di Giuseppe Albanese
(Studente universitario)
Il principio dello Stato di diritto presuppone che l’agire dello Stato sia sempre vincolato e conforme alle leggi vigenti.
Dunque, lo Stato, sottopone se stesso al rispetto delle norme di diritto, e questo avviene tramite una Costituzione scritta.
Nella storia, la nascita dello Stato di diritto coincide con la fine dell’assolutismo, e comporta l’affermazione della borghesia tra il XVIII ed il XIX secolo.
Infatti, a livello teorico, la proclamazione dello stato di diritto avviene come esplicita contrapposizione allo Stato assoluto in cui i titolari dei poteri erano “absoluti”, ossia svincolati da qualsivoglia potere ad essi superiore.
Oggi sembra essere tornato l’assolutismo in Italia: la legge non è più uguale per tutti ... il “potere”, in senso lato, è tornato ad essere “absoluto” ... il Parlamento è divenuto uno strumento in mano all’Esecutivo, e le disposizioni normative hanno da tempo perso i caratteri illuministici della brevità e della chiarezza, divenendo negli anni un marasma indecifrabile, quasi degli statuti cinquecenteschi, che fanno la fortuna dei moderni “azzeccagarbugli”.
Il potere giudiziario è in balia delle onde: è rimasto l’ultimo orgoglioso tutore e baluardo della legalità, in un quadro di disgustoso disordine istituzionale, ma è costantemente controllato a vista e vilipeso da un esecutivo che minaccia di operare nei suoi riguardi riforme ai limiti della costituzionalità.
E’ altresì dilaniato da contraddizioni interne, da infiltrazioni nocive eterogenee ad esso, per contrastare le quali, aimè (non me ne vorrà il Capo dello Stato) non gode dei necessari anticorpi.
Questo disordine di equilibri, di ruoli e di fonti ha condotto alla “diseducazione civica” della società italiana; è stata inarrestabile e ci ha reso tutti meno responsabili, attivi e interessati, quindi più facilmente condizionabili, “gestibili”: il cittadino è tornato ad essere suddito.
A questo punto sorge spontaneo citare l’amara ma lucida riflessione di un noto magistrato, Piercamillo Davigo, che fotografa in maniera imbarazzante la realtà italiana: “Questo è un paese infarcito di una infinità di regole la cui violazione è abitualmente tollerata. Un paese serio è un paese dove ci sono poche regole fatte ferreamente rispettare. Questa è la differenza fra il suddito e il cittadino: il suddito è un soggetto cui sono imposti infiniti obblighi e infiniti divieti; normalmente gli si permette di farne strame ma se alza la testa gli si chiede conto e ragione di tutte le violazioni fino a quel momento perpetrate. Il cittadino è un uomo a cui sono imposti pochissimi obblighi, pochissimi divieti per la cui violazione non c’è perdono, non ci sono il condono edilizio, il condono fiscale, l’amnistia, l’indulto: c’è il rigore. Ma, rispettati quegli obblighi, è un uomo libero e più nessuno può infastidirlo”.
Mentre il cittadino è il civis, colui che partecipa della vita pubblica della comunità e come tale è titolare di diritti e soggetto delle decisioni , il suddito è colui che delle decisioni è solo oggetto.
Il cittadino italiano, oggi, è tornato ad essere oggetto delle decisioni, tirato in ballo in continuazione da chi vuole legittimare senza possibilità di replica e critica il suo potere: “gli elettori hanno deciso”, “il popolo italiano ha scelto”, come se la volontà e gli umori del popolo fossero l’unico elemento valido per legittimare la direzione politica di uno Stato, o per rendere qualcuno giuridicamente irresponsabile.
L’articolo 1 della Costituzione stabilisce senz’altro che “la Sovranità appartiene al popolo”, ma aggiunge anche che esso deve esercitarla “nelle forme e nei limiti della Costituzione”, evidenziando chiaramente i principi ed i limiti propri dello Stato di diritto.
Erano i sovrani assoluti, ed in epoca più recente i dittatori, che legittimavano il loro potere in nome del Popolo: proprio per mezzo di questa “autorizzazione superiore” compivano i peggiori misfatti, calpestavano i diritti di quel popolo demagogicamente esaltato, giustificando il loro agire con un consenso ideale che in realtà era timore, ignoranza, mancanza di freni e di limiti istituzionali che imbrigliassero la loro azione politica, limiti oggi rappresentati proprio dalla carta Costituzionale.
Già, la Costituzione ... quotidianamente offesa e aggirata, minacciata da una sempre più marcata deriva autoritaria.
A questo punto lo so a cosa starete pensando: tutto già letto, tutto già sentito ... infatti, “L’Italia s’è desta”, gli italiani no.