di Gustavo Zagrebelsky
(Professore di Diritto Costituzionale, ex Presidente della Corte Costituzionale)
da Repubblica.it del 9 febbraio 2009
Viviamo un momento politico-costituzionale certamente particolare. Questo non è in discussione, sia presso i fautori, sia presso i detrattori del regime attuale.
Non sarà fuori luogo precisare che, in questo contesto, la parola regime vale semplicemente a dire – secondo il significato neutro per cui si parla di regime liberale, democratico, autoritario, parlamentare, presidenziale, eccetera – “modo di reggimento politico” e non ha alcun significato valutativo, come ha invece quando ci si chiede, con intenti denigratori espliciti o impliciti, se in Italia c’è “il regime”.
Ma che tipo di regime? Questa è la domanda davvero interessante.
Alla certezza – viviamo in “un” regime che ha suoi caratteri particolari – non si accompagna però una definizione che dia risposta a quella domanda.
Sfugge il carattere fondamentale, il “principio” o (secondo l’immagine di Montesquieu) il ressort, molla o energia spirituale che lo fa vivere secondo la sua essenza.
Un concetto semplice, una definizione illuminante, una parola penetrante, sarebbero invece importanti per afferrarne l’intima natura e per prendere posizione.
Le definizioni, per la verità, non mancano, spesso fantasiose e suggestive. Anzi sovrabbondano, a dimostrazione che, forse, nessuna arriva al nocciolo, ma tutte gli girano intorno: autocrazia; signoria moderna; egoarchia; governo padronale o aziendale; dominio mediatico; grande seduzione; regime dell’unto del Signore; populismo o unzione del popolo; videocrazia; plutocrazia, governo demoscopico. Si potrebbe andare avanti.
Si noterà che queste espressioni, a parte genericità ed esagerazioni, colgono (se li colgono) aspetti parziali e, soprattutto, sono legate a caratteri e proprietà personali di chi il regime attuale ha incarnato e tuttora incarna.
Ed è una visione riduttiva, come se si trattasse soltanto di un affare di persone; come se, cambiando le persone, potesse cambiare d’un tratto e del tutto la trama della politica.
Invece, prassi, mentalità e costumi nuovi si sono introdotti partendo da lontano; sistemi di potere e metodi di governo sono stati istituiti.
Un regime non nasce di colpo, va consolidandosi e forse andrà lontano.
È un’illusione pensare che ciò che è stato ed è possa poi passare senza lasciare l’orma del suo piede.
La questione che ci interroga è quella di cogliere con un concetto essenziale, comprensivo ed esplicativo di ciò che di oggettivo è venuto a stabilizzarsi e a sedimentare nella vita pubblica e che opera e opererà in noi, attorno a noi e, forse, contro di noi.
Se, parlando di regime oggi, è inevitabile che il pensiero corra a ciò che si denomina genericamente “berlusconismo”, dobbiamo tenere presente che qui non si tratta di vizi o virtù personali ma di una concezione generale del potere che si irraggia più in là.
Colpisce che tutti i tentativi per arrivare a cogliere un’essenza – giusti o sbagliati che siano – si fermino comunque ai mezzi: denaro, televisione, blandizie e minacce, corruzione, seduzione, confusione del pubblico nel privato e viceversa, impunità, sondaggi, eccetera.
Ma tutto ciò in vista di quale fine?
Proprio il fine dovrebbe essere ciò che qualifica l’essenza di un regime politico, ciò che gli dà senso e ne rende comprensibile la natura.
Se non c’è un fine, è puro potere, potere per il potere, tautologia.
Ma qui il fine, distinto dai mezzi, è introvabile.
A meno di credere a parole d’ordine tanto generiche da non significare nulla o da poter significare qualunque cosa – libertà, identità nazionale, difesa dell’Occidente, innovazione, sviluppo, o altre cose di questo genere – il fine non si vede affatto, forse perché non c’è.
O, più precisamente, il fine c’è ma coincide con i mezzi: è proteggere e potenziare i mezzi.
Una constatazione davvero sbalorditiva: un’aberrazione contro-natura, una volta che la politica sia intesa come rapporto tra mezzi e fini, rapporto necessario affinché il governo delle società sia dotato di senso e il potere e la sua pretesa d’essere riconosciuto come legittimo possano giustificarsi su qualcosa di diverso dallo stesso puro potere.
A parte forse l’autore della massima “il potere logora chi non ce l’ha”, nessuno, nemmeno il Principe machiavelliano, ha mai attribuito al potere un valore in sé e per sé stesso.
“Il fine giustifica i mezzi” è uno dei motti del machiavellismo politico; ma che succede se “i mezzi giustificano i mezzi”?
È la crisi della ragion politica, o della politica tout court.
È il trionfo della “ragione strumentale” nella politica.
Siamo di fronte a qualcosa di incomprensibile, inafferrabile, incontrollabile, qualcosa all’occorrenza capace di tutto, come in effetti vediamo accadere sotto i nostri occhi: un giorno dialogo, un altro scomuniche; un giorno benevolenza, un altro minacce; un giorno legalità, un altro illegalità; ciò che è detto un giorno è contraddetto il giorno dopo.
La coerenza non riguarda i fini ma i mezzi, cioè i mezzi come fini: si tratta di operare, non importa come e con quale coerenza, allo scopo di incrementare risorse, influenza, consenso.
Il politico adatto a questa corruzione della vita pubblica è l’uomo senza passato e senza radici, che sa spiegare le vele al vento del momento; oppure l’uomo che crede di avere un passato da dimenticare, anzi da rinnegare, per presentarsi anch’egli come uomo nuovo.
È colui che proclama la fine delle distinzioni che obbligherebbero a stare o di qua o di là.
Così, si può fingere di essere contemporaneamente di destra e di sinistra o di stare in un “centro” senza contorni; si può avere un’idea, ma anche un’altra contraria; ci si può presentare come imprenditori e operai; si può essere atei o agnostici ma dire che, comunque, “si è alla ricerca”; si può dare esempio pubblico della più ampia libertà nei rapporti sessuali e farsi paladini della famiglia fondata sul santo matrimonio; si può essere amico del nemico del proprio amico, eccetera, eccetera.
Insomma: il “politico” di successo, in questo regime, è il profittatore, è l’uomo “di circostanza” in ogni senso dell’espressione, è colui che “crede” in tutto e nel suo contrario.
Questo tipo di politico conosce un solo criterio di legittimità del suo potere, lo stare a galla ed espandere la sua influenza.
Il suo fallimento non sta nella mancata realizzazione di un qualche progetto politico.
Se egli vive di potere che cresce, anche una piccola battuta d’arresto può essere l’inizio della sua fine. Non sarà più creduto.
Per questo ogni indecisione, obbiettivo mancato o fallimento deve essere nascosto o mascherato e propagandato come un successo.
La corruzione e la mistificazione della dura realtà dei fatti e della loro verità è nell’essenza di questo regime.
Il rapporto col mondo esterno corre il rischio di essere “disturbato”.
L’uomo di potere, di questo tipo di potere, non vede di fronte a sé alcuna natura esterna, poiché diventa ai suoi occhi egli stesso natura (naturalmente, lo si sarà compreso, si sta parlando di “tipo ideale”, cioè di un modello che, nella sua perfezione, esiste solo in teoria).
Abbiamo iniziato queste considerazioni col proposito di cercare una definizione che, in una parola, condensi tutto questo.
L’abbiamo trovata? Forse sì.
Non ci voleva tanto: nichilismo, inteso come trasformazione dei fatti e delle idee in nulla, scetticismo circa tutto ciò che supera l’ambito (sia esso pure un ambito smisurato) del proprio interesse.
Chi conosce la storia di questo concetto sa di quale veleno, potenzialmente totalitario, esso abbia mostrato d’essere intriso.
Ciò che, invece, si fa fatica a comprendere è come chi tuona tutti i giorni contro il famigerato “relativismo” non abbia nessun ritegno, addirittura, a tendergli la mano.
Chi gli tiene la mano, fa il Proprio interesse Professore!
RispondiEliminaTra gli indegni che hanno permesso quest'italia anche gran parte dei suoi colleghi!
Salvo alcune specie di funghi che possiamo definire assassini, i funghi in generale attaccano il legno in via di putrefazione.
RispondiEliminaL'attuale regime non ha scoperto il principio dell'indifferenziazione dello stare "di quà o di là"; ma questo principio lo ha trovato nelle nostre élites e lo ha fatto proprio portandolo alle sue estreme conseguenze. Non siamo in presenza di uno stravolgimento, ma di una evoluzione "naturale" che nel regime attuale trova la sua completa realizzazione.
gerontocrazia....eccolo il termine....spartire la torta fra voi vecchi e fare stare male i giovani facendoli lavorare per voi..ma attenzione...sempre piu giovani nn si accontentano piu solo del milan e dell alfa romeo....fate attenzione!!
RispondiEliminaE' la seconda volta che il Governo interviene su sentenze passate in giudicato: l'ultima con quella abnormità giuridica che va sotto il nome di "decreto Eluana".
RispondiEliminaSe la Magistratura non si da una bella scrollata andrà a finire che le porteranno via pura la toga (la bilancia pare sia da verificare)mentre i vari Cascini et similia disquisiscono allegramente sul sesso degli angeli; e ciò che è peggio è che d'ora innanzi molti si sentiranno legittimati a farsi giustizia da soli.
Il professore, come sempre, ha colto in pieno, individuando nel nichilismo - in questo "ospite inquietante" - la causa prima della crisi.
RispondiEliminaIl cittadino vive il disagio della modernità e vive il suo futuro come minaccia. Nella sua vita manca un orizzonte di senso.
I grandi filosofi come Nietzsche ed Heidegger avevano visto giusto: la morte di Dio; la fine della filosofia...
Quelle che erano le grandi domande, le grandi inquietudini di questi filosofi sono le nostre domande, le nostre inquietudini.
L'uomo viene lasciato a se stesso (novello Prometeo). Da solo contro la potenza della tecnica. Immerso in un eterno presente; affogato in un'orgia consumistica.
Così scrive Umberto Galimberti in riferimento alla tecnica: "siccome il suo funzionamento diventa planetario, finiscono sullo sfondo, incerti nei loro contorni corrosi dal nichilismo i concetti di individuo, identità, libertà, salvezza, verità, senso, scopo, ma anche quelli di natura, etica, politica religione, storia, di cui si era nutrita l'età pre-tecnologica e che ora, nell'età della tecnica, dovranno essere riconsiderati, dismessi, o rifondati dalle radici."
I problemi vengono da lontano ma hanno trovato nel berlusconismo il loro brodo di cultura.
Non vi è alcuna intenzione di risolverli. Anzi! Gli attacchi al principio della uguaglianza e della solidarietà ( le ultime leggi vergogna e gli ultimi scontri Istituzionali) alimentano la malattia invece di curarla.
Le risposte si trovano nella nostra Carta: solidarietà, confronto, dialogo, rispetto...
Ecco che è possibile trovare un orizzonte di senso comune: Difendere i principi e i valori della Costituzione.
L'intervento di Gustavo Zagrebelsky ha causato al mio interno un turbinìo di nozioni e concetti studiati a suo tempo e dibattuti in questo oscuro tempo che avanza "nichilisticamente" come il "nulla" del romanzo(e film) fantastico "La storia infinita" scritto nel 1979 dal tedesco Michael Ende.
RispondiEliminaA tale impeccabile analisi aggiungo soltanto una considerazione di Norberto Bobbio del 1964, letta per caso e che risulta attualissima con riferimento alle continue e minacciose azioni dei rappresentanti del purtroppo "nostro" Governo:
"La nostra democrazia è minata. E i nostri rappresentanti mi fanno l'effetto di minatori incoscienti che si mettono a fumare sigarette in una miniera piena di grisou."
(N.Bobbio,lettera a Tamburrano,1964)
Non basta elevare "agli altari" una Carta, sia pur illustre, per rimediare al nichilismo, dopo oltre cinquant'anni di propaganda relativista.
RispondiEliminaIl diritto è uno strumento: prima vengono i valori morali. Se questi mancano, o se tutti sono equiparati, annullandosi a vicenda, il diritto si adeguerà alla loro assenza.
Scusate l'OT.
RispondiEliminaHo seguito la diretta della seduta al senato.
Ho fatto la cronaca in tempo reale online.
Ho saputo della morte di Eluana e l'ho divulgata.
Ho pensato che Dio ha avuto per lei quella pietà che i suoi rappresentanti sulla terra non avevano. E se l'é portata via prima di quello che si poteva immaginare. Prima che potessero violentarla ancora.
Un pensiero a lei, finalmente libera, finalmente tra quelle braccia pietose.
Un pensiero al nostro povero Paese. Nelle mani impietose di quelli che decidono di salvarci contro la nostra volontà.
Ho letto il disegno di legge, quello completo.
Si dice che la vita e la salute non sono un diritto individuale ma un interesse della collettività.
La collettività decide della mia vita.
Non siamo più in una democrazia.
E la nostra Costituzione é dilaniata.
Stiamo vicini vicini.
Vi abbraccio tutti. Fortissimiamente.
Con altrettanto calore, io abbraccio te Nanni
RispondiEliminaCon affetto
Silvio
"Il diritto è uno strumento..." ma ha anche una sua funzione pedagogica.
RispondiEliminaPensiamo solo all'ultima legge vergogna sulla "delazione dei medici": è o non è una legge razzista? E' o non è una legge che fomenta odio?
Il riferimento alla Carta è un punto di partenza. Spetta, poi, alla Politica, dare seguito a quei principi.
E' certo che ogni cittadino deve fare la sua parte e non relegare tutto agli altri: democrazia è soprattutto responsabilità.
La politica ha distrutto la scuola che non provvede ad educare; non ha investito sulla formazione dei professori.
Grande è anche la responsabilità delle famiglie: genitori che non dialogano più con i figli...
(Per fortuna che nella scuola e nelle famiglie vi sono non rare eccezioni).
Lo so il discorso è complesso; ma un punto di partenza bisogna trovarlo.
"Se egli vive di potere che cresce, anche una piccola battuta d'arresto può essere l'inizio della sua fine.Non sarà più creduto.
RispondiEliminaPer questo ogni indecisione, obbiettivo mancato o fallimento deve essere nascosto o mascherato e propagandato come un successo"
Questo concetto va incorniciato.
Imparato a memoria.
E pensare che basterebbe l'innocenza di un bambino per gridare "Ma questo re è nudo!"
Alessandra
Roma, 17:48
RispondiEliminaROMANIA:ACCUSA ITALIA, IN GOVERNO INCITAZIONI A XENOFOBIA
Nuove accuse del governo romeno all'Italia: il ministro degli Esteri, Cristian Diaconescu, ha denunciato come "assolutamente deplorevole" l'atteggiamento di "alcuni rappresentati del governo italiano" che, "attraverso una retorica estremamente aggressiva sino alla provocazione, in pratica incitano alla xenofobia". "Voglio dire molto chiaramente che questo comportamento non e' europeo", ha affermato Diaconescu alla radio 'Romania Actualitati'.