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martedì 28 giugno 2022

C'è pipì e pipì



 di Nicola Saracino - Magistrato 

Tra i magistrati c’è chi la fa a comando, ubbidisce ad un ordine, come ad esempio quelli impartiti dal dott.  Bruti Liberati quando spadroneggiava nella procura di Milano oltre che nella sua corrente  di Magistratura Democratica. 

E c’è chi, in  piena pandemia, sceglie di non frequentare bagni pubblici e quindi la raccoglie in un recipiente plastico.

Fobia ingiustificata quella per i bagni frequentati da più persone non appartenenti allo stesso nucleo familiare? 

Non si direbbe a dar retta, ad esempio,  ad alcuni comuni che hanno decretato la chiusura dei bagni pubblici per “comprovate” ragioni d'ordine igienico sanitario o alle  polemiche nate dalla loro riapertura, reputata prematura.

Dato per conosciuto lo stato di abbandono che mediamente caratterizza gli uffici giudiziari italiani e quindi il legittimo dubbio sulle condizioni igieniche  del bagno pubblico, lo scalpore suscitato dal caso di un giudice del tribunale di Catania appare alquanto interessato.

Perché si tratta di uno che,  se mandato al CSM,  non si allontanerebbe dall’aula per urinare, la farebbe sul posto senza rinunciare al voto e quindi la minzione  a comando altrui  non farebbe presa. 

Alla fine non si comprende se a scandalizzare sia stato il gesto, fisiologico e compiuto in riservatezza,  ovvero la dimenticanza, il mancato tempestivo smaltimento dei residui liquidi, scoperti in occasione di uno spostamento del mobilio negli uffici  del tribunale etneo. 

I giornaloni che ironizzano sulle cautele della toga catanese sono gli stessi che non hanno mai chiesto conto ai potenti dell’urina a comando, segno di fulgida sottomissione alla quale sono evidentemente assuefatti.

In tutto questo, a farla fuori dal vaso è il "sindacato" delle toghe, l'ANM che niente o poco fa per assicurare il minimo ... sindacale sulle condizioni igienico sanitarie degli uffici giudiziari, com'è ulteriormente dimostrato dai malori ai quali si va incontro nelle "saune giudiziarie" italiche, nel silenzio complice del sindacato degli accozzati. 

 


sabato 25 giugno 2022

Interferenze reciproche.



Luca Palamara s’era immischiato nella scelta (di competenza del CSM) del successore di Giuseppe Pignatone a capo della procura della repubblica di Roma,  sostenendo la candidatura di Marcello Viola poi asceso alla guida della procura di Milano.  


Giuseppe Pignatone  - che allo stato non ha smentito l’onorevole Matteo Renzi – s’era immischiato nella scelta del nuovo ministro della Giustizia, stoppando  la nomina di Nicola Gratteri col  veto dell’allora Presidente Giorgio Napolitano, opportunamente imbeccato dalle lobbies togate.

Palamara è stato defenestrato soprattutto perché tra gli interlocutori vi erano dei politici, come se la politica non contasse ordinariamente per le nomine che fa il CSM. 

Pignatone ha raggiunto una tranquilla pensione ed ora accusa per conto del Papa.  

Se è vero che ha interferito sulla scelta di un ministro della Repubblica c’è molto da preoccuparsi perché vuol dire che al dicastero della Giustizia non si accede senza il gradimento dei magistrati.

E questo significa che nessun ministro della giustizia potrà mai occuparsene senza vincoli di sudditanza verso il corpo togato. 

Sarà per questo che di riforme sgradite al Sistema non se ne  sono mai viste.

La magistratura condiziona la politica ma non può ammettere che la politica la condizioni a sua volta e allora caccia Palamara. 

E tiene Pignatone.    



  

mercoledì 1 giugno 2022

Compatibilissimi.



di Nicola Saracino - Magistrato 

Della dottoressa Donatella Ferranti, magistrato già parlamentare in quota al Partito Democratico, questo blog si è occupato più volte, seguendone la vicenda. 

Impegnata a chattare col dott. Luca Palamara, al pari di una moltitudine di magistrati, all’onorevole tornato in toga alla Corte di Cassazione è stata risparmiata l’azione disciplinare, in quanto per la Procura Generale l’interferenza sull’operato del CSM è prassi corretta e quindi non punibile. 

Forte di ciò la dottoressa Ferranti pretendeva che delle sue chat non si potesse parlare, anche perché protette dalle prerogative del parlamentare, tesi  che - a torto o a ragione - non ha fatto presa sul CSM che con la recente delibera ha ribadito che interferire sul CSM non è cosa corretta ma ha poi escluso che l’interessata, caldeggiando la nomina dell’uno a scapito dell’altro, fosse divenuta “incompatibile” con l’ufficio di appartenenza e quindi, oltre alla sanzione disciplinare, le è stato evitato anche il trasferimento. 

Del resto questo CSM aveva già plaudito al comportamento di un presidente del tribunale che si  adoperava, al di fuori delle vie formali,  per ostacolare la conferma di un collega nel ruolo di presidente di sezione. 

Ma cos’è l’incompatibilità cd “ambientale”? 

E’ prevista dall’articolo 2 legge guarentigie, modificata nel 2006, e prevede il trasferimento di sede e/o di funzioni a causa di situazioni  oggettive  determinanti, per il magistrato interessato, una condizione di effettiva impossibilità di svolgere adeguatamente le proprie funzioni giudiziarie nella sede occupata con imparzialità ed indipendenza.

Condizione esclusa dal CSM nella recente delibera perché, sentiti alcuni colleghi della dottoressa Ferranti, questi hanno riferito di non aver letto delle chat incriminate, di non averne parlato, di aver volutamente evitato di approfondire per il “riserbo” che s’imporrebbe al magistrato, anche quello investito di compiti latu sensu “sindacali”, come l’attuale Avvocato Generale che da Presidente della sezione dell’associazione nazionale magistrati in cassazione, a fronte del generale sconcerto dell'opinione pubblica e dello stesso Capo dello Stato, ha ritenuto suo compito quello di sorvolare, soprassedere, far finta di niente insomma.  

Ciò in sostanziale armonia con l’atteggiamento dell’ANM nazionale che ha impiegato secoli prima di aver formale accesso alla documentazione delle chat palamariane per trarne misere conseguenze in termini di sanzioni agli associati confabulatori. 

Su queste, assai  discutibili, basi il CSM - nella delibera che non si può leggere in quanto "secretata" forse perché vi sono riportate le chat che al dott. Di Matteo è stato impedito di leggere nella seduta pubblica trasmessa da Radio Radicale - ha quindi escluso l’incompatibilità della dottoressa Ferranti, come se contasse il solo rapporto coi colleghi d’ufficio; di quell’ufficio, per giunta, al quale molti se non tutti accedono con le famigerate nomine “a pacchetto”, vale a dire previamente concordate e frutto di spartizione correntizia solitamente preceduta da inciuci in tutto simili a quelli che il CSM ha addossato all’interessata come condotte scorrette.

Le nomine a pacchetto sono a tal punto sconce che il legislatore le ha dovute espressamente vietare con una norma ad hoc, in via d'approvazione. Così come è stato costretto a dire che interferire nei lavori del CSM è condotta da sanzionare disciplinarmente, visto che i titolari dell'azione disciplinare lo negano.     

Non conta, questa volta a differenza di altre, l’opinione della generalità dei soggetti che abbiano a che fare con la Corte di Cassazione e quindi degli avvocati, del personale e soprattutto dei cittadini che a quell’ufficio spesso consegnano l’ultima speranza di uscire indenni da contorte vicende processuali. 

Eppure non dev’essere rassicurante, per costoro, l’atteggiamento di chi confida che le decisioni del CSM non si basino solo sull’istruttoria formale (e legale) delle relative pratiche, ma siano  influenzabili da interventi esterni, non formalizzati e neppure documentabili se non quando per sfortuna s’incappi in un trojan inoculato nel cellulare dell’interlocutore amichevole. 

Che la dottoressa Ferranti fosse compatibilissima coll’ambiente nel quale esercita notevole influenza, caldeggiando la carriera di alcuni a scapito di quella di altri, era ampiamente presumibile. 

Che ciò venisse addirittura “confessato” in una delibera del CSM non infastidirà più di tanto le toghe  il cui maggior vanto è quello di praticare la virtù del riserbo, quello stesso ritegno che sovente connota le nomine, ispirate  da quanto non si può dire a dispetto di ciò che si scrive. 

La delibera che ha mandato esente da ogni conseguenza l'ex onorevole del Partito Democratico non si legge sul sito del CSM, è stata "secretata". 

Ma il segreto, l'eccessivo riserbo, non sono mai una cosa buona, perché contro la trasparenza. 

Post scriptum: anzi no!  

La delibera approvata non risulta secretata e può leggersi qui, scaricando il relativo pdf. Dalla pag. 98 si trovano anche le comunicazioni whatsapp col dott. Palamara che, non essendo state affidate a piccioni viaggiatori, non sono "corrispondenza" secondo lo stato dell'arte della giurisprudenza penale.