di Rosario Russo già sostituto procuratore generale presso la Suprema Corte
I. L’ordigno clientelare-spartitorio - II. L’orientamento delle Sezioni Unite - III. Le linee guida della Procura Generale IV. Valutazioni
«[prenome del Consigliere CSM] solo tu puoi trovare la strada ...e solo tu puoi aiutarmi hai sempre raggiunto i risultati voluti ...dammi questa possibilità te lo chiedo per favore in nome dei [numero] anni di [nome della corrente associativa] e della nostra amicizia» (Messaggio sms - riportato dalla stampa e qui orfano dei dati individualizzanti, indirizzato da un magistrato ordinario ad un componente del C.S.M.).
I. L’ordigno clientelare-spartitorio
All’interno della
A.N.M. convivono categorie diverse di magistrati. Accanto a quelli che vi partecipano
operativamente coesistono quelli che vi fanno parte passivamente. Tra gli attivisti
si annoverano sia quelli che legalmente si battono per l’affermazione soltanto dei
valori ideali della corrente cui appartengo (attivisti disinteressati); sia coloro
(attivisti interessati) che invece, mediante una distorta ’attività associativa,
principalmente «certant del lucro captando», cioè
aspirano a vantaggi illegittimi, ovvero (coscientemente o putativamente) «certant de damno vitando», avvalendosi
di mezzi illegittimi.
La captazione dell’illegittimo
vantaggio può avvenire prima dell’elezione, secondo il classico «voto
di scambio»: «mi adopero per la tua elezione al C.S.M.
se ti impegni a favorirmi successivamente». Oppure può intervenire
a elezione avvenuta, come testimoniato dal messaggio in esergo riportato: «ho
contribuito alla tua elezione ovvero per
tanti anni al successo della nostra corrente, dunque ora pretendo la mia
ricompensa». A volte il magistrato associato ha effettivamente diritto,
e sa di avere diritto, a conseguire l’ambito provvedimento. Temendo tuttavia che
il Consiglio possa illegittimamente preferire altri, chiede in prevenzione di essere
‘protetto’ o ‘accompagnato’ o ‘difeso’ dal sodale Consigliere del C.S.M., invece
di affidarsi alla G.A. impugnando la delibera arbitraria. Nel che si rinviene la
prova tangibile della estensione e del consolidamento del metodo clientelare.
Essendo prima
facie illegittimo, il sistema clientelare può operare soltanto per mezzo del
metodo spartitorio[i];
perché il sistema regga è necessario che tendenzialmente le correnti siano parimenti
avvantaggiate e compromesse, sicché ciascuna di esse non possa far valere una virginale
legalità. Una prima scrematura avviene in Commissione: di norma i magistrati privi
di appoggi correntizi sono subito esclusi dall’agone, qualunque sia il loro merito
professionale. I ‘giochi’ o le trame correntizi (con o senza il sistema dei ‘pacchetti’
di nomine) si svolgono poi nel Plenum, con la singolare conseguenza che le nomine
concordate ricevono addirittura il consenso unanime. Ovviamente, nomine siffatte
sono impugnabili davanti al G.A.: è tuttavia un’evenienza remota, sia perché è scarsa
la propensione al ricorso amministrativo, sia perché la decisione definitiva, ancorché
favorevole, perviene dopo qualche anno, quando già l’interessato è in quiescenza
o prossimo ad essa.
Tutti gli attivisti così illegittimamente interessati sono ripudiati e banditi - mediante l’espulsione - dall’associazione, perché, secondo il Codice etico dettato dall’A.N.M., «Nello svolgimento delle sue funzioni, nell'esercizio di attività di autogoverno ed in ogni comportamento professionale il magistrato si ispira a valori di disinteresse personale, di indipendenza, anche interna, e di imparzialità» (art. 1, 2°); ed inoltre perché «Il magistrato non si serve del suo ruolo istituzionale o associativo per ottenere benefici o privilegi per sé o per altri. Il magistrato che aspiri a promozioni, a trasferimenti, ad assegnazioni di sede e ad incarichi di ogni natura non si adopera al fine di influire impropriamente sulla relativa decisione, né accetta che altri lo facciano in suo favore. Il magistrato si astiene da ogni intervento che non corrisponda ad esigenze istituzionali sulle decisioni concernenti promozioni, trasferimenti, assegnazioni di sede e conferimento di incarichi.» (art. 10).
Perciò – può concludersi
– i magistrati ordinari e la loro associazione istituzionalmente condannano il metodo
clientelare-spartitorio, giacché – come appare ovvio – esso sacrifica i meritevoli;
tradisce le attese dei magistrati disinteressati e degli Utenti finali della Giustizia;
non teme di mostrare la propria iniquità agli stessi componenti laici del Consiglio
Superiore della Magistratura (che, essendo in minoranza, non potrebbero neppure
reagire con successo) e all’opinione pubblica; delegittima la Magistratura allorché
cerca d’arginare l’illegalità diffusa; confonde e compromette il sentimento di giustizia
che anima – e deve animare - il decidente. Ben vero, con quale toga o con quale
pirandelliana maschera o con quale grado di amnesia psicogena (personale e professionale),
può ancora un qualunque giudice, consapevole del metodo clientelare-spartitorio
all’interno della Magistratura, condannare i ‘maneggioni’ che si ripartiscono favori,
incarichi, commesse e appalti sulla base di analoghi accordi spartitori stipulati
a tavolino?
Approfondendo l’analisi, si scopre che il
sistema spartitorio entra in crisi – ed è entrato in crisi, com’era prevedibile
– allorché i privilegi illegittimamente erogabili non bastano a soddisfare l’esorbitante
domanda dei clientes, sempre più numerosi ed esigenti; allorché cioè,
a misura che si amplia (con l’altalenante successo delle varie correnti) la pletora
di coloro che ‘devono’ essere favoriti per meriti correntizi, non vi siano più sufficienti
magistrati indipendenti e disinteressati da sacrificare! Tale è la ’legge fondamentale’
– e l’intrinseco limite - del paradigma clientelare-spartitorio, condannato perciò
a crollare proprio quando si erge a generale o prevalente sistema. Ma - si sa -
poco importa del suo destino, perché «il presente prende corpo, ingigantisce: copre il futuro che si annulla
e gli uomini non vogliono pensare che al giorno dopo» (A. de Tocqueville): fa parte del generale nichilismo culturale accontentarsi
dell’oggi o del domani, senza pensare al futuro dell’istituzione (anche) giudiziaria.
Né manca chi si ostina a proclamare e a teorizzare, con rara protervia, la necessità
dell’abietto sistema descritto[ii].
Pertanto è necessario che il rapporto instaurato
tra il magistrato che aspira ad ottenere un qualunque provvedimento ed il Consiglio
sia depurato da qualunque impropria interferenza.
II. L'orientamento delle sezioni unite
Precisamente in
questa direzione si sono mosse le Sezioni Unite, statuendo da ultimo[iii],
con sentenza n. 741/ 2020, quanto segue.
«5.
Col quinto motivo, il ricorrente deduce, in riferimento agli artt. l, co 2, e 2,
co l, lett. d) del d.lgs. n. 109 del 2006, l'insussistenza del fumus boni iuris
"per difetto di tipicità delle condotte contestate al capo l) dell'incolpazione".
L'art. l, co l, della L. n. 106 del 2009, afferma il ricorrente, descrive i doveri
del magistrato "nell'esercizio delle sue funzioni", il successivo art.
2 disciplina gli illeciti commessi "nell'esercizio delle funzioni" e l'art.
3 quelli commessi "fuori dell'esercizio delle funzioni". L'assunto dell'ordinanza
secondo cui "anche i rapporti personali tra magistrati rientrano certamente
nell'ambito di applicazione della norma richiamata", violerebbe il principio
di tassatività dell'illecito disciplinare, specie tenuto conto che l'espressione
"nell'esercizio delle funzioni" non ha un valore classificatorio, ma corrisponde
ad una bipartizione sistematica ed integra, dunque, un elemento costitutivo tipico:
l'illecito non discende dalla qualità formale dell'agente, ma dal reale esercizio
della funzione.
5.1. Il motivo è infondato.
5.2. Queste Sezioni Unite hanno già avuto modo
di precisare (cfr. Cass. SU n. 3888 del 2019; n. 27292 del 2007) che gli artt. 2
e 3 del d.lgs. n. 196 del 2006 hanno in modo molto limitato la funzione di distinguere,
a fini disciplinari, i magistrati a seconda dell'esercizio o meno delle funzioni
giudiziarie, essendo piuttosto intese a "prevedere ipotesi di responsabilità
disciplinare che possono rilevare a prescindere dal fatto che il magistrato che
le ponga in atto eserciti o meno le funzioni stesse", tanto da affermare che
possa essere chiamato a rispondere delle ipotesi di cui agli artt. l e 2, pure,
chi in atto non eserciti funzioni giudiziarie, in quanto "ciò che rileva, ai
fini della responsabilità disciplinare, è lo status dell'appartenenza all'Ordine
giudiziario". Più specificamente, questa Corte ha già ritenuto infondata la
tesi, fatta propria dal ricorrente, secondo cui la fattispecie tipica dell'illecito
di cui all'art. 2, comma l, lettera d), del d.lgs. 23 febbraio 2006, n. 109 dovrebbe
avere ad oggetto "il reale esercizio della giurisdizione", in quanto,
come è stato condivisibilmente ritenuto, tale previsione -la quale dà rilievo come
illecito disciplinare ai "comportamenti abitualmente e gravemente scorretti"
anche quando tenuti nei confronti di "altri magistrati"- deve essere interpretata
nel senso che tali comportamenti non debbono necessariamente essere frutto dell'esercizio
delle funzioni attribuite al magistrato, potendo riferirsi anche ai rapporti personali
tra colleghi all'interno dell'ufficio, atteso che la formulazione normativa appare
prescindere del tutto dalla "funzionalità" della scorrettezza. Tale principio,
affermato da Cass. SU n. 7042 del 2013, è stato richiamato e ribadito dalla successiva
sentenza n. 17551 del 2017 (entrambe citate dalla sezione disciplinare), secondo
cui il concetto di "ufficio" non si riferisce esclusivamente ai rapporti
attinenti all'esercizio di funzioni strettamente giudiziarie ma investe anche le
relazioni di tipo personale che intercorrono con soggetti che tali relazioni hanno
intessuto con il Magistrato per il ruolo che questi svolge. In consonanza con tali
principi, è stato di recente precisato (Cass. SU n. 31058 del 2019) che costituisce
illecito disciplinare ai sensi dell'art. 2, co l lett. d) la scorrettezza funzionale
grave "correlata a comportamenti che, pur se non compiuti direttamente nell'esercizio
delle funzioni, sono inscindibilmente collegati a contegni precedenti o anche solo
in fieri, involgenti l'esercizio delle funzioni giudiziarie" funzioni "da
intendersi come concetto in senso dinamico, siccome connesso allo status di magistrato".
5.3. Il principio va qui condiviso. La disposizione
di cui all'art. 2, co l, lett. d) della L n. 109 del 2006, individua, infatti, quale
illecito disciplinare: "i comportamenti abitualmente o gravemente scorretti
nei confronti delle parti, dei loro difensori, dei testimoni o di chiunque abbia
rapporti con il magistrato nell'ambito dell'ufficio giudiziario, ovvero nei confronti
di altri magistrati o di collaboratori". In tal modo chiarisce che l'obbligo,
posto dall'art. l della d.lgs. n. 109 del 2006, al singolo magistrato di esercitare
le funzioni attribuitegli, tra l'altro, con correttezza, va osservato non solo nel
concreto esercizio della giurisdizione, al quale specificamente si dirige il precetto
posto nella prima parte della norma, ma, anche, come depone l'utilizzo della congiunzione
disgiuntiva "ovvero", nei rapporti che si instaurano con altri magistrati
(o collaboratori) in ragione della funzione che il magistrato incolpato svolge proprio
in quanto tale. Del resto, la Corte Costituzionale ha, da tempo, chiarito (sentenza
n. 224 del 2009) che le specifiche prerogative assicurate ai magistrati dagli artt.
101 e segg. Cost., comportano l'imposizione di speciali doveri, che vanno rispettati,
non solo, con specifico riferimento al concreto esercizio delle funzioni giudiziarie,
ma anche come regola deontologica da osservarsi in ogni comportamento al fine di
evitare che possa fondatamente dubitarsi della loro indipendenza ed imparzialità.
5.4. Di conseguenza, non possono essere considerati
mero esercizio della libertà di manifestazione del pensiero, come sostiene il ricorrente,
ma costituiscono violazioni dei doveri di correttezza ed
equilibrio propri del magistrato, rientrando nell'ambito dei "comportamenti
abitualmente o gravemente scorretti nei confronti …. di altri magistrati" (art.
2, lett. d), cit.), condotte volte a screditare, o valorizzare, colleghi, anche
al fine di tentare di interferire con l'attività del Consiglio superiore della Magistratura.»[iv].
III. LE LINEE GUIDA DELLA PROCURA GENERALE
Dopo la pubblicazione
della predetta decisione, dovendosi pronunciare in sede disciplinare sull’ingente
materiale probatorio prodotto dallo scandalo delle Toghe sporche, il P.G. presso
la Suprema Corte ha pubblicato le linee guida cui si atterrà nelle proprie valutazioni,
così esprimendosi in ordine alle fattispecie concrete con cui si attua il sistema
clientelare-spartitorio:
«Di conseguenza, nell'esame del materiale informativo a disposizione, e in particolare delle comunicazioni intercettate o acquisite, potranno essere esaminate solo quelle che presentano, almeno in via ipotetica, significato disciplinare.
Ad esempio, le molte conversazioni che riguardano
le nomine di magistrati, a volte con sollecitazioni per sé stesso e altre che
riguardano terzi, rispetto ai conversanti, possono rilevare solo quando violino
precetti tipizzati.evano a tal fine le ipotesi previste dall'art. 2, lett. d ("comportamenti
abitualmente o gravemente scorretti"), quando dalle conversazioni emergono
accordi al fine di favorire magistrati per la sola appartenenza ad una corrente,
quando non addirittura a fini di spartizione (grave scorrettezza nei confronti dei
danneggiati), o quando vengono utilizzate informazioni riservate o vengono attuati
"dossieraggi" al fine di danneggiare o favorire; tali condotte, quando
particolarmente gravi e articolate, possono rilevare anche ai fini della lettera
i) dell'art. 3 ("l'uso strumentale della qualità che, per la posizione del
magistrato o per le modalità di realizzazione, è diretto a condizionare l'esercizio
di funzioni costituzionalmente previste").
Le condotte che non raggiungono questi standard, con giudizio di fatto,
non possono rilevare in questa sede, anche se previsti dal codice etico dell'ANM
quali illeciti (autopromozione, art. 10 "Il magistrato che aspiri a promozioni,
a trasferimenti, ad assegnazioni di sede e ad incarichi di ogni natura non si adopera
al fine di influire impropriamente sulla relativa decisione, né accetta che altri
lo facciano in suo favore") o possano essere considerati moralmente riprovevoli.
Applicando questi principi, ed esemplificando, l'attività
di autopromozione, effettuata direttamente dall'aspirante, anche se petulante, ma
senza la denigrazione dei concorrenti o la prospettazione di vantaggi elettorali,
non può essere considerata in violazione di precetti disciplinari, non essendo
'gravemente scorretta' nei confronti di altri e in sé inidonea a condizionare l'esercizio
delle prerogative consiliari.
Nella valutazione delle comunicazioni vanno applicati innanzitutto i criteri
guida delle libertà costituzionali, che impongono di non sottoporre ad alcuna censura
la libertà di manifestazione del pensiero, anche se espressa in maniere sgradevoli
o moralmente censurabili.
La soglia di rilevanza è costituita dalle condotte che siano direttamente
offensive dei valori tutelati, anche sotto il profilo della loro idoneità (l'accordo,
non mera manifestazione di pensiero, può raggiungere tale livellò, con valutazione
operata caso per caso)».
IV. Valutazioni
Confrontando la
decisione delle Sezioni Unite con le linee guida dettate dal P.G. si rileva quanto
segue.
a)
Dopo la citata decisione delle Sezioni Unite, che
ritiene applicabile la specifica previsione disciplinare dettata dall’art. 2, 1°,
lett. d) del D. lgs. 109/ 2006, non sembra pertinente il richiamo al codice etico
dei magistrati ovvero ai principi morali.
b)
L’irrilevanza della «libertà di manifestazione del pensiero» è a ragione espressamente sancita
dalle Sezioni Unite (v. sentenza, capo 5.4., trascritta sub cap. II.).
Al magistrato richiedente non è consentito alterare la serenità del percorso decisionale
cui attendono in sede amministrativa i componenti del Consiglio, così come è sanzionata
l’ingiustificata interferenza nell’attività giudiziaria di altro magistrato (art.
2, 1° lett. e del D. lgs. cit.): la libertà di espressione non comporta libertà
d’interferire.
c)
Come risulta dal messaggio (non a caso) trascritto
in esergo, è disciplinarmente rilevante - e merita sanzione alla stregua del principio
statuito dalle Sezioni Unite - anche «l'attività di autopromozione, effettuata
direttamente dall'aspirante», anche «senza la denigrazione
dei concorrenti», per il sol
fatto cioè che attività siffatta (petulante o non che sia) sia volta al conseguimento
di un vantaggio illecito, in danno dei concorrenti, con tutte le conseguenze sopra
descritte (v. retro cap. I.).
L’autopromozione non avrebbe senso se non postulasse una preferenza altrimenti –
e per legge - non dovuta; se non comportasse cioè l’induzione alla trasgressione
della legge e alla subvalenza del merito.
d)
L’inidoneità dei mezzi interferenti è rilevante in
casi davvero peregrini: non è agevole immaginare che il magistrato si autopromuova facendo valere che ...è più alto
o ...più bello dei concorrenti o perché ...condivida con l’interlocutore consigliere
il tifo per la stessa squadra di calcio. Se le notizie provenienti dagli organi
stampa siano veridiche, i mezzi generalmente adoperati dai magistrati coinvolti
nel recente scandalo risulterebbero più che idonei, rispecchiando puntualmente il
descritto modulo clientelare-spartitorio; il che è infatti quanto statuito autorevolmente
dalle Sezioni Unite.
Non va dimenticato l’unico schema legittimo di ogni procedimento concorsuale.
I candidati presentano ritualmente domande, valutazioni, programmi, autorelazione
etc. e in piena serenità il Consiglio secondo legge decide: niente altro è ammesso
e qualunque ‘interferenza’ è perciò sanzionabile alla stregua del dictum
delle Sezioni Unite.
É quanto si pretende da qualunque civis, a fortiori perciò
dai magistrati; ed è quanto urge riaffermare, per liberarci finalmente dell’immondo
sistema clientelare-spartitorio, che sacrifica i magistrati più meritevoli [v].
Non sarebbe sufficiente, ma soprattutto non sarebbe consentito «Colpirne
uno per educarne cento»[vi].
Di certo non è questo lo scopo perseguito dalla P.G.
[i]
La cui introduzione a livello dommatico, nel 1976, risale ad una pubblicazione di
G. AMATO, illustre costituzionalista.
[ii]
Infatti, ex presidente dell’A.N.M. ed ex membro del Consiglio
Superiore della Magistratura, il dott. P. non teme di rivendicare pubblicamente
una funzione necessariamente e saggiamente mediatrice, come riferisce la
Stampa. All’interno della magistratura, le nomine agli uffici giudiziari –
sostiene egli con forza, chiamando in correità i suoi numerosi sodali -
necessariamente devono svolgersi con il metodo spartitorio, a prescindere dal
merito. Pazienza se ne restino esclusi i magistrati privi di appoggi
correntizi, ancorché più meritevoli! Se ne faranno una ...ragione! Dunque la
logica correntizia e spartitoria prevale – deve prevalere - secondo il signor
P., sia sulla legalità sia sullo statuto dell’A.N.M. E deve trionfare perfino
nell’ambito di un organo, il Consiglio Superiore della Magistratura, tuttavia
deputato costituzionalmente ad assicurare, nel segno della più stretta legalità,
l’indipendenza dei magistrati sia dagli altri poteri (ivi compresi gli intrighi
associativi), sia dalle stesse smisurate ambizioni dei magistrati militanti
nelle correnti associative.
[iii]
Sentenza con cui è stato rigettato il ricorso del dott. P avverso il provvedimento
cautelare di sospensione (dall’esercizio delle funzioni e dallo stipendio)
emesso dalla Sezione Disciplinare del C.S.M.
È in corso il procedimento disciplinare di merito nei
confronti del dott. P., incolpato anche della violazione dell’art. 2, 1° lett.
d) del D. lgs. citato.
[iv]
Sul punto la sentenza è stata così massimata: « La previsione di cui
all'art. 2, comma 1, lett. d), del d.lgs. n. 109 del 2006 - la quale dà rilievo
come illecito disciplinare ai "comportamenti abitualmente e gravemente scorretti"
anche quando tenuti nei confronti di "altri magistrati" - deve essere
interpretata nel senso che tali comportamenti non debbono necessariamente
essere frutto del concreto esercizio della giurisdizione ma possono investire
anche i rapporti che si instaurano con altri magistrati in ragione della
funzione che l'incolpato svolge proprio in quanto tale. (Nella specie, in
applicazione del principio, la S.C. ha ritenuto che costituiscono violazione
dei doveri di correttezza ed equilibrio propri del magistrato, sì da rientrare
della fattispecie disciplinare di cui al citato art. 2, comma 1, lett. d), del
d.lgs. n. 109 del 2006, le condotte volte a screditare, o valorizzare,
colleghi, anche al fine di interferire con l'attività del Consiglio Superiore
della Magistratura).» (Sez. U, Sentenza n. 741 del 15/01/2020, Rv. 656792 -
05)
[v]
Sia consentito rinviare per ulteriori approfondimenti a R. RUSSO, Giustizia
è sfatta. Appunti per un accorato necrologio, 8 gennaio 2020, sul sito Judicium.it,
diretto dal prof. B. Sassani; Idem, Il procedimento disciplinare nei
confronti dei magistrati ordinari: archivio perché...archivio! in Giustizia
Insieme, 16 luglio 2020; Idem, Le speranze dei magistrati, loc. cit.,
19 settembre 2020.
Per il Procuratore Generale della Cassazione che nel procedimento disciplinare nei confronti del dr Palamara ha avuto il ruolo piu' importante, fissando le linee guida da seguire in questi casi, si puo' in sintesi tramare, brigare cercare di sostenere.. autopromuoversi.. ma senza esagerare!! In fondo quello che si e' sempre fatto al CSM, almeno negli ultimi decenni, ma con piu' cautela... ( Nisi caste tamen caute) in pratica, se mi si passa la citazione. Trovo tutto questo vergognoso, orribile. Se esistono magistrati fuori dalle correnti che fanno seriamente e onestamente il loro lavoro, e sicuramente esistono, sono numerosi e vittime di queste pratiche spartitorie... insieme ai cittadini. Perche' non fanno sentire la loro voce in modo formale? Il Presidente della Repubblica e' afflitto da una forma grave di mutismo. ormai e' risaputo.
RispondiEliminaSi potrebbero raccogliere adesioni Giammauro PASQUALE