La sortita del Ministro Maroni, secondo cui le norme contro l'immigrazione clandestina - che a lui appaiono chiarissime - andrebbero “applicate” e non “interpretate”, ha determinato reazioni di segno opposto al CSM.
Da un lato, infatti, su iniziativa del consigliere laico Anedda, è stato dato il via ad una pratica volta a verificare se i magistrati, che hanno sollevato dubbi e perplessità sulla nuova normativa in materia di immigrazione rallentandone l'operatività, siano venuti meno ai loro doveri professionali.
Dall'altro lato, però, su iniziativa del consigliere togato Pepino, è stata chiesta l'apertura di una “pratica a tutela” proprio di quegli stessi magistrati, evidentemente muovendo dall'assunto che nessuna violazione di doveri si sia verificata e che l'intervento del Ministro leda l'autonomia della giurisdizione.
La querelle - nel merito della quale non vale neppure la pena addentrarsi visto che le affermazioni del Ministro, se prese sul serio, condurrebbero all'abolizione della magistratura vista la capacità auto-applicativa delle norme – offre lo spunto per alcune riflessioni sui troppi ruoli assunti dal CSM, spesso tra loro in conflitto.
Quando un attore esonda dalla “parte” che il regista gli ha assegnato e pretende di interpretare più ruoli, ogni trama rischia di trasformarsi in farsa, quando non in tragedia.
E' allora opportuno ricordare i tratti essenziali della “sceneggiatura”.
Il CSM, per dettato costituzionale, deve occuparsi dei provvedimenti disciplinari contro i magistrati.
L'azione disciplinare è promossa dal Ministro della Giustizia e non può essere avviata d'ufficio dal CSM che invece deve esserne giudice “terzo”, in base alla legge.
Per lo stesso motivo il giudice (CSM) non può - senza intaccare le prerogative ministeriali e svilire la propria credibilità - pronunciarsi preventivamente su un fatto, escludendone la rilevanza disciplinare.
Cosicché si registrano almeno due anomalie.
E' criticabile che il CSM apra un procedimento per rintracciare violazioni nell'operato di quei magistrati che, dubitando della legittimità costituzionale e della compatibilità con le fonti sovra-nazionali, intendono sottoporre a verifica la nuova normativa sull'immigrazione perché così operando il CSM espropria il Ministro e la Procura Generale della Cassazione dei propri ruoli, comportandosi come un accusatore-inquisitore e quindi minando le qualità di “giudice terzo” che la Costituzione e la legge gli assegnano.
Allo stesso modo, l'avvio di una “pratica a tutela”, prelude alla formulazione di un giudizio preventivo sulla vicenda, sia pure di segno opposto, ma ugualmente lesivo delle prerogative ministeriali giacché nessun “attore” porterebbe una causa davanti ad un giudice che già ha fatto sapere che non accoglierà la sua domanda.
Ecco perché il teatrino che sta montando in questi giorni assume il gusto della sceneggiata.
E, in un caso e nell'altro, compromette la credibilità dell'unico ruolo che di sicuro le leggi assegnano al CSM, vale a dire quello di giudice della disciplina dei magistrati.
Da un lato, infatti, su iniziativa del consigliere laico Anedda, è stato dato il via ad una pratica volta a verificare se i magistrati, che hanno sollevato dubbi e perplessità sulla nuova normativa in materia di immigrazione rallentandone l'operatività, siano venuti meno ai loro doveri professionali.
Dall'altro lato, però, su iniziativa del consigliere togato Pepino, è stata chiesta l'apertura di una “pratica a tutela” proprio di quegli stessi magistrati, evidentemente muovendo dall'assunto che nessuna violazione di doveri si sia verificata e che l'intervento del Ministro leda l'autonomia della giurisdizione.
La querelle - nel merito della quale non vale neppure la pena addentrarsi visto che le affermazioni del Ministro, se prese sul serio, condurrebbero all'abolizione della magistratura vista la capacità auto-applicativa delle norme – offre lo spunto per alcune riflessioni sui troppi ruoli assunti dal CSM, spesso tra loro in conflitto.
Quando un attore esonda dalla “parte” che il regista gli ha assegnato e pretende di interpretare più ruoli, ogni trama rischia di trasformarsi in farsa, quando non in tragedia.
E' allora opportuno ricordare i tratti essenziali della “sceneggiatura”.
Il CSM, per dettato costituzionale, deve occuparsi dei provvedimenti disciplinari contro i magistrati.
L'azione disciplinare è promossa dal Ministro della Giustizia e non può essere avviata d'ufficio dal CSM che invece deve esserne giudice “terzo”, in base alla legge.
Per lo stesso motivo il giudice (CSM) non può - senza intaccare le prerogative ministeriali e svilire la propria credibilità - pronunciarsi preventivamente su un fatto, escludendone la rilevanza disciplinare.
Cosicché si registrano almeno due anomalie.
E' criticabile che il CSM apra un procedimento per rintracciare violazioni nell'operato di quei magistrati che, dubitando della legittimità costituzionale e della compatibilità con le fonti sovra-nazionali, intendono sottoporre a verifica la nuova normativa sull'immigrazione perché così operando il CSM espropria il Ministro e la Procura Generale della Cassazione dei propri ruoli, comportandosi come un accusatore-inquisitore e quindi minando le qualità di “giudice terzo” che la Costituzione e la legge gli assegnano.
Allo stesso modo, l'avvio di una “pratica a tutela”, prelude alla formulazione di un giudizio preventivo sulla vicenda, sia pure di segno opposto, ma ugualmente lesivo delle prerogative ministeriali giacché nessun “attore” porterebbe una causa davanti ad un giudice che già ha fatto sapere che non accoglierà la sua domanda.
Ecco perché il teatrino che sta montando in questi giorni assume il gusto della sceneggiata.
E, in un caso e nell'altro, compromette la credibilità dell'unico ruolo che di sicuro le leggi assegnano al CSM, vale a dire quello di giudice della disciplina dei magistrati.