di Maurizio Balletta
(Avvocato del Foro di Benevento)
da Lexambiente.it
Prime brevissime riflessioni a caldo sul decreto legge maggio 2008, n. 90, recante “Misure straordinarie per fronteggiare l’emergenza nel settore dello smaltimento dei rifiuti nella regione Campania e ulteriori disposizioni di protezione civile”.
Il decreto legge in commento, al di là del notevole trasversale consenso politico e della sua enfatizzazione a mezzo stampa quale provvedimento miracolistico, non sembra, in realtà, segnare alcuna seria innovazione di rilievo nella disciplina amministrativa finalizzata a superare l’ormai cronica emergenza nell’emergenza rifiuti nella regione Campania.
Al di là della compatibilità con i principi costituzionali, suscita, inoltre, assoluto allarme, per le conseguenze pratiche della applicazione della speciale disciplina processuale penale introdotta per i procedimenti concernenti l’accertamento dei reati ambientali in Campania.
Novità di rilievo, ma non certo risolutiva dell’emergenza, ma semmai generatrice di ulteriori problemi, è la nomina del Capo del Dipartimento della Protezione Civile a Sottosegretario di Stato.
L’investitura di ruolo politico del massimo dirigente del Dipartimento della Protezione Civile, tuttavia, non appare conforme ai principi generali dell’odierno diritto amministrativo.
In particolare, non tiene conto del principio di separazione della sfera politica da quella gestionale codificato all’art. 4 D.L.vo 165/01, non derogabile se non espressamente, con tutte le conseguenze in ordine alla eventuale illegittimità degli atti e dei provvedimenti che saranno adottati dal Capo del Dipartimento della Protezione Civile/Sottosegretario di Stato.
Parimenti priva di alcun innovativo rilievo, se si esclude l’introduzione di fattispecie incriminatici contro chi si introduca abusivamente nei siti o ne ostacoli la realizzazione o li danneggi, è la disciplina delle discariche.
I siti individuati sono sostanzialmente quelli già in precedenza individuati mediante decreto legge.
La loro realizzazione viene autorizzata ex lege, ma, in palese violazione della direttiva 85/337/CE e succ. mod.
L’art. 9, comma 2, del D.L. dispone che tale autorizzazione alla costruzione ed all’esercizio avviene “in deroga alle disposizioni relative alla valutazione di impatto ambientale (VIA) di cui al decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, come modificato dal decreto legislativo 16 gennaio 2008, n. 4, nonché alla pertinente legislazione regionale in materia, per la valutazione relativa all’apertura delle discariche ed all’esercizio degli impianti, il Sottosegretario di Stato procede alla convocazione della conferenza dei servizi che è tenuta a rilasciare il proprio parere entro e non oltre sette giorni dalla convocazione. Qualora il parere reso dalla conferenza dei servizi non intervenga nei termini previsti dal presente comma, il Consiglio dei Ministri, su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri, si esprime in ordine al rilascio della VIA entro i sette giorni successivi. Qualora il parere reso dalla conferenza dei servizi sia negativo, il Consiglio dei Ministri si esprime entro i sette giorni successivi”.
Il Governo ha preso finalmente atto che progetti di discarica autorizzati mediante decreto legge non sfuggono al campo di applicazione della direttiva comunitaria sull’impatto ambientale.
Infatti, tali progetti autorizzati mediante decreto legge non possono considerarsi approvati mediante “atto legislativo specifico”, cioè , mediante «una norma emanata da un Parlamento a seguito di dibattimento parlamentare pubblico, quando la procedura legislativa abbia consentito il conseguimento degli obiettivi perseguiti dalla direttiva 85/337, ivi compreso l’obiettivo della disponibilità di informazioni, e quando le informazioni a disposizione del Parlamento, al momento dell’approvazione in dettaglio del progetto, siano risultate equivalenti a quelle che avrebbero dovuto essere sottoposte all’autorità competente nell’ambito di un’ordinaria procedura di autorizzazione del progetto» (Corte Giustizia 19 settembre 2000 causa C-287/98).
Inoltre, il Governo pare prendere atto che tali discariche non rientrano nel campo di applicazione dell’art. 2, comma 3, della direttiva comunitaria 85/337/CEE, recepito dall’art. 15, della L. 31.10.2003, n. 306, che disciplina la VIA in caso di emergenza. Tale norma infatti si riferisce a singoli progetti.
Tuttavia, il procedimento VIA speciale disegnato dal D.L. non appare conforme alla direttiva 85/37/CE: il parere VIA, infatti, dovrebbe essere acquisito mediante la convocazione di una non meglio specificata conferenza dei servizi. Tale parere se non rilasciato entro una settimana, o se negativo, è rilasciato dal Consiglio dei Ministri.
La disciplina è totalmente eversiva dei principi cardine dell’istituto della valutazione di impatto ambientale nel diritto comunitario e ignora le necessarie fasi procedimentali imposte dalla direttiva: manca l’informazione del pubblico e, soprattutto, manca la fase, almeno sommaria, della partecipazione al procedimento da parte dei soggetti, singoli ed associati, interessati alla decisione finale.
Ma c’è di più: la norma pone non pochi problemi di rapporto Stato/Regione.
Infatti, la VIA sui progetti di discariche è di competenza regionale e, quindi, nei fatti, la Regione Campania viene espropriata delle proprie funzioni in materia di valutazione di impatto ambientale; peraltro, ciò sia in caso di inerzia protratta per più di sette giorni e senza previa diffida, sia in caso di parere di compatibilità ambientale negativo.
La VIA regionale, qual è quella richiesta per le discariche ed i siti di stoccaggio di rifiuti urbani, inoltre, è caratterizzata da mera discrezionalità tecnica e, pertanto, non appare corretta la definizione del procedimento da parte dell’organo politico Consiglio dei Ministri.
Criticabile è anche l’art. 8, comma 3, del D.L. che dispone: «E’ prorogato per un triennio rispetto al termine di cui all’articolo 2 del decreto legislativo 13 gennaio 2003, n. 36, lo stoccaggio dei rifiuti aventi codice CER 19.12.10, 19.12.12, 19.05.01, 19.05.03, 20.03.01, in attesa di smaltimento, nonché il deposito dei rifiuti stessi presso qualsiasi area di deposito temporaneo».
Al di là della terminologia atecnica utilizzata (essendo il deposito temporaneo tutt’altra cosa, da riferire, peraltro, esclusivamente al perimetro di un’azienda), la proroga ex lege per tre anni di siti di stoccaggio o di deposito preliminare in attesa di smaltimento delle c.d. “ecoballe”, pur se attivati in assenza di procedimento di valutazione di impatto ambientale, pare finalizzata esclusivamente a limitare la tutela giurisdizionale di enti locali e cittadini interessati.
Probabilmente la norma tende a escludere la possibilità di impugnare innanzi al TAR le autorizzazioni disposte mediante norma di legge.
Ma, soprattutto nei casi in cui tali siti siano stati costruiti in assenza di valutazione di impatto ambientale, il tentativo di escludere la possibilità di sindacato del giudice amministrativo pare destinato a fallire.
E’ noto, infatti che un atto amministrativo, qual’è l’autorizzazione a costruire una discarica o la proroga dell’autorizzazione allo stoccaggio, è atto sostanzialmente amministrativo, anche se contenuto in una legge-provvedimento, ed è impugnabile dai soggetti interessati, anche se il competente TAR Lazio dovrà necessariamente investire del sindacato sulla norma la Corte Costituzionale.
La proroga triennale ex lege, inoltre, è ancor di più censurabile laddove non tiene conto del giudicato amministrativo già formato ( ed esiste in Campania più di qualche caso): ad es. la proroga triennale ex lege dei siti di stoccaggio campani la cui realizzazione in violazione della disciplina VIA sia stata già accertata con sentenza del giudice amministrativo non tiene conto del limite del giudicato che tradizionalmente costituisce ostacolo insormontabile all’adozione di leggi-provvedimento.
Priva di innovatività alcuna è la norma contenuta nell’art. 4 del D.L..
Essa affida alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo la cognizione dei giudizi attinenti alla gestione dei rifiuti, posta in essere dall’amministrazione e dai soggetti ad essa equiparati anche in via comportamentale.
La materia era stata, infatti, già chiarita, con la prima sentenza resa nell’interesse della legge dalle Sezioni Unite della Corte di Suprema di Cassazione (n. 27187 del 28 dicembre 2007).
E ciò, in applicazione del nuovo criterio di riparto della giurisdizione, introdotto dalla Corte costituzionale nelle ormai note sentenze n. 204/04 e 191/06, basato sulla esistenza di esercizio di pubblico potere che radica la giurisdizione esclusiva.
Al di là di queste brevi osservazioni sugli aspetti amministrativi del D.L., ciò che veramente appare aberrante è la speciale disciplina processuale penale introdotta con l’art. 3.
Tutte le indagini preliminari pendenti in tutte le procure campane per “reati riferiti alla gestione dei rifiuti ed ai reati in materia ambientale” rientrano nella competenza del Procuratore della Repubblica di Napoli.
La norma non è strettamente riferita ai soli procedimenti penali concernenti l’accertamento dei reati ambientali commessi nell’esercizio della gestione commissariale dei rifiuti, ma si riferisce testualmente a tutti i procedimenti per reati ambientali non ancora definiti con l’archiviazione o l’esercizio dell’azione penale. Si tratta di miliardi di fascicoli aperti in tutte le procure campane che, probabilmente, non potranno neanche essere fisicamente ospitati negli incapienti (allo scopo) locali della Procura della Repubblica di Napoli, né trattati da un numero di magistrati che già oggi è assolutamente insufficiente a contrastare la locale criminalità ambientale.
Alla procura di Napoli, entro dieci giorni dal 23.5.2008, dovranno essere trasmessi tutti i procedimenti per l’accertamento dei reati ambientali, cioè, non solo dei procedimenti per l’accertamento dei reati in materia in materia di rifiuti, aria e acqua previsti dal D.L.vo 152/06, ma anche quelli riferiti a tutti gli altri reati contravvenzionali ambientali previsti dalle varie discipline ambientali di settore (ad es. art. 181 D. legs.vo 42/04 in materia di paesaggio, art. 30 L. 394/91 in materia di aree naturali protette ecc.ecc.).
Al di là di ogni riferimento alle norme ed ai principi generali sulla competenza territoriale, la norma è inaccettabile per i suoi effetti pratici e pare totalmente in contrasto con la dichiarata finalità di “fornire adeguate risposte, anche in termini di efficienza, nello svolgimento delle attività di indagine in ordine ai reati commessi nell’ambito delle predette attività di gestione dei rifiuti”.
Ciò, sia perché si riferisce anche a reati assolutamente non interferenti con l’attività di gestione dei rifiuti (tali non sono tutti i reati ambientali), sia perché potrebbe portare alla prescrizione della maggior parte dei procedimenti per reati ambientali attualmente pendenti in Campania.
Il rischio della prescrizione è accentuato dalla constatazione che non viene individuato nel d.l. alcun termine certo per il necessario adeguamento degli organici dei magistrati della della Procura della Repubblica di Napoli ad una mole infinita di nuovo lavoro, né viene previsto alcunché in termini di adeguamento delle sedi e degli organici del personale amministrativo e di p.g..
Praticamente la massiccia prescrizione che conseguirebbe al tombamento a Napoli di tutte le indagini per reati ambientali attualmente pendenti avrebbe lo stesso effetto di una vera e propria amnistia dei reati ambientali commessi negli ultimi anni nell’intero territorio della regione Campania.
Dall’art. 3 non emerge, quindi, una tensione all’efficienza della risposta giudiziaria alla criminalità ambientale campana, ma, anzi, pare ravvisabile una ratio opposta.
Ma l’art. 3 contiene una ulteriore aberrazione: disarma la magistratura e la polizia giudiziaria dell’unico efficace strumento di contrasto al reato ambientale.
Infatti è previsto che non potrà più essere disposto il sequestro preventivo urgente ex art. 321, coma 3-bis, c.p.p..
Le misure cautelari reali e personali potranno essere disposte solo da un (inesistente) G.I.P. collegiale presso il Tribunale di Napoli.
Ad es., colto in flagranza di reato in provincia di Avellino, l’abusivo smaltitore di rifiuti non potrà vedersi immediatamente sequestrato camion, carico e fondo da parte della p.g., ma sarà invitato (??) ad attendere che il P.M. di Napoli chieda ed ottenga il sequestro da parte del Tribunale collegiale di Napoli.
Ed ancora: tutte le misure cautelari eventualmente disposte prima della data di entrata in vigore del presente decreto, o convalidate da giudice diverso da quello collegiale presso il tribunale di Napoli, cessano di avere effetto se entro venti giorni dalla trasmissione degli atti il giudice competente non provvede a norma degli articoli 292, 317 e 321 del codice di procedura penale.
Altro che efficienza: i P.M. napoletani dovranno chiedere nuovamente l’applicazione delle misure cautelari al Tribunale collegiale napoletano con funzione di G.I.P.; quest’ultimo dovrà pronunciarsi nuovamente e, quindi, duplicherà il lavoro di applicazione delle misure cautelari già disposta dal giudice competente ante D.L..
Per dimostrare che si tratta di norma assolutamente inefficiente, basti considerare solo i costi economici della duplicazione dei procedimenti già definiti di applicazione delle misure cautelari e reali.
Ma c’è di più: per dimostrare la totale irrazionalità ed inefficienza della norma occorrerà semplicemente chiedersi se la sua applicazione concreta non porterà al dissequestro di tutte le migliaia di discariche abusive sequestrate negli ultimi anni nell’intero territorio regionale campano ed alla liberazione dei pochi ecomafiosi ad oggi in stato di carcerazione preventiva.
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Sull'emergenza rifiuti in Campania abbiamo pubblicato numerosi articoli e documenti, il cui elenco si trova in fondo al post che si può leggere a questo link.
ottima analisi. questo decreto legge è davvero aberrante (per non dire criminale) e conferma che questo governo è molto pericoloso. e siamo solo all'inizio. :-(
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