di Andrea Mirenda - Magistrato
(ANSA) - ROMA, 14 APR 2018 - Il giudice Andrea Mirenda è nei guai per le dichiarazioni rilasciate a Riccardo Iacona nel suo libro-inchiesta "Palazzo d'ingiustizia. Il caso Robledo e l'indipendenza della magistratura. Viaggio nelle procure italiane", appena arrivata in libreria per Marsilio. Lo rende noto la casa editrice veneziana spiegando in una nota che il giudice Mirenda - che ha denunciato nel libro il tumore delle correnti e del carrierismo del Csm - è oggetto di una richiesta di sanzione disciplinare, pervenuta al ministro Orlando dall'ex membro laico del Csm Pierantonio Zanettin, oggi parlamentare di Forza Italia. "Il Csm ormai non è affatto un padre amorevole per i magistrati, non è più l'organo di autotutela, non è più garanzia dell'indipendenza, ma è diventato una minaccia, perché non vi siedono soggetti distaccati, ma faziosi che promuovono i sodali e abbattono i nemici, utilizzando metodi mafiosi. È chiaro che è un'espressione di colore…" dice nella dichiarazione riportata nel libro Mirenda. Il testo, ripreso in parte dal settimanale 'Il Venerdì' di Repubblica, venerdì 13 aprile, "con l'omissione della parte finale, ovvero tralasciando, accanto all'inciso "metodo mafioso" la riga successiva, che chiarisce che l'accostamento è 'una chiara espressione di colore', ha portato alla richiesta di sanzione" si legge nella nota di Marsilio dove si sottolinea: "un'enfasi, destinata solo - come è costretto oggi a precisare Mirenda - a far capire la drammatica potenza e la pervasività condizionante delle correnti della magistratura".
Era il 2018 ma già nel 2017 mi ero dimesso da Presidente della Sezione Fallimentare del Tribunale di Verona per protesta contro la corruzione morale che imperava nel CSM e contro il carrierismo dilagante che i signori delle correnti avevano alimentato. Ed ancor prima, nel 2008, per le stesse ragioni, ero uscito da Magistratura Democratica e dall’ANM (per non sbagliare…).
Nulla di nuovo, per carità, ma almeno sino ad allora pochissimi magistrati (per essere chiari, solo pochi coraggiosi riuniti sotto il nome di Proposta B) osavano denunciare a viso aperto ciò che ci si diceva nei corridoi o alla macchinetta del caffè dei palazzi di giustizia.
Giungiamo, due anni dopo, alle frizzanti notti romane che vedranno trafficare, dossierare e intrallazzare in vari modi cinque allegri suonatori di Brema (al secolo, membri del CSM), unitamente al flemmatico Procuratore Generale della Cassazione, all’immancabile Palamara, all’onnipresente “Cosimino” Ferri e, infine, a Luca Lotti (con gli ultimi tre che nulla c’entravano, dal punto di vista istituzionale), tutti affettuosamente uniti dall’edificante intento di pilotare le nomine di alcune importanti Procure italiane, prima tra tutte quella di Roma.
I cinque suonatori, travolti dallo scandalo, si dimetteranno e così pure il vertice della magistratura requirente, quest’ultimo addirittura raggiunto da notizia di reato.
Ci saranno, così, ben due tornate elettorali suppletive con le solite promesse di pulizia, bontà e santità, fiumi di bla bla bla della correntocrazia, a cui tuttavia non ha fatto seguito alcun segno reale di inversione di rotta.
Anzi…
E giungiamo allo sconcerto dei nostri giorni: la Procura di Perugia vuota il sacco e deposita gli atti dell’indagine.
Una cloaca si abbatte sulla magistratura, sulla politica, su alcuni vertici delle Istituzioni, sul giornalismo italiano.
Intercettazioni, trojan, messaggi su whatsapp, svelano incontri e colloqui che vedono il buon Luca Nazionale alla testa di traffici di ogni genere.
Alla sua corte giungono plenipotenziari e capi bastone di Magistratura Indipendente e Area, tutti alla spasmodica ricerca di alleanze trasversali destinate a bloccare questo magistrato, promuovere quello, ricompensare certuni e bastonarne certi altri, ritardare pubblicazioni di posti o anticipare “ad arte” sedute di Commissione per creare indebiti vantaggi in danno di chi non gli appartiene.
Qualcuno, a questo punto, potrebbe pensare ad un “affaire” interno alla magistratura, buono solo per autocoprirsi di vergogna (e di qualcos’altro…).
Purtroppo, cari noi, non è così.
Magari lo fosse! Perché, alla corte dell’infaticabile Luca Nazionale – come purtroppo abbiamo visto e letto – si accosteranno calibri massimi della politica nazionale (beh, il tertium comparationis è quello che è: ce ne faremo una ragione…), ma anche “giornalai” (che ripugna chiamarli giornalisti), imprenditori, figuranti di arte varia e, persino, udite udite, un Ministro dell’Interno in carica (mica pallucce), quest’ultimo addirittura King Maker del nuovo Procuratore Nazionale Antimafia per indennizzarlo di un’immeritata sconfitta sul campo partenopeo (in barba alla divisione dei poteri, sì che di Montesqueiu rimangono, al più, i baffi…).
Il leit motiv?
Uno solo, chiarissimo: le nomine dei dirigenti giudiziari, dei magistrati da chiamare al Ministero o comunque ad incarichi extragiudiziari, di quelli che devono (e di chi non deve…) andare in Cassazione o al Massimario, di quello che andrà (o non dovrà andare…) al D.A.P., dei membri del Comitato Scientifico della Scuola della Magistratura, rigorosamente divisi per correnti.
Last but not least, chi sostenere (e chi fregare…) per l’elezione al CSM e, infine, chi nominare (e chi segare…, magari grazie a “giornalai” compiacenti oppure grazie ad incontri preparatori con alti membri dell’Ufficio della Presidenza della Repubblica…) per la nomina a Vice Presidente del Consiglio stesso.
Leggeremo, poi di magistrati (e magistrate) piagnucolanti che chiamano Luca, elevato a feticistico oggetto di adorazione (che neppure Fantozzi si sarebbe abbassato a tanto …), implorare vantaggi per sé o per il coniuge, fino ad arrivare a democraticissimi membri in carica del CSM pietire biglietti gratis per lo stadio, oppure chiedere aiuto per truccare l‘ingresso a medicina del figlio, e via ravanando. Per non parlare, poi, di disgustosi accrocchi concertati, volti a far fuori pretestuosamente dal pool nazionale antimafia un magistrato scomodo e sgradito.
Ebbene, qual è la filosofia di fondo che sorregge questi pilotaggi?
Presto detto, Signora la Marchesa! Ce lo spiega benissimo il buon Baldi, ex capo di Gabinetto del Ministro della Giustizia Bonafede, ora degnamente riammesso – dopo le dimissioni – alle funzioni di sostituto procuratore generale presso la Corte di cassazione. Senza neppure un “ohibò!”… Dice il baldo “Fulvietto”, come usa chiamarlo affettuosamente il Luca Nazionale: “Se no che cazzo li piazziamo a fare i nostri qui?”.
Tiriamo, allora, la sintesi: contrariamente alle consuete fumisterie dell’ANM, ai penosi distinguo di Unicost, alle compiaciute narrazioni di diversità antropologica dei sodali di Area e, infine, a quelle di arruolatissimi predicatori di lista, qui, purtroppo, non abbiamo a che fare con “compagni che sbagliano” (gli engàge si rallegreranno …), né con mele marce o con devianze individuali. Magari!
Emerge, invece, prepotente, un temibile sistema parallelo, quello del “correntismo 2.0”, che - proprio perché notissimo e trasversale al mondo politico/giudiziario - viene percepito come imbattibile. Un sistema temutissimo, ritorsivo, ostracizzante verso chi non presta ossequio e, perciò… “rispettato”.
Ogni magistrato sa bene, difatti, che se vuol far carriera o mettersi al riparo da incidenti di percorso deve stare al gioco dei capi corrente locali e nazionali, prestarsi al paradigmatico cursus honorum del “ruffiano”, fare le “telefonatine” giuste ai vari notabili, per ottenere posti, trasferimenti, favori, prebende… protezione.
Un “mondo parallelo” (ogni citazione è puramente casuale…) che si è sostituito “carsicamente” all’autogoverno e che, attraverso l’occupazione militare del CSM, ha assunto il controllo dello strumento più subdolo e potente per far piegare la testa ai giudici: l’autogoverno.
E allora, riprendendo da dove avevamo iniziato, ricordiamoci per un attimo i tre pilastri giuridici del c.d. “metodo mafioso”: la forza di intimidazione del vincolo associativo, la condizione di assoggettamento, l’omertà. E ora confrontiamoli con quanto emerso: intimidazioni dei non appartenenti e premi per gli amici; magistrati ridotti a questuanti; negazione ostinata dell’esistenza del correntismo da parte dei capi e dei loro servi.
Taluni negheranno, buon per loro, l’esistenza delle finalità delittuose. A denti stretti e col cuore in mano, invitiamo questi finissimi pensatori ( beh, si fa per dire…) a porgersi questa domanda: cosa c’è di più criminoso e immorale dell’aver soggiogato i magistrati italiani, offeso la giustizia e aver reso i cittadini un po’ meno liberi e sicuri. Non sono delitti? E di che stiamo parlando?
Come non essere d'accordo? Voglio solo notare che mi è capitato tra le mani un articolo scritto 15 anni fa per "Questione giustizia" - che mi sarebbe costato un'incolpazione disciplinare, se frattanto non mi fossi lasciato decadere dal servizio (grazie a una concorde reazione di due alti [?] magistrati, all'oscuro del mio abbandono del servizio) - nel quale raccontavo "di che lagrime grondi e di che sangue" la cd. "carriera" giudiziaria.
RispondiEliminaMa inevitabilmente il parallelo con la melma odierna appare ictu oculi improponibile. A conferma di quel che scrive altrove l'ex guardasigilli Martelli sulla escalation delle combine illecite e sulla gravità dell'odierna situazione che non è più solo (e forse non lo è mai stata) una questione interna all'ordine giudiziario, ma è una questione di tenuta dello Stato democratico.