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venerdì 26 giugno 2020

Caselli pericolosi

di Gaetano Bono - Magistrato


Dopo la pubblicazione, il 13 giugno scorso, sul Corriere della sera, dell’intervento del dott. Gian Carlo Caselli, il quale rilanciava alcune soluzioni prospettate dal Presidente della Corte d’Appello di Brescia Claudio Castelli, ci si sarebbe aspettati una qualche reazione, a fronte di proposte tali da mettere a serio rischio l’autonomia e l’indipendenza della magistratura. E, invece, il silenzio più tombale.

Pertanto, onde evitare che, data l’autorevolezza della fonte, si crei una sorta di tacito assenso a tali proposte, appare opportuno evidenziarne le principali criticità.

Chi scrive, peraltro, è latore di una proposta di riforma del sistema elettorale dei consiglieri del CSM volto a risolvere le degenerazioni del sistema correntizio e il carrierismo in magistratura, puntando sulla discontinuità tra ANM e CSM e sulla sottrazione alle correnti del potere di scelta dei candidati. 

L’idea è quella di predeterminare criteri meritocratici e di lontananza dalle correnti per comporre una platea di sorteggiabili che dia luogo non a un mero sorteggio, ma ad una sorta di “alea controllata” tramite cui individuare i candidati da eleggere, in un numero di 10 volte superiore ai seggi disponibili; tra i criteri si propone l’assenza di rilievi disciplinari gravi o reiterati, il positivo superamento della seconda o terza valutazione di professionalità, il mancato espletamento, nei cinque anni precedenti, di incarichi per il cui ottenimento occorre la “spinta” di una corrente (membro dell’ANM o del CSM, incarico fuori ruolo, etc.). 

Per questa via, si otterrebbe l’elezione di un congruo numero di consiglieri togati non più legati alle correnti o, comunque, liberi da vincoli di mandato o debiti di riconoscenza per la candidatura e il CSM recupererebbe la credibilità poiché potrebbe apparire, oltre che essere, imparziale.

Al contrario, la proposta del dott. Gian Carlo Caselli, ispirata dall’articolo del dott. Claudio Castelli, innanzitutto risulta inefficace nel contrastare le correnti, ma finisce altresì per indebolire l’intera magistratura, mortificandone l’autonomia e l’indipendenza nel punto in cui ipotizza di celebrare, “prima della vera e propria elezione, primarie da effettuarsi in ciascun collegio con la partecipazione, oltre che dei magistrati ordinari, di quelli onorari, di tutto il personale amministrativo e di adeguate rappresentanze dell’avvocatura e dell’università”.

Inoltre non spiega come siffatte primarie fungerebbero da freno per lo strapotere delle correnti. Ma vi è, altresì, una contraddizione nel ragionamento in quanto queste vengono definite quali “cordate di potere”, ma omette di considerare che, come tali, esse sono centri di interessi che intrecciano relazioni con il mondo universitario, con la classe forense, le rappresentanze sindacali dei dipendenti amministrativi e così via e, pertanto, ben potrebbero pilotare questa sorta di primarie allargate.

Ed è proprio tale allargamento l’aspetto più inquietante della proposta Caselli-Castelli, poiché aprirebbe all’influenza di organi esterni alla magistratura, portatori di propri interessi che, per quanto legittimi, sono per natura eterogenei rispetto al sistema dell’autogoverno così come disegnato dalla Costituzione. 

Tale soluzione, oltre all’evidente contrasto con l’art. 104 della Costituzione che demanda ai soli magistrati l’elezione della componente togata (avendo già l’avvocatura e l’università un proprio spazio nella componente laica), costituirebbe un evidente rovesciamento dei principi di autonomia e indipendenza dell’ordine giudiziario che si tutelano anche tramite la garanzia dell’assenza di interferenze esterne nella scelta dei consiglieri del CSM.

Vi è di più, giacché si rileva una pervicacia nel proporre soluzioni volte ad abdicare alle prerogative dei magistrati in favore di organi esterni, avendo suggerito di avvalersi di “un organo consultivo formato da tecnici esterni, in particolare di estrazione universitaria incaricati di una vera istruttoria” per “valutare le capacità organizzative e i risultati ottenuti sul campo”, sulla scorta dell’argomentazione che né “il CSM ma neppure i Consigli giudiziari hanno queste competenze, perché la valutazione è una scienza”.

Una tale impostazione segnerebbe la fine della magistratura come tale, rendendo e facendo apparire l’ordine giudiziario come sottoposto al condizionamento di forze esterne e comunque non risolverebbe il problema delle correnti, per la loro naturale capacità ad intessere legami col mondo universitario che, comunque, non è certo immune da logiche corporative.

Non serve arrivare a tale deleteria abdicazione, quando basterebbe introdurre criteri oggettivi e prontamente verificabili di valutazione dei risultati, mantenendo un minimo di discrezionalità da controbilanciare con un maggiore peso dell’esperienza specifica e della professionalità maturata. 

Questa soluzione viene però osteggiata da quanti preferiscono mantenere un ampio margine di discrezionalità in guisa che, sulla scorta di criteri elastici e fumosi, possano riuscire a ribaltare qualsiasi criterio oggettivo.

Nei momenti di crisi, qual è quello che la magistratura sta vivendo, insorgono legittime istanze di riforma, ma bisogna vigilare a che esse non si tramutino in furia iconoclasta o, peggio, in riforme solo apparenti che celano l’effetto di mantenere intatta l’influenza delle correnti.

Invero, la maggiore criticità della degenerazione correntizia sta nel fatto di avere introdotto meccanismi di condizionamento, frutto di logiche clientelari di cencelliana memoria, che hanno snaturato il CSM e reso meno liberi i magistrati.

Difatti l’autonomia e l’indipendenza, che non sono un privilegio ma un dovere poiché servono a garantire l’imparzialità e la terzietà del magistrato chiamato a decidere del caso concreto, vanno declinate sia all’esterno, specie nel confronto con il potere politico, sia all’interno dell’ordine giudiziario.

Per tali motivi, il ripristino della credibilità dell’azione giudiziaria passa per riforme che fondino la propria ragion d’essere nella liberazione della magistratura da condizionamenti di ogni sorta.

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