di Giuseppe D’Avanzo
(Giornalista)
da Repubblica.it del 4 luglio 2008
Il regime di Berlusconi è ipnotico.
Combina l’agenda del governo come se fosse un palinsesto televisivo. Da giorni, come una giacca al chiodo, il Paese è appeso a un dilemma: che cosa dice Berlusconi nelle conversazioni privatissime registrate dalla procura di Napoli? Le sue parole sono davvero così viziose da metterlo nei guai? Addirittura da costringerlo alle dimissioni? È vero che, in un documento acustico, spiega a Fedele Confalonieri le ragioni postribolari dell’ingresso di qualche ministra nel governo (gli uomini di Di Pietro arrivano a chiederlo in pubblico)?
La politica di Palazzo Chigi è soprattutto arma psicologica.
Le necessità e le urgenze nascono, come nella performance di un illusionista, in un mondo di immagini, umori, riflessi mentali, paure, odio del tutto artefatti come le emozioni dinanzi alla visione di un film.
Il metodo dovrebbe essere ormai familiare. Qualcuno grida qualcosa, lo grida di nuovo e ancora più forte finché non diventa un mezzo fatto, un quasi fatto.
Ecco allora che cosa strilla un’aquila del Partito della libertà (Boniver): “Quelle intercettazioni private. Eccome se ci sono. E dentro c’è di tutto e di più. Le ha in mano un magistrato. Bisognerà solo capire come e quando verranno fuori”.
Le fa eco un’altra voce femminile del partito blu (Santelli): “Una parte della magistratura ha perso ogni pudore nell’utilizzo delle intercettazioni e ora ha la tentazione di usarle come arma finale nella guerra politica del governo”.
Dunque le cose stanno così, strepitano i corifei mossi dal sovrano: i magistrati spiano Berlusconi; ne registrano le conversazioni; ne raccolgono flussi verbali privatissimi e licenziosi, pronti a farne una mazzuola per ferirlo a morte.
È necessario un provvedimento con immediata forza di legge che impedisca le intercettazioni della magistratura; che punisca con la galera i giornalisti che le pubblicano, che mandi in rovina gli editori. Giorgio Napolitano dovrà ricredersi e riconoscere, come non ha voluto fare finora, l’urgenza di quel decreto: ricattano il capo del governo, accidenti.
Nel tableau di cartapesta, la memoria deperisce, i fatti si confondono.
Nessuno si chiede se siano “fatti” o “quasi fatti”, se abbiano appena un palmo di attendibilità. Il fasullo appare più vero del vero, nel regime ipnotico del mago di Arcore. Il fumo è più concreto dell’arrosto.
Nel bailamme, non si ode la domanda più ragionevole e pratica: esiste a Napoli un’intercettazione telefonica tra Berlusconi e Confalonieri?
Posta la domanda, si può scoprire che neppure può esistere quella telefonata a Napoli perché, nel rispetto della legge, Berlusconi non è stato mai intercettato direttamente e Confalonieri, nell’affare Saccà, è una comparsa del tutto marginale (e quindi mai sottoposto ad “ascolti” diretti).
Non a Napoli, ma a Milano andrebbero cercate le conversazioni tra il presidente di Mediaset e il mago di Arcore.
A Milano, nei faldoni elettronici dell’inchiesta sul fallimento di Hdc, la società di Luigi Crespi, sondaggista e fortunato inventore del “contratto con gli italiani”. In quei file-audio, c’è un colloquio alquanto simile a quello che, soltanto immaginato, ingrassato dalla malafede o dall’ingenuità, ammattisce istericamente i Palazzi di Roma e ingolosisce le redazioni. “Silvio” e “Fedele” si intrattengono sulle virtù di una giovane signora planata dallo spettacolo nella politica.
Ma nessuno, fortunatamente, potrà più ascoltare le loro parole.
La registrazione è stata mandata al macero, il 13 giugno, per decisione del giudice delle indagini preliminari Marina Zelante: la telefonata era irrilevante per il processo.
Il capo del governo, come gli avrà spiegato senza dubbio il suo avvocato-senatore-consigliere Niccolò Ghedini, può stare tranquillo: non ne esistono copie perché il software utilizzato dalla ditta milanese che lavora, in appalto, per la procura di Milano impedisce che i file-audio possano essere copiati senza lasciarne traccia elettronica.
Serenità, il presidente del Consiglio, dovrebbe ricavare anche da quel che presto accadrà a Napoli.
Nei prossimi giorni saranno distrutte le conversazioni di Berlusconi irrilevanti per il processo, come Ghedini sa e maliziosamente, malignamente non dice (anche se parla tanto e quotidianamente).
Sono conversazioni malinconiche, a quanto pare. Il mago si protegge da ogni tentazione giovanile e pressing femminile. Appare consapevole, con qualche nostalgia, dell’ingiuria che il tempo infligge all’energia. Le soubrette ne parlano tra di loro, deluse.
Ricapitoliamo.
In due inchieste – a Milano, per il fallimento di una società di sondaggi legata a Mediaset; a Napoli, per i traffici di Agostino Saccà – affiora la voce di Berlusconi.
Gli investigatori la raccolgono e catalogano.
In alcuni casi, è utile a ricostruire i fatti. In altri, è inservibile perché parla d’altro.
Nel primo caso, in contraddittorio con la difesa, dinanzi a un giudice terzo, il pubblico ministero domanda che sia chiesto al Parlamento l’utilizzo della memoria acustica.
Nel secondo, alla presenza degli avvocati della difesa e dinanzi a un giudice che decide, l’accusatore chiede che quei documenti sonori siano distrutti, come prevede la legge.
La procedura è lineare (1).
Protegge gli interessi di tutti gli attori. Permette l’efficacia dell’accertamento dei fatti (che cosa è accaduto e per responsabilità di chi?). Tutela la privacy degli indagati e di chi è coinvolto nell’inchiesta, malgré lui.
Se ne potrebbe dedurre che il sistema, nonostante riforme sgorbio, traffici legislativi, procedure sovraccariche, ha coerenza, appare adeguato e regolato da una magistratura equilibrata.
Vediamo al contrario, che cosa accade nel regime ipnotico.
Con un tramescolio di carte, notizie storte affidate a fedeli e famigli, veleni insufflati in un circo mediatico disposto a enfatizzare e credere, senza raziocinio, a qualsiasi intrigo, paradosso, salto logico, lavorando come fosse un’utile leva anche la sprovvedutezza degli avversari, il mago di Arcore confonde la scena.
Anzi, la modella a mano con la sua “macchina fascinatoria”.
Mi spiano illegalmente, geme. Vogliono ricattarmi con intercettazioni private, raccolte illegalmente e abusivamente consegnate alla redazioni.
L’anatema gli consente di non discutere delle accuse che gli sono mosse.
Imperversa, allora, come ossessionato da se stesso e dai suoi fantasmi.
Protesta, deplora, minaccia incursioni televisive o requisitorie parlamentari.
La pantomina, che si è affatturato con la complicità del suo avvocato-consigliere, lo autorizza a chiedere alle Camere genuflesse una nuova legge cucita per la sua silhouette.
Si sente abilitato a pretendere dal capo dello Stato di riconoscere l’urgenza costituzionale di un decreto legge che di necessario ha soltanto la sua personale ansia di impunità.
Berlusconi, a quanto pare, avrebbe voluto già oggi un provvedimento che vieta, pena la galera per il giornalista e la disgrazia dell’editore, la pubblicazione delle intercettazioni.
Non l’avrà, almeno per oggi.
Il gran rumore di queste ore se l’è procurato da solo.
Che buona medicina sono i fatti.
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(1) A questo link abbiamo riportato la disciplina vigente delle intercettazioni.
Ma noi cittadini italiani non siamo le comparse della sua telenovela.
RispondiEliminaAlessandra
Forse lo sei di un'altra, che tu te ne renda conto oppure no.
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