di Massimo Vaccari - Magistrato
L’Associazione nazionale magistrati è l'unica associazione di carattere per così dire sindacale della magistratura italiana.
Il suo scopo principale è la tutela dell'indipendenza dei magistrati ed è evidente che per realizzarlo essa dovrebbe vigilare sul rispetto delle regole primarie e secondarie da parte dei capi degli uffici ed anche sulla attività del Consiglio superiore della magistratura che, come è noto, è l’organo deputato a scegliere i "capi" degli uffici giudiziari.
L’Anm ha però abdicato da tempo a tale sua rilevantissima funzione poiché, essendo in realtà un'associazione di tutte le correnti che governano la magistratura, è stata da queste sempre utilizzata per far fare carriera ai loro iscritti o simpatizzanti.
In particolare alcune correnti tradizionalmente candidano al Csm quanti abbiano già ricoperto ruoli di vertice all’interno dell’Anm, con la ragionevole sicurezza che verranno eletti poiché le cariche associative, come è intuibile, danno una certa visibilità.
Questa è stata ad esempio la prassi della corrente denominata magistratura indipendente: anche nell'ultima consiliatura, quella investita dalla vicenda Palamara, due togati appartenenti a tale gruppo, poi dimessisi in ragione dei loro rapporti con il “signore delle nomine”, provenivano dalla ANM.
Altrettanto dicasi dell'ultima delle correnti nate all’interno della magistratura, quella di Piercamillo Davigo, poiché due consiglieri di tale gruppo attualmente in carica avevano fatto già parte dell’ultimo Cdc della Anm.
Ancora, non va dimenticato che lo stesso Palamara, prima di essere eletto al Csm nel 2014, era stato presidente dell’associazione.
Ora una simile prassi è del tutto anomala e dimostra come l’Anm sia un vero e proprio sindacato giallo.
Infatti sarebbe un po' come se Landini, attuale segretario generale della CGIL, concluso il suo mandato nel sindacato, venisse nominato nel consiglio di amministrazione della Fiat.
Tutto questo spiega però come sia stato possibile che l’associazione abbia sempre partecipato alla selezione di gran parte dei componenti togati del CSM e, mediante loro, alla selezione dei dirigenti degli uffici giudiziari nonché, più in generale, all’azione di governo della magistratura.
Le intercettazioni della inchiesta perugina hanno disvelato un forse ancor più grave tradimento degli scopi statutari da parte dei suoi massimi vertici.
Esse danno conto infatti di come l’ex presidente dell’Anm, Albamonte, della corrente di sinistra Area, concordasse con Palamara la nomina di alcuni componenti del massimo organo dell’associazione e di come il successivo presidente Minisci, appartenente alla stessa corrente di Palamara, (Unicost) definisse con lui alcuni aspetti della linea politica associativa da seguire.
Del resto l’Anm ha sempre avuto la pretesa di indicare le linee guida per l’esercizio della giurisdizione anche attraverso la proposta/imposizione di un modello di magistrato, utilizzata in realtà come paravento per l’attività di spartizione alla quale ha attivamente partecipato.
Da altre intercettazioni emerge poi che alcuni componenti dell’attuale comitato direttivo centrale dell’Anm sponsorizzavano, sempre presso Palamara, la nomina di loro sodali ad incarichi direttivi o contrastavano quella di altri.
Ebbene, a fronte di queste clamorose evidenze ci si attendeva una reazione estremamente decisa dell’Anm, un sussulto di dignità, che dimostrasse la presa di coscienza del suo pesante coinvolgimento nella degenerazione del sistema e la volontà e la determinazione di cambiare finalmente rotta.
Eppure i rimedi c’erano ed erano facilmente attuabili: espulsione immediata di tutti gli associati coinvolti nelle interferenze sulle nomine e introduzione delle c.d. incompatibilità tra cariche associative e candidature al Csm (una proposta di modifica dello statuto sul punto, avanzata da alcuni magistrati indipendenti nel 2011, non fu approvata dall’assemblea dell’associazione).
Solo grazie a provvedimenti del genere si poteva aspirare ad una rinascita arrestando così anche il discredito che le condotte sopra descritte hanno arrecato alla intera categoria, ancora una volta in violazione degli scopi statutari (l’art. 2 dello Statuto attribuisce alla associazione anche lo scopo di “tutelare… il prestigio ed il rispetto della funzione giudiziaria”).
Nulla di ciò è invece accaduto perché l’associazione si è limitata ad emettere blandi comunicati di riprovazione dei fatti emersi dalle intercettazioni fino al drammatico epilogo di ieri (ironia della sorte giorno della commemorazione della strage di Capaci) con l’esplosione di una crisi senza precedenti, che prelude allo scioglimento o al commissariamento dei suoi vertici, ma che, a ben vedere, trova la sua origine nell’irrisolta, ed anzi favorita, confusione tra Anm e Csm.
Ed allora se l’attività e le sorti della associazione sono da tempo indissolubilmente legate a quelle del Csm non si vede come l’organo di autogoverno possa ora evitare lo scioglimento, scongiurato una prima volta, dopo le dimissioni di cinque consiglieri, a seguito della prima fase della inchiesta giornalistica sulla vicenda Palamara.
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