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giovedì 11 marzo 2021

Il geco ed il Gico.



L’on. Cosimo Ferri è anche un magistrato ed in tale veste è oggi coinvolto in un giudizio disciplinare davanti al CSM per i fatti avvenuti presso l’Hotel Champagne, a due passi da Palazzo dei Marescialli, nella tarda serata del 9 maggio 2019 (qualcuno, infatti, dormiva).

Il dottor Ferri, che non s’adonterà se lo ricordiamo, da uomo politico ha molte frequentazioni, tutte legittime. Anche con Silvio Berlusconi che andava a trovare nella sua residenza romana, talvolta appostandosi in qualche angolo limitrofo all'edificio in attesa dell’arrivo del Cavaliere.
 
Per via di questa abitudine pare gli fosse stato affibbiato dal personale addetto a Palazzo Grazioli il vezzeggiativo de “il geco”

Ebbene l’ “incolpato”  dott.  Ferri si sta difendendo con grande piglio dinanzi alla Sezione Disciplinare del CSM e poiché difendersi significa anche “provare" ha esibito i risultati di una consulenza tecnica avente ad oggetto l’operato del “Gico”, vale a dire quella sezione della Guardia di Finanza  che teneva le “redini” del trojan lasciato libero nelle sue scorrerie all’Hotel Champagne,  ma poi inspiegabilmente imbrigliato appena il giorno dopo, quando si sarebbe svolta la cena tra il dott. Palamara ed i colleghi della procura della Repubblica di Roma, tra i quali anche il “capo”, dott. Pignatone della cui successione alla guida della procura della Repubblica capitolina s'era discusso la sera prima.
  
Proprio da quella consulenza pare siano emersi i contrasti circa il reale andamento dei fatti. 

Secondo la tesi ufficiale da poco ribadita dalla procura perugina non vi fu alcuna registrazione della cena. 

In base ad altre versioni la registrazione avvenne comunque, anche se non ve ne è una documentazione ufficiale. 

Alle perplessità già avanzate nel corso del giudizio disciplinare da uno dei componenti la Sezione giudicante, il dott. Nino Di Matteo,  sorpreso del fatto che il trojan fosse stato attivato solo nello smartphone del corrotto e non in quello del corruttore (in relazione ad ipotesi concreta poi radicalmente esclusa ed archiviata dalla stessa procura di Perugia) se ne aggiungono necessariamente delle altre che fanno dubitare, non senza ragioni,  dell’utilità di un simile strumento di indagine quando il “fantino” lo conduca secondo criteri  non verificabili ed apparentemente incoerenti.
 
Se, in relazione alle ipotesi oggetto dell'indagine penale, era d’interesse l’incontro dell’Hotel Champagne tra  il dott. Palamara,  alcuni consiglieri superiori e parlamentari  perché questo stesso interesse non era stato ravvisato anche la sera successiva nella quale si sarebbe svolta la cena tra il dott. Palamara ed i suoi colleghi della procura romana, compreso il suo capo ormai prossimo alla pensione (ed alla guida di un importante ufficio in Vaticano)? 

Ebbene,  in assenza di regole e criteri riconoscibili sull’attivazione e sullo spegnimento dell’intruso sarà agevole minarne l’attitudine probatoria perché, a differenza delle intercettazioni tradizionali che avvengono per l’intero arco temporale autorizzato dal giudice, qui si è al cospetto di un’intermittenza affidata alle cure del pubblico ministero che seleziona, ex ante e senza apparente criterio, ciò che gli interessa e ciò che invece è per lui irrilevante. 

Criterio che se fosse stato formalizzato sarebbe ormai noto al pubblico, essendovi stata la discovery degli atti nel processo perugino contro il dott. Luca Palamara e tenuto conto dell'attenzione della stampa all'argomento.  

Si tratta, all’evidenza, di un cavallo ... oops, di un istituto giuridico da ripensare integralmente. 



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