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venerdì 29 maggio 2020

La fuffa, ovvero la collina che partorì il topolino


Il Ministro Bonafede e la sua maggioranza dicono di voler riformare il C.S.M. per liberarlo dalle correnti e restituire credibilità alla magistratura.

Del resto nel "Contratto di Governo" con gli ex alleati del M5S il problema doveva essere già ben presente se vi si leggeva: Il Consiglio Superiore della Magistratura deve operare in maniera quanto più indipendente da influenze politiche di potere interne o esterne. Sarà pertanto opportuno operare una revisione del sistema di elezione, sia per quanto attiene i componenti laici che quelli togati, tale da rimuovere le attuali logiche spartitorie e correntizie in seno all’organo di autogoverno della magistratura

Ma la riforma che oggi propongono è la solita soluzione gattopardesca: far finta di cambiare tutto per non cambiare nulla. Il potere delle correnti ne uscirà, infatti, persino rafforzato.

Vediamo perché. La riforma prevede, per come presentata dalla stampa:

l’aumento dei togati da 16 a 20 e dei laici da 8 a 10
19 collegi composti da 1/17 dell’elettorato
la possibilità di esprimere 3 preferenze
un doppio turno con ballottaggio tra i due candidati più votati
l'elezione al primo turno per chi otterrà la maggioranza assoluta.

Facciamo due conti.
19 collegi per eleggere 19 magistrati (non è ancora chiaro come verranno divisi pubblici ministeri e giudici). Ogni collegio è composto da 1/17 dell’elettorato.

I magistrati sono 9.000 circa, quindi 500 votanti più o meno per collegio.

Ciò significa che un magistrato che prende 251 voti al primo turno è eletto subito, altrimenti si va al ballottaggio tra i due più votati.

Si aprono tre scenari.
Primo: le correnti corrono da sole e si giocano tutto al ballottaggio
Secondo: corrono da sole al primo turno e poi si accordano per il ballottaggio
Terzo: si accordino sin dal primo turno.

La prima ipotesi è da escludere per il semplice motivo che chi non cercherà accordi rischia di rimanere fuori dal Consiglio.

Nelle altre due ipotesi può accadere questo.

Al primo turno, per esempio, la corrente di centro (UNICOST) si accorda con la corrente di sinistra (AREA), presentando candidati dell’una e dell’altra corrente nei vari collegi, secondo la logica del patto di desistenza.

La loro potenza di voti è tale da poter vincere in tutti i collegi. Ciò obbligherà le altre due correnti (M.I. e A&I) a fare accordi tra di loro per contrastare l’egemonia delle prime due.

Potrebbe anche accadere che UNICOST faccia accordi con la corrente di destra (M.I.); a questo punto, sarebbe AREA a rischiare di restare fuori da tutto salvo accordi con A&I.

Stessa cosa può avvenire, ma è più rischioso, al secondo turno appoggiandosi reciprocamente nel ballottaggio (io voto il tuo nel collegio X, tu voti il mio nel collegio Y).

Si va quindi verso un bipolarismo che replicherà ancora più da vicino lo scenario partitico.

Con questa potenza di fuoco c’è qualche speranza per magistrati non appartenenti alla correnti di arrivare al C.S.M.?

Assolutamente nessuna.

I risultati non cambiano se si muta il numero dei collegi.

E’ proprio per come è concepita che la riforma non funziona e non assolve allo scopo che si è proposto.

Il potere delle correnti non diminuisce in alcun modo; se mai fosse possibile, si  accresce.

Incalzato in TV dal giornalista Andrea Scanzi che gli obiettava la singolarità di una riforma fatta con i compagni di maggioranza Lotti e Ferri, il Ministro ha dichiarato di aver trovato con loro un accordo quasi istantaneo.

E qualche dubbio no?        

Perché se li fai votare così, i magistrati lottizzano.

Signor Ministro, questa è fuffa!

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