In questo contesto si inserisce la storia che ci racconta, nella lettera che pubblichiamo qui sotto, un magistrato che, senza alcuna sua responsabilità, è incappato nel congegno usato dal sistema per affermare la sua autorità. Accertata nelle sedi competenti la sua correttezza, ha comunque deciso di dire basta.
Sono Fernando Prodomo, magistrato di settima valutazione, almeno sino al 31 maggio prossimo, dopo andrò in pensione, anticipata, molto, perché ho 64 anni, ma sono stanco e indignato.
Devo però alla Magistratura, che tanto mi ha dato professionalmente sino a qualche anno fa, una testimonianza, il racconto di fatti che mi sono accaduti da quando ho avuto le funzioni semidirettive.
Sino ad allora – era il 2012 – risultavo essere un magistrato normale, nella media, con tante esperienze organizzative (informatico, formatore, coordinatore uditori, relatore a convegni, persino docente alla SSM).
Ho avuto le funzioni all’unanimità dal CSM, ho iniziato come Presidente della seconda Corte d’assise al Tribunale di Firenze: dopo meno di due anni, avendo celebrato solo 5 processi, sono passato a domanda alla prima sezione civile, che si occupa di diritti della persona e famiglia, materie che conosco bene.
Con il Presidente del Tribunale di allora, Enrico Ognibene, nessun problema, malgrado i miei noti orientamenti “progressisti” a fronte dei suoi, più “conservatori”.
Con l’arrivo della Presidente Rizzo è iniziato invece un bombardamento di richieste di relazioni, statistiche, numeri, oltre a critiche pubbliche alla mia attività di presidente di sezione, che non mi consentiva più di lavorare con serenità: una sorta di mobbing.
Fino al parere per il rinnovo quadriennale delle mie funzioni, redatto dalla Presidente Rizzo, con conclusione formale favorevole al rinnovo ma motivazione “suicida”, nella quale scriveva ogni male possibile di me: e così il CG di Firenze, dopo una mia audizione durata diverse ore, espresse a maggioranza parere contrario al rinnovo, ritenendo che non avevo ottemperato alle richieste dei Capi degli uffici.
Dopo due anni nei quali la pratica è stata ferma (!), il CSM all’unanimità mi ha confermato nelle funzioni.
Poco dopo mi è stato notificato atto di incolpazione disciplinare, per comportamenti gravemente scorretti nei confronti dei miei superiori, ai quali non avrei fornito le risposte alle solite richieste di relazioni, dati, statistiche, controlli sui ritardi dei colleghi di sezione, richieste urgenti di difensori.
Altri due anni, e sono stato prosciolto da ogni accusa in sede di sezione disciplinare, su conforme parere del PG della Cassazione, nel merito, non emergendo alcuna violazione a mio carico.
Oggi leggo sulla stampa che vi sarebbero trascrizioni di intercettazioni telefoniche nell’ambito del procedimento penale a carico di Luca Palamara nelle quali la Presidente Rizzo, della medesima corrente del suddetto, gli chiedeva all’epoca con decisione e con una motivazione tragicomica (“una diversa decisione farebbe perdere fiducia nell’autogoverno”!!!!!) che il CSM non rinnovasse il mio quadriennio.
La gravità dell’accaduto non ha bisogno di commenti da parte mia, evidenzia ancora di più rispetto a quanto emerso da un anno a questa parte le dinamiche incredibili in cui la magistratura si è avvitata, se è vero che non solo si assiste ad un mercato delle nomine svolto fuori dalla sede istituzionale, ma anche a tentativi di punire senza alcun reale motivo giudici non allineati, autonomi, stimati dal foro e dal personale, credo per mero piacere nell’esercizio del potere.
Spero che in futuro i giovani magistrati possano sottrarsi all’inevitabile dilemma attuale: iscriversi ad una corrente per fare carriera, o non farlo, rassegnandosi a rimanere bravi magistrati che non potranno riversare le loro capacità in favore dell’organizzazione giudiziaria.
Caro Signor Fernando,
RispondiEliminaSe vi capita in questi ultimi giorni qualche rubagalline da dover giudicare,mandatelo assolto. Anche per onorare il blog che ospita la Vostra testimonianza ... È stato cmq più fortunato di me, perseguitato dai suoi colleghi che inseguivano virtù e conoscenza, oltre che scalare i vertici dell'antimafia in nome di F e B