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domenica 7 marzo 2010

Il carisma e il dono della primavera calabrese





di Francesco Siciliano
(Avvocato del Foro di Cosenza)





“La Calabria si sgretola” era il titolo del Quotidiano della Calabria di qualche giorno fa, il senso di impotenza mista a rabbia, di immagini apocalittiche di una regione in ginocchio che, giorno dopo giorno, quasi in un bollettino di guerra, si sgretola sotto piogge torrenziali.

A ciò va aggiunto che la Calabria non si sgretola solo geologicamente perché negli ultimi anni abbiamo subito tante alluvioni che hanno provocati non solo smottamenti e frane.

Titoli su tv e media nazionali hanno individuato, senza tema di smentita, malasanità, razzismo, comitati di affari, storie di ndrangheta.

La Calabria, insomma, è stata inondata in questi anni da alluvioni di fango che, a volte a torto, hanno sommerso non solo case e frazioni intere, ma anche professioni, istituzioni, donne e uomini calabresi.

Chi non ricorda il “black out” di Federica, chi ha dimenticato i ragazzi in corteo nelle città calabresi al grido di “ammazzatecitutti”, chi non ricorda Cosenza invasa da cittadini, passeggini, bambini, e qualche avamposto con la toga e il bavaglio in segno di lutto.

Sulle foto ormai ingiallite ricoperte da un po’ di polvere, chi vuole, può rivedere fotogrammi di tutto questo.

Chi ha voglia può riprendere il proprio personalissimo album e rivedere le foto di una società che aveva deciso di dire basta, ma soprattutto può rivedere tante persone di quelle professioni, di quelle istituzioni, pulite ed educate, manifestare la loro voglia di dimostrare che, no, la Calabria è anche e in maggior misura altro.

La primavera calabrese la chiamavano i media locali e non.

La primavera, si sa è una stagione, ma in quella stagione c’era la voglia e la rabbia di molti di portare il proprio dono, il carisma di accadimenti che elevavano ogni calabrese silenzioso a protagonista. Il dono era “quel fresco profumo di libertà” che saliva dalle persone verso le istituzioni, verso i media, verso l’opinione pubblica nazionale.

Adesso ammazzatecitutti, trasferitecitutti, indagatecitutti.

Questo gridavano molti calabresi: giovani, adulti, operai, professionisti, uomini delle istituzioni; tutti quelli che in qualche modo volevano dire io non ci sto.

Alluvionati dal fango delle tragedie anche sociali e dai riflettori puntati su quelle, molti di noi volevano, indipendentemente, dalle posizioni politiche e personali, dire soltanto: io mi sento altro da quello che si descrive, sono solo calabrese.

L’alluvione di fango schizzava su un sistema che, dicevano, aveva retto , reggeva e regge la vita pubblica calabrese in cui un posto in prima fila lo occupa la “malapianta”.

Si era mossa la società civile, sciolta, indistinta, disaggregata.

Qualcuno aveva provato politicamente a cavalcare l’onda prendere la testa del corteo ma era stato decisamente disarcionato e ricacciato nel gruppo.

Questo perché non eravamo gli scontenti della società civile eravamo soltanto parte della società civile.

Il protagonista doveva essere il gruppo non un movimento politico non un personaggio.

Non c’era il carisma, chiunque fosse stato alla testa del corteo, non poteva portare il dono che quella primavera voleva, l’affermazione della propria cittadinanza italiana; nell’ombelico del mondo la legalità come regola non come eccezione.

In quel gruppo non c’era nulla di quell’atteggiamento contemplativo ed indolente che alcuni intellettuali definiscono nota caratteristica dello spirito meridionale; non c’era nulla di quello che, raccontano, sia il tratto tipico del calabrese con il cappello in mano.

In quella massa indistinta c’erano i germi del cambiamento.

Non so chi pensasse di mutare lo status quo; certamente molti pensavano di dire che esiste molto altro in Calabria.

Non so chi ritenesse di ottenere un posto al sole, io so, però, che quasi tutti affermavano la necessità che sotto i riflettori andasse l’altra Calabria quella della quotidianità ordinata e diligente; quella della passionalità; quella che è unita all’Italia nella voglia di non subire le scelte dall’alto della società politica.

E la primavera calabrese ha scoperto di averli trovati i riflettori: le citazioni di Benigni, i media nazionali, gli speciali in Tv, splendide professionalità autenticamente calabresi, finalmente, in primo piano.

La Calabria vera in primo piano. Una parte di noi lì sul palco.

Poi è arrivata l’estate che, si sa, a queste latitudini brucia molto, crea afa e tanti, non abituati alle alte temperature, hanno cercato refrigerio sotto l’ombrellone, si sono rifugiati all’ombra riparandosi dall’afa.

Per tanti non restare sotto il sole cocente, tuttavia, non è stato rinnegare l’impegno quanto tornare alla propria quotidianità sapendo di avere fatto la propria parte; poi si sa non tutti siamo portatori di doni, biblicamente c’è chi fa visita e chi porta i doni.

In queste situazioni di impeto emozionale, che per dirla con Freud derivano dalla pulsione dell’uomo all’inciviltà (l’insofferenza alle regole imposte), però si riconosce il carisma (il riconoscimento di uomini espressione di un nuovo ordine, nuove regole) e ci si attende il dono e, quindi, tornando all’ombra si è convinti, che il dono comunque arriverà.

Anche perché si è detto che gli uomini passano, le idee restano. Restano le loro tensioni morali e continueranno a camminare sulle gambe di altri uomini.

Invece le stagioni sono ciclicamente cambiate e le altre primavere non hanno portati i frutti di quei germogli.

E’ arrivato altro fango, drammaticamente, dai dissesti di un territorio a rischio, colpevolmente scempiato da speculazioni e colpevolmente non protetto da adeguati interventi di prevenzione.

Ora si sceglierà di nuovo chi avrà la responsabilità di programmare interventi sulla società, sulla formazione, sul territorio, sul progresso della Calabria.

Si riconoscerà, forse, nuovamente carisma e, si pensa, arriveranno anche i doni ma quel che è certo però è che la primavera tarda ad arrivare ………..



3 commenti:

  1. "Qualcuno aveva provato politicamente a cavalcare l’onda prendere la testa del corteo ma era stato decisamente disarcionato e ricacciato nel gruppo."

    ...proprio sicuro?
    ...e Aldo Pecora dove lo vogliamo collocare?!
    Magari non ha avuto finora il massimo della fortuna e dell'appoggio che avrebbe voluto per emergere, ma dio sa se c'ha provato a mettersi in bella mostra!!! (e probabilmente continua a provarci, ha età e santi che potrebbero aiutarlo, o no?)

    Comunque, speriamo non sia lui il dono tanto atteso...
    ...speriamo che sia Morrone la prossima speranza!!!

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  2. all'epoca Pecora non era un politico.....mi riferivo ai politici........morrone è una speranza..........peccato sia stato collocato per scelta tra giganti. La società civile non deve testimoniare........aprire ad essa vuol dire consentirgli di fare

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  3. e solo per amore della verità il dono era e doveva essere indistinto la società civile e non la società politica ........poi...............io non ho condiviso pecora da un certo momento in poi................infatti.......se ti và dai uno sguardo a http://perlacalabria.wordpress.com così capisci che proprio non combatto perchè pecora sia il dono ma semmai ch eil dono arrivi per molti cittadini di silenziosi e quotidiani che alzandosi al mattino possano respirare qual "fresco profumo di libertà"
    a presto

    RispondiElimina

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