Mentre si consuma l’attentato al “prestigio” dell’istituzione per mano del consociativismo politico-giudiziario imperante, consacrato dalle leggi “Mastella”; mentre l’opinione pubblica è rapita dalle scandalose rivelazioni di Luca Palamara, interrogandosi sull’affidabilità del servizio giustizia; mentre la magistratura aristocratica chiude le porte all’autocritica, preferendo il rassicurante silenzio della notte, che tanto presto passerà; mentre l’ANM si affanna alla ricerca di un vaccino, il Consiglio Superiore lavora alacremente.
Tra declaratorie di incompatibilità ambientali, nomine di direttivi e semidirettivi, modifiche regolamentari sugli effetti del disciplinare, il 17 marzo 2021 sono approdate in Plenum sei proposte di pareri richieste dal Ministro di Giustizia ai sensi dell’art. 10 della Legge 24 marzo 1958, n. 195 sul testo di legge AC 2681, approvato dal Consiglio dei Ministri nella riunione del 7 agosto 2020, concernente le deleghe al Governo per la riforma dell’ordinamento giudiziario, costituzione e funzionamento del CSM, organizzazione uffici, incarichi direttivi e semidirettivi, disciplinare, ecc… Le sei corpose proposte sono state elaborate ed approvate dalla Sesta Commissione e giungono in discussione all’indomani dell’insediamento del nuovo Ministro di Giustizia, Marta Cartabia, che, tra le sue linee programmatiche, intende “verificare il lascito del precedente governo ed esaminare e valutare quanto dell’esistente meriti di essere salvato e, all’occorrenza, modificato ed implementato”. Esse possono leggersi sul sito Cosmag, ODG del 17 marzo 2021.
Si tratta di legittime prerogative attribuite dal Consiglio Superiore dalla legge e su ciò nulla quaestio.
E, pur tuttavia, sorgono spontanei alcuni ovvi interrogativi.
A parte l’opportunità politica di richiedere un consulto (non è dato capire se dall’attuale o dal precedente Esecutivo) allo stesso organo da riformare, stravolto da note vicende di alcuni suoi componenti e orientato all’autoconservazione, desta perplessità il contenuto di alcune di quelle proposte.
Ad iniziare, ad esempio, dalla premessa sulle “criticità”, espresse all’unanimità dalla Sesta Commissione, sulla “limitazione del potere discrezionale del Consiglio Superiore della Magistratura” e sull’attuazione dei principi di imparzialità, trasparenza, partecipazione, economicità della legge 241/1990, valorizzazione del merito e dell’anzianità, indicata dal disegno di legge nelle procedure di assegnazione degli incarichi, funzionamento dei consigli giudiziari, accesso in magistratura, legittimazione ai tramutamenti ecc.
In pratica, una lunga dissertazione sulla “bontà” dell’esistente, che oblitera le degenerazioni, ancora attuali, di un’azione di governo assai lontana dal decantato obiettivo di <immediato adeguamento all’evoluzione dei tempi e alle cangianti necessità della giurisdizione, a loro volte sollecitate dalle mutevoli necessità sociali e dalle specifiche esigenze dei diversi territori>, cui dovrebbe tendere, nel rispetto di regole certe, riservate esclusivamente alla Legge, la discrezionalità amministrativa dell’organo consiliare.
Il rilievo costituzionale delle competenze del Consiglio e la necessità di assicurare alle sue deliberazioni la <duttilità necessaria per un intervento tempestivo ed efficace nel settore dell’organizzazione della giurisdizione civile e penale in tutte le declinazioni in cui tale intervento si attua (dall’organizzazione degli uffici alla carriera dei magistrati)>, ovvero il riconoscimento del suo ruolo “politico”, non possono costituire un commodus discessus per sottrarsi ai vincoli della normazione primaria, necessaria, soprattutto a fronte degli eccessi registratisi negli ultimi quindici anni, a garantire, in ogni tempo, uniformità di indirizzi e decisioni che prescindano dalle congiunzioni astrali.
Sembra quasi banale. E invece non lo è. E occorre persino ribadirlo.
Senza voler affrontare in questa sede il merito delle proposte, su cui ci sarebbe tanto da dire, c’è da chiedersi se la scelta di difendere a oltranza l’indifendibile sia stata, al di là dei proclami, intimamente condivisa dalle correnti sostenitrici in seno all’ANM dell’unità associativa, perché, a mio avviso, è un’opzione anacronistica e fallimentare. Se dobbiamo rassegnarci a leggere mozioni non approvate, in attesa della restaurazione. Se sia il caso di iniziare a elaborare idee nuove e diverse (nel senso di autonome), da discutere con umiltà e, soprattutto, con mente aperta al domani.
Il dubbio sorge…
Se all’acquaiolo si chiede: "l’acqua è fresca", egli risponderà: “più della neve!”.
E' perfettamente inutile farsi la pur minima illusione. In questo momento " i politici" non intendono porre in essere, nel modo più assoluto, alcuna norma senza il benestare del CSM e dell'intera corte!!!!!! Per loro il "Commodus discessus" è una sorta di legittima difesa. In sostanza un comodo allontanamento dal fuoco per meglio ben arrostire le castagne. Ma tempo verrà!!!
RispondiEliminaHo seguito mediaticamente le vicende processuali dell’avv Pittelli, ora agli arresti per gravissime ipotesi di reato. Quindi ho altrettanto letto quanto de Magistris ha dichiarato: se non fossi stato fermato con le inchieste Poseidone e Why Not ove Pittelli era indagato, avrebbe fin d’allora, primi anni del secolo corrente, (da qui in avanti le parole sono mie) scoperchiato la pentola in cui il malaffare calabrese, indisturbato dalla magistratura e dal CSM, ha cucinato (e continua) prelibati pasti per gli infami della classe dirigente e politica, quasi tutta.
RispondiEliminaNon considero Pittelli un criminale, anche perché se così fosse l’intera Calabria sarebbe della stessa pasta, bensì un signore che se non fosse stato, solo apparentemente, un “potente” avrebbe affrontato quei processi con la massima serenità, magari, visto il pentitismo sempre di moda, collaborando proprio con quei magistrati. È stato sfortunato anche nell’aver schivato la seconda possibilità: collaborare con gli altri, magistrati, di Salerno ove proprio de Magistris, bloccato, aveva denunciato quanto succedeva di anomalo nel Tribunale catanzarese. Oggi parte della stampa e del mondo di FI, cui è stato autorevole esponente Pittelli, si mobilitano contro Gratteri; ed invece, dovrebbero mobilitarsi contro se stessi. Lo stesso ex senatore vissuto in una gigantesca bolla di sapone dove all’interno esisteva la totale impunità, mentre all’esterno inermi cittadini venivano rastrellati e deportati nei lager del circuito penitenziario italiano per essere affidati al giudizio dei tribunali delle procure, dovrebbe trovare il coraggio di fare oggi, ciò che il “sistema” non gli ha consentito di fare allora: collaborare! Forse, così, il Ministro, con un quadro più chiaro di quanto accaduto, riformulerebbe la nota al CSM, per nulla estraneo alla deriva raggiunta.