di Guido Neppi Modona
(Professore Ordinario di Diritto e Procedura Penale
ex Vice Presidente della Corte Costituzionale)
da Il Sole 24 Ore del 23 dicembre 2007
Sin da quando frequentavo, alcuni decenni orsono, i banchi della facoltà idi Giurisprudenza, avevo imparato che, agli effetti della legge penale, è pubblico ufficiale chi esercita una pubblica funzione legislativa, amministrativa o giudiziaria; pubblici ufficiali erano quindi, e lo sono pacificamente tuttora, i membri del Parlamento, chiamati a esercitare le più alte funzioni legislative.
Avevo anche imparato che se un senatore o un deputato riceve o accetta la promessa di danaro o di altri vantaggi per compiere un atto contrario ai doveri d’ufficio (ad esempio, per votare in modo diverso da come avrebbe votato se non fosse stato raggiunto da quelle offerte) commette il delitto di corruzione; delitto per cui sia il corrotto che il corruttore erano e sono tuttora puniti con la reclusione da due a cinque anni.
Se invece il senatore o il deputato non accetta l’offerta o la promessa del danaro o di altri vantaggi, il reato si chiamava, e si chiama tuttora, istigazione alla corruzione e a essere punito con una pena ridotta di un terzo è solo il corruttore.
All’inizio di novembre erano incominciate a circolare prima voci e poi notizie che era in corso una campagna acquisti di alcuni senatori da parte dell’ex Presidente del Consiglio per fare cadere il Governo al Senato durante le votazioni sulla Finanziaria.
Già allora mi ero stupito che nessuno avesse denunciato a chiare lettere che i tentativi di compravendita dei voti dei parlamentari, ove fossero risultati veri, avevano una precisa collocazione negli articoli 319 e 322 del codice penale.
Sembrava che la campagna acquisti dei senatori fosse stata accettata come un normale risvolto, sia pure un po’ troppo disinvolto e spregiudicato, della dialettica politica in corso tra maggioranza e opposizione; la vicenda era motivo più di scommessa che di scandalo.
L’atteggiamento di sostanziale indifferenza si è riproposto pochi giorni orsono quando, a seguito della divulgazione del contenuto di intercettazioni telefoniche disposte dalla Procura della Repubblica di Napoli per tutt’altro procedimento penale, siamo venuti a conoscenza che almeno un senatore – di cui è noto il nome – era stato effettivamente contattato, ma non aveva accettato le offerte e le promesse corruttrici.
Anche questa volta non ho udito alcuna voce nel circuito politico-parlamentare che abbia detto chiaramente che, ove provati, quegli approcci non fanno parte della normale dialettica politica, ma si chiamano istigazione alla corruzione per compiere un atto contrario ai doveri d’ufficio.
Abbiamo invece assistito al ripetersi di un copione ormai abituale, condiviso anche da esponenti politici della maggioranza di governo: a essere censurato e condannato non è stato il comportamento penalmente illecito o politicamente scorretto e squalificato; a essere messi sotto accusa sono stati l’istituto delle intercettazioni e le gravissime e non più sopportabili violazioni della privacy insite nel ricorso a questo strumento processuale.
L’attenzione si è spostata sull’imprescindibile esigenza di impedire per il futuro che notizie di quel tipo potessero divenire di dominio pubblico, sino a proporre limiti invalicabili al diritto costituzionale dei giornalisti di informare e dell’opinione pubblica di essere informata su vicende giudiziarie di indiscusso interesse pubblico per la loro rilevanza politica.
Questi atteggiamenti del ceto politico suscitano serie preoccupazioni in due direzioni.
E’ attualmente all’esame del Senato un disegno di legge, già approvato dalla Camera (che il Ministro della Giustizia vorrebbe con urgenza trasformare in un decreto legge di immediata applicazione), volto fra l’altro a tutelare il diritto alla riservatezza di chi, estraneo alle vicende processuali, corre il rischio, a seguito della divulgazione delle intercettazioni, di vedere sue privatissime vicende personali sbandierate sulla stampa e sulle reti televisive: ebbene, è tutt’altro che infondato il timore che la sacrosanta esigenza di tutelare la privacy di “terzi innocenti” venga strumentalizzata per estendere oltre misura sia il segreto sulle indagini giudiziarie, sia il divieto di pubblicare notizie sui processi in corso, sottraendo completamente le indagini al controllo dell’opinione pubblica, essenziale per scongiurare insabbiamenti, deviazioni o depistaggi.
Il secondo timore si collega alla previsione che, stante il clima di forte contestazione dell’istituto delle intercettazioni diffuso tra i politici, il Parlamento sarà molto restio a concedere l’autorizzazione a utilizzare le conversazioni telefoniche di un parlamentare intercettate fortuitamente quale prova penale contro il parlamentare stesso.
Per fortuna, però, grazie alla recente, provvidenziale sentenza della Corte costituzionale n. 390 del 2007, anche in caso di diniego dell’autorizzazione quelle conversazioni potranno essere utilizzate processualmente nei confronti di terzi e non dovranno più essere distrutte, contrariamente a quanto era stabilito da un’infelice legge approvata nel 2003 durante la scorsa legislatura.
Ora vi è quindi la possibilità che, beninteso nel rispetto delle regole sul segreto delle indagini giudiziarie, le conversazioni del parlamentare vengano, a tempo debito, conosciute dall’opinione pubblica, la quale potrà quantomeno esercitare forme di controllo sociale e esprimere la sua riprovazione sociale su gravi episodi di malcostume e di degrado dell’agire politico.
Leggiamoci anche questo articoletto di Travaglio per approfondire un po' trasversalmente come la questione delle intercettazioni viene vissuta dai nostri parlamentari
RispondiEliminahttp://www.canisciolti.info/articoli_dettaglio.php?id=11607
Non c'è nessuna voce che si levi neanche per protestare contro le raccomandazioni (anche Mastella entrò in RAI raccomandato da De Mita); lo stesso Felice Casson, per minimizzare il comportamento di Berlusconi, ha dichiarato in un'intervista che anche lui ha raccomandato dei poveracci che avevano perso il lavoro (al cronista non è parso opportuno chiedergli se, per caso, quei poveracci stessero partecipando ad un concorso pubblico).
RispondiEliminaLevarsi contro le raccomandazioni?Figurarsi, nessuno si leva contro la corruzione (come è stato ben spiegato nel ost principale), dovrebbero farlo contro le raccomandazioni!!Ci se ne vanta pure...
RispondiEliminaAmaro boccone anche questo!!!