che avverto tutte le volte in cui mi forzo di andare a fare ginnastica per tenere lontano da me il pericolo di infarto.
Negli ultimi due anni ho scritto un volumetto su un tema giuridico, occupando solo le ferie e le domeniche (e subendo le reazioni della mia famiglia).
Talvolta penso alle sentenze che sarei riuscito a scrivere in più se avessi rivolto verso di loro (le sentenze) la mia attenzione.
Ma il giudice deve essere solo un sentenzificio? L’aggiornamento professionale è un dovere per il giudice? Probabilmente no, basterebbero delle circolari con direttive precise sulle decisioni da prendere!
A me starebbe bene, così non debbo più strizzare il mio cervello alla ricerca del diritto e del giusto.
.....se anche la magistratura getta la spugna, noi cittadini siamo fritti.
RispondiEliminaAlessandra
Ieri sera nel telegiornale di Rete 4 ho sentito Vittorio Feltri pronunciare vili infamie nei confronti dei magistrati. Ha letteralmente detto che i magistrati sono la fonte delle intercettazioni pubblicate nei giornali e che lui andrebbe in prigione solamente dopo che vi fossero finiti i magistrati rei di aver diffuso le intercettazioni addirittura in audiovisivi preconfezionati ad uso dei giornalisti. Non credevo alle mie orecchie, stanno riversando su di voi tonnellate di menzogne e infamie, dovete assolutamente reagire in qualche modo, non è questo il momento per divisioni di corrente, non avevo mai assistito a una simile, violenta, quotidiana campagna mediatica volta a ridurvi all'impotenza. Adesso, poi, ci si è mesos anche il Presidente della Repubblica a dargli manforte con le sue dichiarazioni contro la spettacolarizzazione dei processi e sulla necessità di preservare i poveri cittadini dalla gogna mediatica. nessuno che prenda le difese della verità, che informi correttamente su temi tanto complessi e delicati.
RispondiEliminasono profondamente indignata e disgustata, e vi esprimo tutta la mia solidarietà.
Maria Cristina
Se c'è una stampa capace di rendersi interprete di questo?
RispondiEliminaNo, non credo proprio, anche perché (malcontento diffuso della "base" a parte) è proprio la stessa categoria che, negli ultimi mesi, non ha certo brillato nelle sue prese di posizione a difesa della dignità della funzione.
Anzi, non voglio rivangare questioni ormai note e dolorosissime, ma le posizioni che hanno assunto sia l'organo di autogoverno che l'ANM sulle predette questioni sono state veramente incommentabili, oltre che un vero e proprio autogol.
Quando passa il messaggio che i magistrati onesti e rispettosi fino in fondo del dettato costituzionale (anche a costo di rimetterci personalmente) sono cattivi magistrati e vanno colpiti duramente (come poi in effetti è successo), oppure quando si barattano piccoli aggiustamenti normativi a leggi che gridano vendetta, in cambio del proprio prestigio e potere di casta (ma si, lasciatemelo passare, questo termine, anche se è usato ed abusato, ma non trovo un altro che renda ugualmente l'idea), che altro si fa se non un gigantesco regalo a quei poteri forti che vorrebbero (e ci son quasi riusciti, pur senza ancora cambiare la costituzione) asservire la magistratura all'esecutivo ed alla politica?
Già oggi molti colleghi si trovano a dover essere null'altro che operai di un sentenzificio, purtroppo. Un sentenzificio in cui, com'è ovvio, si lavorano soprattutto reati contro il patrimonio, immigrazione, poveri cristi, ecc. ecc. Io sono ancora uditore, è vero, ma vorrà dire pur qualcosa se fino ad oggi non ho ancora visto un processo per reati contro la p.a., mentre di ricettazioni, stupefacenti e violazioni alla Bossi-Fini ne ho già visti una quantità industriale.
Per quanto mi riguarda, avevo scelto la magistratura con vera passione(rifiutando un'alternativa più remunerativa, dove però pensavo che avrei avuto meno autonomia e avrei dovuto dire sempre signorsì...), ma credo non con ingenuità, fin troppo cosciente anzi che il periodo che viviamo non avrebbe consentito spazio per troppi idealismi.
Mai però avrei pensato che in così breve tempo si arrivasse a tanto, e si che di pessimismo ne ho anch'io da vendere!
Termino il mio spero non troppo tedioso intervento augurandomi davvero una presa di posizione cosciente e seria della categoria, che non si fermi al pur giusto sdegno per il trattamento economico e per gli insulti quotidiani della stampa e del politico di turno. Dall'esterno non può arrivare nulla di decisivo e forte, s'è visto anche in questi ultimi giorni che le posizioni dei c.d. intellettuali sono completamente omologati ai bisogni ed ai desideri del principe. Quanto ai giuristi, in particolare i costituzionalisti, quelli illuminati (che infatti non hanno mancato di esprimersi, anche decisamente e con argomenti tecnicamente inoppugnabili) mi sembrano anch'essi una sconsolante minoranza.
La presa di posizione di cui parliamo, ovviamente, non può assolutamnete prescindere, a mio modestissimo avviso di principiante (ma altri lo hanno sostenuto con ben altro calibro ed autorevolezza) da una radicale rivisitazione dell'organismo di rappresentanza della categoria.
Saluti a tutti.
Avvilito-Inkazzato
Parole sacrosante, caro Inkazzato, che sottoscrivo appieno. Condivido il tuo pessimismo, soprattutto dopo aver sentito il presidente del senato Schifani insistere più volte sulla prossima ventura fase di riforme costituzionali, che mi suscita letteralmente i brividi…
RispondiEliminaGià Moro nel 1948, in un suo profetico discorso, aveva lucidamente previsto il pericolo “ abbastanza grave, che gruppi o individui, modificando la seconda parte della Costituzione, fossero indotti ad avversare anche i principi consacrati nella prima parte inerenti alla natura ed alla dignità della persona umana, principi che – egli ammonì - non dovrebbero mai essere oggetto di revisione costituzionale perché alterarli significherebbe condannarsi al ridicolo, al disordine, alla tragedia”. “E perciò é necessario che tutti gli uomini di buona volontà siano concordi nella difesa di quei principi fondamentalmente umani e cerchino di trascriverli, prima che sulla carta, sulla viva pagina dei cuori”.
Voi magistrati, soprattutto voi giovani, non dovete perdere tempo, dovete cercare nuove forme associative, porvi urgentemente il problema della comunicazione con l’opinione pubblica, una comunicazione efficace, prima che sia troppo tardi.
Cordiali saluti,
Paola
Però, cara Paola, un magistrato, che non è stato eletto dal "pubblico", non dovrebbe affatto cercare una "comunicazione con l'opinione pubblica" !
RispondiEliminaDovrebbe fare soltanto IL SUO DOVERE, che non è affatto poco, credimi.
Se volesse fare il "politico", dovrebbe farsi eleggere, rinunciando per sempre alla toga, come se volesse fare il "missionario" dovrebbe farsi ... prete !
Ciao, "avvilito-inkazzato" ! Sempre giù di tono? Dammi retta, la vita è già troppo amara per amareggiarla ulteriormente !
Fai bene il TUO dovere, e starai in pace con la tua coscienza. Il resto non conta.
Per anonimo delle 18,47.
RispondiEliminaQui si sbaglia.
La nostra comunicazione non è rivolta ad alcuna candidatura.
Cerchiamo solo di spiegare i fatti affinché essi risultino comprensibili.
Continui a seguirci se Le interessa.
Cordialità.
Nicola Saracino
Il resto conta, eccome se conta...
RispondiEliminail resto t'aspetta quando hai finito la giornata e hai fatto il tuo dovere e ti manda la cena di traverso!!!
So bene che la vostra comunicazione non è diretta ad alcuna candidatura. Aggiungo: ci mancherebbe !
RispondiEliminaTuttavia credo che un Magistrato debba "parlare" soltanto con le sentenze, perché, a differenza di altri impiegati pubblici, egli decide della vita delle persone, e non solo deve ESSERE imparziale, ma anche APPARIRE tale.
Se egli critica, anche giustamente, l'operato di un governo, fornisce l'occasione a tanti seguaci di precisi orientamenti politici di aggregarsi intorno a lui, come sta accadendo su questo sito.
Finendo, quindi, per non apparire più imparziale e fornendo, per giunta, il destro a chi vuole, pur ingiustamente, delegittimarlo, con tutte le conseguenze negative del caso.
Pensateci.
Vede, Lei continua a ignorare lo spirito di questo Blog.
RispondiEliminaPer comprenderlo provi a leggere qualche articolo meno recente, magari dello scorso anno.
La sfido a provare che non si usi la stessa "moneta" a prescindere da chi è al potere.
A prescindere.
Ci legga sempre.
Cordialità, Nicola Saracino
Per l'anonimo delle 18.47:
RispondiEliminaIo sono sempre amareggiato, certo, se non lo fossi vorrebbe dire che o ho perso del tutto la voglia di osservare la realtà e di riflettervi sopra, o che sono ben contento di come vanno le cose, perché magari mi sono ben adagiato, dicendo gli oppurtuni signorsì al momento giusto (ma spero che tu non intenda questo, col "fare il proprio dovere e tutto il resto non conta"; ti ricordo solo, però, che anche i soldati e gli ufficiali nazisti facevano il loro dovere, e di esempi nella storia anche recente ne potremmo trovare a centinaia. Su questo stesso blog è stato recentemente pubblicato un racconto esemplare, su come dicendo al momento giusto un sacrosanto no ad un superiore (che, per il personale di bordo, equivale a "non fare il proprio dovere", anzi insubordinarsi) si sarebbe potuto evitare un incidente aereo che costò la vita a centinaia di persone.
Io sono amareggiato, ripeto, e ne ho ben ragione, in questo particolare momento che stiamo vivendo; non passa giorno, che dico, ore, e ci si trova a discutere dell'ennesimo evento-vergogna, dell'ennesimo provvedimento ad personas, dell'enensimo attacco alla costituzione, alla vita democratica, all'intelligenza delle persone. E, reazioni di nichhia o malcontento rassegnato a parte, per il resto non succede nulla.
Forse tu - ma mi auguro vivamente di no - sarai invece ben contento, anzi forse aggiungo un ulteriore motivo per farti rallegrare.
Notizia di poco fa, un altro magistrato onesto, laborioso e rispettoso della costituzione, in parole povere un cattivo magistrato che deve essere punito, lo è stato: la Forleo sarà trasferita da Milano.
Personalmente, ed è la convinzione di molti, ritengo che la Forleo stesse facendo, a Milano, solo il proprio DOVERE, non faceva né la "politica" né la "missionaria"...
Non credo di aver minimamente scalfito le tue granitiche certezze (ciò si evince da come ti esprimi) ed in ogni caso continuerò la discussione solo se ci si mantiene su temi generali. Su questo blog, dedicato a vicende ahinoi assai più serie non ho mai risposto su questioni che riguardino la mia modesta persona e non intendo certo iniziare ora-
Un saluto.
Avvilito-Inkazzato
Certo che vi leggerò sempre.
RispondiEliminaCom'è certo che continuerò ad esprimere la mia modesta opinione, se me le consentirete.
A riguardo, so bene che anche prima del governo attuale le vostre critiche erano palesi.
La cosa che sfugge, però, è che "tempus regit actum", e che le persone hanno spesso la memoria corta !
Quindi, se vorranno farvi del male, coglieranno l'occasione.
Quella che suggerivo di non fornire.
Per anonimo delle 23,42.
RispondiEliminaNon siamo qui affinché persone garbate come Lei possano sempre esprimere la loro opinione, che teniamo in grande considerazione.
Nicola Saracino
Ad Avvilito-Inkazzato:
RispondiEliminaAttento, gentile interlocutore, a non scambiarmi per un tuo "nemico". Le notizie che mi dai, delle quali ero già a conoscenza, non mi rallegrano di certo, anzi !
Giudicami, se vuoi, solo in base a quanto scrivo. Ognuno ha il proprio stile. Il mio non è certo sibillino. E se non ti fosse chiaro, per mia colpa, quello che ho scritto, lo specifico: lungi da me l'idea di pensare: "tanto mi pagano, ho il posto sicuro, scrivo le mie sentenze e mando affan.... tutto il resto!"
Niente affatto. Quando dicevo di "fare il proprio dovere", sottendevo anche:
1) Di esser sempre equilibrato;
2) Di esser sempre imparziale;
3) Di esser sempre d'esempio con la propria vita, anche extraprofessionale;
Di essere, insomma, sempre un vero Giudice, non solo a trenta o quaranta, ma anche a cinquanta, sessanta, settant'anni.
Questo, lo vedrai, non è poco.
Ciao.
@Anonimo delle ore 18.45
RispondiEliminaper "comunicazione con il pubblico" intendo fare vera informazione, rendere il più possibile comprensibili al pubblico questioni tecniche di grande complessità sulle quali esso, non avendo sovente una benché minima preparazione giuridica, non può certo formarsi un giudizio obiettivo e corretto. E senza una corretta e libera informazione non si possono certo operare scelte consapevoli a livello di esercizio del diritto di voto, ergo non si può essere di fatto, pienamente, cittadini di uno stato democratico. E' vero che in un paese civile questo servizio di corretta e libera informazione dovrebbe essere reso da giornalisti all'altezza del proprio compito, possibilmente in grado di distinguere fra un Giudice e un PM, ma questo, in caso non se ne fosse accorto, non è più un paese democratico da molto tempo. L'informazione, sia su carta stampata che televisiva, è di fatto in mano a pochi potentati economici (basta che ne accerti la proprietà per ritrovare sempre i soliti nomi), che in palese conflitto di interesse condizionano l'azione legislativa del Parlamento e influenzano pesantemente l'opinione pubblica, raccontando palesi menzogne oppure trattando in maniera superficiale questioni assai complesse.
A questo punto le domando: vede forse nel nostro paese un giornalismo indipendente e preparato in materia di diritto, a parte pochissime eccezioni?
Io credo che la risposta non possa che essere negativa. Ergo, in una situazione che oserei definire di emergenza democratica, ritengo giusto che la Magistratura ribatta alle accuse ingiuste e strumentali, quando non alla vera e propria diffamazione, e al silenzio colpevole di molti giornalisti, politici, pseudo-intellettuali di regime con un'informazione corretta, competente ed equilibrata, seppure con i poveri e impari mezzi di un blog.
p.s.1: ci mancherebbe altro che i giudici fossero eletti dal pubblico. In un paese come l'Italia verrebbero presto ridotti a poveri strumenti asserviti alla politica, quindi non potrebbero più essere imparziali nel perseguire i reati. La scelta mediante concorso serve proprio a garantirne l'indipendenza, imparzialità e competenza tecnica.
ps.2: Il resto conta, eccome. E'il bene del mio Paese, rappresentato dalla tutela di quella Costituzione che si progetta irresponsabilmente di manomettere e cancellare. Sono l'indifferenza e l'individualismo che stanno consegnando il nostro paese al caos. La prego di riflettere sulle parole di Aldo Moro che ho riportato nel mio precedente intervento e di riflettere, al di là di qualsivoglia, sterile, senso di appartenenza a uno schieramento politico, poiché non è questo che preme a chi partecipa a questo blog.
saluti,
Paola
il silenzio è connivenza.
RispondiEliminaApodittico e non sempre vero, quindi politico.
RispondiEliminapolis-tikòs, che riguarda la città, la comunità, esatto. Inteso quindi nel più elevato senso del termine.
RispondiEliminaGrazie per avermi offerto la possibilità di fare questa precisazione.
Caro Anonimo senza nick, ora il tuo pensiero è più chiaro, ma ti assicuro che il tuo primo intervento si prestava proprio agli equivoci che anche tu hai rilevato, dando ora l'interpretazione autentica del tuo pensiero.
RispondiEliminaSul concetto di dovere, così come da ultimo da te precisato, credo che la maggior parte degli autori e dei lettori del blog non possano che concordare pienamente.
Tutto sta però ad intendersi, spesso il magistrato (al pari di qualunque altro individuo) può anche superficialmente apparire "al di sopra di ogni sospetto" (come il cittadino del film con Volonté) ma poi di fatto comportarsi in tutt'altro modo. Quindi anche i concetti di equilibrio, indipendenza e morigeratezza andrebbero contestualizzati, e per farlo non esiste che un modo: leggere il tutto alla luce della nostra costituzione (almeno finché ce la lasciano). Spesso, come s'è visto, proprio i magistrati (ma il discorso vale per tutti) che hanno tentato di fare fino in fondo il loro dovere, solo perché si sono trovati ad imbattersi in poteri forti di vario tipo, sono stati accusati (e puniti) con accuse di quel tipo, di non essere equilibrati, imparziali, ecc.
Come ho cercato di dire nel precedente intervento (forse anch'io un po' confusamente) vi è un concetto di "dovere" formalistico, vuoto e dannoso (a cui nessuno di noi, non solo i magistrati, dovrebbe aderire) ed un concetto di dovere inteso in senso sano e sostanziale.
Chiarito che entrambi ci riferivamo al secondo, ti saluto sempre cordialmente.
Avvilito-Inkazzato
Volevo dire qualcosa alla persona anonima che ritiene che il magistrato non debba fare comunicazione, ma parlare con le sentenze, altrimenti meglio sarebbe che fosse eletto dal popolo.
RispondiEliminaNon è una affermazione che condivido perchè, oltre ad essere generica, sfugge a una visione di insieme della Politica e della funzione istituzionale della Magistratura.
In primo luogo io penso che il giudice faccia SEMPRE politica con le sue sentenze.
Fa politica perchè quando interviene a regolare una questione particolare, affermando o negando la validità di un comportamento, compie pur sempre una riflessione rispetto alla norma che la comunità si è data prima dell'insorgenza della lite (nel processo civile) o della formulazione di una imputazione nel processo penale.
Ad esempio se la norma non appare più adeguata o confacente alle esigenze della società, egli solleverà la questione di legittimità costituzionale; allo stesso modo egli compirà una valutazione politica quando interpreterà la norma in senso analogico, oppure in senso riduttivo o estensivo (laddove questa attività sia possibile), sempre guardanto però alle sigenze concrete della collettività.
Ciò posto, è evidente che il magistrato IN QUESTO SPECIFICO CASO deve anche "parlare" con la sentenza perchè questa è la funzione specifica che gli è stata demandata dall'ordinamento.
Ma il MODO di comunicare (attraverso la sentenza) non impedisce che il CONTENUTO della sua comunicazione, della sua attività sia pur sempre intrinsecamente un contenuto politico.
Radicalmente diversa è la situazione in cui il magistrato esprime una propria idea sulla giurisdizione, sui diritti dei cittadini e agisce, quindi, nella qualità di persona esperta del settore, fornendo informazioni utili per la formazione di un giudizio informato dei cittadini.
Ebbene questo non è solo un atteggiamento consentito, ma DOVEROSO.
Non a caso in un cardine dello Stato democratico, l'art. 3 della Costituzione della Repubblica, al comma 2 si stabilisce che "è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese".
La norma, quindi, impone a tutti rappresentanti delle Istituzioni, compresi i magistrati, ogni attività utile di tipo conoscitivo perchè venga colmato un vuoto di conoscenza da parte dei cittadini.
Il Costituente ha fatto una scelta politica a favore dei più deboli, riconosce che essi devono essere aiutati a poter esercitare i propri diritti in modo informato; senza informazione adeguata i diritti dei cittadini rimarrebbero ineseguibili, conculcati a favore di coloro che il diritto alla conoscenza già l'hanno realizzato perchè appartenti a classi sociali elevate oppure perchè hanno disponibilità economiche o altri strumenti di potere.
Un magistrato che NON fosse calato nella realtà sociale, che non ne discuta con i suoi cittadini, sarebbe un magistrato totalmente politicizzato in senso CONSERVATORE; sarebbe un ulteriore custode geloso di una cultura di classe che è il presupposto per l'esercizio del potere da parte solo di alcuni.
Ma è proprio questo sistema che il Costituente ha negato affermando l'opposta idea di un magistrato della Repubblica che, insieme alle altre Istituzioni, rende un servizio di conoscenza ai cittadini, sia nella sua professione che nella quotidianità della vita civile.
In sostanza il Giudice deve essere terzo nel processo, equidistante dalle parti nel dirimere la lite alla stregua delle norme di legge (guardando sempre alla Costituzione e, cioè, optando per quella che si chiama "interpretazione costituzionalmente orientata"), ma non può essere terzo ed equidistante nella società.
Se la massima Legge dello Stato riconosce che vi sono situazioni di sperequazione culturale, economica e politica, anche i magistrati devono concorrere, culturalmente, a realizzare un riequilibrio e una piena realizzazione della personalità umana. Quella personalità poi che sarà il presupposto per esercitare anche scelte di elettorato attivo e passivo con cognizione di causa, da cittadini "sovrani".
Come scriveva don Lorenzo Milani in Lettera a una professoressa "non c'è cosa peggiore che fare parti uguali fra diseguali".
In tutte le civiltà occidentali esiste questa tensione politica che porta la LEGGE (e i giudici) a pretendere da chi ha compiti rappresentativi la massima correttezza e proibità perchè di esempio agli altri.
Il fatto che oggi si vivano tempi bui nei quali queste doti sono rare costituisce solo l'ennesimo sintomo del declino italiano e non il superamento di principi su cui si fondano le società civili.
Francesco Messina
Le norme sono poste dal Legislatore a tutela di valori.
RispondiEliminaI valori, nel tempo, possono mutare d'intensità, restando pur sempre tali per la collettività.
La norma, allora, per il tramite del giudice, dovrà adattarsi a regolare soltanto quei fatti che (ancora) appaiano degni di tutela o di stigmatizzazione.
L'esempio classico al quale i professori ricorrono nelle aule universitarie è quello dell'articolo del codice penale che punisce gli atti osceni (art. 527 c.p.); è di immediata percezione che i fatti offensivi del comune senso del pudore sono oggi molto diversi rispetto a qualche decennio fa. Eppure quella norma è ancora tra noi, per arginare troppo improvvisi superamenti di quel "comune" sentire.
Gentilissimo Dottor Messina,
RispondiEliminaLa sua brillante analisi dimostra ancora una volta com'è esile il confine fra la politica in senso lato e la giustizia.
Poiché presumo Lei conosca bene i fondamenti costituzionali della giurisdizione, non mi soffermerò sugli stessi.
Proverò, invece, a discutere alcuni punti del Suo pregevole intervento.
1) In primo luogo, non credo sia vero che un giudice, statuendo sovra un' "actio finium regundorum", compia un'azione "politica". Egli, semplicemente, compie un atto giurisdizionale, accertando l'esistenza di un diritto soggettivo. Così come quando condanna il debitore a pagare, o come quando, in sede penale, condanna l'imputato alla reclusione o all'arresto. Sono atti dello "ius dicere", formalmente e sostanzialmente giurisdizionali. E' poi vero che il Giudice compie anche, in certi determinati casi, attività sostanzialmente "amministrativa" nella veste del provvedimento giurisdizionale, ma si tratta di fenomeni fisiologici, comuni a tutti gli ordinamenti. Il sollevare la questione incidentale di costituzionalità, da un lato, e dall'altro l'applicazione analogica della norme, in bonam o in malam partem, non sono a loro volta atti "politici" in senso stretto, poiché si tratta sempre di attività giurisdizionali, finalizzate esclusivamente alla soluzione del caso concreto. Se si attribuisse una valenza "politica" all'interpretazione delle norme si darebbe all'interpretazione un significato non suo proprio, giacché l'interpretazione non è, né può essere, elaborazione o creazione di norme in base ad una scelta arbitraria o ristretta solo da esigui limiti, qual è quella del politico. La "politica", intesa come potere legislativo, è l'unica che può intervenire in quest'ultima fase. Se si vuole, al massimo si può attribuire una funzione "creatrice" di norme alle sentenze manipolative e/o additive della Corte Costituzionale ma quest'ultimo è sostanzialmente più organo "politico" che giurisdizionale in senso stretto.
2) E' poi senz'altro vero che un magistrato può formalmente parlare di politica della giurisdizione al di fuori della sua attività. Ma tali forme di comunicazione spesso si scontrano con l'esigenza di mantenere non solo l'effettiva imparzialità del giudice, ma anche l'APPARENZA dell'imparzialità; esigenza che, essendo il giudice un cittadino particolare, che esercita uno dei poteri fondamentali dello Stato, non può esser trascurata.
3) A titolo esemplificativo, già il fatto che Lei citi Don Milani e parli di "atteggiamento conservatore", rimarcando un'accezione negativa di quest'ultimo termine (perché mai ?), può indurre molti a pensare che Lei abbia un occhio di riguardo verso i "progressisti". Non mi fraintenda, non dico che Lei sia prevenuto, ma soltanto che può, astrattamente, ingenerare l'opinione che Lei, dovendo giudicare una causa penale in cui imputato sia un noto "conservatore", non sia del tutto imparziale. E anche se so bene che così non è, il danno sarebbe fatto !
Per questi motivi rimango dell'avviso che ognuno ha la sua funzione e che se un avvocato, un medico, un ingegnere, un impiegato, un operaio o un disoccupato può legittimamente parlare di politica, un magistrato debba, in mancanza di norme esplicite, usare quantomeno una certa prudenza nel manifestare pubblicamente, anche in forma "larvata", le proprie personali opinioni politiche.
Meglio sarebbe, addirittura, che non le manifestasse affatto, se non nel segreto dell'urna.
Perché l'art. 3/II Cost. è una norma di principio, di politica legislativa, e NON è diretta, come Lei sostiene, a "tutti" i rappresentanti delle "istituzioni", ma ai rappresentanti politici della Repubblica, in particolar modo al potere legislativo, dando per scontato che compito del magistrato sia quello di applicare la legge, non di criticarla, disapplicarla o interpretarla oltre i limiti del lecito.
Il magistrato può ancora oggi, come dicevo, intervenire e criticare le leggi come ogni altro cittadino. Del resto, esiste anche la funzione consultiva del C.S.M.
Ma essendo questo cittadino anche un magistrato, deve stare attento, rispetto agli altri cittadini, a non generare sospetti d'imparzialità, anche se questi si rivelassero, poi, concretamente infondati.
Cordiali saluti.
Gentile Anonimo, La ringrazio della Sua attenzione, ma non condivido le sue idee e provo a confutarle.
RispondiEliminaA) Come ho scritto in un altro topic, se ragionassimo in modo diverso, intendendo il ruolo del giudice come puramente "apolitico", oggi non troveremmo riconosciuti alcuni diritti che hanno una precisa origine giurisprudenziale.
Mi riferisco al diritto alla salute tutelato in via primaria attraverso una reinterpretazione dei giudici del 2043 c.c. alla luce dell'art. 32 della Costituzione; al diritto alla riservatezza, alla tutela dei contraente debole, alla tutela del consumatore, alla previsione di un adempimento "qualificato" in sede di responsabilità contrattuale (pensi alle prime, coraggiose sentenze civili sulla responsabilità professionale, come nel caso delle banche dopo l'alluvione di Firenze o a quelle sulla "fideiussione omnibus"), alla tutela dei lavoratori, alla tutela dell'ambiente come diritto dei singoli cittadini etc.
I giudici che negli anni 60 e 70 innovarono queste tematiche furono considerati "eretici" rispetto al pensiero consolidato dell'epoca per il quale questi diritti non necessitavano della tutela che poi è stata loro riconosciuta prima costantemente a livello giurisdizionale e poi legislativo.
Ma vi è di più.
Lo "ius dicere" a cui Lei accenna non è attività connotata da automatismi, ma da una valutazione ponderata della realtà che il giudice esamina.
Per fare un esempio la concessione delle attenuanti o il calcolo della pena che vanno argomentati rigorosamente nella motivazione del giudice, non sono altro che una dimostrazione del continuo adeguamento di ciò che avviene nella concretezza delle relazioni umane (la "politica" nell'accezione aristotelica del termine) alla norma astratta.
E' evidente che non sto usando il termine "politica", rapportandolo all'atto "politico" di indirizzo governativo o di scelta legislativa.
Mi riferisco -e lo ho più volte specificato nel post precedente- alla politica come diretta esplicazione della personalità umana.
Senza questa capacità/attitudine "politica" le scelte del popolo sono scelte cieche o, peggio, eterodirette.
Il popolo è sovrano, certo.
Ma la Storia (e non io) insegna che ci possono essere sovrani illuminati, attenti alle esigenze della ragione e del consenso; oppure sovrani autoritari, che pensano di vincere resistenze e dissensi solo con l’uso della forza istituzionale e delle proprie prerogative; oppure ancora si può essere anche sovrani ciechi e farsi abbindolare.
Al centro della nostra discussione vi è, quindi, il concetto di "politica" e il valore semantico che vogliamo dare al termine.
A me NON interessa quello riduttivo che riporta la parola politica solo a scelte, pratiche od opzioni partiche.
E ho cercato di spiegarlo.
b) L'apparire del giudice.
Premetto che la necessità dell'apparire in genere, anche per il mio credo religioso, mi ha sempre inquietato perchè, solitamente, l'ansia di apparire comprime la sostanza del proprio agire e la sua correttezza intrinseca.
Ma non sfuggo alla questione pratica che Lei vuole porre.
Io semplicemente dico che il ruolo del giudice deve essere improntato alla massima chiarezza verso gli altri e al massimo rispetto verso la propria coscienza.
Non mi deve importare affatto se la mia attività possa "apparire" di parte nel momento in cui seguo i precetti costituzionali.
Sono assolutamente convinto che il giudice è un cittadino "particolare" perchè su di lui si riversano molte aspettative dei cittadini.
D'altra parte è proprio per questo che io spesso rimango sconcertato per le scompostezze verbali di altri rappresentanti delle Istituzioni verso le quali noto una attenzione di gran lunga minore da parte degli intellettuali e dell'opinione pubblica in generale.
La mia garanzia di indipendenza e di terzietà l'ho espressa nel precedente post: massima preparazione scientifica, massimo impegno nello studio dei processi, massima attenzione alle vicende umane che in essi sono rappresentate.
Penso che sia quello che da me si attenda un cittadino onesto e in buona fede, al quale non interessa sapere per chi voto, ma che osservi e pratichi quei presupposti che prima ho indicato.
c) La Conservazione.
Ho avuto nella mia adolescenza un professore di italiano, straordinario cultore di Dante, di idee massimamente conservatrici e al quale sono rimasto molto legato anche sotto il profilo umano.
In gioventù scelse per la Repubblica di Salò.
Anche lui mi ha dato qualcosa che non rinnego affatto.
Solo che, che lo si voglia o no, la nostra Carta Costituzionale è profondamente anticonservatrice.
E' così. Punto.
E' stata scritta a più mani, ma da Uomini che vedevano nella emancipazione dell'individuo, nel suo riscatto sociale, nella sua acculturazione e presa di coscienza dei diritti il significato più profondo e vero della lotta di Resistenza.
Io seguo quella LEGGE e quel sentimento a cui riconosco il valore testamentario di milioni di morti (come scrisse Calamandrei) e al cui sacrificio non verrà mai meno.
Non sarò affatto "prevenuto", come scrive Lei; sarò solo consapevole di ciò che è scritto nell'art. 3 della Costituzione e darò sempre attuazione a quei principi.
Se ci fosse un cambiamento dello Stato e della sua Costituzione con mutamento di questi principi, non farei più il giudice.
Esattamente come molti colleghi e professori universitari non si piegarono al fascismo.
d) Sul comma 2 della Costituzione e sulla interpretazione che io ne ho data ci sono circa 40 anni di studi interdisciplinari che affermano il valore ampio della norma.
Non posso citarli tutti in questa sede. Mi scuserà..:-)
e) In ogni caso sia sicuro che la cautela che si impone a un magistrato la considero non una costrizione, ma un vantaggio per poter ben pensare e valutare; è il contrario delle posizione affrettate, scomposte, sciatte che spesso hanno riguardato altre Istituzioni.
E di questi vantaggi sono geloso..:-)
Ma, ecco, non sarò mai prudente quando questo atteggiamento potrà rischiare di essere interpretato come chiusura corporativa, come opportuna autotutela, come offesa alla verità, come distanza dai più deboli.
Se sono giudice è perchè mentre io studiavo sui libri, altri deboli -che non potevano farlo- lavoravano al posto mio per mandare avanti la società in ruoli strettamente operativi, fisicamente e umanamente disagevoli, non intellettuali.
Se non ci fossero state quelle persone sarebbe toccato a me svolgere quei compiti.
Verso quelle persone, quindi, non potrò che avere una riconoscenza praticata stando loro vicino con la cultura, l'insegnamento e l'esempio.
Francesco Messina
Capita raramente, caro Dottor Messina, di poter scrivere su internet di siffatti argomenti, e con così validi interlocutori !
RispondiEliminaMi scuserà, pertanto, se approfitto dell'occasione, più unica che rara, per una breve replica:
A) Gli orientamenti giurisprudenziali sono mutevoli per loro natura, ma non per questo sono atti "politici". Tuttavia, per non ridurre il tutto a una mera questione terminologica, devo dire che nel senso da Lei ora accennato condivido l'azione di quei giudici che hanno innovato la giurisprudenza. Ricordando, tuttavia, che ciò è' fisiologico, non costituendo affatto alcun "détournement de pouvoir". E, soprattutto, che non si tratta di atti "politici".
B) Da bambino mi hanno insegnato a non giustificarmi adducendo le scorrettezze altrui, ma di pensare soltanto alle mie. Pertanto, se Lei ha perfettamente ragione quando lamenta l'attacco di alcuni politici alla magistratura, non per questo bisogna cadere nella "trappola" di chi vuol solo trovare il pretesto per incidere sull'autonomia e sull'indipendenza dei giudici, replicando ai politici nei loro stessi termini, o quasi. L'indifferenza, recita un proverbio sardo, è il miglior disprezzo !
C) Sull' "idolatria" che alcuni hanno nei confronti della Carta costituzionale ho già scritto altrove. Non di questo vorrei parlare, ma soltanto ricordare chi ha scritto la Carta e in quali condizioni. Nel senso che una Costituzione, volenti o nolenti, l'avremmo dovuta adottare in ogni caso, essendo noi una nazione sì "liberata", ma soprattutto sconfitta (pesantemente: resa incondizionata) e assegnata, sin da Yalta, alla sfera di influenza occidentale. In questo senso, mutatis mutandis, la Costituzione è quasi come quei contratti che venivano, e in molti casi sono tuttora, imposti al consumatore: o mangi la minestra, o salti la finestra ! L'immagine, mi rendo conto, non è delle migliori. Forse è ancora troppo presto per parlarne. Ma è un dato di fatto, incontestabile, che alla redazione della Carta hanno partecipato molti soggetti all'epoca "al soldo" di potenze nemiche all'Italia e all'Occidente. Ne è venuto fuori quell'ibrido tra pensiero marxista-leninista-stalinista "classico", cattolico e liberale che è ancora, con qualche mutamento, la nostra Costituzione. Che in quanto Legge fondamentale debbo rispettare, anche perché non è poi un brutto ibrido, anzi, nell'ambito delle Costituzioni è una delle migliori. Ma che non si può certo, a priori, definire "anticonservatrice" nel senso da Lei descritto, se non in relazione allo Statuto albertino e, peggio ancora, agli istituti del regime fascista. Forse Lei assisterà con me ad un suo ulteriore rinnovamento, come sempre accade con i prodotti umani in generale e legislativi in particolare. E' un difetto tipico di noi giuristi continentali quello di "compilare" e "cristallizzare", come Triboniano. Dimenticando che il diritto romano classico era un diritto assai simile a quello della "common law", quello sì di creazione giurisprudenziale e in continuo, ed esplicito, divenire !
D) Ve ne sono quasi altrettanti che ne affermano il valore che avevo poc'anzi espresso, non per questo più limitante, anzi.
E) In quest'ultima considerazione sono perfettamente d'accordo con Lei.
Cordiali saluti.
Gentile Anonimo (immagino sardo), La ringrazio per le sue parole e Le confermo che anche io ho trovato molto interessante questa nostra discussione.
RispondiEliminaSolo sul punto b) voglio fare un ulteriore piccola considerazione.
Certamente l'indifferenza, come Lei dice, è il miglior disprezzo.
Ma, in fin dei conti, non è anche questa una reazione elitaria e autoreferenziale?
Nelle offese alla Magistratura c'è un destinatario evidente (la Magistratura, appunto) e un destinatario meno percepibile nell'immediato, ma non per questo non colpito.
Mi riferisco al depotenziamento del controllo sociale, all'ostacolo per giungere a giudizio consapevole sulla realtà delle cose, al potere dei c.d. "senza potere" nel cui nome vengono emesse le sentenze (In Nome del Popolo Italiano, appunto).
Per cui, pur facendo tesoro del proverbio sardo per quella che è la necessaria tutela personale, cerco di ricordare sempre l'insegnamento del Profeta
Ezechiele (33, 5-9) che le trascrivo:
"5 Egli ha udito il suono della tromba, ma non ha fatto caso all'avvertimento, il suo sangue sarà su di lui. Chi invece ha fatto caso all'avvertimento salverà la sua vita
6 Ma se la sentinella vede la spada venire e non suona la tromba per avvertire il popolo, e la spada viene e porta via qualcuno di loro, questi sarà portato via per la propria iniquità, ma del suo sangue chiederò conto alla sentinella.
7 Così, o figlio d'uomo, io ti ho stabilito sentinella per la casa d'Israele; perciò ascolta la parola dalla mia bocca e avvertili da parte mia.
8 Quando dico all'empio: "Empio, tu morirai sicuramente" e tu non parli per avvertire l'empio che si allontani dalla sua via, quell'empio morirà per la sua iniquità, ma del suo sangue chiederò conto alla tua mano.
9 Se però tu avverti l'empio che si allontani dalla sua via ed egli non si allontana dalla sua via, egli morirà per la sua iniquità, ma tu salverai la tua anima".
Ognuno di noi ha compiti di "sentinella" per le proprie potenzialità e nella situazione data.
Francesco Messina
L'analisi di Fantacchiotti coincide ampiamente con quella che da tempo anche io vado conducendo.
RispondiEliminaLa conclusione è praticamente la stessa: di questo passo, si va verso un indebolimento della magistratura, con prezzi che saranno pagati dai cittadini.