Quarantuno anni fa! Quarantuno! Tanti sono gli anni trascorsi dalla lettera di Giangiacomo Ciaccio Montalto, di cui Lorenzo Matassa, nello scritto che pubblichiamo, ci consegna alcuni passaggi di un'attualità inimmaginabile.
Lo zoom montato sull'obiettivo di Ciaccio Montalto perfora i lustri e mette a fuoco l'oggi come sanno e possono fare solo i grandissimi; che forse proprio per questo, perché grandissimi, capaci di guardare, di vedere e di dire, finiscono col trovarsi quasi sempre esiliati dal loro contesto, nel loro tempo.
E' amarissimo l'amaro che la riflessione di Lorenzo Matassa ci lascia in bocca. L'auspicio è che, smentendo la mesta constatazione dell'Autore, quelli che siamo venuti dopo, sappiamo fruire del dono di virtù dell'eroe civile, che prima di ogni cosa è la sapienza, sfruttandolo per lasciare a chi verrà dopo un campo un po' migliore.
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LA STORIA FUTURA di un EROE CIVILE…
di Lorenzo Matassa - Magistrato
Mi ha sempre toccato il cuore una frase del poeta Cesare Pavese in cui vi è sintesi del passato, del presente e del futuro della dimensione umana.
“A cosa serve il trascorrere dei giorni se non a farne memoria?”.
Fuori dal tempo che costruisce la nostra coscienza siamo solo vegetali di un lungo ed indistinto quotidiano.
Quale dignità di pensiero può esservi, infatti, in una società che dimentica i suoi eroi ed i loro insegnamenti?
La storia che voglio ricordare racconta di un vero Uomo. Il suo nome era Giangiacomo Ciaccio Montalto.
Fu ucciso, nella notte del 25 gennaio 1983, mentre tornava a casa sui tornanti della collina di Valderice.
Aveva solo quarantadue anni quando tre vigliacchi di “Cosa Nostra” gli strapparono la vita con i colpi delle loro armi.
Fu dolore e disperazione per la moglie e le tre bambine rimaste orfane.
Quell’Uomo – giusto, forte e coraggioso – aveva scelto la Sicilia per amore e per amore combatteva la sua solitaria battaglia.
Non solo contro la mafia sanguinaria, ma contro un “sistema” che aveva consegnato alla mafia l’intero territorio trapanese.
Una lotta impari e forse vana, ma necessaria in nome della Legge e della Giustizia in cui credeva.
Se vogliamo fare sintesi sublime della sua vita e della sua tragica morte, nulla di diverso da tanti altri martiri dimenticati di questa terra.
Essi sono eroi perché, anche nel silenzio della Storia, le loro gesta svetteranno sulla mediocrità della massa e vivranno in eterno.
Ma ciò che stupisce nella ricostruzione della vita del giudice Ciaccio Montalto è la sua lungimiranza.
Ho avuto modo di leggere alcune sue lettere ed in esse ho colto un’attualità davvero straordinaria.
Già quaranta anni fa, egli aveva capito tutto del “Sistema” (anche se Palamara, allora, era solo un adolescente).
Leggete bene quello che scrive ad un collega il giorno 28 MAGGIO 1980:
“Pur vivendo "in fondo al sacco", ho la sensazione che una grande stagione si sia oramai conclusa e definitivamente.
Ciò che è grave è il fatto che quella che si è aperta è di uno squallore profondo e non immune da rischi personali di vario genere.
Ho vissuto – o meglio – la mia generazione di magistrati ha vissuto l’epoca della grande illusione di potere cambiare le cose con l’impegno nel lavoro e con la partecipazione culturale.
L’epoca in cui si sono fatti i grandi processi che hanno sicuramente influito sul costume e che avevano consentito di tornare a dare credibilità alle istituzioni, o quanto meno ad una loro parte.
E’ stato il tempo in cui magistrati lontani tra loro sapevano di fare parte di un gruppo attivo e profondamente omogeneo e trovavano conforto in questa considerazione: erano profondamente amici nel senso più completo del termine… (ciascuno ndr) per il fatto di costituire un punto di riferimento per l’attività professionale e non per quella clientelare… senza promesse… contro i calcoli di scuderia al Consiglio Superiore della Magistratura… mai favori personali e che tutto fosse visto nell’ottica dell’effettivo pubblico interesse… il potere ha ripreso pienamente il controllo della situazione in tutti i settori.
Noi stessi, per parte nostra, ci apprestiamo a consegnare l’Associazione, il C.S.M. ed ogni altro organo ove si annidi sia pure un briciolo di potere ai peggiori, ai burocrati delle correnti, ai maestri dei calcoli e dei gemellaggi (io ti do una cosa a te…), ai signori della grande clientela…
E tu credi che in una situazione del genere troverai più qualcuno disposto a sacrificarsi e rischiare di persona? Ma per chi?”.
Le parole sembrano scritte in questi mesti giorni di pandemia magistratuale e non quaranta anni fa.
Circostanza che comprova il fatto che il nostro Paese nulla apprende dal passato e poco fa per mutare il futuro.
Resta l’eroismo dei singoli ed il loro insegnamento. Perché ciò che di buono hai fatto nella vita farà eco in eterno.
Per questo grazie – Giangiacomo – perché se ho scelto di fare il magistrato era per seguire il Tuo esempio…
Indipendente, libero, coraggioso. Con la mente oltre ogni orizzonte. Un esempio per chi ha la dignità della toga
RispondiEliminaCiaccio Montalto ha preceduto in tutto Giovanni Falcone ed ha aperto il filone che culmina nel 1992.Aveva scoperto il IV livello. Qualche giorno prima di essere ucciso era andato a trovare Carlo Palermo . La cosa più ripugnante, infinitamente intollerabile fu quel miserabile tentativo di infangare la sua memoria, a quel tempo tanto efficace. Una vergogna senza fine, che ricade sui grandi della collina del disonore.
RispondiEliminaMi disse uno studioso di mafie: "hai presente un invalido in carrozzina? Così è la mafia: una carrozzina che dalla Campania, l'hanno portata in Sicilia, ora in Calabria; in futuro, man mano la sposteranno dove ne hanno bisogno". Oggi, che la camorra non esiste più, la mafia è stata sconfitta e la ndrangheta è, per l'America e il resto del mondo il principale nemico da cui difendersi, capisco: I vigliacchi che hanno sparato contro Il dottor Giangiacomo Ciaccio Montalto, e gli altri che l'hanno fatto prima e dopo contro altrettanti onesti servitori della comunità Stato, l'hanno potuto fare in quanto il medesimo "stato", alleva "porci" e sacrifica coralli.
RispondiEliminaNel paese delle mafie e del terrorismo rosso e nero, finalmente, con l'implosione dell'Ordine giudiziario, gli Italiani "brava gente" scoprono che i fenomeni criminali (anche il terrorismo è stato tale) in democrazia formano tante piccole dittature quanto sono i centri di potere in capo ai quali vengono eletti o nominati o vincono concorsi squallide figure dedite al comoromesso.
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