di Nicola Saracino- Magistrato
Ci siamo occupati della materia delle sanzioni disciplinari dei magistrati in modo piuttosto approfondito non soltanto raccontando i processi che maggiormente hanno evidenziato il pericolo del loro uso strumentale per ostacolare inchieste “scomode” (solo di conseguenza scomodi i loro autori).
Abbiamo analizzato la materia anche il
profilo teorico e questo sin dall’introduzione della riforma Mastella del 2006, quella ampiamente concordata proprio con i magistrati attraverso al loro associazione (ANM) e quindi frutto di un compromesso al ribasso col quale la politica che apparentemente aspirava ad una maggiore qualità della giurisdizione ha finito per assecondare la consegna della magistratura alle correnti e quindi il
carrierismo e la politicizzazione, condotti all’estremo.
Le chat palamariane non sono che la “conseguenza” di quelle scellerate scelte.
Dal punto di vista teorico siamo stati forse i primi e gli unici a sconfessare gli intenti dichiarati di quella riforma, i suoi due capisaldi, autentiche bufale.
La prima.
Obbligatorietà dell’azione disciplinare contro i magistrati. Ma quando mai? La Procura Generale della Cassazione, titolare della relativa iniziativa, può “cestinare” in piena autonomia e senza alcun controllo neutrale gli esposti contro i magistrati.
Di quei fatti nessuno ne saprà mai nulla perché anche l’accesso agli atti risulta, di fatto, impresa alquanto improba.
Per rendere l’idea, nel diverso campo del processo penale, ove vige analogo principio (stavolta di rango costituzionale) dell’obbligatorietà dell’azione penale l’”inazione” del pubblico ministero è sempre (o quasi) sotto il controllo del giudice.
E’ quindi falso che l’azione disciplinare sia obbligatoria.
La seconda.
La mise en scène della commedia implicava che all’obbligatorietà dell’azione si accompagnasse la cd “tipizzazione” degli illeciti disciplinari, cioè che il legislatore si sforzasse di indicare con sufficiente precisione quali fossero le condotte vietate, anche per poter verificare il rispetto da parte dell’accusatore per dovere (la Procura Generale, essendo il Ministro della Giustizia dotato di un mero potere ma non obbligato ad agire) dell’obbligo appena impostogli.
E così il legislatore mastelliano si mise all’opera disegnando tanti fatterelli implicanti il castigo ma poi, consapevole che i doveri professionali non ammettono una classificazione rigida, ha dovuto far ricorso a concetti vaghi od elastici, primo tra tutti quello della “correttezza”.
Il magistrato scorretto va punito.
Bastava questo solo illecito e rendere inutili tutti i fatterelli dei quali è intriso il codice disciplinare dei magistrati. Ed infatti la legge sostituita da quella Mastella usava una formula paragonabile, sanzionando ogni condotta che mettesse in dubbio il prestigio della giurisdizione.
Il rinvio al concetto di correttezza altro non è se non una delega agli operatori (accusatori e giudici disciplinari) di individuare le condotte da punire, con logico riferimento anche ai fondamentali principi deontologici propri di ogni professione.
Non è un caso che chi voglia approfondire il concetto di “correttezza” non possa che ricercare negli archivi della giurisprudenza civile, essendo il codice penale realmente ispirato alla tassatività dell’illecito la cui tipizzazione mal si presta all’uso di concetti che possono diventare “eterei” così esponendo i cittadini all’arbitrio dell’interprete.
Limitando lo studio all’epoca moderna si trova qualcosa di penalistico con riferimento al reato di concorrenza “sleale”, essendo la correttezza l’antidoto alla slealtà. Ma finisce sostanzialmente qua. C’è nulla o poco altro.
Risulta invece impresa improba dominare l’elaborazione del concetto di correttezza ad opera della giurisprudenza civile essendo il relativo settore estraneo al principio di tassatività e quindi piuttosto libero il legislatore di riferirsi a concetti “viventi” nel mondo reale ma non catalogabili a priori come, per l’appunto, la correttezza, la lealtà, la buona fede, doveri imposti alla generalità dei cittadini nel rapportarsi con gli altri. Quel che si può dire, in una sintesi estrema, è che correttezza significa rispetto degli altri, dei loro contrapposti interessi, lealtà, non ricorrere a sotterfugi.
Non troveremo, se non col lanternino, delle norme che dicano “questa condotta è scorretta” ma semplici ammonimenti ai cittadini ad essere corretti perché diversamente ne sopporterebbero le conseguenze.
Questa premessa era necessaria per rimarcare come la scelta della Procura Generale della Cassazione di non ravvisare illeciti disciplinari nell’abitudine generalizzata dei magistrati di farsi raccomandare non sia affatto imposta dalla legge ed anzi, a nostro avviso, sia con essa in conflitto.
Dopo la diffusione della
direttiva della Procura Generale che manda indenne da conseguenze il magistrato petulante e sleale (perché si avvantaggia a discapito dei concorrenti che non si fanno raccomandare ed interferisce arbitrariamente nelle procedure consiliari) in molti si sono messi ad ipotizzare suggerimenti per nuove leggi delle quali non c’è bisogno alcuno, per quanto in precedenza spiegato sulla finta tassatività dell’illecito disciplinare.
Ci si può così imbattere in ipotesi di questo tipo: “Il nuovo illecito disciplinare, ipotizzabile in futuro, potrebbe consistere dunque in un comportamento scorretto, consistente nell’illecita interferenza, da parte di uno o più magistrati, nell’attività di uno o più componenti del Consiglio superiore della magistratura. Che tale condotta possa essere scorretta è implicito nel fatto che essa costituisce un tentativo di deviare il corso di un’attività deliberativa di uno o più consiglieri, i quali devono ispirarsi ai criteri di imparzialità e le loro delibere non devono essere condizionate da scopi esterni all’attività di governo autonomo della magistratura; il tentativo di condizionamento appare di per sé scorretto, poiché finalizzato a garantire al magistrato che lo compie un risultato che in ipotesi avrebbe potuto anche non conseguire se non avesse messo in atto la condotta di interferenza.”
Il brano è tratto dal sito della
testata della stessa corrente che attualmente esprime il Procuratore Generale della Cassazione e sembra muoversi in suo soccorso.
Ma il vaglio logico di quella ipotesi ne rivela la superfluità, proprio perché non ha senso alcuno che il legislatore ricorra alla specificazione dettagliata di una condotta “scorretta”, già di per sé passibile di sanzione a legislazione vigente.
Se, quindi, il Parlamento sarà costretto ad intervenire in questa direzione - cosa che razionalmente escludiamo – ciò suonerà come una plateale sconfessione dell’operato del Procuratore Generale senza rispondere ad effettivi vuoti normativi: una condotta scorretta domani lo è, infatti, anche oggi.
Non è un caso che faccia capolino, all’opposto e proprio in reazione allo scandalo di raccomandopoli ed all'apparente inerzia che ne è conseguita, l'idea di ripristinare la precedente ed onnicomprensiva formulazione degli illeciti disciplinari.
Eppure all’interprete è richiesto soltanto di essere osservatore vigile dei movimenti, delle fluttuazioni di quel coacervo di obblighi non immediatamente definibili che fanno capo ad ogni professionista nei più svariati settori in un dato momento storico.
Triste prendere atto che si stia vivendo in quello della scorrettezza.
Davvero un'epoca di scorrettezza che non risparmia nessuna categoria. Persino gli intellettuali fanno a gara a chi le spara più grosse.
RispondiEliminaNon ho mai avuto dubbi sul fatto che in questo povero nostro Paese una seria riforma della Giustizia non si farà mai. Una piccolissima conferma mi riguarda e riguarda anche questo blog e la sua redazione. Ho negli ultimi mesi scritto le mie modeste riflessioni che in genere venivano pubblicate. Ma quando ho scritto considerazioni . tra l'altro riferendo fatti e circostanze note e comunque certe, che riguardano magistrati potenti se non intoccabili, Casson D'Ambrosio sulle inchieste a proposito di piazza Fontana o magistrati che attualmente sono all'apice del consenso mediatico, Gratteri, e le sue inchieste che vengono regolarmente sgonfiate in sede giudicante.... e soprattutto della messa sotto accusa di magistrati Dr Lupacchini, che hanno soltanto eccepito non sui contenuti ma sul metodo. Il dr Lupacchini P Generale manco ne era informato... Allora anche in un blog di magistrati anomali fuori dal gioco delle correnti si diventa scomodi e si viene silenziati.
RispondiEliminaPiccolissimo esempio di come anche per voi alcuni magistrati siano intoccabili, perfino quando si riferiscono fatti acclarati, non opinioni