di Giuliano Castiglia - Magistrato
Franco Corleone, politico di lungo corso
particolarmente dedito ai problemi della giustizia penale, soprattutto in tema
di carcere, ha firmato ieri un pezzo per Il Manifesto intitolato “Chi
demonizza le correnti preferisce la casta”.
Si tratta di un sussegirsi di inesattezze e
illogicità che si risolvono in un invito a soprassedere da qualsiasi
cambiamento delle regole di funzionamento del sistema che governa i magistrati,
del quale in questi giorni abbiamo avuto la rappresentazione reale.
Rappresentazione a beneficio dell’opinione
pubblica perché gli addetti ai lavori già conoscevano bene il sistema per
esperienza diretta, praticata o subita, da pochissimi denunciata, da moltissimi
condivisa per convenienza o connivenza, dai più tollerata per indifferenza od
omertà.
Corleone inizia dicendo, sostanzialmente, che
il problema delle correnti è un diversivo per distrarre l’opinione pubblica dal
vero problema.
Vero problema sarebbe, invece, l’eccessivo
potere attribuito ai “capi” delle procure, da cui la corsa a occupare le
relative poltrone, a sua volta frutto della continuità statale tra monarchia
fascista e repubblica democratica.
Peccato che a scegliere quei capi e ad
alimentare le corse alle poltrone non siano né le Consulte dirette dagli ex
presidenti del tribunale della razza né le Cassazioni abrogatrici delle
sanzioni contro il fascismo.
Peccato che lo spettacolo rappresentato in
questi giorni su qualche quotidiano e in sparute trasmissioni sia essenzialmente
prodotto e messo in scena dal sistema correntizio.
Peccato che delle corse alle poltrone gli
accordi spartitori tra le correnti e tra i loro capi siano il carburante
principale dei mezzi impiegati in tali competizioni.
E peccato che, diversamente da quanto scrive
Corleone, le spartizioni partitico-correntizie non siano affatto limitate ai
vertici delle procure e che condicio sine qua non di queste siano tutte
le restanti spartizioni: fioccano dalle chat palamaresche preci, promesse, accordi,
scambi, stop, accelerazioni, frenate, pacchetti; non solo sui procuratori ma su
tutto, presidenti, presidenti di sezione, aggiunti, posti in DDA, in DNA, al
massimario, in Cassazione, in Procura generale, fuori ruolo qui e fuori ruolo
là; e tutto rigorosamente prescindente dai principi di imparzialità e
indipendenza tanto dei magistrati quanto dell’ordine di appartenenza; e tutto
pressoché interamente fondato sulle appartenenze, le vicinanze, le convenienze
e, se possibile, via peggiorando.
E peccato che l’impegno a favore della
corrente e il voto per la corrente siano i dati che contano per “piazzare”
questo o quell’altro nei posti in ballo.
Ce lo insegnano tutte le chat riservate
divenute pubbliche.
Da una del novembre 2017, ieri assurta agli
onori della cronaca, tra Gaetano Sgroia e Luca Palamara (sodali di Unicost) in
cui il primo, aspirante al posto di presidente di sezione del riesame di un
tribunale del Sud, ricorda al secondo: “Ho dato tutto per
Unicost sempre e comunque. Anche e soprattutto dopo aver perso le primarie di
quattro anni fa. Tanto è vero che a Salerno i consensi sono addirittura
aumentati”;
a quella più risalente nel tempo tra Francesco Vigorito e i suoi sodali di corrente,
divenuta pubblica per caso fortuito, in cui l’allora Consigliere di Area (era l’ormai
lontano novembre 2012) segnalava agli interlocutori come un’altra sodale gli
avesse riferito che uno dei candidati a un certo ufficio direttivo –
qualificato dallo stesso Vigorito “di rilievo minore” – avesse “votato
alle nostre [di Area] primarie” e forse “anche alle elezioni”.
Dunque, effettivamente, come riconosce lo
stesso Corleone, “la tabe ha origini antiche”.
Con essa, tuttavia, il codice penale fascista
c’entra come i cavoli a merenda.
Mutatis mutandis, invece, le si
attaglia perfettamente l’analisi berlingueriana sull’occupazione partitica delle
istituzioni (Anno Domini 1981); che a tutti i partitocrati, però, non andò e
non va di sentire.
Per Corleone “è evidente che se il CSM è
eletto per un terzo dai magistrati, il metodo di elezione deve garantire la
rappresentanza secondo un metodo limpido”.
Dispiace dire che quello che dice Corleone
non è affatto evidente e costituisce una totale inesattezza.
Come
si è detto altrove, il CSM non è affatto un organo di rappresentanza
politica e non potrebbe esserlo perché i magistrati non hanno alcun mandato
politico, essendone costituzionalmente immuni, e, conseguentemente, giammai
potrebbero investire qualcun altro di un siffatto mandato.
Un CSM politico non potrebbe essere eletto,
nella sua frazione maggioritaria, dai magistrati.
Un CSM politico, attraverso la selezione partitico-correntizia dei dirigenti e l'influenza di questi sui singoli magistrati - tra l'altro dovuta a un sistema di valutazione di professionalità essenzialmente basato, in totale violazione dell'art. 107 della Costituzione, sul "rapporto" dei "capi" - si traduce in un attentato al principio cardine di neutralità politica della giurisdizione, nettamente sposato dai Costituenti con l'affidamento dell'esercizio di tale funzione sovrana al potere diffuso di tecnici soggetti soltanto alla legge e selezionati per concorso.
Nella componente togata, semmai, il CSM è un
organo rappresentativo delle diverse categorie. Una sorta di campione dei
magistrati ordinari.
Palesemente errato e illogico, infine, è il
rilievo di Corleone secondo cui, se ci si affidasse al sorteggio nella scelta
dei componenti del CSM, “per conseguenza anche le decisioni dei processi
potrebbero essere affidate al metodo infallibile del testa o croce”.
Chiunque comprende, infatti, che una cosa
sono le regole per la selezione dei componenti di un organo e altra e ben
diversa cosa sono quelle per l’assunzione delle decisioni da parte di quegli
organi.
I tribunali dei ministri, assai operativi in
questo frangente temporale, sono organi i cui componenti sono selezionati per
sorteggio.
E se un presidente di un tribunale dei
ministri selezionato per sorteggio, investito di un caso scottante al quale
Palamara sembra essere tanto interessato, può dire allo stesso Palamara “sarò
freddo come uno squalo” e concorrere a decidere e redigere un provvedimento
che il Luca nazionale, stando alle sue chat, potrebbe non avere apprezzato, è
lecito dubitare che altrettanto avrebbe potuto fare un presidente di qualsiasi
altro ufficio lì sedente quale frutto della “mediazione” del buon Luca.
Chi demonizza le correnti non è chi le
vorrebbe fuori dal governo dei magistrati e dedite, come dichiarano di volere
essere e come afferma lo stesso Corleone, al “confronto delle idee”.
Chi demonizza veramente le correnti sono
coloro che continuano a volerle intruppate nelle istituzioni di governo dei
magistrati, impegnate nella spartizione dei posti ai “migliori” dei loro
e di quelli come loro, essenzialmente selezionati secondo criteri di
appartenenza, fedeltà e abilità strategica a farsi strada nei giochi partitici,
dove il merito tecnico conta nella misura in cui è messo al servizio delle
altre abilità.
Chi demonizza veramente le correnti sono
coloro che invocano l’importanza del “pluralismo culturale” tra imagistrati per resistere a qualsiasi possibilità di porre fine al triste e
illecito spettacolo spartitorio in cui esse riescono a dare il peggio di sé
stesse.
Tutto a prescindere dal fatto che: ulteriore e più incisivo potere ai "capi" delle procure è nel programma di chi le correnti(depurate da elementi indipendenti, creando miriadi di piccoli collegi) le sta salvando a tutti i costi.
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