di Giuseppe Albanese
(Studente universitario)
Il principio dello Stato di diritto presuppone che l’agire dello Stato sia sempre vincolato e conforme alle leggi vigenti.
Dunque, lo Stato, sottopone se stesso al rispetto delle norme di diritto, e questo avviene tramite una Costituzione scritta.
Nella storia, la nascita dello Stato di diritto coincide con la fine dell’assolutismo, e comporta l’affermazione della borghesia tra il XVIII ed il XIX secolo.
Infatti, a livello teorico, la proclamazione dello stato di diritto avviene come esplicita contrapposizione allo Stato assoluto in cui i titolari dei poteri erano “absoluti”, ossia svincolati da qualsivoglia potere ad essi superiore.
Oggi sembra essere tornato l’assolutismo in Italia: la legge non è più uguale per tutti ... il “potere”, in senso lato, è tornato ad essere “absoluto” ... il Parlamento è divenuto uno strumento in mano all’Esecutivo, e le disposizioni normative hanno da tempo perso i caratteri illuministici della brevità e della chiarezza, divenendo negli anni un marasma indecifrabile, quasi degli statuti cinquecenteschi, che fanno la fortuna dei moderni “azzeccagarbugli”.
Il potere giudiziario è in balia delle onde: è rimasto l’ultimo orgoglioso tutore e baluardo della legalità, in un quadro di disgustoso disordine istituzionale, ma è costantemente controllato a vista e vilipeso da un esecutivo che minaccia di operare nei suoi riguardi riforme ai limiti della costituzionalità.
E’ altresì dilaniato da contraddizioni interne, da infiltrazioni nocive eterogenee ad esso, per contrastare le quali, aimè (non me ne vorrà il Capo dello Stato) non gode dei necessari anticorpi.
Questo disordine di equilibri, di ruoli e di fonti ha condotto alla “diseducazione civica” della società italiana; è stata inarrestabile e ci ha reso tutti meno responsabili, attivi e interessati, quindi più facilmente condizionabili, “gestibili”: il cittadino è tornato ad essere suddito.
A questo punto sorge spontaneo citare l’amara ma lucida riflessione di un noto magistrato, Piercamillo Davigo, che fotografa in maniera imbarazzante la realtà italiana: “Questo è un paese infarcito di una infinità di regole la cui violazione è abitualmente tollerata. Un paese serio è un paese dove ci sono poche regole fatte ferreamente rispettare. Questa è la differenza fra il suddito e il cittadino: il suddito è un soggetto cui sono imposti infiniti obblighi e infiniti divieti; normalmente gli si permette di farne strame ma se alza la testa gli si chiede conto e ragione di tutte le violazioni fino a quel momento perpetrate. Il cittadino è un uomo a cui sono imposti pochissimi obblighi, pochissimi divieti per la cui violazione non c’è perdono, non ci sono il condono edilizio, il condono fiscale, l’amnistia, l’indulto: c’è il rigore. Ma, rispettati quegli obblighi, è un uomo libero e più nessuno può infastidirlo”.
Mentre il cittadino è il civis, colui che partecipa della vita pubblica della comunità e come tale è titolare di diritti e soggetto delle decisioni , il suddito è colui che delle decisioni è solo oggetto.
Il cittadino italiano, oggi, è tornato ad essere oggetto delle decisioni, tirato in ballo in continuazione da chi vuole legittimare senza possibilità di replica e critica il suo potere: “gli elettori hanno deciso”, “il popolo italiano ha scelto”, come se la volontà e gli umori del popolo fossero l’unico elemento valido per legittimare la direzione politica di uno Stato, o per rendere qualcuno giuridicamente irresponsabile.
L’articolo 1 della Costituzione stabilisce senz’altro che “la Sovranità appartiene al popolo”, ma aggiunge anche che esso deve esercitarla “nelle forme e nei limiti della Costituzione”, evidenziando chiaramente i principi ed i limiti propri dello Stato di diritto.
Erano i sovrani assoluti, ed in epoca più recente i dittatori, che legittimavano il loro potere in nome del Popolo: proprio per mezzo di questa “autorizzazione superiore” compivano i peggiori misfatti, calpestavano i diritti di quel popolo demagogicamente esaltato, giustificando il loro agire con un consenso ideale che in realtà era timore, ignoranza, mancanza di freni e di limiti istituzionali che imbrigliassero la loro azione politica, limiti oggi rappresentati proprio dalla carta Costituzionale.
Già, la Costituzione ... quotidianamente offesa e aggirata, minacciata da una sempre più marcata deriva autoritaria.
A questo punto lo so a cosa starete pensando: tutto già letto, tutto già sentito ... infatti, “L’Italia s’è desta”, gli italiani no.
Avere certe idee approssimate di una situazione e trovare chi questa situazione ce la dettaglia e ce la chiarisce fa sempre piacere.
RispondiEliminaOttimo intervento: il suddito si arrangia e si sente autorizzato a fare delle marachelle, il cittadino
è libero e può provare l'orgoglio di rispettare le leggi e può pretendere che le leggi siano rispettate. Io sono suddito, ma anelerei con tutto il mio essere allo stato di cittadino. Forse non si è notato un fatto apparentemente contradditorio: in Calabria, terra dove il "cattivo giudice" De Magistris è stato severamente punito e dove moltissimi, spinti dalla necessità, "si arrangiano", questo stesso De Magistris ha ottenuto un successo trionfale di preferenze.
Proprio nel sud, così spesso denigrato, questo anelito verso la libertà è il più forte.
Specie in questo blog si trovano degli articoli pregevoli che analizzano con rigore la nostra situazione. Io sono certo che ci sono persone che potrebbero tentare di proporre qualcosa di nuovo e di radicale per uscire da questa tela mulino di corruzione e di intrighi. Nessuno che si assuma l'incarico di darci qualche speranza o, almeno, di farci un pò sognare?
Ho sempre pensato di vivere in uno Stato di Diritto, solo da poco mi sono resa conto che non è così. E ora non so più se ho sempre vissuto dentro ad un sogno, o se invece un tempo lo Stato di Diritto era realtà. Ciò che so, è che ora non c’è più. Lo so, ma ancora non posso (voglio) crederci del tutto.
RispondiEliminaPerciò questa fotografia così lucida della (triste) realtà è una manna dal cielo.
Per quel che mi riguarda non ho affatto pensato: tutto già letto e sentito.
Ho piuttosto pensato: cavoli, ce lo avevo sulla punta della lingua ma non voleva uscire. Così un retro-pensiero si è convertito in pensiero.
Hai ragione Giuseppe, basta dormire. Destiamoci.
Taluni dicono che in realtà gli italiani sono già desti, ma che ciò che manca è un capo-voga.
Io invece talvolta penso che la situazione sia talmente degenerata che non abbiamo più voglia di fidarci di nessuno. E così, se da un lato aspettiamo con ansia qualcuno che scandisca il ritmo per metterci finalmente a vogare, dall’altro appena qualcuno comincia a ritmare la cadenza, invece di affondare i remi nell’acqua, li alziamo pronti a darglieli in testa.
In queste condizioni, guidare la voga è obiettivamente difficile. Così pensavo: non è che forse stiamo sbagliando modello?
E se invece che pensarci come a una nave (che necessita di un capitano), ci pensassimo come un gruppo di uccelli migratori? Per arrivare alla meta ciascuno tira lo stormo per brevi tratti, a turno.
Cosa ci manca per fare come gli uccelli migratori?
Probabilmente più di una cosa, ma chissà, forse porsi questa domanda può aiutare.
Non siamo cittadini ma neppure sudditi.
RispondiEliminaNei tempi passati le classi sociali sociali erano immobili e non era possibile passare dallo stato di suddito a quello di feudatario mentre oggi ciò è possibile.
Oggi colui che ha la ventura di diventare feudatario o primo paggio dell’imperatore è invidiato.
Semplicemnete non sappiamo che esiste un’altra forma di civitas (si scrive così?), formata da pari.
Non riusciamo a concepire che in Svizzera non c’è né un capo di stato né un capo di governo perché, come recita la loro Costituzione, un’assemblea di uomini liberi non ha bisogno di capi.
Ci sembra strano che la poltica parlamentare venga attuata da 7 tecnici nominati dal parlamento in un organo collegiale chiamato Consiglio federale ( o di stato ai cantoni).
Ci sembra strano ed assurdo che esiste una scheda elettorale dove si può scrivere il nominativo di un qualunque cittadino adulto e che se questi viene eletto non può rifiutare l’incarico.
Noi non crediamo che qualcuno, in altri società, possa andare di fronte ad un giudice a giustificare la sua non disponibilità ad occuparsi della res pubblica.
Noi non crediamo che un giudice, senza validi motivi, rifiuti la richiesta perché tutti abbiamo da fare ma qualcuno della cosa comune deve pur occuparsene.
Fonti: da Wikipedia a “Costituzione della Repubblica e canton Ticino” e “Costituzione della CH”, in italiano.
Siamo rimasti dei sudditi che guardano a giudici e polizia così come negli anni passati si guardava agli sgherri ed al potente ma ci consola la possibilità di invertire i ruoli.
PERLE DI DEMOCRAZIA.
RispondiEliminaAvvisato della sconfitta elettorale dal suo maggiordomo mentre faceva il bagno, Churchill commentò: "È proprio perché questi eventi possano continuare ad accadere che abbiamo combattuto la guerra! Ora passami l'asciugamano!"
condivido pienamente (da il fatto quotidiano 18/08/10 pag. 22)
RispondiEliminaSarò onesto
non mi mancherà
di Nando Dalla Chiesa
Sarò onesto: non mi mancherà.
Guai se la pietà per la morte offuscasse la memoria e il giudizio che la memoria (viva, ben viva) porta con sé.
Non esisterebbe più la storia. E dunque, parlando di Francesco Cossiga, rifiuterò il metodo che gli fu alla fine più congeniale: quello di ricordare i morti diffamandoli, dicendo di loro cose dalle quali non potevano difendersi.
Fidando nel fatto che i familiari una cosa sapevano con certezza: che se avessero osato replicargli lui avrebbe inventato altri episodi sconvenienti ancora e poi li avrebbe dileggiati, forte della sua passata carica istituzionale
e della compiaciuta docilità con cui la stampa ospitava ogni sua calunnia. Fece così con Moro, con Berlinguer, con il generale dalla Chiesa. Fece così con altri.
Era nato d’altronde un autentico genere giornalistico, l’intervista a Cossiga, che consisteva nel mettergli davanti un microfono o un taccuino e ospitare senza fiatare le sue allusioni, le sue bugie. Da trasformare in rivelazioni storiche,
provenienti dal loro unico e inesauribile depositario. Mi atterrò dunque ai fatti che tutti possono pubblicamente controllare. Perché ai tempi fui tra parlamentari che ne chiesero l’impeachement, anzitutto. Perché io il sistema
politico di allora, quello che chiamavo il regime della corruzione, lo volevo cambiare per davvero. Ma per renderlo conforme alla Costituzione e a un decente senso delle istituzioni. Perciò mi scandalizzavo nel vedere un capo dello Stato giocare soddisfatto al picconatore, conducendo una massiccia attività di diseducazione civica. Quando poi
Cossiga si mise alla testa della lotta contro i giudici, minacciando, lui presidente del Csm, di farlo presidiare militarmente dai carabinieri avvalendosi delle sue prerogative di Capo supremo delle Forze armate, pensai che la misura era colma. Che l’uomo esprimeva una cultura golpista e che era nella posizione istituzionale per tradurla in realtà politica.
Le chiavi di casa e i giudici ragazzini
PERCHÉ titolai la storia di Rosario Livatino “Il giudice ragazzino”.
Esattamente in polemica con lui, che delegittimava i giovani magistrati che in Sicilia sfidavano la mafia. A questi giudici ragazzini non affiderei neanche le chiavi di una casa di campagna, aveva detto. E Livatino, morto a trentotto anni, aveva compiuto le sue prime coraggiosissime inchieste quando di anni ne aveva ventotto. Avevo imparato dai racconti
di mio padre che quando si ha a che fare con la mafia chi ha un grado superiore protegge chi sta sul posto, ci passeggia insieme in piazza perché tutti capiscano. Che non è solo, che ha dietro lo Stato. Lui, capo dei magistrati,
aveva invece umiliato sprezzantemente proprio i giudici più esposti negli anni della mattanza.
Perché mi astenni, unico nel centrosinistra, sulla fiducia al primo governo D’Alema. Non per oltranzismo ulivista, ma perché non ero certo entrato in parlamento per fare un governo con Cossiga e con ciò che lui rappresentava nella vita del paese e nella mia vita personale. Il testo dell’intervento pronunciato in quell’occasione è agli atti. Allora mi valse richieste di interruzione da sinistra e qualche stretta di mano (tra cui quella di Gianfranco Fini). Perché l’ho spesso citato - ma non quanto avrei voluto – nei libri, negli articoli o negli interventi che avevano per oggetto la vicenda di mio padre.
segue...
condivido pienamente (da il fatto quotidiano 18/08/10 pag. 22)
RispondiEliminaSarò onesto
non mi mancherà
di Nando Dalla Chiesa
(seconda parte)
Veleni attorno a un sacrificio
PERCHÉ ho sempre trovato maramaldo quello spargergli veleno intorno dopo il suo sacrificio.
Non ho mai capito se fosse il seguito dell’isolamento che il sistema aveva inflitto al prefetto dopo l’annuncio che sarebbe andato in Sicilia per combattere la mafia per davvero. Ricordo però con certezza che Cossiga iniziò a
colpirne l’immagine in vista del maxiprocesso presentandolo con naturalezza come iscritto alla P2. I giudici che avevano indagato a Castiglion Fibocchi, Gherardo Colombo e Giuliano Turone, mi garantirono che loro nella
lista quel nome non l’ave vano trovato. Lui insisté contro ogni atto giudiziario e parlamentare (della storia ho reso i particolari su “In nome del popolo italiano”, biografia postuma di mio padre, nel 1997). Finché anni dopo ancora
raccontò la sua pazzesca verità: per proteggere mio padre Colombo e Turone, giudici felloni, avevano strappato un foglio dall’elenco. Non smise mai di raccontarlo. Così come, per sminuire il lavoro di Giancarlo Caselli e di mio padre contro il terrorismo, sostenne un giorno, poco dopo l’avviso di garanzia per Andreotti a Palermo, che il vero merito
del pentimento di Patrizio Peci fosse di un maresciallo delle guardie carcerarie di Cuneo. Costui venne da lì lanciato pubblicamente in orbita giornalistica e televisiva per seminare nuove e inverosimili calunnie su mio padre, alcune delle quali si sono ormai purtroppo depositate negli atti giudiziari (tra i quali rimane però anche, a Palermo, il testo della controaudizione da me richiesta).
Altro verrebbe da dire, dalla memoria di Giordana Masi uccisa in quella famigerata manifestazione del ‘77 zeppa di infiltrati in armi, al contrasto avuto con lui in Senato, dai banchi della Margherita, sui fatti della Diaz, che lui, sedicente garantista, avallò senza scrupoli. Come e più che con Giovanni Leone, che non ebbe comunque le sue colpe, avremo probabilmente un mieloso coro di elogi. Poiché l’uomo ha incarnato alla perfezione la qualità media della nostra
politica questo è assolutamente naturale. Certo non si porterà nell’aldilà solo i segreti veri di questa Repubblica. Si porterà anche i segreti da lui inventati, le trame inesistenti fatte intravedere, le panzane spacciate per misteri.
Riposi in pace, e che nessuno faccia a lui i torti che lui fece alle vittime della Repubblica.
da Il Fatto quotidiano del 19/08/10
RispondiEliminaTracollo etico
di Luigi de Magistris
Non so quanti si siano resi conto del crollo etico che sta investendo settori sempre più ampi della classe dirigente del nostro Paese. Una deriva morale che è sempre più spesso vera e propria questione criminale. Governanti costretti alle dimissioni perché oggetto di indagini della magistratura per fatti assai gravi: rapporti con la criminalità organizzata, appartenenze ad associazioni deviate, beneficiari di beni immobili e mobili quali controprestazioni di condotte corruttive. Esponenti apicali delle forze dell’ordine imputati in processi e per reati da far accapponare la pelle: il comandante generale del raggruppamento operativo speciale dei Carabinieri condannato dal Tribunale di Milano a 14 anni di reclusione per traffico internazionale di droga, l’ex capo della Polizia di Stato – attualmente ai vertici dei Servizi di sicurezza – condannato dalla Corte d’Appello per le vicende di macelleria istituzionale di Genova del 2001, l’ex comandante generale del medesimo ROS, già ai vertici del sismi, imputato a Palermo nel processo avente ad oggetto la mancata cattura di Bernardo Provenzano e la cd. trattativa tra Cosa nostra e pezzi di Stato. Esponenti di punta dei Servizi segreti coinvolti in altrettanti gravi procedimenti penali: dalla condanna definitiva di Bruno Contrada, al processo Abu Omar nei confronti dell’ex capo del Sismi Pollari, al coinvolgimento dello stesso nelle inchieste di Perugia, alle indagini nei confronti di esponenti apicali dei Servizi quali partecipanti alle “cricche” di estrazione piduista, ai nominativi di appartenenti ai Servizi che emergerebbero nelle inchieste sulle stragi di mafia del 1992.
Dalla Cassazione al Csm
IL COINVOLGIMENTO sempre più frequente, in fatti di rilievo penale, di magistrati che ricoprono rilevanti incarichi istituzionali: dai vertici della Corte di Cassazione, ad esponenti del Consiglio Superiore della Magistratura, a dirigenti del Ministero della Giustizia, ai vertici di importanti uffici giudiziari. Che rabbia se si pensa ai numerosi magistrati e appartenenti alle forze dell’ordine che ogni giorno lottano rischiando la vita per contrastare il crimine, con mezzi inadeguati e risorse irrisorie. Per non parlare poi – l’elenco sarebbe assai lungo – delle implicazioni criminali che riguardano alti funzionari dello Stato e delle Regioni e per tacere, ancora, del ruolo sempre più invasivo della mafia imprenditrice. In tutto questo è già iniziata, non da adesso, accanto alla Nuova P2 o P3 che dir si voglia, la “nuova strategia della tensione”. Dossier – spesso confezionati da infedeli rappresentanti delle istituzioni – con notizie false e diffamatorie perdistruggereservitoridelloStato integerrimi, per massacrare avversari politici, per violentare la reputazione di persone oneste che non intendono naufragare nella melma istituzionale e piegarsi al puzzo del compromesso morale.
continua...
da Il Fatto quotidiano del 19/08/10
RispondiEliminaTracollo etico
di Luigi de Magistris
(seconda parte)
Il lavoro proficuo dei poteri occulti
IN UN MOMENTO di crollo etico come questo, quando il quadro politico è in decomposizione, non vi è guida salda morale ed istituzionale nel Paese, la corruzione dilaga e le mafie dei colletti bianchi albergano sempre più nelle “stanze dei bottoni”, i poteri occulti riescono a lavorare in modo ancor più proficuo. Se pensiamo a come e quanto il crimine organizzato abbia assunto il volto delle istituzioni in questi ultimi 20 anni c’è da essere davvero preoccupati. Si potrebbe realizzare a breve - accanto alla eversiva destrutturazione costituzionale che il governo Berlusconi, di chiara impronta piduista, sta portando avanti – una miscela esplosiva tesa a destabilizzare ulteriormente il Paese e influire sugli equilibri politici: campagne di denigrazione provenienti da pezzi delle Istituzioni, attività di “killeraggio” mediatico, utilizzo di strumenti di violenza morale senza precedenti. Il prefigurarsi all’orizzonte, poi, del mutamento della scena politica potrebbe anche indurre il “sistema criminale” ad utilizzare gli arnesi della violenza fisica, per adesso accantonati solo per ragioni di strategia politico-militare. Difronte a questa deriva che rischia di disintegrare la nostra democrazia non si può più attendere, né rimanere alla finestra a guardare. E’ il momento delle assunzioni di responsabilità piena. I politici che interpretano il loro ruolo come orientato a realizzare il solo interesse pubblico e della Nazione si riuniscano, immediatamente, per preparare un programma che sia, allo stesso tempo, di resistenza costituzionale e di governo per la costruzione di un’altra Italia. La parte sana della società civile – quella che non si è corrotta o corrosa o anche solo profondamente assuefatta – partecipi, in tutti i modi pacifici che si possano ipotizzare, alla realizzazione di una mobilitazione culturale senza precedenti in quanto il pericolo dell’oblio, della metastasi istituzionale e del crollo finale sono qui, dietro l’angolo.
Grazie, all'infaticabile Besugo, e naturalmente a Nando Dalla Chiesa e a Luigi de Magistris, esponenti esemplari di quella "parte sana della società civile che non si è corrotta o corrosa o anche solo profondamente assuefatta".
RispondiElimina" ESTAMOS A LA CABEZA DEL MUNDO"
RispondiEliminasi
un mundo de mierda.
Mai esempio fu più inappropriato!
RispondiEliminaSe il mondo è un mare maleodorante noi,essendo in capo, essendo sul capo,ne siamo fuori o almeno sopraelevati, con tutt'al più i piedi, le gambe, il bacino a mollo.
Credo che l'esempio più corretto sia un biviere* piena del medesimo liquido. Un livello molto alto, dove tutti cercando disordinatamente di tenere fuori la bocca non facciamo altro che creare delle inopportune onde.
biviere* Vasca di profondità variabile che raccoglie la magra acqua di una sorgente per l'irrigazione degli agrumeti.
Fuori soggetto.
RispondiEliminaDi tanto in tanto spunta una versione abbondantemente riveduta e abbondantemente corretta del celebre discorso di Pericle pronunciato in onore dei caduti durante il primo anno della guerra del Peloponneso. Non capendo malauguratamente il greco, per capir qualcosa sono andato a leggere delle traduzioni in inglese, in italiano e in francese.
Con stupore ho scoperto che fra queste traduzioni esistono delle differenze talvolta non trascurabili. In una recente interpretazione di questo discorso Pericle avrebbe detto che pochi possono occuparsi di politica, ma tutti possono giudicare chi se ne occupa. Non ho trovato traccia di ciò nel discorso di Pericle, ma nei fatti Pericle diceva qualcosa di simile e nella prassi gli ateniesi facevano molto di più che "giudicare", così come l'intendiamo noi, facevano infinitamente di più. Noi pensiamo che giudicare significa, da un lato esercitare quella che si chiama la sovranità popolare accettando questa o quella candidatura che ci viene proposta da una dozzina di persone influenti e dall'altro lato esprimere un sonoro "ohibò" quando pensiamo che un politico ha mancato di rispetto alla santa costituzione. Gli ateniesi non si sognavano affatto di concepire la democrazia in questo modo. Essi non aspettavano di certo una elezione per giudicare i capi. Talvolta nei loro giudizi, nelle loro sentenze e nelle loro terribili punizioni ( perchè mica si contentavano di un ohibò, loro) erano crudeli e talvolta ingiusti. Proprio nella guerra del Peloponneso dopo una battaglia navale per essi vittoriosa, i loro ammiragli non furono in grado di soccorrere molti equipaggi di navi naufragate in seguito ad una tempesta. Gli ateniesi non esitarono a trascinare in giudizio questi ammiragli condannandoli a morte.
Senza arrivare a simili eccessi, non sarebbe il caso, piuttosto di recitare il discorso di Pericle, magari arrangiandolo un pochetto, cercare di avvicinarci al concetto di democrazia così come era capito a quei tempi, dandogli un aspetto consono ai nostri tempi nei quali non esistono più schiavi e le donne hanno uguali diritti degli uomini?
chi non paga le tasse non ha alcun diritto ma li toglie anche a te
RispondiEliminaAppello agli evasori
Io sono contento di pagare le tasse
- perché servono per costruire le scuole e farle funzionare, in modo che mio figlio possa essere istruito ed educato per diventare un buon cittadino, senza essere costretto a portare la carta igienica da casa.
- perché servono per costruire ospedali e curare chi ne ha bisogno senza dover aspettare un anno per effettuare un esame medico specialistico importante.
- perché servono per creare lavoro e ricchezza per far vivere dignitosamente tutti.
- perché servono per avere forze di polizia e magistrati, che vigilano sul rispetto delle regole, sulla nostra tranquillità e per darci giustizia in tempi ragionevoli, abbiano benzina nelle autovetture di servizio e strumenti e personale adeguati per contrastare l’aumento della criminalità.
- perché pagarle è conveniente; infatti se nessuno le pagasse non ci sarebbero scuole, strade, lavoro, ospedali, quindi, benessere e diritti tranne per i furbi, i più forti e quelli senza scrupoli che i diritti li rubano agli altri.
Tu che non paghi le tasse, togli il diritto di imparare anche a tuo figlio, di lavorare e di curarsi ai tuoi parenti e ai tuoi amici, di vivere in una società giusta a tutti gli altri.
Ti togli la possibilità di essere aiutato quando anche tu per qualsiasi motivo e in qualche momento della tua vita avrai bisogno di un servizio che non c’è o non funziona bene o quando avrai difficoltà a far valere i tuoi diritti perché qualche nuovo furbo o uno più forte di te se ne sarà appropriato.
Ma sei sicuro di essere davvero furbo o, comunque, che lo sarai per sempre?
Giuseppe belcore
Belcore.giuseppe@tiscali.it